Top

Preveniamo rischi Risolviamo problemi Formiamo competenze

"Mi occupo di diritto ambientale da oltre trent’anni
TuttoAmbiente è la guida più autorevole per la formazione e la consulenza ambientale
Conta su di noi"
Stefano Maglia

L'autorizzazione integrata ambientale

di Leonardo Benedusi

Categoria: AIA

tratto dal volume “GESTIONE AMBIENTALE” , IIIa Edizione 2019, a cura di Leonardo Benedusi, Stefano Maglia, Paolo Pipere, Luca Prati

  1. Premessa

 

Il concetto di approccio integrato all’inquinamento ambientale nell’ordinamento comunitario è nato con la risoluzione del 1° febbraio 1993, con la quale il Consiglio dell’Unione Europea, nell’ambito del quinto programma d’azione ambientale, ha assegnato priorità alla riduzione integrata dell’inquinamento quale importante strumento per tendere ad uno sviluppo più sostenibile tra attività antropiche, risorse e capacità rigenerativa della natura.
 
Tale strumento è stato codificato e regolamentato per la prima volta con la direttiva 1996/61/CE (nota come direttiva IPPC – Integrated Pollution Prevention and Control), che gli Stati Membri avrebbero dovuto recepire nel proprio ordinamento entro tre anni dalla sua entrata in vigore. In Italia ciò è avvenuto con il D.L.vo 4 agosto 1999 n. 372 “Attuazione della direttiva 1996/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento”.
 
L’obiettivo di questo nuovo approccio integrato consiste nell’esaminare in modo unitario tutti gli impatti generali generati da determinate categorie di impianti industriali aventi un elevato potenziale di inquinamento a livello locale, elencati nell’allegato I alla direttiva 96/61/CE, in quanto una valutazione settoriale per singola matrice ambientale non necessariamente garantisce la miglior integrazione tra impianti ed ambiente. Infatti, come peraltro riconosce la direttiva nelle premesse, “approcci distinti nel controllo delle emissioni nell’aria, nell’acqua o nel terreno possono incoraggiare il trasferimento dell’inquinamento tra i vari settori ambientali anziché proteggere l’ambiente nel suo complesso”.
 
L’approccio integrato deve, quindi, conseguire la minimizzazione dell’inquinamento di aria, acqua e terreno, la minimizzazione della produzione dei rifiuti e l’efficace impiego dell’energia tramite l’applicazione delle migliori tecniche disponibili (in inglese BAT, acronimo di Best Available Tecniques), applicabili ai settori industriali riportati nell’allegato I della direttiva.
 
Sia a livello comunitario, sia a livello nazionale, la normativa ha subito modifiche, tant’è che la direttiva 1996/61/CE, più volte rettificata, è stata definitivamente superata dalla direttiva 2008/1/CE prima e dalla direttiva 2010/75/UE (meglio nota come direttiva IED – Industrial Emissions Directive) poi, mentre in Italia il D.L.vo 18 febbraio 2005 n. 59 “Attuazione integrale della direttiva 1996/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento” ha sostituito, abrogandolo, il D.L.vo n. 372/1999 e, di fatto, è stato il primo decreto integralmente applicato agli impianti industriali interessati dall’IPPC.
 
Successivamente, il D.L.vo 29 giugno 2010 n. 128 ha introdotto nella parte seconda del Testo Unico Ambientale la disciplina in materia di riduzione integrata dell’inquinamento, specificatamente trattata nel titolo III-bis “l’autorizzazione integrata ambientale”, profondamente rivisitata dal D.L.vo 4 marzo 2014 n. 46 che, con un ritardo di più di un anno, ha finalmente dato attuazione della direttiva 2010/75/UE.
 
Di seguito si analizza la disciplina dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA), così come essa è attualmente in vigore nell’ordinamento nazionale.
 
Libro Gestione Ambientale V edizione

 

  1. Definizione di AIA e concetto di installazione

 

Per effetto dell’introduzione della disciplina dell’autorizzazione integrata ambientale nella parte seconda del D.L.vo n. 152/2006, le definizioni strettamente pertinenti l’AIA si trovano nel titolo I della medesima parte seconda, recante “principi generali per le procedure di VIA, VAS e per la valutazione di incidenza e l’autorizzazione integrata ambientale (AIA)” e più precisamente nell’art. 5 del decreto, modificato dal D.L.vo n. 46/2014.
 
L’autorizzazione integrata ambientale viene definita dalla lettera o-bis) del comma 1 dell’art. 5 come “il provvedimento che autorizza l’esercizio di una installazione rientrante fra quelle di cui all’articolo 4, comma 4, lettera c), o di parte di essa a determinate condizioni che devono garantire che l’installazione sia conforme ai requisiti di cui al Titolo III-bis ai fini dell’individuazione delle soluzioni più idonee al perseguimento degli obiettivi di cui all’articolo 4, comma 4, lettera c). Un’autorizzazione integrata ambientale può valere per una o più installazioni o parti di esse che siano localizzate sullo stesso sito e gestite dal medesimo gestore. Nel caso in cui diverse parti di una installazione siano gestite da gestori differenti, le relative autorizzazioni integrate ambientali sono opportunamente coordinate a livello istruttorio”.
 
Con il termine installazione, si intende una “unità tecnica permanente, in cui sono svolte una o più attività elencate all’allegato VIII alla Parte Seconda e qualsiasi altra attività accessoria, che sia tecnicamente connessa con le attività svolte nel luogo suddetto e possa influire sulle emissioni e sull’inquinamento. È considerata accessoria l’attività tecnicamente connessa anche quando condotta da diverso gestore”.

 

L’AIA non si applica esclusivamente alle sole attività riportate nell’allegato VIII alla parte seconda del D.L.vo n. 152/2006, ed alle attività connesse svolte dallo stesso gestore dell’installazione, ma anche ad attività accessorie di gestori terzi. Pertanto, risulta indispensabile sapere cosa si debba intendere per attività connessa, in quanto di essa non vi è alcuna definizione né nella direttiva 2010/75/UE né nel D.L.vo n. 152/2006. Il problema si era già posto a seguito del primo recepimento della direttiva 1996/61/CE, ed il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio aveva fornito indirizzi specifici con la circolare del 13 luglio 2004. Il concetto di attività connessa è stato riformulato con la circolare del Ministero dell’ambiente del 27 ottobre 2014, prot. 22295, che intende come attività accessoria una attività:

  1. “svolta nello stesso sito dell’attività IPPC, o in un sito contiguo e direttamente connesso al sito dell’attività IPPC per mezzo di infrastrutture tecnologiche funzionali alla conduzione dell’attività IPPC e
  2. le cui modalità di svolgimento hanno qualche implicazione tecnica con le modalità di svolgimento dell’attività IPPC (in particolare nel caso in cui il loro fuori servizio determina direttamente o indirettamente problemi all’esercizio dell’attività IPPC)”.

 

L’installazione, definita come “unità tecnica permanente”, fa espresso riferimento ad uno specifico sito (“luogo suddetto”), quindi, quale condizione indispensabile, è necessario che si sia in presenza di un’installazione permanente per cui non rientrano nella disciplina dell’AIA impianti mobili o temporanei. Purtroppo nella normativa non compare il concetto di temporaneità, né tantomeno un criterio per oggettivizzare l’aggettivo “permanente”, per cui, qualora permangano in un determinato sito impianti precari per periodi prolungati con emissioni significative tali da generare inquinamento, l’autorità competente deve chiedersi se detti impianti debbano essere ricondotti alla nozione di installazione e conseguentemente assoggettarli alla disciplina specifica di cui al titolo III-bis della parte seconda del D.L.vo n. 152/2006 (si pensi al non remoto caso di impianti di trattamento rifiuti).
 
