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Il discusso problema della tracimazione (acque reflue o rifiuti liquidi?)[1] può essere meglio compreso partendo dalla sentenza della Corte di Giustizia, Sez. II, Causa C-252/05, del 10 maggio 2007[2], la cui domanda di pronuncia pregiudiziale verteva sull’interpretazione della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti e della direttiva del Consiglio 21 maggio 1991, 91/271/CEE, concernente il trattamento delle acque reflue urbane, accertando, in sostanza, se le acque reflue che fuoriescono da un sistema fognario costituiscono rifiuti ai sensi della Dir. 75/442[3]. Pur non essendo puntualizzata la fattispecie, dopo l’analisi del contesto normativo comunitario e interno (inglese), i giudici affermano testualmente che “la circostanza che le acque reflue fuoriescono da un sistema fognario è ininfluente quanto alla loro natura di «rifiuti» ai sensi della direttiva 75/442. Infatti, la fuoriuscita di acque reflue da un impianto fognario costituisce un fatto mediante il quale l’impresa fognaria, detentrice delle acque, se ne «disfa». Il fatto che le acque siano fuoriuscite accidentalmente non consente di giungere ad una conclusione diversa”. Sicché, conclude la Corte, “le acque reflue che fuoriescono da un sistema fognario gestito da un’impresa pubblica che si occupa del trattamento delle acque reflue ai sensi della direttiva 91/271 e della normativa emanata ai fini della sua trasposizione costituiscono rifiuti ai sensi della direttiva 75/442”. Scorrendo la sentenza, nella trattazione della prima questione pregiudiziale si legge che l’elenco dei Cer “ha soltanto un valore indicativo, posto che la qualifica di rifiuto discende anzitutto dal comportamento del detentore e dal significato del termine disfarsi”. Chi scrive non concorda pienamente con questo assunto: come ritenere legittimamente che i codici rifiuti, uniformi e indispensabili per l’operatività della gestione dei rifiuti su tutto il territorio comunitario, siano solo indicativi? Il fatto che poi, all’interno dei codici aventi come cifre terminali “99”, possano rientrare rifiuti non predeterminati all’origine, è un’apertura del sistema perché lo stesso possa essere il più esaustivo possibile. Peraltro, l’art. 1, c. 2, lett. d) della Dir. 76/464/CEE del Consiglio del 4 maggio 1976 concernente l’inquinamento provocato da certe sostanze pericolose scaricate nell’ambiente idrico della Comunità (ed oggetto di abrogazione con decorrenza dal 22 dicembre 2013 ad opera dell’art. 22, c. 2, p.to 4, della Dir. 2000/60/CE – ad eccezione dell’articolo 6 che è stato abrogato a decorrere dal 22 dicembre 2000) reca una definizione di scarico inteso quale “immissione, nelle acque di cui al paragrafo 1 [acque interne superficiali, acque marine territoriali, acque interne del litorale, acque sotterranee], delle sostanze enumerate nell’elenco I o nell’elenco II dell’allegato, ad eccezione: – degli scarichi di fanghi di dragaggio, – degli scarichi operativi effettuati da navi nelle acque marine territoriali, – dell’immersione di rifiuti effettuata da navi nelle acque marine territoriali”. A parte la considerazione che in vista della futura abrogazione della citata Direttiva e della nozione di scarico da essa recata, la Dir. 60/2000/CE non si preoccupa di riproporne una nuova, si fa notare che secondo questa disposizione lo scarico è un’immissione di sostanze ben determinate (e non di generiche “acque reflue”) in quattro specifiche tipologie di acque (interne superficiali, interne del litorale, marine territoriali e sotterranee), e non sul suolo o nel sottosuolo. A ciò si aggiunga che tale nozione è recata da una norma di più di trent’anni fa, la quale, peraltro, non richiede, a differenza del sistema italiano, che l’immissione sia “diretta tramite condotta”. La giurisprudenza nazionale, in materia, ha fatto applicazione dei principi sopra espressi in alcune pronunce esemplari che, solo apparentemente, delineano due correnti diverse di pensiero. Secondo Cass. Pen. 5 maggio 2004, n. 21045, P., nel caso attività di lavaggio di sabbia e ghiaia di provenienza fluviale con conseguente deflusso dell’acqua utilizzata in vasche con successiva dispersione sul suolo circostante, si configura uno scarico ex D.L.vo 152/99, in quanto si assiste ad una “immissione diretta di acque reflue sul suolo”. A questa conclusione, peraltro, si