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"Mi occupo di diritto ambientale da oltre trent’anni TuttoAmbiente è la guida più autorevole per la formazione e la consulenza ambientale Conta su di noi" Stefano Maglia
Le tecniche di bonifica richieste ad un aspirante Responsabile tecnico gestione rifiuti Cat.9
di Chiara Zorzino
Categoria: Bonifiche
Ad oggi per diventare Responsabile tecnico gestione rifiuti per la Categoria 9 “Bonifica di siti” occorre superare l’esame appositamente predisposto dell’Albo Nazionale Gestori Ambientali ovvero collezionare un punteggio pari ad almeno 32 punti su 40 totali nel test relativo agli argomenti del modulo obbligatorio e 34 punti, sempre su 40, in quello incentrato prettamente sul tema delle bonifiche dei siti. Questo è quanto sancito dalle due delibere n. 6 e 7 del 30 maggio 2017 dell’ANGA.
Per prepararsi, gli aspiranti Responsabili tecnici dovranno apprendere i contenuti oggetto delle prove ed esercitarsi durante e dopo lo studio simulando il giorno dell’esame[1] oppure imparare a memoria tutti gli attuali 1500 quiz (più di 800 per il modulo generale e quasi 700 per il modulo specialistico) del reservoir da cui sono estratte le 80 domande della verifica di idoneità.
Sicuramente la stragrande maggioranza di essi approccerà la prima strada e si appresterà ad imparare le nozioni richieste sia per superare la verifica sia per affrontare la quotidianità professionale del RT.
Correttamente e razionalmente è richiesto[2] che i candidati conoscano gli articoli dal n. 239 al n. 253 del Titolo V “Bonifica di siti contaminati” della Parte Quarta “Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati” del D.L. vo n. 152/06 e i suoi cinque allegati. Tanto per citare alcune tematiche, a titolo esemplificativo: il campo di applicazione, le definizioni di sito contaminato e potenzialmente contaminato, di CSC e di CSR, gli oneri gravanti su responsabili e proprietari anche incolpevoli, l’esistenza delle Colonne A e B della Tabella delle CSC per suolo e sottosuolo e la sacrosanta procedura di bonifica dal punto di vista amministrativo ed operativo, senza dimenticare la procedura semplificata e la messa in sicurezza, etc.
Tuttavia è pur vero che viene richiesto che il candidato sappia a menadito anche la definizione di inquinamento diffuso[3] e una ventina di tecniche di bonifica tra le più disparate. A fianco di una manciata di tecnologie ampiamente in uso e conosciute, bisogna conoscere anche altre tecniche raramente applicabili nella pratica. Nell’elencazione delle varie metodologie di bonifica, trovano posto anche alcune non proprio qualificabili come tali, ma piuttosto come metodiche di trattamento dei rifiuti o delle acque.
Premettendo che le tecniche possono applicarsi: in situ, ossia senza rimuovere la matrice contaminata dalla sua attuale posizione, on-site, cioè rimuovendo la matrice contaminata dalla sua posizione per trattarla e riutilizzarla nel sito stesso e infine off-site, ovvero trasportando e rimuovendo la matrice contaminata all’esterno del sito per un successivo trattamento o smaltimento, vediamo quali sono le tecniche che un RT dovrebbe conoscere, per la matrice suolo:
– “soil washing”, generalmente impiegato off-site oppure molto raramente on-site per quantitativi minori di suolo, si basa sul principio di separazione dei contaminati, assunto che questi vengano veicolati mediante le particelle più fini presenti nelle frazioni del suolo, mediante desorbimento dalla matrice del suolo alla fase acquosa additivata con cui viene effettuato il “lavaggio” del suolo. Gli additivi sono in genere: tensioattivi, biosurfattanti, solventi organici. È applicabile in caso di contaminazione del suolo da parte di metalli pesanti, idrocarburi (inquinamento localizzato) e pesticidi (inquinamento diffuso).