Master Esperto Ambientale in diretta
 
Per comprendere il concetto di sito si deve ricorrere alla medesima circolare del 27 ottobre 2014, in quanto anche tale definizione non è mai stata inserita né nelle direttive europee, né nei decreti legislativi susseguitisi. La circolare, fa riferimento al punto t) dell’art. 2 del regolamento CE del Parlamento europeo e del Consiglio n. 761/2001 del 19 marzo 2001 sull’adesione volontaria delle organizzazioni a un sistema comunitario di ecogestione e audit (Emas) che definisce sito “tutto il terreno, in una zona geografica precisa, sotto il controllo gestionale di un’organizzazione che comprende attività, prodotti e servizi. Esso include qualsiasi infrastruttura, impianto e materiali”. Il Ministero dell’ambiente, nel riproporre l’indicazione già contenuta nella circolare del 13 luglio 2004, si è, però, dimenticato che il regolamento n. 761/2001 è stato abrogato dal regolamento n. 1221/2009; in ogni caso la definizione di sito fornita dal nuovo regolamento EMAS è praticamente immutata[1].
 
In merito al concetto di sito va ricordato che già la “Decisione della Commissione in merito all’attuazione del Registro europeo delle emissioni inquinanti (EPER) ai sensi dell’art. 15 della direttiva 1996/61/CE del Consiglio sulla prevenzione e a riduzione integrate dell’inquinamento (IPPC)” n. 470 del 17 luglio 2000, per le finalità del registro delle emissioni, nel proprio allegato A4 aveva indicato come sito “l’ubicazione geografica del complesso” industriale. Una definizione analoga è stata successivamente introdotta nel Regolamento CE n. 166/2006 relativo all’istituzione di un registro europeo delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti (PRTR).
 
Pertanto, alla luce di quanto sopra, il sito va inteso come un’area finita, delimitata, strettamente di pertinenza di un gestore.

 

Quest’ultimo, invece, è, in base a quanto definito dalla lettera r-bis) dell’art. 5 del D.L.vo n. 152/2006 come modificato dal D.L.vo n. 46/2014, “qualsiasi persona fisica o giuridica che detiene o gestisce, nella sua totalità o in parte, l’installazione o l’impianto oppure che dispone di un potere economico determinante sull’esercizio tecnico dei medesimi”.

 

L’AIA deve prevenire l’inquinamento inteso come “l’introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana, di sostanze, vibrazioni, calore o rumore o più in generale di agenti fisici o chimici, nell’aria, nell’acqua o nel suolo, che potrebbero nuocere alla salute umana o alla qualità dell’ambiente, causare il deterioramento dei beni materiali, oppure danni o perturbazioni a valori ricreativi dell’ambiente o ad altri suoi legittimi usi” (vedasi la definizione di cui alla lettera i-ter) del comma 1 dell’art. 5 del D.L.vo n. 152/2006). La definizione di inquinamento, già introdotta nel D.L.vo n. 152/2006 dal D.L.vo n. 128/2010, è più ampia di quella comunitaria[2], facendo rientrare nella nozione di inquinamento anche l’“introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana … più in generale di agenti fisici o chimici”. Quindi, l’emissione nell’ambiente di agenti fisici, quali possono essere campi elettromagnetici ad alta o bassa frequenza, teoricamente sembrerebbe dover essere oggetto di esame nell’AIA, seppur di essi non si trovi, ad oggi, traccia nei documenti comunitari di riferimento sulle migliori tecniche disponibili (BREF). In coerenza con la definizione di inquinamento, sempre con il D.L.vo n. 128/2010, il legislatore nazionale ha modificato anche il concetto di emissione fornito dalle direttive europee, intendendo con emissione “lo scarico diretto o indiretto, da fonti puntiformi o diffuse dell’impianto, opera o infrastruttura, di sostanze, vibrazioni, calore o rumore, agenti fisici o chimici, radiazioni, nell’aria, nell’acqua ovvero nel suolo”. L’emissione riguarderebbe anche lo scarico di radiazioni nell’ambiente, quindi, di fatto, la totalità degli impatti che possono essere generati da una installazione. Ciò può aver senso se si tratta di un progetto soggetto a VIA, ma sembra eccessivo qualora ci si limiti alla sola AIA, che sostituisce solo le autorizzazioni di cui all’allegato IX alla parte seconda e le comunicazioni di cui all’art. 216 del D.L.vo n. 152/2006, tra le quali non rientra alcun titolo relativo ad agenti fisici; tra questi, il rumore, invece, deve essere obbligatoriamente considerato in quanto il comma 3 dell’art. 29-sexies prevede che l’AIA debba comprendere non solo i “valori limite di emissione fissati per le sostanze inquinanti, in particolare quelle dell’allegato X alla Parte Seconda che possono essere emesse dall’installazione interessata in quantità significativa, in considerazione della loro natura e delle loro potenzialità di trasferimento dell’inquinamento da un elemento ambientale all’altro, acqua, aria e suolo”, ma anche “i valori limite ai sensi della vigente normativa in materia di inquinamento acustico”.
 
Formazione TuttoAmbiente

 

  1. Campo di applicazione


 
Come visto, l’autorizzazione integrata ambientale è prevista per le attività riportate nell’allegato VIII alla parte seconda del D.L.vo n. 152/2006 e per le attività accessorie svolte anche da gestori diversi da quelli che esercitano l’attività principale.
 
Non rientrano nel titolo III-bis della parte seconda del D.L.vo n. 152/2006 e, quindi, sono sempre esclusi dall’ambito di applicazione dell’AIA, le installazioni, gli impianti o le parti di impianti utilizzati per la ricerca, lo sviluppo e la sperimentazione di nuovi prodotti e processi come viene stabilito dal punto A dell’inquadramento generale dell’allegato VIII.

 

In base a quanto previsto dal comma 13 dell’art. 6 del D.L.vo n. 152/2006, l’AIA è necessaria per:

  1. a) le installazioni che svolgono attività di cui all’Allegato VIII alla Parte Seconda;
  2. b) le modifiche sostanziali degli impianti (leggasi installazioni, ndr) di cui alla lettera a).

 

Il comma 1 dell’art. 29-ter specifica meglio quanto già stabilito dal comma 13 dell’art. 6, stabilendo che l’AIA è necessaria per:

  1. l’ ”adeguamento del funzionamento degli impianti delle installazioni esistenti” alle disposizioni del decreto;
  2. la modifica sostanziale degli impianti delle “installazioni esistenti”;
  3. l’esercizio delle “nuove installazioni di nuovi impianti“.

 

Riguardo all’obbligo di ottenere un’AIA in caso di modifica sostanziale, occorre ricordare che il decreto alla lett. l-bis del comma 1 dell’art. 5, definisce modifica sostanziale “la variazione delle caratteristiche o del funzionamento ovvero un potenziamento dell’impianto, dell’opera o dell’infrastruttura o del progetto che, secondo l’autorità competente, producano effetti negativi e significativi sull’ambiente. In particolare, con riferimento alla disciplina dell’autorizzazione integrata ambientale, per ciascuna attività per la quale l’allegato VIII indica valori di soglia, è sostanziale una modifica all’installazione che dia luogo ad un incremento del valore di una delle grandezze, oggetto della soglia, pari o superiore al valore della soglia stessa”. Pertanto, si è in presenza di due criteri per qualificare come sostanziale una modifica:

  • uno certo a priori, fornito dal secondo periodo della definizione, basato sull’inequivocabile valutazione dell’incremento delle soglie,
  • ed uno conseguente la valutazione degli impatti da parte dell’autorità competente che può ritenere sostanziale una modifica che produca “effetti negativi e significativi sull’ambiente”.

 

La lettura dell’allegato VIII evidenzia che gran parte delle categorie ivi riportate si riferiscono ad una precisa capacità di produzione o di trattamento. Innanzitutto occorre precisare che nell’allegato VIII è stabilito un principio cautelativo ed indiscutibile: “qualora uno stesso gestore ponga in essere varie attività elencate alla medesima voce in una stessa installazione o in una stessa località, si sommano le capacità di tali attività”; ciò significa che, qualora in una medesima località vi siano più attività facenti riferimento alla stessa categoria, il superamento delle soglie si verifica quando la sommatoria delle capacità delle singole attività supera la soglia specifica. Per il settore rifiuti, in cui possono essere svolte attività differenti, per evitare tentativi di elusione della norma, il legislatore ha specificato che “tale calcolo si applica al livello delle attività 5.1 e 5.3, lettere a) e b)”, quindi il superamento della soglia si ha quando è superiore ad essa la capacità complessiva delle singole operazioni contemplate.
 
