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L’attuazione della direttiva 2193/2015/UE nell’ordinamento italiano

di Leonardo Benedusi*

Categoria: Aria

La direttiva 2193/2015/UE è stata adottata per limitare le emissioni nell’atmosfera di taluni inquinanti originati da impianti di combustione medi.

La direttiva definisce «impianto di combustione», “qualsiasi dispositivo tecnico in cui sono ossidati combustibili al fine di utilizzare il calore così prodotto”, non fornendo alcuna nozione per comprendere il significato di “dispositivo tecnico”. Esso infatti potrebbe essere semplicemente un generatore di calore parte di un sistema impiantistico più ampio e non necessariamente un dispositivo dotato di autonomia funzionale. Il considerando 14 della direttiva fornisce utili elementi, ma non sufficientemente esaustivi rispetto al concetto di impianto che nella parte quinta del D.L.vo n. 152/2006 assume un significato ben preciso. Il considerando 14, osserva, infatti, che la “direttiva dovrebbe applicarsi agli impianti di combustione, inclusi gli insiemi formati da due o più nuovi impianti di combustione medi, aventi una potenza termica nominale totale pari o superiore a 1 MW e inferiore a 50 MW. I singoli impianti di combustione aventi una potenza termica nominale inferiore a 1 MW non dovrebbero essere presi in considerazione ai fini del calcolo della potenza termica nominale totale di un insieme di impianti di combustione”.

 

La direttiva, inoltre, non fa alcuna distinzione circa la funzione degli impianti di combustione. Tale distinzione è presente solo nella parte quinta del D.L.vo n. 152/2006 fin dalla sua entrata in vigore, ossia dal 29 aprile 2006. Come vedremo, questa distinzione ha creato non poche complicazioni, soprattutto dopo l’entrata in vigore del D.L.vo n. 183/2017 che ha dato attuazione alla direttiva 2193/2015/UE.

 

Il D.L.vo n. 152/2006, al comma 1 dell’art. 282, prevede che sono soggetti al titolo II della sua parte quinta gli impianti termici civili aventi aventi potenza termica nominale inferiore a 3 MW e che sono sottoposti alle disposizioni del titolo I gli impianti termici civili aventi potenza termica nominale uguale o superiore.

La definizione di impianto termico ai fini del titolo II della parte quinta è molto puntuale, e deriva dalla normativa energetica, in particolare dal D.L.vo n. 192/2005[1]. L’art. 283 del D.L.vo n. 152/2006 produce quindi le seguenti definizioni:

  • “impianto termico: impianto destinato alla produzione di calore costituito da uno o più generatori di calore e da un unico sistema di distribuzione e utilizzazione di tale calore, nonché da appositi dispositivi di regolazione e di controllo”;
  • “generatore di calore: qualsiasi dispositivo di combustione alimentato con combustibili al fine di produrre calore, costituito da un focolare ed eventualmente uno scambiatore di calore”;
  • “focolare: parte di un generatore di calore nella quale avviene il processo di combustione”;
  • “impianto termico civile: impianto termico la cui produzione di calore esclusivamente destinata, anche in edifici ad uso non residenziale, al riscaldamento o alla climatizzazione invernale o estiva di ambienti o al riscaldamento di acqua per usi igienici e sanitari; l’impianto termico civile centralizzato se serve tutte le unità dell’edificio o di più edifici ed individuale negli altri casi”;
  • “potenza termica nominale dell’impianto: la somma delle potenze termiche nominali dei singoli focolari costituenti l’impianto”;
  • “potenza termica nominale del focolare: il prodotto del potere calorifico inferiore del combustibile utilizzato e della portata massima di combustibile bruciato all’interno del focolare, espresso in Watt termici o suoi multipli”.

 