– “soil vapour extraction (SVE)” (in situ), tecnologia che consiste in un sistema di insufflazione ed estrazione di vapore per mezzo di appositi pozzi posti sempre al di sopra della falda (zona insatura). Dedicata alla rimozione di inquinanti che hanno un’alta tensione di vapore o un basso punto di ebollizione, quindi primariamente COV e idrocarburi a catena corta. Connessa concettualmente con la tecnica dell’“air sparging” (in situ) che sfrutta l’iniezione d’aria in pressione nella zona satura del suolo e/o della falda al fine di “strippare” composti organici in soluzione e di volatilizzare quelli nell’interstizio, inducendo inoltre i processi di biodegradazione aerobica degli stessi.
– “solidificazione/stabilizzazione” (in situ), ovvero la inertizzazione del suolo mediante immobilizzazione degli inquinanti nella forma chimica più insolubile, meno mobile e nociva. Privilegiata per inquinanti inorganici, che restano intrappolati fisicamente all’interno della matrice. Questa tecnica comporta inevitabilmente non pochi vincoli alla destinazione d’uso del sito post-bonifica.
-“ossidazione chimica” o “In Situ Chemical Oxidation -ISCO”, generalmente applicata in situ, consiste nell’iniezione di un reagente ossidante (perossido di idrogeno H2O2 – processi Fenton o Fenton-like, ozono, permanganato di potassio, persolfato di sodio,..) direttamente nel suolo contaminato da composti organici alogenati e idrocarburi a lunga catena.
– “capping”, tecnica on-site realizzabile attraverso l’intrappolamento del suolo contaminato a mezzo di una copertura (temporanea o definitiva), al di sopra della quale è possibile posizionare terreno agrario o vegetazione apposita che non possa compromettere la funzionalità della copertura ad esempio a causa di apparato radicale profondo.
Il RT dovrà inoltre avere familiarità con le tecniche per la matrice acqua sotterranea, in particolare:
– “pump and treat” (in situ) , ovvero il pompaggio, mediante pozzi di estrazione, e trattamento in superficie delle acque di falda inquinate da sostanze idrosolubili o miscibili e successivo re-immissione dell’acqua trattata nella falda o in fognatura o in acque superficiali.
– “air stripping” (on-site), è un trattamento chimico-fisico basato sullo “strippaggio”, ovvero il passaggio delle componenti organiche volatili presenti nella falda e nell’interstizio e si realizza tramite l’immissione forzata di una corrente d’aria (air stream); del tutto similare allo SVE, già visto sopra.
Tuttavia, le domande vertono anche su tecniche conosciute ma purtroppo ad oggi non largamente impiegate, specialmente per ragioni di fattibilità tecnica (e temporale) ed economica, quali: il “bio-risanamento”, il “fito-risanamento” o “phyto-remediation”, le “biopile”. Il primo riguarda casi di inquinamento provocati da derivati del petrolio ed è una tecnica on site fondata sulle trasformazioni biochimiche attuate da microrganismi (batteri, lieviti e attinomiceti) sulle sostanze responsabili della contaminazione. La “phyto-remediation”, sempre più nota al grande pubblico, grazie alla recente ondata “green” che ha travolto tutti i settori e realtà aziendali di ogni dimensione, trova – dispiace dirlo – al momento, scarso impiego per ragioni principalmente legate ai tempi di esecuzione (decisamente lunghi se paragonati ad altre tecniche) e alla tipologia di inquinanti cui si applica (metalli pesanti e, in parte, a composti organici). Infine le “biopile” costituiscono una tecnica on site che presenta forti analogie con le tecniche di bio-risanamento e di “landfarming”; le porzioni di suolo contaminato vengono rimosse e riposizionate in apposite strutture funzionali chiamate “pile”, ove i processi di bonifica e depurazione sono regolati dall’attività di numerosi ceppi microbici appositamente selezionati che vengono messi nelle migliori condizioni nutrizionali e ambientali (di temperatura, pH, potenziale redox). Questa tecnica, comprensibilmente vincolati a tempistiche non sempre agevoli, è particolarmente indicata per idrocarburi, composti aromatici e alogenati.
Sono oggetto di quiz anche alcune tecniche “di bonifica” dei suoli contaminati che potremmo definire “da manuale”, in quanto impiegate molto raramente nell’uso comune, perché tecnicamente o economicamente insostenibili: il “bio-venting”, la “tecnica con bio-reattori”, la “depurazione a scambio ionico”, la “barriera permeabile reattiva”, l’“estrazioni con solventi”, il “soil flushing” e il “lagunaggio”. Occorrerà dunque che i candidati conoscano anche tali metodologie per quanto concerne il loro funzionamento e gli inquinanti a cui si applicano (in teoria).