Sempre in tema di rifiuti, la circolare del Ministero dell’Ambiente del 27 ottobre 2014 ha ricordato che per definire la capacità indicata al punto 5.2 si deve far riferimento alla “capacità nominale” come definita dalla lettera h) del comma 1 dell’art. 237-ter del titolo III-bis della parte quarta del D.L.vo n. 152/2006, anch’esso introdotto nel D.L.vo n. 152/2006 dal D.L.vo n. 46/2014): “la somma delle capacità di incenerimento dei forni che costituiscono un impianto di incenerimento o coincenerimento dei rifiuti, quali dichiarate dal costruttore e confermate dal gestore, espressa in quantità di rifiuti che può essere incenerita in un’ora, rapportata al potere calorifico dichiarato dei rifiuti”.
 
Il concetto di soglia, in particolare per talune tipologie di impianti, è stata oggetto di parecchie discussioni tra gli addetti ai lavori, dal momento che né le direttive 1996/61/CE e 2008/1/CE prima, né la direttiva 2010/75/UE ed relativi decreti attuativi, poi, forniscono una definizione specifica.
 
La circolare del Ministero dell’Ambiente del 27 ottobre 2014, al paragrafo 6, aiuta a comprendere meglio la soglia prevista per la categoria di attività di cui al punto 6.4 b dell’allegato VIII, sottolineando che “non rilevano le operazioni che non comportano trattamento e trasformazione dei prodotti”, quindi l’esplicita esclusione delle operazioni costituite dal “semplice imballo” non va interpretata in senso esaustivo, bensì semplicemente esemplificativo, pertanto possono risultare irrilevanti altre operazioni quali, ad esempio, lo stoccaggio per maturazione di prodotti alimentari (si pensi a caseifici dove l’attività predominante è rappresentata dalla stagionatura di formaggi prodotti in un altro stabilimento).
 
Al di là delle non esaustive precisazioni contenute nella circolare del 27 ottobre 2014, va ricordato che l’unica indicazione fornita da un atto normativo si trova nel DM 23 novembre 2001 recante “Dati, formato e modalità della comunicazione di cui all’art. 10, comma 1 del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 372[3]”, e precisamente in una nota riportata nel paragrafo 1.2 dell’allegato I in cui è precisato che “il valore soglia si riferisce alla capacità massima produttiva di progetto che è costante nel tempo (finché non vengono fatte delle modifiche), e non al grado di produzione che varia nel tempo e che è generalmente inferiore alla suddetta capacità del progetto”. È chiaro, pertanto, che si debba valutare la massima potenzialità per la quale un impianto è stato dimensionato e non quanto esso effettivamente produce nel periodo di riferimento delle soglie.
 
In tema di interpretazione del concetto di capacità produttiva, è intervenuta la circolare del Ministero dell’Ambiente n. 27569 del 14 novembre 2016, che intende come capacità produttiva “la capacità relazionabile al massimo inquinamento potenziale dell’impianto”. Per definire la capacità massima nei casi più semplici basterà valutare i “dati di targa“, mentre nei casi di attività più complesse si dovranno effettuare valutazioni più articolate, tenendo conto di eventuali sequenzialità di processi, della impossibilità di utilizzare continuativamente e/o in contemporaneità più linee produttive, ecc. La stessa circolare riconosce che possa esservi un “limite legale alla capacità produttiva” che l’installazione non deve superare a causa di obblighi autonomamente vigenti (potrebbe essere il caso di vincoli pianificatori o di prescrizioni relative a procedimenti di valutazione di impatto ambientale).
 
Consulenze ambientali per aziende, enti e professionisti
 
Altro grande problema lasciato irrisolto con il recepimento della direttiva 2010/75/UE consiste nella definizione del concetto di “produzione su scala industriale” riguardante l’industria chimica, categoria per la quale nell’allegato VIII non compaiono soglie di produzione. L’allegato VIII liquida la questione rimandando a specifici indirizzi interpretativi che saranno emanati ai sensi dell’art. 29-quinquies e da linee guida interpretative (già previste dall’allegato I della direttiva), in assenza dei quali le autorità competenti valuteranno autonomamente il termine “scala industriale”. Tale lacuna crea problemi più alle Regioni, in quanto i progetti di competenza dello Stato elencati nell’allegato XII fanno espresso riferimento a precise soglie di capacità;. La mancanza di indirizzi non è stata colmata dalle circolari del Ministero dell’Ambiente n. 12422 del 17 giugno 2015 e la succitata n. 27569 del 14 novembre 2016, che hanno affrontato solo alcune problematiche connesse all’industria chimica, di cui si sintetizzano gli elementi più salienti:

  • gli elenchi di classi di prodotti chimici riportati ai punti 4.1 e 4.2 dell’allegato VIII sono da considerarsi esaustivi;
  • la categoria 4 dell’allegato VIII riguarda la produzione di prodotti chimici (anche intermedi di processo) potenzialmente commercializzabili quali tali, ma non fabbricazione di manufatti, intesi come oggetti per i quali la composizione chimica non è sufficiente a connotarne le qualità merceologica;
  • rientrano al punto 4 dell’allegato VIII solo le installazioni in cui si svolgono reazioni chimiche o biochimiche, pertanto sono escluse le installazioni in cui i prodotti subiscono solo processi fisici (quali filtrazione, distillazione, miscelazione, confezionamento, ecc.).

 

Infine, va ricordato che le già menzionate circolari forniscono ulteriori indirizzi di dettaglio per l’interpretazione di specifiche categoria di attività ricadenti nella disciplina dell’IPPC.

 

 

  1. Rilascio dell’AIA e validazione della relazione di riferimento

Gli artt. 29-ter e 29-quater del D.L.vo n. 152/2006 stabiliscono le modalità di presentazione ed ottenimento dell’AIA in caso di nuove installazioni, di modifica sostanziale e di adeguamento al D.L.vo n. 152/2006 per le installazioni esistenti.
 
Il contenuto d;ella domanda è definito dal comma 1 dell’art. 29-ter.
 
In merito alla documentazione da produrre si fa notare che la novità principale introdotta dal D.L.vo n. 46/2014 è rappresentata dalla relazione di riferimento.
 
Per la redazione della relazione di riferimento la lett. v-bis) del comma 1 dell’art. 5 del D.L.vo n. 152/2006 stabilisce che si debba tener conto delle linee guida eventualmente emanate dalla Commissione europea ai sensi dell’articolo 22, paragrafo 2, della direttiva 2010/75/UE, mentre il comma 9-sexies dell’art. 29-sexies prevede l’emanazione di decreti per l’indicazione delle modalità per la sua redazione con particolare riguardo alle metodiche di indagine ed alle sostanze pericolose da ricercare.
 
La relazione di riferimento, infatti, viene definita dalla lett. v-bis) del comma 1 dell’art. 5 come il documento contenente “informazioni sullo stato di qualità del suolo e delle acque sotterranee, con riferimento alla presenza di sostanze pericolose pertinenti, necessarie al fine di effettuare un raffronto in termini quantitativi con lo stato al momento della cessazione definitiva delle attività…”. Si noti che le sostanze pericolose devono essere “pertinenti”, quindi correlabili all’attività da svolgersi o svolta nell’installazione soggetta ad AIA.
 
Le linee guida della Commissione Europea sono state emanate con la comunicazione 2014/C 136/01 pubblicata il 6 maggio 2014 sulla Gazzetta Ufficiale dell’UE, mentre quelle nazionali sono ora contenute nel D.M. n. 95 del 15 aprile 2019 (pubblicato sulla G.U. n. 199 del 26 agosto 2019).
nbsp;
Tale decreto, in vigore dal 10 settembre 2019 (“Regolamento recante le modalità per la redazione della relazione di riferimento di cui all’articolo 5, comma 1, lettera v-bis) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”), riguarda prioritariamente le sostanze pericolose da ricercare con riferimento alle attività di cui all’allegato VIII alla parte seconda del TUA. Il DM, pubblicato sulla GU del 26 agosto, è composto da 5 articoli e due Allegati, il primo recante la “procedura per l’individuazione di sostanze pericolose pertinenti”, mentre il secondo riporta i “contenuti minimi della relazione di riferimento. Di particolare interesse sono sicuramente gli artt. 3 e 4, relativi all’obbligo di presentazione della relazione ex art. 29 ter del TUA.
nbsp;
L’aggiornamento della relazione di riferimento oppure gli esiti della verifica di doverla presentare costituiscono parte integrante delle domande di autorizzazione da presentarsi in caso di modifica sostanziale.

