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La protezione ambientale deve avvenire a costi sostenibili: la Corte Suprema americana conferma i più recenti orientamenti della nostra Corte Costituzionale
di Luciano Butti
Categoria: Sviluppo sostenibile
La Corte Suprema, con una sentenza del 29 Giugno 2015, ha affermato che l’EPA (Environmental Protection Agency), nel decidere di regolare le emissioni tossiche generate dalle centrali elettriche, ha irragionevolmente ignorato i costi in cui queste sarebbero incorse. Questa sentenza si colloca in linea con la più recente giurisprudenza italiana e la normativa europea: anch’esse infatti riconoscono che nel fissare i valori limiti di emissioni, le autorità devono bilanciare le esigenze di tutela dell’ambiente con quelle economiche.
La posizione della Corte Suprema: Michigan v. EPA Per analizzare la sentenza della Corte Suprema, è necessario innanzitutto specificare che il Clean Air Act, sezione 112, affida all’EPA il compito di regolare le emissioni di sostanze inquinanti pericolose derivanti da alcune fonti di inquinamento. La sezione 112 (n) (1) riguarda in particolar modo le centrali elettriche e afferma che l’agenzia dovrà regolare le emissioni da queste prodotte solo a determinate condizioni: l’EPA dovrà condurre uno studio che determini qual è l’entità del pericolo per la salute pubblica che ci si può ragionevolmente aspettare possa conseguire all’inquinamento generato dalle centrali elettriche e adottare una regolamentazione solo nel caso in cui, alla luce di questo studio, questa sia da ritenersi appropriata e necessaria[1]. L’EPA, concluso il suddetto studio, ritiene che sia appropriato e necessario regolamentare le centrali elettriche: appropriato sulla base del fatto che le emissioni generate dalle centrali pongono dei rischi per la salute umana e per l’ambiente e che allo stesso tempo esistono mezzi per controllare queste emissioni, e necessario perché nessuna altra disposizione del Clean Air Act elimina questi rischi. Inoltre l’EPA afferma di non ritenere necessario prendere in considerazione, nel decidere di regolamentare la materia, gli eventuali costi che questa comporta. Conduce però ugualmente uno studio (Regulatory Impact Analysis) col quale stima che le regolamentazione comporterebbe per le centrali costi aggiuntivi per un valore di 9.6 miliardi di dollari per anno, mentre il valore economico dei benefici in termini di salute e ambiente possono essere stimanti tra i 4 e i 6 milioni di dollari all’anno (a cui aggiungere un valore compreso tra i 37 e 90 milioni di dollari annui risultante da benefici aggiuntivi)[2]. Stati, industrie e associazioni dei lavoratori contestano l’interpretazione dell’espressione “appropriato e necessario” data dall’EPA. La Corte Suprema, chiamata a giudicare sulla questione, innanzitutto sottolinea come, se da un lato le agenzie hanno un certo potere discrezionale nell’interpretare la legge, queste devono in ogni caso sempre agire entro i limiti della ragionevolezza[3]. La principale questione discussa è quindi se l’EPA, ritenendo i costi fattore irrilevante ai fini della decisione di regolamentare le centrali elettriche, ha interpretato irragionevolmente la sezione 112. A tal proposito la Corte sostiene che, letta nel suo significato naturale e alla luce del contesto in cui si trova, l’espressione “ appropriato e necessario”, imponga di prendere in considerazione tutti i fattori rilevanti, tra i quali sicuramente sono ricompresi anche i costi: non è razionale, e quindi tantomeno appropriato, imporre miliardi di dollari di costi alle centrali per ottenere in cambio pochi milioni di benefici alla salute e all’ambiente”. Infatti, prosegue la Corte, “considerare il costi significa comprendere che una regolamentazione ragionevole prende in considerazione vantaggi e svantaggi”[4]. L’EPA, d’altro canto, presenta diverse argomentazioni per sostenere la ragionevolezza della sua decisione, ma