Tra le tecniche più peculiari, ma meno applicabili nella realtà, si cita una tecnica a cui l’Albo dedica ben una quindicina di quiz, ovvero il “desorbimento termico del suolo”, processo in situ basato sulla depurazione del suolo da contaminanti organici volatili e semivolatili (IPA, oli minerali, idrocarburi alogenati) mediante pirolisi, ovvero degradazione termica in assenza di agente ossidante. L’esaminando dovrà essere in grado di selezionare le risposte esatte, come questa: “ (la tecnica di desorbimento termico del suolo) prevede la presenza di alcuni pozzetti di immissione posti lungo il perimetro della zona contaminata che permettono l’iniezione di vapore nel suolo a temperature che variano generalmente tra i 150 ai 230 °C.” E ancora dovrà ricordare che i diversi tipi di trattamento si differenziano sul tipo di unità di desorbimento adottata: “-con unità di desorbimento a riscaldamento diretto: il terreno viene riscaldato attraverso il contatto diretto con un vettore di calore. Questo può essere costituito da un tamburo rotante al cui interno viene bruciato un combustibile ausiliario -con unità di desorbimento a riscaldamento indiretto: il processo avviene per scambio termico tra il terreno da bonificare e delle superfici metalliche che vengono riscaldate. La temperatura del processo varia da 300 a 500 °C“. Non è questa la sede di un’analisi di reale fattibilità, anche in termini di spesa energetica ed economica di questa tecnica; lascio la riflessione ai Responsabili tecnici una volta che saranno insigniti del titolo.
In ogni caso le tecniche non si esauriscono qui.
Numerosi sono i quiz che vertono anche su altre tecnologie definibili “di bonifica” in senso lato, ma non in senso giuridico: il compostaggio; lo scavo e smaltimento del suolo; l’incenerimento del suolo.
Il compostaggio è una tecnica basata sul processo aerobico di degradazione, stabilizzazione e umificazione della sostanza organica per la produzione di compost che generalmente viene impiegata nel recupero dei rifiuti. Il futuro RT dovrà, ad esempio, imparare che è applicabile a carburanti diesel, IPA, TNT, RDX, HMX, NC, BTEX provenienti da infiltrazioni di cisterne di raccolta sotterranee, o pratiche di diserzione, esplosivi e propellenti provenienti da processi di produzione di munizioni o operazioni di disarmo, se vorrà rispondere correttamente ai quiz.
Quanto allo scavo e smaltimento del suolo, invece, è una procedura che comporta l’asportazione dei terreni contaminati, che devono essere movimentati da trasportatori autorizzati accompagnati dal FIR, e il successivo smaltimento in impianto autorizzato.
Infine, riguardo all’“incenerimento del suolo” l’aspirante responsabile dovrà rispondere correttamente al relativo quiz che riporta la seguente definizione, opinabile dal punto di vista strettamente giuridico: “L’incenerimento del suolo, anche detto termodistruzione del suolo, è una tecnologia di bonifica dei suoli contaminati che prevede l’invio del materiale estratto dal terreno contaminato ad un impianto di trattamento termico ad alta temperatura”.
Come in tutte le prove i quiz più “banali” si alternano a quelli che richiedono uno studio più approfondito e qualche ragionamento. Pertanto auspico a tutti i futuri candidati di avere una buona memoria e consiglio un costante training. Come? Studiando i contenuti e esercitandosi con le Simulazioni delle Verifiche per RTGR!
In bocca al lupo!
Piacenza, 24.06.2019
[1] TuttoAmbiente propone sia i corsi di preparazione, residenziali e “a distanza”, sia le simulazioni delle Verifiche di idoneità (in modalità “a distanza”). Per maggiori informazioni: https://www.tuttoambiente.it
[2] dagli atti del corso Responsabile Tecnico Gestione Rifiuti per Categoria 9 organizzato da TuttoAmbiente a Milano il 4 giugno 2019 nell’ambito della Scuola per RTGR VIII ed.