 

Il comma 1 dell’art. 29-quater prevede che la domanda di AUA venga presentata con modalità telematiche per le installazioni di competenza statale, mentre non specifica nulla in merito al formato che deve avere la domanda per installazioni la cui competenza è delle Regioni, delle Province autonome o delle amministrazioni da queste delegate.
 
L’art. 29-ter e l’art. 29-quater declinano le diverse fasi dell’istruttoria comprese le forme di pubblicità, consistenti in un avviso sul sito web dell’autorità competente da pubblicarsi entro 15 giorni dalla data di avvio del procedimento che consentono ai soggetti interessati di poter presentare osservazioni sulla domanda in forma scritta entro 30 giorni dalla pubblicazione sul web dell’annuncio.
 
La documentazione disponibile per la consultazione del pubblico può essere parzialmente sottratta all’accesso dall’autorità competente nei casi previsti dal comma 14 dell’art. 29-quater ossia:

  • nel caso di installazioni militari di produzione di esplosivi ricadenti al punto 4.6 dell’allegato VIII “qualora ciò si renda necessario per l’esigenza di salvaguardare ai sensi dell’articolo 24, comma 6, lettera a), della legge 7 agosto 1990, n. 241, e relative norme di attuazione, la sicurezza pubblica o la difesa nazionale”;
  • nel caso nella domanda di AIA vi siano informazioni particolari “per ragioni di tutela della proprietà intellettuale o di riservatezza industriale, commerciale o personale” non riguardanti le emissioni dell’installazione nell’ambiente.

 

Il comma 5 dell’art. 29-quater del D.L.vo n. 152/2006 (integralmente sostituito dalla lett. d) del comma 3 dell’art. 7 del D.L.vo n. 46/2014) prevede che l’istruttoria venga effettuata ricorrendo alla “convocazione” della conferenza dei servizi in modalità sincrona, alla quale il legislatore ha previsto che, in caso di installazioni non in allegato XII, siano invitate le amministrazioni competenti per il rilascio di titoli abilitativi che non sono ricompresi dall’AIA (titoli comunque necessari ma “richiesti contestualmente” all’AIA). In questo modo viene riconosciuto lo stretto legame tra i titoli ambientali e abilitazioni differenti, quali possono essere il titolo edilizio di cui al DPR 380/2001, la SCIA di cui al DPR 151/2011 in tema di prevenzione incendi, l’autorizzazione paesaggistica di cui al D.L.vo n. 42/2004, l’autorizzazione alla realizzazione di linee elettriche, ecc. Ormai, anche a livello legislativo, vi è la consapevolezza che tutti gli aspetti riguardanti l’attuazione di un progetto siano da valutarsi congiuntamente, proprio per garantire la sussidiarietà dei procedimenti e la collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti; purtroppo questa disposizione viene limitata ai soli progetti di competenza regionale.
 
La versione vigente del comma 5 dell’art. 29-quater prevede che, per le installazioni soggette al D.L.vo n. 334/1999, alla conferenza dei servizi sia invitato anche un rappresentate dell’autorità competente in merito ai rischi di incidenti rilevanti.
 
Nella conferenza dei Servizi l’autorità competente deve acquisire anche le prescrizioni del sindaco di cui agli artt. 216 e 217 del RD n. 1265/1934 quale massima autorità sanitaria locale ed il parere di ISPRA (per le installazioni di competenza statale) e delle agenzie regionali o provinciali per la protezione dell’ambiente (per le installazioni di competenza regionale) relativamente al programma di monitoraggio delle istallazioni e delle relative emissioni.
 
Gli artt. 30, 32 e 32-bis stabiliscono misure affinché venga garantita la possibilità di partecipazione delle istituzioni territorialmente interessate da impatti interregionali o transfrontalieri.
 
L’autorità competente si dovrebbe pronunciare entro 150 giorni dalla presentazione della domanda, al netto delle sospensioni intervenute, sia in fase di verifica di completezza, sia in caso di richiesta integrazioni in conferenza dei servizi.

 

  1. Contenuti del provvedimento di AIA e migliori tecniche disponibili (best available techniques – BAT)


 
L’AIA sostituisce ad ogni effetto le autorizzazioni elencate nell’allegato IX alla parte seconda del D.L.vo n. 152/2006 e la comunicazione di cui all’art. 216 del decreto riguardante le procedure semplificate di recupero dei rifiuti, e ha l’obiettivo di perseguire i principi generali indicati dal comma 16 dell’art. 6, ossia deve verificare che:

  • siano prese le opportune misure di prevenzione dell’inquinamento, applicando in particolare le MTD;
  • non vi siano fenomeni di inquinamento significativi;
  • sia prevenuta la produzione dei rifiuti, nel rispetto della parte quarta del D.L.vo n. 152/2006 e, qualora non sia possibile prevenire la loro produzione, gli stessi devono essere riutilizzati, riciclati, ricuperati o, come soluzione estrema, smaltiti evitando e riducendo ogni loro impatto sull’ambiente;
  • vi sia un utilizzo efficace ed efficiente dell’energia;
  • siano adottate le misure necessarie per prevenire gli incidenti e limitarne le conseguenze;
  • sia evitato qualsiasi rischio di inquinamento al momento della cessazione definitiva delle attività ed il sito sia essere ripristinato conformemente a quanto previsto dal comma 9-quinquies dell’art. 29-sexies[4].

 
Per perseguire questi nobili fini, il comma 1 dell’art. 29-bis del D.L.vo n. 152/2006, stabilisce che:

  • l’AIA è rilasciata tenendo conto di quanto indicato all’Allegato XI alla parte seconda, contente indicazioni da tener presente per la determinazione delle migliori tecniche disponibili (tra cui anche i BREF già pubblicati sulla base della direttiva 96/61/CE o da non ben definite “organizzazioni internazionali pubbliche”);
  • le condizioni dell’AIA sono definite “avendo a riferimento le Conclusioni sulle BAT, salvo quanto previsto all’articolo 29-sexies, comma 9-bis, e all’articolo 29-octies“. Nelle more della loro emanazione l’autorità competente deve far riferimento alle pertinenti conclusioni sulle migliori tecniche disponibili tratte dai documenti già pubblicati dalla Commissione europea in attuazione del paragrafo 2 dell’art. 16 della direttiva 96/61/CE[5] o del paragrafo 2 dell’art. 16 (il riferimento all’art. 16 è un mero errore materiale, in quanto si deve fari riferimento all’art. 17) della direttiva 2008/01/CE[6].

 

Le norme tecniche nazionali del D.L.vo n. 36/2003 (attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti) restano valide, anche dal punto di vista normativo, per le discariche di rifiuti soggette ad AIA, in quanto il comma 3 dell’art. 29-bis stabilisce che i requisiti del titolo III-bis sono soddisfatti se sono rispettati i requisiti tecnici stabiliti da tale decreto, che si applicherà fino all’emanazione di pertinenti conclusioni sulle BAT.
 