nessuna di queste viene ritenuta convincente. Tra queste, l’agenzia sostiene di aver potuto ignorare i costi in questa fase iniziale della decisione, poiché ci sarà la possibilità di prendere in considerazione tale fattore in seguito, quando sarà deciso l’effettivo contenuto delle norme. Questo stesso argomento è tra quelli sollevati dal giudice Kagan nell’opinione in cui esprime il suo dissenso rispetto alla decisione adottata dalla maggioranza della Corte. Egli è d’accordo nel dire che sarebbe irragionevole non prendere in alcuna considerazione i costi, ma allo stesso tempo sostiene che non è necessario per l’EPA analizzare questo aspetto immediatamente nella prima fase: è ragionevole infatti, secondo Kagan, che l’EPA ritenga appropriato innescare il processo di regolamentazione basandosi solo su considerazioni relative ai pericoli per ambiente e salute e alle possibilità di evitarli, prendendo in considerazione il fattore economico solo in seguito, nel fissare gli effettivi limiti alle emissioni[5]. La maggioranza respinge questa argomentazione in quanto, anche volendo ammettere che i costi saranno presi in considerazione in una fase decisoria successiva, da ciò non ne segue automaticamente l’irrilevanza allo stadio attuale. Ritiene inoltre che non sia possibile per l’EPA tenere debitamente in considerazione i costi in una fase successiva poiché, in base alla sez.112, una volta deciso di regolamentare le centrali elettriche, l’agenzia è costretta a fissare degli standard minimi di emissioni; i costi sono menzionati solo con riguardo al caso in cui l’agenzia decida di fissare limiti più rigidi degli standard minimi[6]. La Corte conclude quindi che l’EPA avrebbe dovuto prendere in considerazione il fattore economico fin dall’inizio del processo decisionale.
La sentenza 127/1990 della Corte Costituzionale italiana Se, quando e come i costi per le industrie debbano essere presi in considerazione nel fissare i valori limiti d’ emissione di inquinanti nell’aria è un tema trattato anche dalla Corte Costituzionale Italiana nella sentenza 127/1990. In questo caso la questione riguarda principalmente l’art 2 d.pr. 203 /1988 il quale stabilisce che, nel determinare i valori minimi e massimi di emissioni, uno dei criteri da prendere in considerazione è quello di migliore tecnologia disponibile. L’articolo definisce “migliore tecnologia disponibile” un sistema tecnologico adeguatamente verificato e sperimentato che consente il contenimento e/o la riduzione delle emissioni a livelli accettabili per la protezione della salute e dell’ambiente, sempreché l’applicazione di tali misure non comporti costi eccessivi[7]. Secondo il giudice a quo, questa norma implicherebbe che, essendo i limiti fissati sulla base delle tecnologie disponibili, i limiti stessi finirebbero con l’essere influenzati dal costo di tali tecnologie, e quindi, che la protezione della salute e dell’ambiente verrebbe a dipendere dalla possibilità dell’impresa di sopportare o meno i costi delle tecnologie stesse. Una tale regola violerebbe gli articoli 32 (diritto alla salute) e 41 (il quale, affermando che l’iniziativa economica privata è libera , lo subordina all’utilità sociale) della Costituzione Italiana. La Corte Costituzionale italiana, in questa pronuncia esprime una posizione leggermente diversa da quella adottata dalla Corte Suprema USA. Secondo la Corte italiana infatti, i livelli massimi di emissioni devono essere tali da garantire una tutela accettabile dell’ambiente e della salute indipendentemente dai costi che ciò comporta. I costi dovranno invece essere presi in considerazione in un eventuale secondo momento, qualora il legislatore voglia fissare limiti più stringenti. La Corte concorda col giudice a quo nell’affermare che sarebbe irragionevole se il legislatore, da un lato, stabilisse dei limiti massimi di emissione per proteggere l’ambiente e la salute dei cittadini, e dall’altro, permettesse alle