[3] D.L. vo n. 152/06, art. 240 c. 1 lett. r): “inquinamento diffuso: la contaminazione o le alterazioni chimiche, fisiche o biologiche delle matrici ambientali determinate da fonti diffuse e non imputabili ad una singola origine”
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Le tecniche di bonifica richieste ad un aspirante Responsabile tecnico gestione rifiuti Cat.9
di Chiara Zorzino
Ad oggi per diventare Responsabile tecnico gestione rifiuti per la Categoria 9 “Bonifica di siti” occorre superare l’esame appositamente predisposto dell’Albo Nazionale Gestori Ambientali ovvero collezionare un punteggio pari ad almeno 32 punti su 40 totali nel test relativo agli argomenti del modulo obbligatorio e 34 punti, sempre su 40, in quello incentrato prettamente sul tema delle bonifiche dei siti. Questo è quanto sancito dalle due delibere n. 6 e 7 del 30 maggio 2017 dell’ANGA.
Per prepararsi, gli aspiranti Responsabili tecnici dovranno apprendere i contenuti oggetto delle prove ed esercitarsi durante e dopo lo studio simulando il giorno dell’esame[1] oppure imparare a memoria tutti gli attuali 1500 quiz (più di 800 per il modulo generale e quasi 700 per il modulo specialistico) del reservoir da cui sono estratte le 80 domande della verifica di idoneità.
Sicuramente la stragrande maggioranza di essi approccerà la prima strada e si appresterà ad imparare le nozioni richieste sia per superare la verifica sia per affrontare la quotidianità professionale del RT.
Correttamente e razionalmente è richiesto[2] che i candidati conoscano gli articoli dal n. 239 al n. 253 del Titolo V “Bonifica di siti contaminati” della Parte Quarta “Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati” del D.L. vo n. 152/06 e i suoi cinque allegati. Tanto per citare alcune tematiche, a titolo esemplificativo: il campo di applicazione, le definizioni di sito contaminato e potenzialmente contaminato, di CSC e di CSR, gli oneri gravanti su responsabili e proprietari anche incolpevoli, l’esistenza delle Colonne A e B della Tabella delle CSC per suolo e sottosuolo e la sacrosanta procedura di bonifica dal punto di vista amministrativo ed operativo, senza dimenticare la procedura semplificata e la messa in sicurezza, etc.
Tuttavia è pur vero che viene richiesto che il candidato sappia a menadito anche la definizione di inquinamento diffuso[3] e una ventina di tecniche di bonifica tra le più disparate.
A fianco di una manciata di tecnologie ampiamente in uso e conosciute, bisogna conoscere anche altre tecniche raramente applicabili nella pratica.
Nell’elencazione delle varie metodologie di bonifica, trovano posto anche alcune non proprio qualificabili come tali, ma piuttosto come metodiche di trattamento dei rifiuti o delle acque.
Premettendo che le tecniche possono applicarsi: in situ, ossia senza rimuovere la matrice contaminata dalla sua attuale posizione, on-site, cioè rimuovendo la matrice contaminata dalla sua posizione per trattarla e riutilizzarla nel sito stesso e infine off-site, ovvero trasportando e rimuovendo la matrice contaminata all’esterno del sito per un successivo trattamento o smaltimento, vediamo quali sono le tecniche che un RT dovrebbe conoscere, per la matrice suolo:
– “soil washing”, generalmente impiegato off-site oppure molto raramente on-site per quantitativi minori di suolo, si basa sul principio di separazione dei contaminati, assunto che questi vengano veicolati mediante le particelle più fini presenti nelle frazioni del suolo, mediante desorbimento dalla matrice del suolo alla fase acquosa additivata con cui viene effettuato il “lavaggio” del suolo. Gli additivi sono in genere: tensioattivi, biosurfattanti, solventi organici. È applicabile in caso di contaminazione del suolo da parte di metalli pesanti, idrocarburi (inquinamento localizzato) e pesticidi (inquinamento diffuso).
– “soil vapour extraction (SVE)” (in situ), tecnologia che consiste in un sistema di insufflazione ed estrazione di vapore per mezzo di appositi pozzi posti sempre al di sopra della falda (zona insatura). Dedicata alla rimozione di inquinanti che hanno un’alta tensione di vapore o un basso punto di ebollizione, quindi primariamente COV e idrocarburi a catena corta. Connessa concettualmente con la tecnica dell’“air sparging” (in situ) che sfrutta l’iniezione d’aria in pressione nella zona satura del suolo e/o della falda al fine di “strippare” composti organici in soluzione e di volatilizzare quelli nell’interstizio, inducendo inoltre i processi di biodegradazione aerobica degli stessi.