Per comprendere bene cosa sono le conclusioni sulle BAT occorre far riferimento alla direttiva 2010/75/UE, la quale, all’art. 13, prevede uno scambio di informazioni tra la Commissione, gli Stati membri, le industrie interessate e le organizzazioni non governative attive per la promozione ambientale per elaborare o rielaborare i documenti di riferimento sulle BAT. Tali documenti si differenziano da quelli emanati in virtù delle direttive 1996/61/CE e 2008/1/CE, finalizzati all’individuazione delle migliori tecniche disponibili ed alle modalità di monitoraggio; i documenti di riferimento sulle BAT per definizione devono riportare anche i livelli attuali di emissione e di consumo nonché le conclusioni sulle BAT e ogni tecnica emergente, con particolare attenzione ai criteri di cui all’allegato III della direttiva (ripreso dall’allegato XI alla parte seconda del D.L.vo n. 152/2006) e sono il risultato dello scambio di informazioni previsto a norma dell’art. 13 della direttiva 2010/75/UE (IED). Pertanto, le conclusioni sulle BAT sono, di fatto, un documento di sintesi “contenente le parti del documento di riferimento delle BAT, riguardanti le conclusioni sulle migliori tecniche disponibili, la loro descrizione, le informazioni per valutarne l’applicabilità, i livelli di emissione associati alle migliori tecniche disponibili, il monitoraggio associato, i livelli di consumo associati e, se del caso, le pertinenti misure di bonifica del sito”. Le conclusioni sulle BAT sono, quindi, il principale documento di riferimento tecnico per la gestione e l’autorizzazione delle installazioni sottoposte ad AIA.
 
In attuazione dalla direttiva 2010/75/UE, il D.L.vo n. 46/2014 ha introdotto nel D.L.vo n. 152/2006 le seguenti definizioni:

  • conclusioni sulle BAT “un documento adottato secondo quanto specificato all’articolo 13, paragrafo 5, della direttiva 2010/75/UE, e pubblicato in italiano nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea, contenente le parti di un BREF riguardanti le conclusioni sulle migliori tecniche disponibili, la loro descrizione, le informazioni per valutarne l’applicabilità, i livelli di emissione associati alle migliori tecniche disponibili, il monitoraggio associato, i livelli di consumo associati e, se del caso, le pertinenti misure di bonifica del sito”;
  • documento di riferimento sulle BAT o BREF un “documento pubblicato dalla Commissione europea ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 6, della direttiva 2010/75/UE”.

 

Il BREF (acronimo di Best Available Techniques Reference Document), così come definito dalla lett. l-ter.1) del comma 1 dell’art. 5 del D.L.vo n. 152/2006, non va confuso con il BREF adottato in base alle precedenti direttive, seppure porti il medesimo nome, in quanto, come già analizzato, a livello comunitario è previsto che i nuovi documenti costituiscano una implementazione dei BREF precedentemente adottati. Sia i BREF sia le conclusioni sulle BAT sono reperibili al seguente indirizzo web: http://eippcb.jrc.es/reference.
&nbsp
L’art. 29-sexies stabilisce nel dettaglio i contenuti dell’AIA, che deve soddisfare i requisiti dell’articolo stesso, del comma 16 dell’art. 6 “per conseguire un livello elevato di protezione dell’ambiente nel suo complesso”, e deve includere valori limite di emissione per determinate sostanze e secondo determinate condizioni stabilite dal comma 3 dell’art. 29-sexies. Innanzitutto, gli inquinanti di cui l’autorità competente deve obbligatoriamente tener conto sono riportati nell’allegato X alla parte seconda. Più in generale, le sostanze per le quali devono essere fissati limiti devono poter essere emesse in quantità significativa, “in considerazione della loro natura e delle loro potenzialità di trasferimento dell’inquinamento da un elemento ambientale all’altro, acqua, aria e suolo”; per quanto riguarda, invece, gli agenti fisici, l’AIA contiene sempre i valori limite ai sensi della vigente normativa in materia di inquinamento acustico.
 
L’AIA può arrivare a contenere anche limiti per i gas serra (anidride carbonica, metano, protossido di azoto, idrofluorocarburi, perfluorocarburi ed esafluoruro di zolfo), ma solo “quando ciò risulti indispensabile per evitare un rilevante inquinamento locale” e limitatamente alle attività regolamentate dal D.L.vo 13 marzo 2013 n. 30 (il D.L.vo n. 152/2006 riporta ancora anacronisticamente il riferimento al D.L.vo n. 216/2006).
 
Dal momento che l’AIA sostituisce le autorizzazioni riportate nell’allegato IX, il comma 3 dell’art. 29-sexies ricorda che “i valori limite di emissione fissati nelle autorizzazioni integrate ambientali non possono comunque essere meno rigorosi di quelli fissati dalla normativa vigente nel territorio in cui è ubicata l’installazione”.
 
I limiti di emissione possono essere integrati con parametri o misure tecniche equivalenti che ne consentano la stima.
 
Sia i valori limite di emissione, sia i parametri e le misure tecniche equivalenti imposte nell’AIA “fanno riferimento all’applicazione delle migliori tecniche disponibili, senza l’obbligo di utilizzare una tecnica o una tecnologia specifica, tenendo conto delle caratteristiche tecniche dell’impianto in questione, della sua ubicazione geografica e delle condizioni locali dell’ambiente. In tutti i casi, le condizioni di autorizzazione prevedono disposizioni per ridurre al minimo l’inquinamento a grande distanza o attraverso le frontiere e garantiscono un elevato livello di protezione dell’ambiente nel suo complesso” (comma 4 dell’art. 29-sexies); pertanto, all’autorità competente spetta l’indicazione dell’obiettivo di tutela ambientale da conseguire, ma la scelta della soluzione progettuale è stretta prerogativa del gestore.
 
L’art. 29-septies lascia, in ogni caso, un enorme potere all’autorità competente, la quale può arrivare ad imporre misure più cogenti, che potrebbero essere anche non individuabili nelle migliori tecniche disponibili, ma tuttavia indispensabili per garantire il rispetto delle norme specifiche di qualità ambientale; conseguentemente, i gestori devono acquisire adeguate informazioni sullo stato ambientale del sito e dell’area in cui si trovano e conoscere le azioni previste dai piani settoriali, in primis quelli relativi alla qualità dell’aria adottati e approvati sulla base di quanto stabilito dal D.L.vo 13 agosto 2010 n. 155. Quest’ultimo, infatti, all’art. 11 prevede che, nell’ambito di detti piani, l’autorità competente al rilascio dell’AIA possa definire “valori limite di emissione, prescrizioni per l’esercizio e criteri di localizzazione per gli impianti soggetti ad autorizzazione integrata ambientale che producono emissioni in atmosfera”.

 
Fermi restando i limiti più bassi, stabiliti dall’autorità competente alla luce degli strumenti di programmazione e pianificazione ambientale, nonché dalle norme di settore, anche regionali, i limiti di emissione, di regola, non devono essere superiori ai livelli di emissione associati alle migliori tecniche disponibili (BAT-AEL), definite dalla lett. l-ter.4) dell’art. 5 come “intervalli di livelli di emissione ottenuti in condizioni di esercizio normali utilizzando una migliore tecnica disponibile o una combinazione di migliori tecniche disponibili, come indicato nelle conclusioni sulle BAT, espressi come media in un determinato arco di tempo e nell’ambito di condizioni di riferimento specifiche”.
 
Banner Membership
 
L’autorità competente può garantire il rispetto dei BAT-AEL con due distinte modalità:

  • fissando valori limite di emissione, in condizioni di esercizio normali, che non superino i BAT-AEL, adottando le stesse condizioni di riferimento dei BAT-AEL e tempi di riferimento non maggiori di quelli dei BAT-AEL;
  • imponendo valori limite di emissione diversi da quelli di cui al punto precedente in termini di valori, tempi di riferimento e condizioni. Tale alternativa comporta un attento monitoraggio in quanto l’autorità competente deve valutare almeno annualmente i risultati del controllo delle emissioni per verificare che le emissioni, in condizioni di esercizio normali, non superino i livelli di emissione associati alle migliori tecniche disponibili, il che lascia intendere quanto tale soluzione sia di difficile applicabilità, sia per il maggiore impegno dell’autorità competente, sia per l’individuazione di tempi di riferimento diversi che comunque garantiscano il rispetto dei BAT-AEL nelle condizioni di riferimento di default.