Da tali definizioni si deduce che se l’impianto termico ha una funzione diversa dal riscaldamento o dalla climatizzazione invernale o estiva di ambienti o dal riscaldamento di acqua per usi igienici e sanitari esso non può essere considerato impianto termico civile ed è soggetto al titolo I della parte quinta del D.L.vo n. 152/2006 a prescindere dalla sua potenza. Inoltre, risulta evidente che il focolare, ossia il dispositivo in cui avviene l’ossidazione del combustibile, non è nient’altro che una parte di un generatore di calore che a sua volta si inserisce in un “impianto termico”; quest’ultimo rientra nel titolo II solo se ha potenza complessiva inferiore a 3 MW. Il legislatore nel titolo II non ha affrontato l’effetto cumulo, ossia come ci si debba comportare in presenza di più impianti termici civili presenti in un medesimo stabilimento. Per comprendere a quale titolo della parte quinta del D.L.vo n. 152/2006 debbano essere assoggettati più impianti termici civili presenti in uno stabilimento aventi potenza singolarmente inferiore a 3 MW, ma potenza complessiva superiore od uguale a 3 MW si deve far riferimento a quanto disposto dall’art. 272. Tale articolo prevede che l’autorità competente di cui al titolo I della parte quinta del decreto adotti autorizzazioni di carattere generale, prioritariamente per le tipologie di impianti e di attività elencate alla Parte II dell’allegato IV alla parte quinta, tra le quali si annovera la seguente categoria: “Impianti termici civili aventi potenza termica nominale non inferiore a 3 MW e inferiore a 10 MW”. Se si considera che il comma 2 dell’art. 272 del D.L.vo n. 152/2006 stabilisce che “Al fine di stabilire le soglie di produzione e di consumo e le potenze termiche nominali indicate nella parte II dell’allegato IV alla Parte Quinta si deve considerare l’insieme degli impianti e delle attività che, nello stabilimento, ricadono in ciascuna categoria presente nell’elenco” si può ragionevolmente concludere che la soglia di 3 MW si riferisca alla potenza complessiva dei diversi impianti termici civili presenti nello stabilimento.

 

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Il D.L.vo n. 183/2017 nel dare attuazione alla direttiva 2193/2015/UE si è adattato al tale contesto ed il legislatore ha dovuto, o meglio, ha provato ad adeguare la direttiva comunitaria al nostro impianto normativo, mantenendo la separazione tra impianti soggetti al titolo I (impianti con finalità produttive, ed impianti termici civili con potenza complessiva di stabilimento uguale o superiore a 3 MW) ed impianti soggetti al titolo II (impianti termici civili con potenza termica complessiva di stabilimento inferiore a 3 MW).

La separazione ha comportato che gli impianti di combustione medi posso ricadere nel titolo I o nel titolo II a seconda delle loro caratteristiche (potenza e funzione), inserendosi in un contesto di definizioni non coincidenti.

 

Analizziamo, ora, cosa prevedono i titoli I e II dopo l’entrata in vigore del D.L.vo n. 183/2017 relativamente ai medi impianti di combustione.

In merito alla nozione di impianto di combustione medio il legislatore con D.L.vo n. 183/2017 ha elaborato due diverse definizioni.

Quella applicabile agli impianti disciplinati dal titolo II è stata aggiunta al comma 1 dell’art. 283 e riconosce “medio impianto termico civile” un “impianto termico civile di potenza pari o superiore a 1 MW; non ricadono nella definizione gli impianti utilizzati per il riscaldamento a gas diretto degli spazi interni dello stabilimento ai fini del miglioramento delle condizioni degli ambienti di lavoro”. Ai fini del titolo II, pertanto, è più chiaro il percorso logico: il “medio impianto termico civile” è un sottoinsieme dell’”impianto termico civile” che a sua volta è un “impianto termico” ossia un impianto destinato alla produzione di calore costituito da uno o più generatori di calore e da un unico sistema di distribuzione e utilizzazione di tale calore, nonché da appositi dispositivi di regolazione e di controllo, pertanto la soglia di 1 MW va sicuramente riferita ai generatori di calore facenti parte dell’impianto stesso.

Quella riportata nel titolo I è fornita dalla lettera gg-bis) del comma 1 dell’art. 268 del D.L.vo n. 152/2006 che lo qualifica come un sottoinsieme degli impianti di combustione: è “medio impianto di combustione” un “impianto di combustione di potenza termica nominale pari o superiore a 1 MW e inferiore a 50MW, inclusi i motori e le turbine a gas alimentato con i combustibili previsti all’allegato X alla Parte Quinta o con le biomasse rifiuto previste all’allegato II alla Parte Quinta”.

 

La struttura normativa del titolo I riguardante gli impianti di combustione è alquanto controversa. L’art. 268 del D.L.vo n. 152/2006 riporta innanzitutto la definizione di impianto. Esso è identificato dalla lettera l) del comma 1 dell’art. 268 come “il dispositivo o il sistema o l’insieme di dispositivi o sistemi fisso e destinato a svolgere in modo autonomo una specifica attività, anche nell’ambito di un ciclo più ampio”. La lettera ff) del comma 1 dell’art. 268 definisce, invece, impianto di combustione “qualsiasi dispositivo tecnico in cui sono ossidati combustibili al fine di utilizzare il calore così prodotto”. La nozione di impianto di combustione non dà evidenza dell’autonomia funzionale, prerogativa tipica della nozione di impianto, di cui l’impianto di combustione potrebbe rappresentare un sottoinsieme.