– “solidificazione/stabilizzazione” (in situ), ovvero la inertizzazione del suolo mediante immobilizzazione degli inquinanti nella forma chimica più insolubile, meno mobile e nociva. Privilegiata per inquinanti inorganici, che restano intrappolati fisicamente all’interno della matrice. Questa tecnica comporta inevitabilmente non pochi vincoli alla destinazione d’uso del sito post-bonifica.
-“ossidazione chimica” o “In Situ Chemical Oxidation -ISCO”, generalmente applicata in situ, consiste nell’iniezione di un reagente ossidante (perossido di idrogeno H2O2 – processi Fenton o Fenton-like, ozono, permanganato di potassio, persolfato di sodio,..) direttamente nel suolo contaminato da composti organici alogenati e idrocarburi a lunga catena.
– “capping”, tecnica on-site realizzabile attraverso l’intrappolamento del suolo contaminato a mezzo di una copertura (temporanea o definitiva), al di sopra della quale è possibile posizionare terreno agrario o vegetazione apposita che non possa compromettere la funzionalità della copertura ad esempio a causa di apparato radicale profondo.
Il RT dovrà inoltre avere familiarità con le tecniche per la matrice acqua sotterranea, in particolare:
– “pump and treat” (in situ) , ovvero il pompaggio, mediante pozzi di estrazione, e trattamento in superficie delle acque di falda inquinate da sostanze idrosolubili o miscibili e successivo re-immissione dell’acqua trattata nella falda o in fognatura o in acque superficiali.
– “air stripping” (on-site), è un trattamento chimico-fisico basato sullo “strippaggio”, ovvero il passaggio delle componenti organiche volatili presenti nella falda e nell’interstizio e si realizza tramite l’immissione forzata di una corrente d’aria (air stream); del tutto similare allo SVE, già visto sopra.
Tuttavia, le domande vertono anche su tecniche conosciute ma purtroppo ad oggi non largamente impiegate, specialmente per ragioni di fattibilità tecnica (e temporale) ed economica, quali: il “bio-risanamento”, il “fito-risanamento” o “phyto-remediation”, le “biopile”.
Il primo riguarda casi di inquinamento provocati da derivati del petrolio ed è una tecnica on site fondata sulle trasformazioni biochimiche attuate da microrganismi (batteri, lieviti e attinomiceti) sulle sostanze responsabili della contaminazione.
La “phyto-remediation”, sempre più nota al grande pubblico, grazie alla recente ondata “green” che ha travolto tutti i settori e realtà aziendali di ogni dimensione, trova – dispiace dirlo – al momento, scarso impiego per ragioni principalmente legate ai tempi di esecuzione (decisamente lunghi se paragonati ad altre tecniche) e alla tipologia di inquinanti cui si applica (metalli pesanti e, in parte, a composti organici).
Infine le “biopile” costituiscono una tecnica on site che presenta forti analogie con le tecniche di bio-risanamento e di “landfarming”; le porzioni di suolo contaminato vengono rimosse e riposizionate in apposite strutture funzionali chiamate “pile”, ove i processi di bonifica e depurazione sono regolati dall’attività di numerosi ceppi microbici appositamente selezionati che vengono messi nelle migliori condizioni nutrizionali e ambientali (di temperatura, pH, potenziale redox). Questa tecnica, comprensibilmente vincolati a tempistiche non sempre agevoli, è particolarmente indicata per idrocarburi, composti aromatici e alogenati.
Sono oggetto di quiz anche alcune tecniche “di bonifica” dei suoli contaminati che potremmo definire “da manuale”, in quanto impiegate molto raramente nell’uso comune, perché tecnicamente o economicamente insostenibili: il “bio-venting”, la “tecnica con bio-reattori”, la “depurazione a scambio ionico”, la “barriera permeabile reattiva”, l’“estrazioni con solventi”, il “soil flushing” e il “lagunaggio”. Occorrerà dunque che i candidati conoscano anche tali metodologie per quanto concerne il loro funzionamento e gli inquinanti a cui si applicano (in teoria).