può obiettare che i requisiti richiesti dalla norma per la configurabilità di uno scarico, oltre all’”immissione diretta”, prevedono anche che ciò avvenga “tramite condotta”… Peraltro, si segnala altresì la sentenza Cass. Pen. 29 aprile 2005, n. 16274, F., emessa in vigenza della precedente nozione di scarico di cui al D.L.vo 152/99, secondo cui “poiché scarico non è solo quello che avviene attraverso condotta, ma anche quello irregolare per tracimazione diretta, non trova applicazione il D.L.vo 22/97, bensì il D.L.vo 152/99 laddove si verifichi uno sversamento dal depuratore con conseguente immissione di liquami nel corpo recettore”. Nella fattispecie, per un difettoso funzionamento dell’impianto di depurazione dovuto a negligenza nella manutenzione ordinaria dello stesso, si era verificata una tracimazione dei reflui nel corpo idrico (fiume) recettore. Quest’ultima pronuncia, in particolare, è stata oggetto di studio e di riflessione da parte della dottrina[4], la quale ha avuto cura di precisare come il principio espresso in sentenza debba essere sempre considerato caso per caso, senza farne un’applicazione generalizzata. Dello stesso avviso è stata anche Cass. Pen. 17 gennaio 2008, n. 2478, G., la quale, in un caso di fuoriuscita dei reflui dal tronco di fognatura a monte dell’impianto di depurazione (non si trattava, dunque, di un’ipotesi di tracimazione, ma di sversamento), qualificava la fattispecie come un abbandono di rifiuti (liquidi) sul suolo (art. 14 e art. 51, c. 2 D.L.vo 22/97), puntualizzando la non condivisibilità della tesi contraria sostenuta ricorrendo a quanto stabilito da Cass. Pen. 16274/05 che “tratta di un caso assolutamente di specie, inidoneo come tale ad esprimere un orientamento di carattere generale”. Tecnicamente la fuoriuscita di acque reflue dal tronco di fognatura a monte dell’impianto di depurazione è un evento strettamente legato alla struttura della rete fognaria. I sistemi di drenaggio urbano sono generalmente di due tipi: sistemi unitari e sistemi separati. Attualmente la maggior parte delle fognature esistenti, ma spesso anche quelle di nuova realizzazione sono sistemi unitari, che quindi non prevedono l’allontanamento separato delle acque reflue domestiche e delle acque meteoriche derivanti dal dilavamento delle superfici, come tetti, piazzali impermeabilizzati ecc… Il dimensionamento dei sistemi unitari dipende, per la scelta delle sezioni, dalla portate delle acque meteoriche e per la scelta delle pendenze dal dover garantire un adeguato scorrimento delle acque reflue domestiche, che assommano a qualche percento di quelle meteoriche. Per contenere la dimensione della condotta e per impedire sovrappressioni, sulle reti fognarie di tipo misto, sono installati by – pass o scolmatori di piena di piena, cioè una sorta di valvola di sicurezza che entra in funzione quando l’ingresso di acque meteoriche nella rete mista eccede una certa soglia, considerata pericolosa per la fognatura, i quali provvedono ad inviare ai corpi idrici più vicini le portate in eccesso. Anche gli impianti di depurazione sono dotati di apposito manufatto scolmatore, installato a monte, atto ad escludere, nel caso di portate superiori a quelle trattabili, alterazioni al processo depurativo caratteristico dell’impianto. L’acqua eccedente la portata della rete fognaria a valle dello scolmatore determinerebbe, infatti, una diluizione del refluo fognario che, oltre un certo limite, non consente al depuratore di attivare regolarmente il processo depurativo. Normalmente si ritiene che per soddisfare tecnicamente le esigenze del rispetto delle norme ambientali e l’efficienza di funzionamento della rete fognaria sia necessario realizzare scolmatori di piena tali da attivarsi solo quando la portata delle acque collettate porti ad una diluizione pari a 5 volte rispetto alla portata reflua media sulle 24 ore delle acque reflue domestiche[5]. Per non incorrere, quindi, nell’eventuale ipotesi che l’attivazione dello scolmatore di piena qualifichi la fattispecie di un abbandono di rifiuti, risulta necessario sottoporre lo scolmatore di piena ad autorizzazione allo scarico, definendo sia il rispetto delle caratteristiche tecniche del manufatto a quanto previsto come diluizione rispetto alla portata media, sia le ipotesi di funzionamento nell’arco dell’anno in base ai dati di piovosità della zona.
