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Il sistema dei parchi nazionali[1] rappresenta l’embrione di quella che oggi è meglio definibile come la disciplina delle aree protette, intesa come protezione della natura, nel rispetto del principio costituzionale di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. Con significativo ritardo rispetto al termine previsto dal D.P.R. n. 616/1977[2], il legislatore italiano ha previsto una specifica normativa solo nel 1991 con la c.d. “Legge quadro sulle Aree Protette” (L. 394 del 6 dicembre 1991[3]), che da oltre venti anni dalla sua approvazione sta mostrando notevoli crepe, a tal punto che la L. n. 308/2004 (Legge delega ambientale) ne aveva ipotizzato la sostituzione, peraltro non ancora effettuata. Tale normativa è particolarmente importante per l’Italia in quanto è “il paese europeo con la maggior biodiversità per numero di specie e processi ecologici”[4]. I Parchi italiani, infatti, hanno una realtà eterogenea, sia per le caratteristiche intrinseche, sia per il numero e la complessità degli enti che li governano: si pensi, ad esempio, al Piano del Parco, che interagisce con gli altri strumenti di pianificazione territoriale. La L. 394/1991 sottopone determinati territori[5] ad un regime speciale di tutela e di gestione, con le seguenti finalità (art. 1, comma 3):
a) conservazione di specie animali o vegetali, di associazioni vegetali o forestali, di singolarità geologiche, di formazioni paleontologiche, di comunità biologiche, di biotopi, di valori scenici e panoramici, di processi naturali, di equilibri idraulici e idrogeologici, di equilibri ecologici;
b) applicazione di metodi di gestione o di restauro ambientale idonei a realizzare un’integrazione tra uomo e ambiente naturale, anche mediante la salvaguardia dei valori antropologici, archeologici, storici e architettonici e delle attività agro-silvo-pastorali e tradizionali;
c) promozione di attività di educazione, di formazione e di ricerca scientifica, anche interdisciplinare, nonché di attività ricreative compatibili;
d) difesa e ricostituzione degli equilibri idraulici e idrogeologici.
I territori sottoposti alle disposizioni di cui alla L. n. 394/1991 costituiscono quindi le aree naturali protette. Peraltro la giurisprudenza più recente ha adottato un’interpretazione estensiva del concetto di “aree naturali protette”, statuendo che lo stesso “è più ampio di quello comprendente le categorie dei parchi nazionali, riserve naturali statali, parchi naturali interregionali, parchi naturali regionali e riserve naturali regionali, in quanto ricomprende anche le zone umide, le zone di protezione speciale, le zone speciali di conservazione ed altre aree naturali protette”[6]. Al fine di rispettare le finalità sopra citate, il Regolamento del parco disciplina le attività consentite affinché siano rispettate le caratteristiche naturali paesistiche, antropologiche, storiche e culturali locali, quali, a titolo esemplificativo: le modalità e tipologie di costruzione di opere e manufatti, le attività artigianali, commerciali, di servizio e agro-silvo-pastorali; sportive, ricreative ed educative, attività di ricerca scientifica e biosanitaria; attività da affidare a interventi di occupazione giovanile, di volontariato, con particolare riferimento alle comunità terapeutiche, e al servizio civile alternativo; il soggiorno e la circolazione del pubblico con qualsiasi mezzo di trasporto e l’accessibilità nel territorio del parco attraverso percorsi e strutture idonee per disabili, portatori di handicap e anziani; i limiti alle emissioni sonore, luminose, ecc. Nei parchi sono pertanto vietate le attività e le opere che possano compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat. Secondo quanto previsto dall’art. 2, L. n. 394/1991, le aree protette sono classificate, a seconda delle loro caratteristiche, in:
parchi nazionali: sono costituiti da aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono uno o più ecosistemi intatti o anche parzialmente alterati da interventi antropici, una o più formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche, biologiche, di rilievo internazionale o nazionale per valori naturalistici, scientifici, estetici, culturali, educativi e ricreativi tali da richiedere l’intervento dello Stato ai fini della loro conservazione per le generazioni presenti e future;
parchi naturali regionali: aree terrestri, fluviali, lacuali ed eventualmente tratti di mare prospicienti la costa, di valore naturalistico e ambientale, che costituiscono, nell’ambito di una o più Regioni limitrofe, un sistema omogeneo individuato dagli assetti naturali dei luoghi, dai valori paesaggistici ed artistici e dalle tradizioni culturali delle popolazioni locali;
riserve naturali: aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono una o più specie naturalisticamente rilevanti della flora e della fauna, ovvero presentino uno o più ecosistemi importanti per le diversità biologiche o per la conservazione delle risorse genetiche. Le riserve naturali possono essere statali o regionali in base alla rilevanza degli interessi in esse rappresentati;
aree marine protette: rientrano questa categoria le aree definite dal Protocollo di Ginevra relativo alle aree del Mediterraneo di cui alla L. 5 marzo 1985, n. 127 (Recante ratifica del protocollo relativo alle aree specialmente protette del Mediterraneo, aperto alla firma a Ginevra il 3 aprile 1982) e quelle definite ai sensi della L. 31 dicembre 1982, n. 979 (Disposizioni per la difesa del mare).
Attualmente, l’elenco e l’istituzione dei parchi nazionali e delle riserve naturali statali, terrestri, fluviali e lacuali, è effettuata d’intesa con le Regioni (cfr. art. 2, comma 7, L. n. 394/1991), mentre restano di competenza regionale la classificazione e l’istituzione dei parchi e delle riserve naturali di interesse regionale e locale. La classificazione della L. n. 394/1991 è stata successivamente integrata con una Deliberazione[7] del Ministero dell’Ambiente del 2 dicembre 1996 che ha incluso ZPS (“Zone di Protezione Speciale” ai sensi della Direttiva 79/409/CEE sugli conservazione degli uccelli selvatici) e ZSC (“Zone Speciali di Conservazione” ai sensi della Direttiva Habitat 92/43/CEE). Le sanzioni contenute nella L. 394/91 sono di natura penale e mirano ad assicurare la massima tutela delle aree protette, impedendo o limitando le attività che, anche solo potenzialmente, possano rappresentare un pericolo per l’integrità delle stesse. L’art. 30, comma 1 prevede, in particolare, la pena dell’arresto fino a dodici mesi e dell’ammenda da 103,00 euro a 25.822 euro per chiunque violi le disposizioni di cui agli artt. 6[8] e 13[9]. Inoltre, il secondo periodo di tale comma sanziona chiunque violi le disposizioni di cui agli artt. 11[10], comma 3, e 19, comma 3, con l’arresto fino a 6 mesi o con l’ammenda da 103 euro a 12.911 euro. Il Regolamento del parco può stabilire eventuali deroghe[11] ai sopra descritti divieti. Si noti che per quanto riguarda la lettera a) del medesimo comma 3 dell’art. 19 (cattura, raccolta e danneggiamento di specie animali, nonché asportazione di minerali e reperti archeologici), esso prevede eventuali prelievi faunistici e abbattimenti selettivi, necessari per ricomporre squilibri ecologici accertati dall’Ente parco. Inoltre, si segnala che il divieto di cacciare nei parchi è penalmente sanzionato sia dalla “Legge quadro sulle arre protette” che dalla L. n. 157/1992 (“Norme per la protezione e della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio”). Numerose sono le sentenze che si sono occupate di tale tema, puntualizzando che “la caccia è vietata all’interno di tutti i parchi nazionali e regionali e delle riserve naturali ed è irrilevante il fatto che sia stata consentita successivamente alla commissione del reato per nuova perimetrazione. I parchi e le riserve nazionali e regionali, essendo stati istituiti e delimitati con provvedimenti pubblicati su Gazzette e Bollettini Ufficiali, non necessitano della tabellazione perimetrale