 
I limiti, pertanto, si applicano nelle condizioni di esercizio normali, che, tuttavia, non sono definite nella parte seconda del D.L.vo n. 152/2006; è logico ritenere che tali condizioni siano quelle durante le quali gli impianti funzionano regolarmente garantendo la produttività dell’attività, ossia si trovano al di sopra del minimo tecnico, vincolo applicabile, però, solo agli impianti che effettivamente hanno un minimo tecnico (si pensi ad inceneritori, cementifici, centrali termoelettriche, ecc.). Quindi, non dovrebbero essere ricondotte alle condizioni di esercizio normali le fasi transitorie, quali quelle di avviamento o di arresto, o addirittura i guasti. Nonostante i limiti si applichino alle condizioni di esercizio normali, il comma 7 dell’art. 29-sexies concede all’autorità competente di stabilire nell’AIA misure per “condizioni diverse da quelle di esercizio normali, in particolare per le fasi di avvio e di arresto dell’installazione, per le emissioni fuggitive, per i malfunzionamenti, e per l’arresto definitivo dell’installazione”, mentre il comma 7-bis del medesimo articolo prevede che l’autorità competente possa concedere un numero definito di superamenti indicando nell’AIA “il numero massimo, la massima durata e la massima intensità (comunque non eccedente il 20 per cento) di superamenti dei valori limite di emissione di cui al comma 4-bis, dovuti ad una medesima causa, che possono essere considerati, nel corso di validità dell’autorizzazione stessa, situazioni diverse dal normale esercizio e nel contempo non rientrare tra le situazioni di incidente o imprevisti, disciplinate dall’articolo 29-undecies”, rispetto alle quale l’AIA può specificare tempi, modalità e destinatari degli obblighi di comunicazione previsti dall’art. 29-undecies stesso nel rispetto comunque dell’obbligo del gestore di informare l’autorità competente entro le otto ore dal verificarsi di una anomalia che non permetta il rispetto dei valori limiti di emissione in atmosfera (stabilito dal comma 14 dell’art. 271).
 
L’AIA non si limita a fissare limiti di emissione, ma deve contenere anche altre disposizioni per la protezione del suolo e delle acque sotterranee, per una corretta gestione dei rifiuti prodotti, per la riduzione dell’impatto acustico, per la manutenzione ed il monitoraggio delle misure adottate per prevenire le emissioni nel suolo e nelle acque sotterranee, e disposizioni adeguate relative al controllo periodico del suolo e delle acque sotterranee in relazione alle sostanze pericolose che possono essere presenti nel sito, e tenuto conto della qualità del suolo stesso.
 
Il monitoraggio delle installazioni AIA è sempre stato di primaria importanza, ed i commi 6 e 6-ter dell’art. 29-sexies del D.L.vo n. 152/2006 stabiliscono disposizioni specifiche relativamente ai controlli delle emissioni di competenza del gestore o dell’autorità di controllo. Il D.L.vo n. 46/2014, recependo le disposizioni di cui all’art. 22 della direttiva 2010/75/UE, attribuisce una particolare importanza al monitoraggio dello stato del suolo e delle acque sotterranee, si pensi all’obbligo di redazione della relazione di riferimento già citata. Pertanto, l’art. 29-sexies al comma 6-bis prevede che l’AIA stabilisca un programma di controlli anche su suolo ed acque sotterranee, mentre al comma 9-quinquies stabilisce che l’autorità competente fissi specifiche condizioni di autorizzazione affinché il gestore, a prescindere dall’obbligo o meno di redigere una relazione di riferimento, al momento della cessazione definitiva dell’attività valuti lo stato di contaminazione del suolo o delle acque sotterranee da parte di sostanze pericolose pertinenti usate, prodotte o rilasciate dall’installazione e prenda le opportune precauzioni per rimediare all’eventuale inquinamento prodotto.
 
Le indicazioni di cui al comma 9-quinquies dell’art. 29-sexies fanno, però, riferimento alla cessazione definitiva di un’installazione, per cui vi è la non remota possibilità che a tale data potrebbe non esistere più neppure il gestore, pertanto il legislatore ha previsto che “a garanzia degli obblighi di cui alla lettera c del comma 9-quinquies, l’autorizzazione integrata ambientale prevede adeguate garanzie finanziarie, da prestare entro 12 mesi”, e calcolate secondo modalità definite con appositi decreti del Ministero dell’ambiente (vedasi, al proposito, il decreto del MATTM del 26 maggio 2016). Tale obbligo, però, riguarda solo la lett. c) del comma 9-quinquies, relativo a gestori tenuti a presentare la relazione di riferimento, mentre non risulta prevista alcuna garanzia a favore dell’autorità competente per attuare quanto previsto dalla lettera e).
 
Infine, in merito ai contenuti dell’AIA, si sottolinea che, in virtù di quanto stabilito dal comma 9 dell’art. 29-sexies, la stessa può prevedere miglioramenti progressivi obbligando il gestore:

  • a redigere progetti migliorativi. Tali progetti vanno presentati quale modifica da valutarsi ai sensi dell’art. 29-nonies;
  • a raggiungere determinate ulteriori prestazioni ambientali in tempi fissati, impegnando il gestore ad individuare le tecniche necessarie. Dal momento che gli obiettivi ambientali relativi a tale fattispecie sono già definiti dall’autorità competente, il legislatore prevede solo l’obbligo di comunicazione, escludendo l’attivazione della procedura di cui all’art. 29-nonies.

 

 

  1. Deroga dal rispetto dei limiti di emissione

 

L’autorità competente può fissare valori limite di emissione meno severi di quelli associati alle migliori tecniche disponibili (BAT-AEL) nei casi individuati dal comma 9-bis dell’art. 29-sexies. La deroga può essere concessa se detti limiti possano comportare un rapporto costi – benefici sproporzionato rispetto ai vantaggi ambientali conseguibili, tenuto conto dell’ubicazione geografica e delle condizioni ambientali locali dell’istallazione interessata e delle sue caratteristiche tecniche.
 
Ai fini della concessione della deroga, l’autorità competente è obbligata a redigere uno specifico documento da allegarsi all’AIA, nel quale devono essere riportate le motivazioni della scelta e giustificate le diverse condizioni imposte. Il documento attestante la fattibilità della concessione della deroga deve essere redatto dall’autorità competente nel rispetto delle linee guida fornite dall’allegato XII-bis alla parte seconda del D.L.vo n. 152/2006, il quale individua dodici casistiche differenti per la concessione della deroga; esse rimarcano, in generale, l’importanza della dimostrazione che il rispetto dei BAT-AEL non garantisca effettivi benefici per l’ambiente o la necessità di differire i tempi per il loro rispetto in modo da garantire il raggiungimento del punto di pareggio per gli investimenti già effettuati. Le ragioni della deroga devono essere comunicate dall’autorità competente al MATTM entro 120 giorni dall’emanazione dell’AIA, in modo che lo stesso possa relazionare la Commissione Europea nell’ambito delle comunicazioni periodiche previste dall’art. 29-terdecies.
 
L’eventuale concessione di una deroga responsabilizza l’autorità competente, la quale deve, in ogni caso, appurare che “non si verifichino eventi inquinanti di rilievo e che si realizzi nel complesso un elevato grado di tutela ambientale”, e riesaminare la sussistenza delle condizioni che hanno reso possibile la proroga nei successivi riesami dell’AIA.
 
L’art. 29-sexies, al comma 9-ter, prevede anche deroghe temporanee, che l’autorità competente può concedere in caso di sperimentazione e di utilizzo di tecniche emergenti[7]; tale deroga non può protrarsi per più di 9 mesi, trascorsi i quali le emissioni devono rispettare i BAT-AEL.
 
Si noti che la deroga è praticabile esclusivamente per i BAT-AEL, mentre non è ammissibile per i valori limite di emissione fissati nel D.L.vo n. 152/2006. Ricordando quanto disposto dal comma 3 dell’art. 29-sexies, risultano altrettanto inderogabili i limiti “fissati dalla normativa vigente nel territorio in cui è ubicata l’installazione”.