[1] S. MAGLIA – M.V. BALOSSI, Fuoriuscita occasionale di reflui da fognatura: scarico di acque reflue o smaltimento di rifiuti liquidi?, in Rivista Ambiente & Sviluppo, Ipsoa, n. 5/2008
[2] Pubblicata in GUUE n. C 140/3 del 23 giugno 2007.
[3] Per un ampio commento alla sentenza, si veda G. GARZIA, Qualificazione giuridica dei reflui da rete fognaria: si pronuncia la Corte di Giustizia, in Rivista Ambiente & Sviluppo, Ipsoa, n. 8/2007, p. 683
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La tracimazione: acque reflue o rifiuti liquidi?
di Miriam Viviana Balossi
Il discusso problema della tracimazione (acque reflue o rifiuti liquidi?)[1] può essere meglio compreso partendo dalla sentenza della Corte di Giustizia, Sez. II, Causa C-252/05, del 10 maggio 2007[2], la cui domanda di pronuncia pregiudiziale verteva sull’interpretazione della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti e della direttiva del Consiglio 21 maggio 1991, 91/271/CEE, concernente il trattamento delle acque reflue urbane, accertando, in sostanza, se le acque reflue che fuoriescono da un sistema fognario costituiscono rifiuti ai sensi della Dir. 75/442[3].
Pur non essendo puntualizzata la fattispecie, dopo l’analisi del contesto normativo comunitario e interno (inglese), i giudici affermano testualmente che “la circostanza che le acque reflue fuoriescono da un sistema fognario è ininfluente quanto alla loro natura di «rifiuti» ai sensi della direttiva 75/442. Infatti, la fuoriuscita di acque reflue da un impianto fognario costituisce un fatto mediante il quale l’impresa fognaria, detentrice delle acque, se ne «disfa». Il fatto che le acque siano fuoriuscite accidentalmente non consente di giungere ad una conclusione diversa”. Sicché, conclude la Corte, “le acque reflue che fuoriescono da un sistema fognario gestito da un’impresa pubblica che si occupa del trattamento delle acque reflue ai sensi della direttiva 91/271 e della normativa emanata ai fini della sua trasposizione costituiscono rifiuti ai sensi della direttiva 75/442”.
Scorrendo la sentenza, nella trattazione della prima questione pregiudiziale si legge che l’elenco dei Cer “ha soltanto un valore indicativo, posto che la qualifica di rifiuto discende anzitutto dal comportamento del detentore e dal significato del termine disfarsi”. Chi scrive non concorda pienamente con questo assunto: come ritenere legittimamente che i codici rifiuti, uniformi e indispensabili per l’operatività della gestione dei rifiuti su tutto il territorio comunitario, siano solo indicativi? Il fatto che poi, all’interno dei codici aventi come cifre terminali “99”, possano rientrare rifiuti non predeterminati all’origine, è un’apertura del sistema perché lo stesso possa essere il più esaustivo possibile.