ai fini di essere individuati come aree dove sia vietata l’attività venatoria, e pertanto non può essere riconosciuta la buona fede degli imputati del reato di esercizio venatorio in area protetta in caso di assenza di tabellazione”[12]. Sono, inoltre, vietate anche le attività previste dall’art. 19, comma 3, ovvero quelle che possono compromettere la tutela delle caratteristiche dell’ambiente[13] oggetto della protezione e delle finalità istitutive delle aree protette marine (es. cattura, raccolta e danneggiamento delle specie animali e vegetali nonché l’asportazione di minerali e di reperti archeologici; alterazione dell’ambiente geofisico e delle caratteristiche chimiche e idrobiologiche delle acque; svolgimento di attività pubblicitarie; ecc.). Nel caso, poi, si commettano i reati previsti dal codice penale “Danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale” (art. 733 c.p.) e “Distruzione o deturpamento di bellezze naturali” (art. 734 c.p.), il giudice (o gli addetti alla sorveglianza dell’area protetta) può disporre il sequestro di quanto adoperato per commettere gli illeciti, per evitare l’aggravamento o la continuazione del reato (così anche in caso di flagranza). In tal caso, il responsabile è tenuto a provvedere, ove possibile, alla riduzione in pristino dell’area danneggiata ed al risarcimento del danno: a tal fine saranno applicabili le norme dell’art. 18, L. 8 luglio 1986, n. 349[14], riguardante il diritto al risarcimento del danno ambientale da parte dell’organismo di gestione dell’area protetta. In caso di sentenza di condanna, il giudice può disporre, nei casi di particolare gravità, la confisca delle cose utilizzate per la consumazione dell’illecito. L’art. 30, comma 8, L. 394/91 prevede che dette sanzioni si applichino anche per la violazione delle disposizioni di leggi regionali, che prevedono misure di salvaguardia in vista della istituzione di aree protette e con riguardo alla trasgressione di regolamenti di parchi naturali regionali. Infine, è da segnalare il D.L.vo 7 luglio 2011, n. 121[15], che ha introdotto una ulteriore ipotesi di contravvenzione penale, ossia l’art. 733-bis, c.p. (“Distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto”). [1] Il parco nazionale italiano più antico è il Parco del Gran Paradiso, istituito nel 1922 con il R.D.L. n. 1584 del 3 dicembre 1922. Tra i parchi storici italiani rientrano anche il Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise (1922), dello Stelvio (1933), del Circeo (1934) e della Sila (1968). [2] Il D.P.R. 616/1977, in attuazione della delega di cui all’art. 1 della L. 22 luglio 1975, n. 382, stabiliva che per i parchi nazionali e le riserve naturali dello Stato esistenti, la disciplina generale relativa e la ripartizione dei compiti fra Stato, Regioni e comunità montane, ferma restando l’unitarietà dei parchi e riserve, sarebbe stata definita con Legge della Repubblica entro il 31 dicembre 1979. [3] Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 292 del 13 dicembre 1991 – Suppl. Ordinario n. 83. [4] P. FANTILLI, D. MARTINOJA, Aree protette, in S. MAGLIA, Codice dell’ambiente, CELT, 2015, pag. 833. [5] Per “territori” si intendono le formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche e biologiche, o gruppi di esse, che hanno rilevante valore naturalistico e ambientale. [6] Cass. Pen. sez. III, 1 aprile 2014, n. 14950. [7] “Approvazione del programma operativo per la Carta della Natura”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 142 del 20 giugno 1997. [8] L’art. 6 si riferisce all’individuazione di aree da proteggere e l’adozione di Misure di salvaguardia adottate in caso di necessità ed urgenza dal Ministro dell’ambiente e le regioni (per le aree protette marine: Ministro dell’ambiente di concerto con il Ministro della marina mercantile, oggi accorpato nel Ministero delle Infrastrutture). [9] La norma richiama espressamente l’art. 13 che sottopone al preventivo nulla osta dell’Ente parco il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi impianti ed opere all’interno del parco stesso. Il nulla osta verifica la conformità tra le disposizioni del piano e del Regolamento e l’intervento. Inoltre, L. RAMACCI, I reati ambientali ed il principio di offensività, in Giur. Merito n. 5/2003 osserva che la necessità del nulla osta debba estendersi non solo agli interventi rientranti nell’attività edilizia propriamente detta, ma a tutti quelli la cui realizzazione possa incidere in modo significativo sull’originario assetto dell’area protetta. [10] Il riferimento all’art. 11, co. 3 riguarda il “Regolamento del parco”, in cui sono vietate determinate attività e opere, quali:
a) la cattura, l’uccisione, il danneggiamento, il disturbo delle specie animali; la raccolta ed il danneggiamento delle specie vegetali, salvo nei territori in cui sono consentite le attività agro-silvo-pastorali, non ché l’introduzione di specie estranee, vegetali o animali, che possano alterare l’equilibrio naturale;
b) l’apertura e l’esercizio di cave, di miniere e di discariche, nonché l’asportazione di minerali;
c) la modificazione del regime delle acque;
d) lo svolgimento di attività pubblicitarie al di fuori dei centri urbani, non autorizzate dall’Ente parco;
e) l’introduzione e l’impiego di qualsiasi mezzo di distruzione o di alte razione dei cicli biogeochimici;
f) l’introduzione, da parte di privati, di armi, esplosivi e qualsiasi mezzo distruttivo o di cattura, se non autorizzati;
g) l’uso di fuochi all’aperto;
h) il sorvolo di velivoli non autorizzati, salvo quanto definito dalle leggi sulla disciplina del volo.
Si noti in particolare che alla lett. a) è prescritto il divieto di caccia nelle aree protette, così come all’art. 22 co. 6, l’attività venatoria è vietata nei parchi naturali regionali e nelle riserve naturali regionali. [11] “In tema di tutela delle aree protette, i divieti di effettuazione di attività che possano compromettere la salvaguardia di tali aree di cui all’art. 11 L. 394/1991 si applicano anche con riferimento ai parchi naturali regionali e possono essere derogati solo per effetto dei relativi regolamenti, la cui adozione spetta agli Enti Parco” (fattispecie di introduzione di fucili da caccia all’interno del Parco regionale del Delta del Po, Cass. Pen., sez. III, 21 maggio 2008, n. 35393). [12] Cass. Pen., sez. III, 19 marzo 1999, n. 952. [13] “L’allestimento di un campeggio all’interno di un’area marina protetta senza la prescritta autorizzazione integra il reato di cui agli artt. 19, c. terzo, e 30 L.394/1991, giacché, oltre ad incidere sulla flora della stessa, compromette le caratteristiche dell’ambiente nonché i valori scenici e panoramici e gli equilibri ecologici del sito” (Cass. pen., sez. III, 17 febbraio 2010, n. 16473). “Istituzione del Ministero dell’ambiente e norme in materia di danno ambientale”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 162 del 15 luglio 1986. [15] “Attuazione della direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente, nonché della direttiva 2009/123/CE che modifica la direttiva 2005/35/CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 177 del 1 agosto 2011. Tratto da “Gestione Ambientale – Manuale operativo“, TuttoAmbiente Edizioni, 2015.
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La disciplina delle aree protette
di Stefano Maglia
Il sistema dei parchi nazionali[1] rappresenta l’embrione di quella che oggi è meglio definibile come la disciplina delle aree protette, intesa come protezione della natura, nel rispetto del principio costituzionale di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.
Con significativo ritardo rispetto al termine previsto dal D.P.R. n. 616/1977[2], il legislatore italiano ha previsto una specifica normativa solo nel 1991 con la c.d. “Legge quadro sulle Aree Protette” (L. 394 del 6 dicembre 1991[3]), che da oltre venti anni dalla sua approvazione sta mostrando notevoli crepe, a tal punto che la L. n. 308/2004 (Legge delega ambientale) ne aveva ipotizzato la sostituzione, peraltro non ancora effettuata.