 

 

  1. Riesame dell’AIA e modifiche del gestore

Nonostante l’epigrafe dell’art. 29-octies si riferisca espressamente a “rinnovo e riesame” dell’AIA, a partire dall’entrata in vigore del D.L.vo n. 46/2014 l’istituto del rinnovo periodico non è più contemplato dall’ordinamento normativo in tema di AIA, pertanto, dal 11 aprile 2014 (che si ricorda essere la data di entrata in vigore del D.L.vo n. 46/2014) vengono a decadere le scadenze per il rinnovo delle AIA rilasciate antecedentemente il recepimento della direttiva 2010/75/UE, precedentemente fissate in 5 anni, 6 anni per impianti certificati UNI EN ISO 14001, 8 anni per impianti registrati EMAS o 10 anni per gli impianti di cui al punto 6.6 dell’allegato VIII.
 
La circolare del MATTM del 27 ottobre 2014, al paragrafo 3, prevede che i procedimenti di rinnovo periodico eventualmente avviati dopo il 7 gennaio 2013 (data di entrata in vigore della direttiva 2010/75/UE) avrebbero dovuto essere convertiti in procedimenti di riesame e, qualora la scadenza della AIA posseduta fosse stata successiva al 10 aprile 2014, il gestore avrebbe potuto chiederne l’archiviazione, ridefinendo la scadenza eventualmente riportata sull’atto autorizzativo. Quindi, le AIA in vigore alla data del 11 aprile 2014 risultano, di fatto, prorogate.
 
Pertanto, a far data dal 11 aprile 2014, l’autorità competente procede al riesame dell’AIA nei seguenti casi:

  • entro 4 anni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’UE delle decisioni relative alle conclusioni sulle BAT riferite all’attività principale di un’installazione;
  • quando sono trascorsi 10 anni dal rilascio dell’AIA o dall’ultimo riesame effettuato sull’intera installazione; il termine di 10 anni aumenta a 12 o 16 anni per le installazioni che all’atto del rilascio dell’AIA (o dei successivi riesami) siano risultate rispettivamente certificate UNI EN ISO 14001 o registrate EMAS;
  • a giudizio della stessa autorità competente o, in caso di installazioni di competenza statale, a giudizio dell’amministrazione competente in materia di qualità della specifica matrice ambientale interessata, si renda necessaria la revisione o l’integrazione dei valori limite di emissione fissati nell’AIA per effetto dell’entità dell’inquinamento generato dall’installazione ed in particolare qualora sia accertato che le prescrizioni stabilite nell’autorizzazione non garantiscano il conseguimento degli obiettivi di qualità ambientale stabiliti dagli strumenti di pianificazione e programmazione di settore;
  • quando le migliori tecniche disponibili hanno subito modifiche sostanziali, che consentono una notevole riduzione delle emissioni;
  • quando una amministrazione competente in materia di igiene e sicurezza del lavoro, ovvero in materia di sicurezza o di tutela dal rischio di incidente rilevante ritenga che si debbano adottare altre tecniche per la sicurezza di esercizio del processo o dell’attività;
  • qualora sia reso necessario da nuove disposizioni legislative comunitarie, nazionali o regionali o da norme di qualità ambientali;
  • quando siano stati fissati limiti di emissione con tempi di riferimento diversi da quelli delle BAT-AEL e la prevista verifica periodica del rispetto della corrispondenza delle emissioni prodotte alle BAT-AEL riferite a condizioni di esercizio normale abbia dato esito negativo (fattispecie di cui alla lettera b) del comma 4-bis dell’art. 29-sexies) senza evidenziare violazioni delle prescrizioni rendendo necessario l’aggiornamento dell’AIA per garantire che, in condizioni di esercizio normali, le emissioni corrispondano alle BAT-AEL.

 

Per le casistiche riportate ai precedenti punti 3, 4, 5, 6 e 7, il riesame può riguardare anche solo una parte delle installazioni. Le modalità di avvio del riesame sono stabilite dal comma 5 dell’art. 29-octies, al quale si rimanda.
 
In base a quanto previsto dal comma 7 dell’art. 29-quater, il riesame può essere richiesto anche dal Sindaco, qualora lo ritenga necessario nell’interesse della salute pubblica, e tramite un motivato provvedimento corredato dalla relativa documentazione istruttoria e da puntuali proposte di modifica dell’autorizzazione.
 
Circa le modalità istruttorie da applicarsi ai riesame ci si limita a rimarcare che il comma 10 dell’art. 29-octies ha previsto che il riesame sia condotto con le modalità di cui al comma 4 dell’art. 29-ter (riguardante la verifica di completezza) ed all’art. 29-quater prevedendo, così, la pubblicazione sul sito web della presentazione delle informazioni riguardanti il riesame per garantire la partecipazione del pubblico, che, invece, non era previsto nel D.L.vo n. 152/2006, prima delle modifiche apportata dal D.L.vo n. 46/2014, per l’istituto del rinnovo.
 
Il riesame ha l’obiettivo di garantire che le installazioni si adeguino alle conclusioni sulle BAT che sono state eventualmente aggiornate rispetto a quando è stata rilasciata o riesaminata per l’ultima volta l’autorizzazione, e di rivedere le prescrizioni dell’AIA, visto che potrebbero mutare anche le condizioni del sito e quelle ambientali.
 
In particolare, con il riesame l’autorità competente deve garantire che le condizioni delle AIA siano conformi alle conclusioni sulle BAT entro quattro anni dalla loro pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’UE, affinché entro il medesimo termine, improrogabile, le installazioni rispettino le condizioni delle AIA aggiornate in base alle conclusioni sulle BAT.

 

L’art. 29-nonies disciplina due casistiche legate ad iniziative del gestore:

  • variazione del gestore;
  • modifiche da apportarsi all’installazione.

 

Nel primo caso, qualora intervengano variazioni nella titolarità della gestione di un impianto, sia il vecchio sia il nuovo gestore devono darne comunicazione all’autorità competente, anche nelle forme dell’autocertificazione. Quindi, la domanda di volturazione non deve essere necessariamente preventiva, essendo data possibilità di presentarla entro 30 giorni dall’avvenuta variazione di titolarità.

 

Più articolata è, invece, la procedura prevista nel caso di modifiche impiantistiche.
 
Innanzitutto, occorre ricordare le definizioni fornite dalle lettere l) ed l-bis) del comma 1 dell’art. 5 del D.L.vo n. 152/2006, in base alle quali:

  • è modifica di una installazione (la definizione si riferisce, erroneamente, ancora all’impianto) una variazione delle sue caratteristiche o del suo funzionamento, ovvero un suo potenziamento, che possa produrre effetti sull’ambiente;
  • è modifica sostanziale di una installazione (anche in questo caso la definizione si riferisce impropriamente all’impianto): la variazione delle caratteristiche o del funzionamento ovvero un potenziamento della medesima che, secondo l’autorità competente, produca effetti negativi e significativi sull’ambiente. In particolare, per le categorie per le quali nell’allegato VIII è indicato un valore di soglia, è sostanziale una modifica che dia luogo ad un incremento del valore di una delle grandezze oggetto della soglia, pari o superiore al valore della soglia stessa.

 

Pertanto, qualora un gestore intenda procedere ad effettuare modifiche, deve comunicarle all’autorità competente preventivamente (si parla, infatti, di “modifiche progettate”), la quale può procedere in uno dei seguenti modi alternativi:

  • nel caso ritenga non sostanziale la modifica, può aggiornare, ove necessario, l’AIA in essere;
  • oppure, qualora la reputi sostanziale, informa il gestore entro 60 giorni dal ricevimento della comunicazione affinché egli provveda a presentare una nuova domanda di autorizzazione, corredata da una relazione contenente un aggiornamento delle informazioni di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 29-ter. Nel caso di modifica sostanziale si procede con la già esaminata procedura stabilita dagli art. 29-ter e 29-quater, ivi comprese, quindi, le misure di pubblicità e di partecipazione del pubblico interessato.

 

Tale modo di procedere rende evidente che un’omessa espressione da parte dell’autorità competente, entro il termine previsto, abilita, di fatto, l’intervento progettato, non lasciando ad essa la possibilità di diniegare a posteriori; si è in presenza, quindi, di una sorta di silenzio assenso, che obbliga l’autorità competente ad esprimersi tassativamente entro il termine di 60 giorni qualora giudichi sostanziale la modifica. La procedura prevista in caso di modifica sostanziale può comunque essere attivata direttamente dal gestore.
 