industrie di non adottare le misure necessarie a ridurre le emissioni nel caso in cui queste siano troppo costose. Ma questa non è l’unica interpretazione possibile della norma in esame. Secondo la stessa norma, infatti, devono essere presi in considerazione, nel determinare i limiti di emissioni consentite, anche altri criteri, diversi da quello delle migliori tecnologie disponibili[8]. Inoltre, la direttiva Europea che il d.pr.203/1998 recepisce, ha come scopo principale la protezione della salute e dell’ambiente, e menziona i costi al solo fine di permettere alle industrie di graduare nel tempo l’inserimento delle nuove tecnologie nel processo produttivo, qualora ciò sia necessario per evitare un danno economico e competitivo eccessivo[9]. Seguendo una interpretazione logico-sistematica, la Corte quindi conclude che “si deve presumere, che i limiti massimi insuperabili che Governo e Regioni stabiliscono per i vari elementi nocivi che compongono le emissioni inquinanti siano tali da contenere le emissioni a livelli accettabili per la protezione della salute e dell’ambiente”. Ne segue che i limiti massimi accettabili devono essere stabiliti indipendentemente dai costi che questi comportato per le imprese: “il condizionamento al costo non eccessivo dell’uso della migliore tecnologia disponibile va riferito al raggiungimento di livelli inferiori a quelli compatibili, salvo che non si tratti si piani di risanamento di zone particolarmente inquinate[10]”. La Corte quindi: – da un lato stabilisce che i limiti massimi non possano in alcun caso superare quelli necessari per garantire una adeguata protezione della salute e dell’ambiente, – dall’altro accetta che l’autorità non potrebbe imporre l’uso di nuove tecnologie disponibili, capaci di ridurre ulteriormente il livello di inquinamento, se queste risultassero eccessivamente costose per la categoria cui l’impresa appartiene. E’ bene sottolineare che il parametro della eccessiva onerosità non si riferisce alla singola impresa che debba adottare una nuova tecnologia, ma prende a riferimento i costi medi del settore.
La nuova direttiva UE 75/2010 sulle emissioni industriali Nel 2010 è stata adottata una nuova direttiva in tema di controllo e prevenzione delle emissioni industriali. L’art. 3 di questa direttiva definisce “migliori tecniche disponibili la più avanzata fase di sviluppo di attività e relativi metodi di esercizio indicanti l’idoneità pratica di determinate tecniche a costituire la base dei valori limite di emissione e delle altre condizioni di autorizzazione…” precisando poi che però si devono intendere per disponibili solo quelle tecnologie sviluppate su una scala che ne consenta l’applicazione in condizioni economicamente e tecnicamente attuabili nell’ambito di un comparto industriale, prendendo in considerazione costi e vantaggi…[11]”. L’art. 15 della direttiva 75/2010 poi, impone alle autorità competenti di fissare i limiti di emissione basandosi sulle migliori tecniche disponibili: si stabilisce dunque che la disponibilità, anche economica, delle tecnologie di riduzione delle emissioni deve essere tra i fattori determinanti i valori limite. A condizione che si realizzi nel complesso un elevato grado di tutela ambientale, la direttiva prevede anche che “in casi specifici, l’autorità competente può fissare valori limite di emissioni meno severi. Tale deroga può applicarsi unicamente ove una valutazione dimostri che il conseguimento dei livelli di emissione associati alle migliori tecniche disponibili di cui alle conclusioni sulle BAT (Best Available Techiniques) comporterebbe una maggiorazione sproporzionata dei costi rispetto ai benefici ambientali[12]” . In conclusione la direttiva, imponendo alle autorità competenti di effettuare in pratica un bilanciamento tra le esigenze di tutela dell’ambiente e degli interessi economici, esprime un approccio paragonabile a quello adottato dalla Corte Suprema in Michigan v. EPA.