Tale normativa è particolarmente importante per l’Italia in quanto è “il paese europeo con la maggior biodiversità per numero di specie e processi ecologici”[4]. I Parchi italiani, infatti, hanno una realtà eterogenea, sia per le caratteristiche intrinseche, sia per il numero e la complessità degli enti che li governano: si pensi, ad esempio, al Piano del Parco, che interagisce con gli altri strumenti di pianificazione territoriale.
La L. 394/1991 sottopone determinati territori[5] ad un regime speciale di tutela e di gestione, con le seguenti finalità (art. 1, comma 3):
I territori sottoposti alle disposizioni di cui alla L. n. 394/1991 costituiscono quindi le aree naturali protette. Peraltro la giurisprudenza più recente ha adottato un’interpretazione estensiva del concetto di “aree naturali protette”, statuendo che lo stesso “è più ampio di quello comprendente le categorie dei parchi nazionali, riserve naturali statali, parchi naturali interregionali, parchi naturali regionali e riserve naturali regionali, in quanto ricomprende anche le zone umide, le zone di protezione speciale, le zone speciali di conservazione ed altre aree naturali protette”[6].
Al fine di rispettare le finalità sopra citate, il Regolamento del parco disciplina le attività consentite affinché siano rispettate le caratteristiche naturali paesistiche, antropologiche, storiche e culturali locali, quali, a titolo esemplificativo: le modalità e tipologie di costruzione di opere e manufatti, le attività artigianali, commerciali, di servizio e agro-silvo-pastorali; sportive, ricreative ed educative, attività di ricerca scientifica e biosanitaria; attività da affidare a interventi di occupazione giovanile, di volontariato, con particolare riferimento alle comunità terapeutiche, e al servizio civile alternativo; il soggiorno e la circolazione del pubblico con qualsiasi mezzo di trasporto e l’accessibilità nel territorio del parco attraverso percorsi e strutture idonee per disabili, portatori di handicap e anziani; i limiti alle emissioni sonore, luminose, ecc.
Nei parchi sono pertanto vietate le attività e le opere che possano compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat.
Secondo quanto previsto dall’art. 2, L. n. 394/1991, le aree protette sono classificate, a seconda delle loro caratteristiche, in:
Attualmente, l’elenco e l’istituzione dei parchi nazionali e delle riserve naturali statali, terrestri, fluviali e lacuali, è effettuata d’intesa con le Regioni (cfr. art. 2, comma 7, L. n. 394/1991), mentre restano di competenza regionale la classificazione e l’istituzione dei parchi e delle riserve naturali di interesse regionale e locale.
La classificazione della L. n. 394/1991 è stata successivamente integrata con una Deliberazione[7] del Ministero dell’Ambiente del 2 dicembre 1996 che ha incluso ZPS (“Zone di Protezione Speciale” ai sensi della Direttiva 79/409/CEE sugli conservazione degli uccelli selvatici) e ZSC (“Zone Speciali di Conservazione” ai sensi della Direttiva Habitat 92/43/CEE).
Le sanzioni contenute nella L. 394/91 sono di natura penale e mirano ad assicurare la massima tutela delle aree protette, impedendo o limitando le attività che, anche solo potenzialmente, possano rappresentare un pericolo per l’integrità delle stesse.
L’art. 30, comma 1 prevede, in particolare, la pena dell’arresto fino a dodici mesi e dell’ammenda da 103,00 euro a 25.822 euro per chiunque violi le disposizioni di cui agli artt. 6[8] e 13[9]. Inoltre, il secondo periodo di tale comma sanziona chiunque violi le disposizioni di cui agli artt. 11[10], comma 3, e 19, comma 3, con l’arresto fino a 6 mesi o con l’ammenda da 103 euro a 12.911 euro.
Il Regolamento del parco può stabilire eventuali deroghe[11] ai sopra descritti divieti. Si noti che per quanto riguarda la lettera a) del medesimo comma 3 dell’art. 19 (cattura, raccolta e danneggiamento di specie animali, nonché asportazione di minerali e reperti archeologici), esso prevede eventuali prelievi faunistici e abbattimenti selettivi, necessari per ricomporre squilibri ecologici accertati dall’Ente parco. Inoltre, si segnala che il divieto di cacciare nei parchi è penalmente sanzionato sia dalla “Legge quadro sulle arre protette” che dalla L. n. 157/1992 (“Norme per la protezione e della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio”).