Peraltro, l’art. 1, c. 2, lett. d) della Dir. 76/464/CEE del Consiglio del 4 maggio 1976 concernente l’inquinamento provocato da certe sostanze pericolose scaricate nell’ambiente idrico della Comunità (ed oggetto di abrogazione con decorrenza dal 22 dicembre 2013 ad opera dell’art. 22, c. 2, p.to 4, della Dir. 2000/60/CE – ad eccezione dell’articolo 6 che è stato abrogato a decorrere dal 22 dicembre 2000) reca una definizione di scarico inteso quale “immissione, nelle acque di cui al paragrafo 1 [acque interne superficiali, acque marine territoriali, acque interne del litorale, acque sotterranee], delle sostanze enumerate nell’elenco I o nell’elenco II dell’allegato, ad eccezione: – degli scarichi di fanghi di dragaggio, – degli scarichi operativi effettuati da navi nelle acque marine territoriali, – dell’immersione di rifiuti effettuata da navi nelle acque marine territoriali”. A parte la considerazione che in vista della futura abrogazione della citata Direttiva e della nozione di scarico da essa recata, la Dir. 60/2000/CE non si preoccupa di riproporne una nuova, si fa notare che secondo questa disposizione lo scarico è un’immissione di sostanze ben determinate (e non di generiche “acque reflue”) in quattro specifiche tipologie di acque (interne superficiali, interne del litorale, marine territoriali e sotterranee), e non sul suolo o nel sottosuolo. A ciò si aggiunga che tale nozione è recata da una norma di più di trent’anni fa, la quale, peraltro, non richiede, a differenza del sistema italiano, che l’immissione sia “diretta tramite condotta”.
La giurisprudenza nazionale, in materia, ha fatto applicazione dei principi sopra espressi in alcune pronunce esemplari che, solo apparentemente, delineano due correnti diverse di pensiero.
Secondo Cass. Pen. 5 maggio 2004, n. 21045, P., nel caso attività di lavaggio di sabbia e ghiaia di provenienza fluviale con conseguente deflusso dell’acqua utilizzata in vasche con successiva dispersione sul suolo circostante, si configura uno scarico ex D.L.vo 152/99, in quanto si assiste ad una “immissione diretta di acque reflue sul suolo”. A questa conclusione, peraltro, si può obiettare che i requisiti richiesti dalla norma per la configurabilità di uno scarico, oltre all’”immissione diretta”, prevedono anche che ciò avvenga “tramite condotta”…
Peraltro, si segnala altresì la sentenza Cass. Pen. 29 aprile 2005, n. 16274, F., emessa in vigenza della precedente nozione di scarico di cui al D.L.vo 152/99, secondo cui “poiché scarico non è solo quello che avviene attraverso condotta, ma anche quello irregolare per tracimazione diretta, non trova applicazione il D.L.vo 22/97, bensì il D.L.vo 152/99 laddove si verifichi uno sversamento dal depuratore con conseguente immissione di liquami nel corpo recettore”. Nella fattispecie, per un difettoso funzionamento dell’impianto di depurazione dovuto a negligenza nella manutenzione ordinaria dello stesso, si era verificata una tracimazione dei reflui nel corpo idrico (fiume) recettore.
Quest’ultima pronuncia, in particolare, è stata oggetto di studio e di riflessione da parte della dottrina[4], la quale ha avuto cura di precisare come il principio espresso in sentenza debba essere sempre considerato caso per caso, senza farne un’applicazione generalizzata.
Dello stesso avviso è stata anche Cass. Pen. 17 gennaio 2008, n. 2478, G., la quale, in un caso di fuoriuscita dei reflui dal tronco di fognatura a monte dell’impianto di depurazione (non si trattava, dunque, di un’ipotesi di tracimazione, ma di sversamento), qualificava la fattispecie come un abbandono di rifiuti (liquidi) sul suolo (art. 14 e art. 51, c. 2 D.L.vo 22/97), puntualizzando la non condivisibilità della tesi contraria sostenuta ricorrendo a quanto stabilito da Cass. Pen. 16274/05 che “tratta di un caso assolutamente di specie, inidoneo come tale ad esprimere un orientamento di carattere generale”.
