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Il terriccio ottenuto dal lavaggio dei prodotti agricoli è rifiuto o non rifiuto?

di Alessandra Corru'

Categoria: Rifiuti

Con riferimento alla corretta qualificazione degli scarti vegetali – composti da fango e terriccio – derivanti dal lavaggio di prodotti agricoli, prodotti vegetali eduli o radici, si fa presente che è una tematica fondamentale per il settore agroalimentare, purtroppo mai definitivamente chiarita dal legislatore[1].

Il nostro ordinamento iniziò ad affrontare detto tema con il D.L.vo 22/1997 (Decreto Ronchi) che all’art. 8, co. 1, lett. c) stabiliva come le terre da coltivazione provenienti dalla pulizia dei prodotti vegetali eduli fossero escluse dalla disciplina sui rifiuti.

Nel 2006 però, con l’entrata in vigore del D.L.vo 152/2006, mutò la posizione del nostro ordinamento. L’art. 185, co. 2, prevedeva infatti che i materiali litoidi o le terre da coltivazione, anche sotto forma di fanghi, provenienti dalla pulizia o dal lavaggio di prodotti agricoli, potessero rientrare tra i sottoprodotti solo se rispettavano le condizioni dettate dall’art. 183 c. 1, lett. p) dello stesso D.L.vo152/2006. Da un regime, quindi, che escludeva in toto l’inclusione nella gestione dei rifiuti, si passò alla previsione, più restrittiva, di una possibilità che il terriccio ottenuto dal lavaggio dei prodotti eduli potesse rientrare nei sottoprodotti.

Il D.L.vo 3 dicembre 2010 n. 205 sostituì, rispettivamente, gli artt. 183 e 185 del D.L.vo 152/2006 andando ad eliminare quanto di poco si dettava in tema dei materiali provenienti dalla pulizia di prodotti vegetali.

Nel momento in cui si scrive, in mancanza di indicazioni puntuali da parte del legislatore che aiutino a chiarire la corretta qualificazione degli scarti vegetali derivanti dal lavaggio di prodotti agricoli, si potrebbe applicare – quanto meno per analoga ratio – il regime delle esclusioni di cui all’art. 185, co. 1, lett. f)[2], D.L.vo 152/2006, fermo restando il rispetto da parte di chi invoca tale esclusione degli oneri probatori ad essa incombenti.

Ad avvalorare questa linea interpretativa vi è la sentenza n. 433 dell’1 agosto 2007 del TAR Emilia Romagna, Parma Sez. I, che esclude che il terriccio che residua dalla lavorazione delle barbabietole da zucchero costituisca rifiuto da assoggettare alla disciplina del D.L.vo 22/1997 (ora D.L.vo 152/2006).

 

 

Tuttavia, sul punto si segnala la più recente sentenza del 30 aprile 2019, n. 17819, con la quale la Corte di Cassazione si è pronunciata in termini diversi, seppur con riferimento all’accumulo dei fanghi: “L’accumulo di fanghi derivanti dalla pulizia delle vasche di decantazione delle acque di lavaggio degli ortaggi (nella specie, carote), l’escavazione e il deposito sul terreno per l’essicamento sono condotte estranee all’attività produttiva di lavaggio e confezionamento per la vendita degli stessi, con conseguente esclusione dell’ipotesi del sottoprodotto di cui all’art. 184-bis D.Lvo n. 152/2006 ed applicazione della disciplina sui rifiuti.

Ed ancora, Tar Campania, Sez. II (Salerno), n. 2218 del 20 luglio 2018: “Con riferimento alla classificazione dei rifiuti derivanti dalla pulizia e primo lavaggio dei pomodori prodotti dalle aziende agricole che si occupano del comparto produttivo delle conserve alimentari, in applicazione di quanto espressamente stabilito dal D.M. 5 febbraio 1998, ai rifiuti riconducibili alla tipologia “terre da coltivo derivanti da pulizia di materiali vegetali eduli” (punto 7.31) provenienti dall’industria agroalimentare in genere (punto 7.31.1), debbono essere attribuiti unicamente il codice 020401, per i residui derivanti dalla pulizia delle barbabietole, e il codice 020199, per i residui derivanti dalla pulizia di tutti gli altri materiali vegetali eduli. Infatti, l’inequivoca attribuzione del codice 020199 ai rifiuti derivanti dalla pulizia e primo lavaggio di tutti i materiali vegetali eduli (diversi dalla barbabietola, per la quale vale lo specifico codice 020401) prodotti dall’industria agroalimentare non sembra lasciare alcuno spazio all’assegnazione di codici identificativi alternativi per il terriccio derivante dal primo lavaggio dei pomodori”.

Non è, dunque, inconciliabile la possibilità che le terre derivanti dalla pulizia di materiali vegetali possano essere considerate sia rifiuti che non rifiuti. Tali terre, quindi, rispettando l’art. 185, co. 1, lett. f), del D.L.vo 152/2006 possono essere considerate non rifiuti e riutilizzate nelle normali pratiche agricole ma, qualora s’intendesse recuperarle indirizzandole ad attività di recupero nell’industria della ceramica o dei laterizi (come previsto dal punto 7.31.3 del DM 5 febbraio 1998) sono assoggettate alla disciplina di rifiuti non pericolosi destinati alle procedure semplificate di recupero.

 

[1] S.MAGLIA, Pulizia di prodotti eduli: rifiuto o non rifiuto?, articolo consultabile sul sito www.tuttoambiente.it

[2] Art. 185 – (Esclusioni dall’ambito di applicazione):

“1. Non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del presente decreto:

[…]

f) le materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b), del presente articolo, la paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, gli sfalci e le potature effettuati nell’ambito delle buone pratiche colturali, utilizzati in agricoltura, nella silvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi, mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana, nonché la posidonia spiaggiata, laddove reimmessa nel medesimo ambiente marino o riutilizzata a fini agronomici o in sostituzione di materie prime all’interno di cicli produttivi, mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana.”

 

Piacenza, 29 marzo 2022

 

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