La sentenza 85/2013 della Corte Costituzionale italiana Anche la giurisprudenza della Corte Costituzionale italiana si è evoluta in tal senso. Ad esempio nella sentenza n. 85/2013 la Corte ha ammesso che le necessità di tutela dell’ambiente non devono essere perseguite a scapito di altri principi e interessi costituzionalmente rilevanti. Nella sentenza in esame, che riguarda lo stabilimento Ilva di Taranto, si afferma infatti che il diritto alla salute, da cui deriva il diritto all’ambiente salubre, deve essere bilanciato con il diritto al lavoro, da cui deriva l’interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali[13]. Una tale evoluzione normativa e giurisprudenziale può essere spiegata alla luce del fatto che negli ultimi anni si è assistito ad un esponenziale miglioramento delle tecnologie disponibili, le quali ormai potrebbero permettere di abbassare l’inquinamento in modo non immaginabile all’inizio degli anni novanta. Tali tecnologie però sono allo stesso tempo estremamente costose e non tutte le imprese dispongono dei mezzi necessari per sopportare tali spese, soprattutto in tempi di crisi economica. Sarebbe dunque irragionevole chiedere ad esse di adeguarsi a standard troppo elevati, in quanto ciò potrebbero nuocere alla loro competitività sul mercato. Al contrario, una normativa ragionevole, deve mantenere un equilibrio tra le esigenze di tutela dell’ambiente e quelle dell’economia.
[1] Clean Act sec 112 http://www.epw.senate.gov/envlaws/cleanair.pdf. [2] Michigan v EPA 576 U.S. (2015), Opinion of the Court p. 3-4. [3] Chevron USA Inc v resources Defense Council Inc. 476 US 837 (1984) citata in Michigan v EPA 576 U.S. (2015), Opinion of the Court, p. 6. [4] Michigan v EPA 576 U.S. (2015), Opinion of the Court p. 6-9. [5] Michigan v EPA, 567 US 2015, Kagan J. dissenting, p. 8. [6] Michigan v EPA 576 U.S. (2015), Opinion of the Court p. 11. [7] Art. 2 (7) d.pr. 203/1998. [8] Corte Costituzionale, sentenza n. 127/1990 p.4-6. [9] 84/360/CEE, art. 12-13. [10] Corte Costituzionale, sentenza n. 127/1990 p. 7-8. [11] 2010/75/UE, art. 3. [12] 2010/75/UE art. 15(4). [13] Corte Costituzionale, sentenza n. 85/2013, p. 36.
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La protezione ambientale deve avvenire a costi sostenibili: la Corte Suprema americana conferma i più recenti orientamenti della nostra Corte Costituzionale
di Luciano Butti
La Corte Suprema, con una sentenza del 29 Giugno 2015, ha affermato che l’EPA (Environmental Protection Agency), nel decidere di regolare le emissioni tossiche generate dalle centrali elettriche, ha irragionevolmente ignorato i costi in cui queste sarebbero incorse.
Questa sentenza si colloca in linea con la più recente giurisprudenza italiana e la normativa europea: anch’esse infatti riconoscono che nel fissare i valori limiti di emissioni, le autorità devono bilanciare le esigenze di tutela dell’ambiente con quelle economiche.
La posizione della Corte Suprema: Michigan v. EPA
Per analizzare la sentenza della Corte Suprema, è necessario innanzitutto specificare che il Clean Air Act, sezione 112, affida all’EPA il compito di regolare le emissioni di sostanze inquinanti pericolose derivanti da alcune fonti di inquinamento.
La sezione 112 (n) (1) riguarda in particolar modo le centrali elettriche e afferma che l’agenzia dovrà regolare le emissioni da queste prodotte solo a determinate condizioni: l’EPA dovrà condurre uno studio che determini qual è l’entità del pericolo per la salute pubblica che ci si può ragionevolmente aspettare possa conseguire all’inquinamento generato dalle centrali elettriche e adottare una regolamentazione solo nel caso in cui, alla luce di questo studio, questa sia da ritenersi appropriata e necessaria[1].