Tecnicamente la fuoriuscita di acque reflue dal tronco di fognatura a monte dell’impianto di depurazione è un evento strettamente legato alla struttura della rete fognaria. I sistemi di drenaggio urbano sono generalmente di due tipi: sistemi unitari e sistemi separati. Attualmente la maggior parte delle fognature esistenti, ma spesso anche quelle di nuova realizzazione sono sistemi unitari, che quindi non prevedono l’allontanamento separato delle acque reflue domestiche e delle acque meteoriche derivanti dal dilavamento delle superfici, come tetti, piazzali impermeabilizzati ecc… Il dimensionamento dei sistemi unitari dipende, per la scelta delle sezioni, dalla portate delle acque meteoriche e per la scelta delle pendenze dal dover garantire un adeguato scorrimento delle acque reflue domestiche, che assommano a qualche percento di quelle meteoriche.
Per contenere la dimensione della condotta e per impedire sovrappressioni, sulle reti fognarie di tipo misto, sono installati by – pass o scolmatori di piena di piena, cioè una sorta di valvola di sicurezza che entra in funzione quando l’ingresso di acque meteoriche nella rete mista eccede una certa soglia, considerata pericolosa per la fognatura, i quali provvedono ad inviare ai corpi idrici più vicini le portate in eccesso.
Anche gli impianti di depurazione sono dotati di apposito manufatto scolmatore, installato a monte, atto ad escludere, nel caso di portate superiori a quelle trattabili, alterazioni al processo depurativo caratteristico dell’impianto. L’acqua eccedente la portata della rete fognaria a valle dello scolmatore determinerebbe, infatti, una diluizione del refluo fognario che, oltre un certo limite, non consente al depuratore di attivare regolarmente il processo depurativo.
Normalmente si ritiene che per soddisfare tecnicamente le esigenze del rispetto delle norme ambientali e l’efficienza di funzionamento della rete fognaria sia necessario realizzare scolmatori di piena tali da attivarsi solo quando la portata delle acque collettate porti ad una diluizione pari a 5 volte rispetto alla portata reflua media sulle 24 ore delle acque reflue domestiche[5].
Per non incorrere, quindi, nell’eventuale ipotesi che l’attivazione dello scolmatore di piena qualifichi la fattispecie di un abbandono di rifiuti, risulta necessario sottoporre lo scolmatore di piena ad autorizzazione allo scarico, definendo sia il rispetto delle caratteristiche tecniche del manufatto a quanto previsto come diluizione rispetto alla portata media, sia le ipotesi di funzionamento nell’arco dell’anno in base ai dati di piovosità della zona.
Articolo tratto da LA GESTIONE DEGLI SCARICHI, di M.V. Balossi – E. Sassi, Irnerio Editore, 2011
[1] S. MAGLIA – M.V. BALOSSI, Fuoriuscita occasionale di reflui da fognatura: scarico di acque reflue o smaltimento di rifiuti liquidi?, in Rivista Ambiente & Sviluppo, Ipsoa, n. 5/2008
[2] Pubblicata in GUUE n. C 140/3 del 23 giugno 2007.
[3] Per un ampio commento alla sentenza, si veda G. GARZIA, Qualificazione giuridica dei reflui da rete fognaria: si pronuncia la Corte di Giustizia, in Rivista Ambiente & Sviluppo, Ipsoa, n. 8/2007, p. 683
[4] Si vedano:
– M. SANTOLOCI, Caso di irregolare funzionamento del depuratore: quando è applicabile la normativa in tema di rifiuti?, in http://www.reteambiente.it
– V. PAONE, Inquinamento idrico: qual è il confine tra le immissioni occasionali e lo scarico?, in Rivista Ambiente & Sviluppo, n. 3/2009, p. 242 ss.
[5] Allo scopo vedasi la Delibera della Giunta Regione Emilia Romagna n. 1860 del 18 dicembre 2006.
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