Il D.L.vo n. 46/2014 ha introdotto, nell’art. 29-nonies, un nuovo adempimento per i gestori, consistente nell’obbligo di informare l’autorità competente e l’autorità di controllo di cui al comma 3 dell’art. 29-decies “in merito ad ogni nuova istanza presentata per l’installazione ai sensi della normativa in materia di prevenzione dai rischi di incidente rilevante, ai sensi della normativa in materia di valutazione di impatto ambientale o ai sensi della normativa in materia urbanistica”. Il comma 3 dell’art. 29-ocites prevede che tale comunicazione sia inviata preventivamente all’effettuazione degli interventi, senza però stabilire l’entità del preavviso, e deve essere accompagnata dalle valutazioni fatte dal gestore per escludere che gli interventi non comportino “né effetti sull’ambiente, né contrasto con le prescrizioni esplicitamente già fissate nell’autorizzazione integrata ambientale”. Nonostante non sia prevista esplicitamente alcuna valutazione da parte dell’autorità competente, il fatto che la comunicazione debba essere preventiva rende evidente che l’autorità competente possa comunque svolgere il proprio ruolo di controllore, e giudicare la veridicità delle affermazioni del gestore.

 

  1. Rispetto delle condizioni dell’AIA e azioni in caso di inosservanza

 

Affinché l’AIA esplichi la sua efficacia a tutti gli effetti, è necessario che il gestore, prima di dare attuazione a quanto previsto dall’autorizzazione, ne dia preventiva comunicazione all’autorità competente (comma 1 dell’art. 29-decies).
 
Da quel momento il gestore deve trasmettere all’autorità competente e ai comuni interessati, i dati relativi ai controlli delle emissioni effettuati con le modalità e le frequenze stabilite dall’AIA. Il decreto non stabilisce se per “comuni interessati” si debbano intendere quelli interessati dagli impatti o solamente quelli sede dell’installazione, tuttavia, il fatto che all’istruttoria partecipi il sindaco competente fa supporre che si tratti dei comuni interessati fisicamente dall’installazione, o comunque competenti per titoli abilitativi sostituiti dall’AIA, ovvero per l’adozione dei provvedimenti di cui al comma 10 dell’art. 29-decies.
 
Le informazioni relative al monitoraggio sono messe a disposizione anche del pubblico tramite gli uffici individuati per il deposito delle istanze in sede istruttoria, individuati ai sensi dell’art. 29-quater, ovvero mediante pubblicazione sul sito web dell’autorità competente.

 

Ai controlli imposti dall’AIA a cura del gestore si aggiungono quelli a carico di ISPRA per le installazioni di competenza statale o dell’autorità competente, che si avvale delle agenzie regionali e provinciali per la protezione dell’ambiente per le altre installazioni. Tali soggetti sono incaricati di effettuare, con oneri a carico del gestore, controlli programmati secondo le modalità stabilite nell’AIA ai sensi del comma 6-ter dell’art. 29-sexies (il comma 3 dell’art. 29-decies fa erroneamente riferimento al comma 6 dell’art. 29-sexies). I controlli di tali autorità sono finalizzati a verificare:

  • il rispetto delle condizioni dell’AIA;
  • la regolarità dei controlli a carico del gestore, sia per quanto riguarda le misure ed i dispositivi di prevenzione dell’inquinamento sia per quanto attiene il rispetto dei valori limite di emissione;
  • che il gestore abbia ottemperato ai propri obblighi di comunicazione ed abbia informato l’autorità competente e che, in caso di inconvenienti o incidenti che influiscano in modo significativo sull’ambiente, abbia trasmesso tempestivamente i risultati della sorveglianza delle proprie emissioni.

 

Controlli possono essere effettuati anche da tutti gli organi aventi funzioni di vigilanza, controllo, ispezione e monitoraggio sulle installazioni soggette ad AIA e che acquisiscano informazioni in materia ambientale rilevanti ai fini dell’applicazione del D.L.vo n. 152/2006.
 
Gli esiti dei controlli e delle ispezioni sono comunicati all’autorità competente ed al gestore, indicando le situazioni di mancato rispetto delle prescrizioni e proponendo le misure da adottare.

 

Qualora durante gli accertamenti vengano riscontrate violazioni delle prescrizioni, o qualora un gestore eserciti l’attività senza la prevista autorizzazione, l’autorità competente procede, secondo la gravità delle infrazioni con diffide o con azioni più incisive come la chiusura dell’installazione. Quest’ultima azione è prevista anche “nel caso in cui l’infrazione abbia determinato esercizio in assenza di autorizzazione”.

 

In caso di violazioni, nell’art. 29-quattuordecies sono previste sanzioni sia penali sia amministrative. Quelle penali sono stabilite dall’autorità giudiziaria, mentre quelle amministrative sono irrogate dal prefetto, per le installazioni di competenza statale, e dall’autorità competente, per tutte le altre installazioni. Le sanzioni di cui all’art. 29-quattuordecies sostituiscono quelle previste dalle norme di settore che, tuttavia, rimangono in vigore solo finché non è trasmessa la comunicazione di cui al comma 1 dell’art. 29-decies.

 

 

[1] Punto 22) dell’art. 2 del Reg. 1221/2009: “Sito, un’ubicazione geografica precisa, sotto il controllo gestionale di un’organizzazione che comprende attività, prodotti e servizi, ivi compresi tutte le infrastrutture, gli impianti e i materiali; un sito è la più piccola entità da considerare ai fini della registrazione”.

[2] Paragrafo 2 dell’art. 3 della direttiva 2010/75/UE: “«inquinamento», l’introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana, di sostanze, vibrazioni, calore o rumore nell’aria, nell’acqua o nel terreno, che potrebbero nuocere alla salute umana o alla qualità dell’ambiente, causare il deterioramento di beni materiali, oppure danni o perturbazioni a valori ricreativi dell’ambiente o ad altri suoi legittimi usi”.

[3] Comma 1 dell’art. 10 del D.L.vo 372/1999: “I gestori degli impianti in esercizio di cui all’allegato I trasmettono all’autorità competente e al Ministero dell’ambiente per il tramite dell’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente, entro il 30 aprile di ogni anno i dati caratteristici relativi alle emissioni in aria, acqua e suolo, dell’anno precedente. La prima comunicazione si effettua entro il 30 aprile dell’anno successivo alla pubblicazione del decreto di cui al comma 2”.

[4] Tale ultimo punto è stato introdotto dal D.L.vo n. 46/2014, in sostituzione della precedente lett. f) del comma 16 dell’art. 6 del D.L.vo n. 152/2006 ed è diretta conseguenza della lett. h) dell’art. 11 e dell’art. 22 della Direttiva 2010/75/UE.

[5] Paragrafo 2 dell’art. 16 della direttiva 1996/61/CE: “La Commissione organizza lo scambio di informazioni tra gli Stati membri e le industrie interessate sulle migliori tecniche disponibili, sulle relative prescrizioni in materia di controllo e i relativi sviluppi. La Commissione pubblica ogni tre anni i risultati degli scambi di informazioni”.

[6] Paragrafo 2 dell’art. 17 della direttiva 2008/1/CE: “La Commissione organizza lo scambio di informazioni tra gli Stati membri e le industrie interessate sulle migliori tecniche disponibili, sulle relative prescrizioni in materia di controllo e sui relativi sviluppi”.

[7] La definizione di tecnica emergente è fornita dalla lett. l-ter.5) del comma 1 dell’art. 5 del D.L.vo n. 152/2006 che la definisce come “una tecnica innovativa per un’attività industriale che, se sviluppata commercialmente, potrebbe assicurare un più elevato livello di protezione dell’ambiente nel suo complesso o almeno lo stesso livello di protezione dell’ambiente e maggiori risparmi di spesa rispetto alle migliori tecniche disponibili esistenti”.

Torna all'elenco completo

© Riproduzione riservata