L’EPA, concluso il suddetto studio, ritiene che sia appropriato e necessario regolamentare le centrali elettriche: appropriato sulla base del fatto che le emissioni generate dalle centrali pongono dei rischi per la salute umana e per l’ambiente e che allo stesso tempo esistono mezzi per controllare queste emissioni, e necessario perché nessuna altra disposizione del Clean Air Act elimina questi rischi. Inoltre l’EPA afferma di non ritenere necessario prendere in considerazione, nel decidere di regolamentare la materia, gli eventuali costi che questa comporta. Conduce però ugualmente uno studio (Regulatory Impact Analysis) col quale stima che le regolamentazione comporterebbe per le centrali costi aggiuntivi per un valore di 9.6 miliardi di dollari per anno, mentre il valore economico dei benefici in termini di salute e ambiente possono essere stimanti tra i 4 e i 6 milioni di dollari all’anno (a cui aggiungere un valore compreso tra i 37 e 90 milioni di dollari annui risultante da benefici aggiuntivi)[2].
Stati, industrie e associazioni dei lavoratori contestano l’interpretazione dell’espressione “appropriato e necessario” data dall’EPA. La Corte Suprema, chiamata a giudicare sulla questione, innanzitutto sottolinea come, se da un lato le agenzie hanno un certo potere discrezionale nell’interpretare la legge, queste devono in ogni caso sempre agire entro i limiti della ragionevolezza[3]. La principale questione discussa è quindi se l’EPA, ritenendo i costi fattore irrilevante ai fini della decisione di regolamentare le centrali elettriche, ha interpretato irragionevolmente la sezione 112. A tal proposito la Corte sostiene che, letta nel suo significato naturale e alla luce del contesto in cui si trova, l’espressione “ appropriato e necessario”, imponga di prendere in considerazione tutti i fattori rilevanti, tra i quali sicuramente sono ricompresi anche i costi: non è razionale, e quindi tantomeno appropriato, imporre miliardi di dollari di costi alle centrali per ottenere in cambio pochi milioni di benefici alla salute e all’ambiente”. Infatti, prosegue la Corte, “considerare il costi significa comprendere che una regolamentazione ragionevole prende in considerazione vantaggi e svantaggi”[4].
L’EPA, d’altro canto, presenta diverse argomentazioni per sostenere la ragionevolezza della sua decisione, ma nessuna di queste viene ritenuta convincente. Tra queste, l’agenzia sostiene di aver potuto ignorare i costi in questa fase iniziale della decisione, poiché ci sarà la possibilità di prendere in considerazione tale fattore in seguito, quando sarà deciso l’effettivo contenuto delle norme.
Questo stesso argomento è tra quelli sollevati dal giudice Kagan nell’opinione in cui esprime il suo dissenso rispetto alla decisione adottata dalla maggioranza della Corte. Egli è d’accordo nel dire che sarebbe irragionevole non prendere in alcuna considerazione i costi, ma allo stesso tempo sostiene che non è necessario per l’EPA analizzare questo aspetto immediatamente nella prima fase: è ragionevole infatti, secondo Kagan, che l’EPA ritenga appropriato innescare il processo di regolamentazione basandosi solo su considerazioni relative ai pericoli per ambiente e salute e alle possibilità di evitarli, prendendo in considerazione il fattore economico solo in seguito, nel fissare gli effettivi limiti alle emissioni[5].
La maggioranza respinge questa argomentazione in quanto, anche volendo ammettere che i costi saranno presi in considerazione in una fase decisoria successiva, da ciò non ne segue automaticamente l’irrilevanza allo stadio attuale. Ritiene inoltre che non sia possibile per l’EPA tenere debitamente in considerazione i costi in una fase successiva poiché, in base alla sez.112, una volta deciso di regolamentare le centrali elettriche, l’agenzia è costretta a fissare degli standard minimi di emissioni; i costi sono menzionati solo con riguardo al caso in cui l’agenzia decida di fissare limiti più rigidi degli standard minimi[6]. La Corte conclude quindi che l’EPA avrebbe dovuto prendere in considerazione il fattore economico fin dall’inizio del processo decisionale.
La sentenza 127/1990 della Corte Costituzionale italiana
Se, quando e come i costi per le industrie debbano essere presi in considerazione nel fissare i valori limiti d’ emissione di inquinanti nell’aria è un tema trattato anche dalla Corte Costituzionale Italiana nella sentenza 127/1990.