 

Il fatto che nel titolo I il legislatore abbia definito il “dispositivo tecnico in cui sono ossidati combustibili al fine di utilizzare il calore così prodotto” come “impianto di combustione” anziché più semplicemente come “generatore di calore”, come nel titolo II laddove il generatore di calore viene qualificato come un “qualsiasi dispositivo di combustione alimentato con combustibili al fine di produrre calore, costituito da un focolare ed eventualmente uno scambiatore di calore”, farebbe pensare che l’impianto di combustione possa non essere identificato nel semplice generatore di calore, ma vada ricondotto alla più generale nozione di impianto. Tuttavia non si può ignorare che il titolo I è principalmente dedicato ad impianti produttivi, nei quali il calore potrebbe avere funzioni diverse: trattamento di oggetti, produzione di energia elettrica, produzione di energia meccanica, ecc., e solo marginalmente riguarda impianti termici civili nei quali il calore viene esclusivamente usato per il riscaldamento o la climatizzazione invernale o estiva di ambienti o il riscaldamento di acqua per usi igienici e sanitari e che tecnicamente, sono spesso realizzati con più generatori in parallelo che si attivano in funzione dell’energia richiesta dall’utenza in funzione anche delle condizioni meteoclimatiche. Questo potrebbe essere un uno dei motivi per il quale il legislatore abbia optato per differenti formulazioni nei titoli I e II.

 

Se nell’ambito del titolo I si qualificasse l’impianto di combustione come un sottoinsieme dell’impianto, identificato con la sua autonomia funzionale, la potenza termica nominale dell’impianto di combustione sarebbe rappresentata dalla somma delle potenze dei diversi dispositivi facenti parte dell’impianto stesso. Una tale interpretazione risulterebbe cautelativa e, soprattutto, coerente con le disposizioni del titolo II della parte quinta del D.L.vo n. 152/2006, permettendo di disciplinare i medi impianti termici civili ricadenti nel titolo I analogamente a come vengono regolamentati nel titolo II. Il titolo I, infatti, non riporta alcuna definizione per gli impianti termici civili, che tuttavia tecnicamente sarebbero riconducibili agli impianti di combustione.

 

Una diversa lettura delle disposizioni del titolo I potrebbe consistere nel considerare che la nozione di “impianto di combustione” sia una nozione speciale, disgiunta da quella più generica di “impianto”. In tal caso ci si potrebbe limitare a considerare “impianto di combustione” il solo dispositivo in cui avviene l’ossidazione del combustibile al fine di utilizzare il valore generato, a prescindere dal fatto che il singolo dispositivo appartenga ad un sistema più ampio. Una siffatta interpretazione risulterebbe in linea con quanto indicato dalla direttiva 2193/2015/UE che focalizza l’attenzione al semplice “dispositivo tecnico in cui sono ossidati combustibili al fine di utilizzare il calore così prodotto”, senza prendere in considerazione il concetto di autonomia funzionale. La direttiva, infatti, come si analizzerà più avanti, dedica una particolare attenzione all’effetto cumulo, ma con regole specifiche, dettate dal suo articolo 4.

 

Considerare quindi quale “impianto di combustione” il singolo dispositivo produzione di calore permetterebbe di affrontare e risolvere facilmente altre problematiche, quali quelle legate al comma 1 dell’art. 272 ed all’art. 294 del D.L.vo n. 152/2006 riguardanti gli impianti ricadenti nel titolo I, ma non offrirebbe elementi utili per gestire gli “impianti termici civili” ricadenti nel titolo I stesso, in quanto in tale titolo essi non sono definiti. Le uniche definizioni rinvenibili nella parte quinta per gli impianti termici civili sono, come noto, nel titolo II, ossia nell’art. 283 e valgono solo ai fini del titolo II. Estendere agli impianti termici civili l’interpretazione basata sulla nozione speciale di “impianto di combustione” all’impianto termico civile creerebbe una notevole disparità tra i medi impianti termici civili ricadenti nel titolo I (che sarebbero solo quelli in cui il singolo dispositivo ha una potenza uguale o superiore ad 1 MW) e quelli ricadenti nel titolo II (che sarebbero quelli in cui la somma delle potenze dei focolari dei diversi generatori di calore presenti nell’impianto risulta uguale o superiore ad 1 MW ed ovviamente inferiore a 3 MW come stabilimento).

 

In conclusione siamo di fronte ad un problema interpretativo irrisolvibile. Se si trattasse di matematica, potremmo definirlo un problema di Hilbert. Neppure la relazione illustrativa dello schema di decreto diventato poi il D.L.vo n. 183/2017, né la relativa scheda di lettura forniscono spunti utili per risolvere la problematica evidenziata.

 

Un’ulteriore complicazione conseguente l’entrata in vigore dal D.L.vo n. 183/2017 è rappresentato dal criterio di aggregazione tra più medi impianti di combustione.