Tra le tecniche più peculiari, ma meno applicabili nella realtà, si cita una tecnica a cui l’Albo dedica ben una quindicina di quiz, ovvero il “desorbimento termico del suolo”, processo in situ basato sulla depurazione del suolo da contaminanti organici volatili e semivolatili (IPA, oli minerali, idrocarburi alogenati) mediante pirolisi, ovvero degradazione termica in assenza di agente ossidante.
L’esaminando dovrà essere in grado di selezionare le risposte esatte, come questa: “ (la tecnica di desorbimento termico del suolo) prevede la presenza di alcuni pozzetti di immissione posti lungo il perimetro della zona contaminata che permettono l’iniezione di vapore nel suolo a temperature che variano generalmente tra i 150 ai 230 °C.” E ancora dovrà ricordare che i diversi tipi di trattamento si differenziano sul tipo di unità di desorbimento adottata: “-con unità di desorbimento a riscaldamento diretto: il terreno viene riscaldato attraverso il contatto diretto con un vettore di calore. Questo può essere costituito da un tamburo rotante al cui interno viene bruciato un combustibile ausiliario
-con unità di desorbimento a riscaldamento indiretto: il processo avviene per scambio termico tra il terreno da bonificare e delle superfici metalliche che vengono riscaldate. La temperatura del processo varia da 300 a 500 °C“. Non è questa la sede di un’analisi di reale fattibilità, anche in termini di spesa energetica ed economica di questa tecnica; lascio la riflessione ai Responsabili tecnici una volta che saranno insigniti del titolo.
In ogni caso le tecniche non si esauriscono qui.
Numerosi sono i quiz che vertono anche su altre tecnologie definibili “di bonifica” in senso lato, ma non in senso giuridico: il compostaggio; lo scavo e smaltimento del suolo; l’incenerimento del suolo.
Il compostaggio è una tecnica basata sul processo aerobico di degradazione, stabilizzazione e umificazione della sostanza organica per la produzione di compost che generalmente viene impiegata nel recupero dei rifiuti. Il futuro RT dovrà, ad esempio, imparare che è applicabile a carburanti diesel, IPA, TNT, RDX, HMX, NC, BTEX provenienti da infiltrazioni di cisterne di raccolta sotterranee, o pratiche di diserzione, esplosivi e propellenti provenienti da processi di produzione di munizioni o operazioni di disarmo, se vorrà rispondere correttamente ai quiz.
Quanto allo scavo e smaltimento del suolo, invece, è una procedura che comporta l’asportazione dei terreni contaminati, che devono essere movimentati da trasportatori autorizzati accompagnati dal FIR, e il successivo smaltimento in impianto autorizzato.
Infine, riguardo all’“incenerimento del suolo” l’aspirante responsabile dovrà rispondere correttamente al relativo quiz che riporta la seguente definizione, opinabile dal punto di vista strettamente giuridico: “L’incenerimento del suolo, anche detto termodistruzione del suolo, è una tecnologia di bonifica dei suoli contaminati che prevede l’invio del materiale estratto dal terreno contaminato ad un impianto di trattamento termico ad alta temperatura”.
Come in tutte le prove i quiz più “banali” si alternano a quelli che richiedono uno studio più approfondito e qualche ragionamento. Pertanto auspico a tutti i futuri candidati di avere una buona memoria e consiglio un costante training. Come? Studiando i contenuti e esercitandosi con le Simulazioni delle Verifiche per RTGR!
In bocca al lupo!
Piacenza, 24.06.2019
[1] TuttoAmbiente propone sia i corsi di preparazione, residenziali e “a distanza”, sia le simulazioni delle Verifiche di idoneità (in modalità “a distanza”). Per maggiori informazioni: https://www.tuttoambiente.it
[2] dagli atti del corso Responsabile Tecnico Gestione Rifiuti per Categoria 9 organizzato da TuttoAmbiente a Milano il 4 giugno 2019 nell’ambito della Scuola per RTGR VIII ed.
[3] D.L. vo n. 152/06, art. 240 c. 1 lett. r): “inquinamento diffuso: la contaminazione o le alterazioni chimiche, fisiche o biologiche delle matrici ambientali determinate da fonti diffuse e non imputabili ad una singola origine”
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