Numerose sono le sentenze che si sono occupate di tale tema, puntualizzando che “la caccia è vietata all’interno di tutti i parchi nazionali e regionali e delle riserve naturali ed è irrilevante il fatto che sia stata consentita successivamente alla commissione del reato per nuova perimetrazione. I parchi e le riserve nazionali e regionali, essendo stati istituiti e delimitati con provvedimenti pubblicati su Gazzette e Bollettini Ufficiali, non necessitano della tabellazione perimetrale ai fini di essere individuati come aree dove sia vietata l’attività venatoria, e pertanto non può essere riconosciuta la buona fede degli imputati del reato di esercizio venatorio in area protetta in caso di assenza di tabellazione”[12].
Sono, inoltre, vietate anche le attività previste dall’art. 19, comma 3, ovvero quelle che possono compromettere la tutela delle caratteristiche dell’ambiente[13] oggetto della protezione e delle finalità istitutive delle aree protette marine (es. cattura, raccolta e danneggiamento delle specie animali e vegetali nonché l’asportazione di minerali e di reperti archeologici; alterazione dell’ambiente geofisico e delle caratteristiche chimiche e idrobiologiche delle acque; svolgimento di attività pubblicitarie; ecc.).
Nel caso, poi, si commettano i reati previsti dal codice penale “Danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale” (art. 733 c.p.) e “Distruzione o deturpamento di bellezze naturali” (art. 734 c.p.), il giudice (o gli addetti alla sorveglianza dell’area protetta) può disporre il sequestro di quanto adoperato per commettere gli illeciti, per evitare l’aggravamento o la continuazione del reato (così anche in caso di flagranza).
In tal caso, il responsabile è tenuto a provvedere, ove possibile, alla riduzione in pristino dell’area danneggiata ed al risarcimento del danno: a tal fine saranno applicabili le norme dell’art. 18, L. 8 luglio 1986, n. 349[14], riguardante il diritto al risarcimento del danno ambientale da parte dell’organismo di gestione dell’area protetta. In caso di sentenza di condanna, il giudice può disporre, nei casi di particolare gravità, la confisca delle cose utilizzate per la consumazione dell’illecito.
L’art. 30, comma 8, L. 394/91 prevede che dette sanzioni si applichino anche per la violazione delle disposizioni di leggi regionali, che prevedono misure di salvaguardia in vista della istituzione di aree protette e con riguardo alla trasgressione di regolamenti di parchi naturali regionali.
Infine, è da segnalare il D.L.vo 7 luglio 2011, n. 121[15], che ha introdotto una ulteriore ipotesi di contravvenzione penale, ossia l’art. 733-bis, c.p. (“Distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto”).
[1] Il parco nazionale italiano più antico è il Parco del Gran Paradiso, istituito nel 1922 con il R.D.L. n. 1584 del 3 dicembre 1922. Tra i parchi storici italiani rientrano anche il Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise (1922), dello Stelvio (1933), del Circeo (1934) e della Sila (1968).
[2] Il D.P.R. 616/1977, in attuazione della delega di cui all’art. 1 della L. 22 luglio 1975, n. 382, stabiliva che per i parchi nazionali e le riserve naturali dello Stato esistenti, la disciplina generale relativa e la ripartizione dei compiti fra Stato, Regioni e comunità montane, ferma restando l’unitarietà dei parchi e riserve, sarebbe stata definita con Legge della Repubblica entro il 31 dicembre 1979.
[3] Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 292 del 13 dicembre 1991 – Suppl. Ordinario n. 83.
[4] P. FANTILLI, D. MARTINOJA, Aree protette, in S. MAGLIA, Codice dell’ambiente, CELT, 2015, pag. 833.
[5] Per “territori” si intendono le formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche e biologiche, o gruppi di esse, che hanno rilevante valore naturalistico e ambientale.