In questo caso la questione riguarda principalmente l’art 2 d.pr. 203 /1988 il quale stabilisce che, nel determinare i valori minimi e massimi di emissioni, uno dei criteri da prendere in considerazione è quello di migliore tecnologia disponibile. L’articolo definisce “migliore tecnologia disponibile” un sistema tecnologico adeguatamente verificato e sperimentato che consente il contenimento e/o la riduzione delle emissioni a livelli accettabili per la protezione della salute e dell’ambiente, sempreché l’applicazione di tali misure non comporti costi eccessivi[7].
Secondo il giudice a quo, questa norma implicherebbe che, essendo i limiti fissati sulla base delle tecnologie disponibili, i limiti stessi finirebbero con l’essere influenzati dal costo di tali tecnologie, e quindi, che la protezione della salute e dell’ambiente verrebbe a dipendere dalla possibilità dell’impresa di sopportare o meno i costi delle tecnologie stesse. Una tale regola violerebbe gli articoli 32 (diritto alla salute) e 41 (il quale, affermando che l’iniziativa economica privata è libera , lo subordina all’utilità sociale) della Costituzione Italiana.
La Corte Costituzionale italiana, in questa pronuncia esprime una posizione leggermente diversa da quella adottata dalla Corte Suprema USA. Secondo la Corte italiana infatti, i livelli massimi di emissioni devono essere tali da garantire una tutela accettabile dell’ambiente e della salute indipendentemente dai costi che ciò comporta. I costi dovranno invece essere presi in considerazione in un eventuale secondo momento, qualora il legislatore voglia fissare limiti più stringenti. La Corte concorda col giudice a quo nell’affermare che sarebbe irragionevole se il legislatore, da un lato, stabilisse dei limiti massimi di emissione per proteggere l’ambiente e la salute dei cittadini, e dall’altro, permettesse alle industrie di non adottare le misure necessarie a ridurre le emissioni nel caso in cui queste siano troppo costose.
Ma questa non è l’unica interpretazione possibile della norma in esame.
Secondo la stessa norma, infatti, devono essere presi in considerazione, nel determinare i limiti di emissioni consentite, anche altri criteri, diversi da quello delle migliori tecnologie disponibili[8]. Inoltre, la direttiva Europea che il d.pr.203/1998 recepisce, ha come scopo principale la protezione della salute e dell’ambiente, e menziona i costi al solo fine di permettere alle industrie di graduare nel tempo l’inserimento delle nuove tecnologie nel processo produttivo, qualora ciò sia necessario per evitare un danno economico e competitivo eccessivo[9]. Seguendo una interpretazione logico-sistematica, la Corte quindi conclude che “si deve presumere, che i limiti massimi insuperabili che Governo e Regioni stabiliscono per i vari elementi nocivi che compongono le emissioni inquinanti siano tali da contenere le emissioni a livelli accettabili per la protezione della salute e dell’ambiente”. Ne segue che i limiti massimi accettabili devono essere stabiliti indipendentemente dai costi che questi comportato per le imprese: “il condizionamento al costo non eccessivo dell’uso della migliore tecnologia disponibile va riferito al raggiungimento di livelli inferiori a quelli compatibili, salvo che non si tratti si piani di risanamento di zone particolarmente inquinate[10]”. La Corte quindi:
– da un lato stabilisce che i limiti massimi non possano in alcun caso superare quelli necessari per garantire una adeguata protezione della salute e dell’ambiente,
– dall’altro accetta che l’autorità non potrebbe imporre l’uso di nuove tecnologie disponibili, capaci di ridurre ulteriormente il livello di inquinamento, se queste risultassero eccessivamente costose per la categoria cui l’impresa appartiene.
E’ bene sottolineare che il parametro della eccessiva onerosità non si riferisce alla singola impresa che debba adottare una nuova tecnologia, ma prende a riferimento i costi medi del settore.