La direttiva 2193/2015/UE all’art. 4 detta le regole applicabili in caso di aggregazione di più medi impianti di combustione, stabilendo che “L’insieme formato da due o più nuovi impianti di combustione medi è considerato un unico impianto di combustione medio ai fini della presente direttiva e la loro potenza termica nominale è sommata ai fini del calcolo della potenza termica nominale totale dell’impianto se:

— gli scarichi gassosi di tali impianti di combustione medi sono emessi attraverso un camino comune, o

— tenuto conto delle condizioni tecniche ed economiche, gli scarichi gassosi di tali impianti di combustione medi potrebbero, a giudizio dell’autorità competente, essere emessi attraverso un camino comune”.

 

Tale criterio è stato recepito dal comma 8 dell’art. 273-bis il quale prevede che “Si considerano come un unico impianto, ai fini della determinazione della potenza termica nominale in base alla quale stabilire i valori limite di emissione, i medi impianti di combustione che sono localizzati nello stesso stabilimento e le cui emissioni risultano convogliate o convogliabili, sulla base di una valutazione delle condizioni tecniche svolta dalle autorità competenti, ad un solo punto di emissione. La valutazione relativa alla convogliabilità tiene conto dei criteri previsti all’articolo 270. Tale unità si qualifica come grande impianto di combustione nei casi previsti all’articolo 273, comma 9. Non sono considerati, a tali fini, gli impianti di riserva che funzionano in sostituzione di altri impianti quando questi ultimi sono disattivati. Se le emissioni di più medi impianti di combustione sono convogliate ad uno o più punti di emissione comuni, il medio impianto di combustione che risulta da tale aggregazione soggetto ai valori limite che, in caso di mancato convogliamento, si applicherebbero all’impianto più recente”. Il comma 8 dell’art. 273-bis è applicabile agli impianti ricadenti nel titolo I, ma come ormai noto per effetto del nostro impianto normativo, nel titolo I non ricadono tutti i medi impianti termici civili in quanto quelli con potenza complessiva inferiore a 3 MW (riferita all’intero stabilimento) sono soggetti al titolo II.

Il legislatore ha, quindi, provato a risolvere l’esistente dualismo tra titolo I e titolo II, assente a livello comunitario, prevedendo che il criterio di aggregazione debba riguardare anche gli impianti termici civili. La disposizione riportata nel comma 2 dell’art. 282 così recita: “Un impianto termico civile avente potenza termica nominale uguale o superiore a 3 MW si considera come un unico impianto ai fini dell’applicazione delle disposizioni del titolo I. Resta soggetta alle disposizioni degli articoli 270, 273, commi 9 e 10, e 273-bis, commi 8 e 9, l’aggregazione di tale impianto con altri impianti”. La disposizione fa riferimento solo ad impianti termici civili di potenza uguale o superiore a 3 MW e non a 1 MW, come previsto a livello comunitario. Se, quindi, l’impianto termico civile avesse un unico generatore di calore con potenza di 1 MW sarebbe sicuramente un medio impianto di combustione e quindi, stante quanto disposto dalla direttiva 2193/2015/UE andrebbe valutata la sua aggregabili ad altri medi impianti di combustione, ma per il comma 2 dell’art. 282 esso non dovrebbe essere assoggettabile al comma 8 dell’art. 273-bis. E’ molto probabile che si tratti di una imperfetta attuazione della direttiva, fatto sta che anche questa disposizione potrà creare criticità.

Si è, quindi, di fronte a dubbi interpretativi che possono essere sciolti solamente dal legislatore e si spera che ciò avvenga in tempo utile per consentire ai gestori di ottemperare agli obblighi introdotti dal D.L.vo n. 183/2017 nel rispetto delle tempistiche indicate.

 

*Le posizioni espresse nel presente articolo sono espresse a titolo personale e non rappresentano necessariamente la posizione ufficiale dell’ente di appartenenza.

 

Piacenza, 12 luglio 2021

 

[1] La vigente definizione fornita dal D.L.vo n. 192/2005 di “impianto termico” è la seguente: “ impianto tecnologico fisso destinato ai servizi di climatizzazione invernale o estiva degli ambienti, con o senza produzione di acqua calda sanitaria, o destinato alla sola produzione di acqua calda sanitaria, indipendentemente dal vettore energetico utilizzato, comprendente eventuali sistemi di produzione, distribuzione, accumulo e utilizzazione del calore nonché gli organi di regolazione e controllo, eventualmente combinato con impianti di ventilazione. Non sono considerati impianti termici i sistemi dedicati esclusivamente alla produzione di acqua calda sanitaria al servizio di singole unita’ immobiliari ad uso residenziale ed assimilate”.

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