[6] Cass. Pen. sez. III, 1 aprile 2014, n. 14950.
[7] “Approvazione del programma operativo per la Carta della Natura”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 142 del 20 giugno 1997.
[8] L’art. 6 si riferisce all’individuazione di aree da proteggere e l’adozione di Misure di salvaguardia adottate in caso di necessità ed urgenza dal Ministro dell’ambiente e le regioni (per le aree protette marine: Ministro dell’ambiente di concerto con il Ministro della marina mercantile, oggi accorpato nel Ministero delle Infrastrutture).
[9] La norma richiama espressamente l’art. 13 che sottopone al preventivo nulla osta dell’Ente parco il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi impianti ed opere all’interno del parco stesso. Il nulla osta verifica la conformità tra le disposizioni del piano e del Regolamento e l’intervento. Inoltre, L. RAMACCI, I reati ambientali ed il principio di offensività, in Giur. Merito n. 5/2003 osserva che la necessità del nulla osta debba estendersi non solo agli interventi rientranti nell’attività edilizia propriamente detta, ma a tutti quelli la cui realizzazione possa incidere in modo significativo sull’originario assetto dell’area protetta.
[10] Il riferimento all’art. 11, co. 3 riguarda il “Regolamento del parco”, in cui sono vietate determinate attività e opere, quali:
a) la cattura, l’uccisione, il danneggiamento, il disturbo delle specie animali; la raccolta ed il danneggiamento delle specie vegetali, salvo nei territori in cui sono consentite le attività agro-silvo-pastorali, non ché l’introduzione di specie estranee, vegetali o animali, che possano alterare l’equilibrio naturale;
b) l’apertura e l’esercizio di cave, di miniere e di discariche, nonché l’asportazione di minerali;
c) la modificazione del regime delle acque;
d) lo svolgimento di attività pubblicitarie al di fuori dei centri urbani, non autorizzate dall’Ente parco;
e) l’introduzione e l’impiego di qualsiasi mezzo di distruzione o di alte razione dei cicli biogeochimici;
f) l’introduzione, da parte di privati, di armi, esplosivi e qualsiasi mezzo distruttivo o di cattura, se non autorizzati;
g) l’uso di fuochi all’aperto;
h) il sorvolo di velivoli non autorizzati, salvo quanto definito dalle leggi sulla disciplina del volo.
Si noti in particolare che alla lett. a) è prescritto il divieto di caccia nelle aree protette, così come all’art. 22 co. 6, l’attività venatoria è vietata nei parchi naturali regionali e nelle riserve naturali regionali.
[11] “In tema di tutela delle aree protette, i divieti di effettuazione di attività che possano compromettere la salvaguardia di tali aree di cui all’art. 11 L. 394/1991 si applicano anche con riferimento ai parchi naturali regionali e possono essere derogati solo per effetto dei relativi regolamenti, la cui adozione spetta agli Enti Parco” (fattispecie di introduzione di fucili da caccia all’interno del Parco regionale del Delta del Po, Cass. Pen., sez. III, 21 maggio 2008, n. 35393).
[12] Cass. Pen., sez. III, 19 marzo 1999, n. 952.
[13] “L’allestimento di un campeggio all’interno di un’area marina protetta senza la prescritta autorizzazione integra il reato di cui agli artt. 19, c. terzo, e 30 L.394/1991, giacché, oltre ad incidere sulla flora della stessa, compromette le caratteristiche dell’ambiente nonché i valori scenici e panoramici e gli equilibri ecologici del sito” (Cass. pen., sez. III, 17 febbraio 2010, n. 16473).
“Istituzione del Ministero dell’ambiente e norme in materia di danno ambientale”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 162 del 15 luglio 1986.
[15] “Attuazione della direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente, nonché della direttiva 2009/123/CE che modifica la direttiva 2005/35/CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 177 del 1 agosto 2011.
Tratto da “Gestione Ambientale – Manuale operativo“, TuttoAmbiente Edizioni, 2015.
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