La nuova direttiva UE 75/2010 sulle emissioni industriali
Nel 2010 è stata adottata una nuova direttiva in tema di controllo e prevenzione delle emissioni industriali. L’art. 3 di questa direttiva definisce “migliori tecniche disponibili la più avanzata fase di sviluppo di attività e relativi metodi di esercizio indicanti l’idoneità pratica di determinate tecniche a costituire la base dei valori limite di emissione e delle altre condizioni di autorizzazione…” precisando poi che però si devono intendere per disponibili solo quelle tecnologie sviluppate su una scala che ne consenta l’applicazione in condizioni economicamente e tecnicamente attuabili nell’ambito di un comparto industriale, prendendo in considerazione costi e vantaggi…[11]”.
L’art. 15 della direttiva 75/2010 poi, impone alle autorità competenti di fissare i limiti di emissione basandosi sulle migliori tecniche disponibili: si stabilisce dunque che la disponibilità, anche economica, delle tecnologie di riduzione delle emissioni deve essere tra i fattori determinanti i valori limite. A condizione che si realizzi nel complesso un elevato grado di tutela ambientale, la direttiva prevede anche che “in casi specifici, l’autorità competente può fissare valori limite di emissioni meno severi. Tale deroga può applicarsi unicamente ove una valutazione dimostri che il conseguimento dei livelli di emissione associati alle migliori tecniche disponibili di cui alle conclusioni sulle BAT (Best Available Techiniques) comporterebbe una maggiorazione sproporzionata dei costi rispetto ai benefici ambientali[12]” .
In conclusione la direttiva, imponendo alle autorità competenti di effettuare in pratica un bilanciamento tra le esigenze di tutela dell’ambiente e degli interessi economici, esprime un approccio paragonabile a quello adottato dalla Corte Suprema in Michigan v. EPA.
La sentenza 85/2013 della Corte Costituzionale italiana
Anche la giurisprudenza della Corte Costituzionale italiana si è evoluta in tal senso.
Ad esempio nella sentenza n. 85/2013 la Corte ha ammesso che le necessità di tutela dell’ambiente non devono essere perseguite a scapito di altri principi e interessi costituzionalmente rilevanti. Nella sentenza in esame, che riguarda lo stabilimento Ilva di Taranto, si afferma infatti che il diritto alla salute, da cui deriva il diritto all’ambiente salubre, deve essere bilanciato con il diritto al lavoro, da cui deriva l’interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali[13].
Una tale evoluzione normativa e giurisprudenziale può essere spiegata alla luce del fatto che negli ultimi anni si è assistito ad un esponenziale miglioramento delle tecnologie disponibili, le quali ormai potrebbero permettere di abbassare l’inquinamento in modo non immaginabile all’inizio degli anni novanta. Tali tecnologie però sono allo stesso tempo estremamente costose e non tutte le imprese dispongono dei mezzi necessari per sopportare tali spese, soprattutto in tempi di crisi economica.
Sarebbe dunque irragionevole chiedere ad esse di adeguarsi a standard troppo elevati, in quanto ciò potrebbero nuocere alla loro competitività sul mercato. Al contrario, una normativa ragionevole, deve mantenere un equilibrio tra le esigenze di tutela dell’ambiente e quelle dell’economia.
[1] Clean Act sec 112 http://www.epw.senate.gov/envlaws/cleanair.pdf.
[2] Michigan v EPA 576 U.S. (2015), Opinion of the Court p. 3-4.
[3] Chevron USA Inc v resources Defense Council Inc. 476 US 837 (1984) citata in Michigan v EPA 576 U.S. (2015), Opinion of the Court, p. 6.
[4] Michigan v EPA 576 U.S. (2015), Opinion of the Court p. 6-9.
[5] Michigan v EPA, 567 US 2015, Kagan J. dissenting, p. 8.
[6] Michigan v EPA 576 U.S. (2015), Opinion of the Court p. 11.
[7] Art. 2 (7) d.pr. 203/1998.
[8] Corte Costituzionale, sentenza n. 127/1990 p.4-6.
[9] 84/360/CEE, art. 12-13.
[10] Corte Costituzionale, sentenza n. 127/1990 p. 7-8.
[11] 2010/75/UE, art. 3.
[12] 2010/75/UE art. 15(4).
[13] Corte Costituzionale, sentenza n. 85/2013, p. 36.
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