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Stefano Maglia

Materiali da scavo: qual è l’ambito di applicazione del D.M. 161/2012?

di Stefano Maglia, Linda Collina

Categoria: Rifiuti

A distanza di quattro mesi dall’entrata in vigore (6 ottobre 2012) del D.M. n. 161/2012 si assiste ancora – anzi, sempre più – ad un proliferare di interventi in materia, il più delle volte frutto dell’elaborazione di soggetti o che non hanno ben chiaro il valore giuridico della norma oppure – ed è la maggioranza di casi – di improvvisati esperti della materia (per es. alcuni avvocati e/o magistrati che si scoprono anche tecnici e geologi) che non solo propongono attività formative presuntuose ed improvvide, ma – specialmente – propongono interpretazioni che non stanno né in cielo né in terra nella realtà.
Che i Clint Eastwood dell’ambiente proseguano nel loro intento di ritenere il mondo popolato solo da delinquenti ed ogni materiale esistente sul Pianeta un terribile rifiuto, potrebbe anche far sorridere, ma purtroppo tali posizioni possono generare una pericolosa confusione su una già notevole confusione normativa, inducendo sprovveduti lettori – magari organi di controllo – a prendere per oro colato certe “originali” posizioni.
C’è chi[1], per esempio, ultimamente ha sostenuto la tesi che il D.M. in oggetto sia applicabile solo alle opere pubbliche. Del resto lo stesso sottotitolo dell’articolo in questione manifesta subito la posizione terroristica degli scriventi: “ma davvero adesso le terre e rocce da scavo non sono mai un rifiuto?”. E chi ha mai detto, scritto o sostenuto una simile tesi[2]?
Le terre e rocce da scavo o, meglio, i materiali da scavo, possono essere o rifiuti speciali (ex art. 184 T.U.A.) o non rifiuti (ex art. 185 T.U.A., e solo se ricorrono “tutte” le condizioni di cui la lett. c) o sottoprodotti (se ricorrono espressamente “tutte le condizioni” del D.M. 161/12). Stop.
L’originale interpretazione – poi – per cui tale decreto sarebbe applicabile solo alle opere pubbliche si basa su di una interpretazione molto particolare della definizione di “opera” di cui all’art. 1 (Definizioni!!!) lett. a) del DM: «opera»: il risultato di un insieme di lavori di costruzione, demolizione, recupero, ristrutturazione, restauro, manutenzione, che di per sé esplichi una funzione economica o tecnica ai sensi dell’articolo 3, comma 8, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni”. E l’ art. 3, c. 8, D.L.vo 163/06 così recita: “I “lavori” di cui all’allegato I comprendono le attività di costruzione, demolizione, recupero, ristrutturazione, restauro, manutenzione, di opere. Per “opera” si intende il risultato di un insieme di lavori, che di per sé esplichi una funzione economica o tecnica. Le opere comprendono sia quelle che sono il risultato di un insieme di lavori edilizi o di genio civile, sia quelle di presidio e difesa ambientale e di ingegneria naturalistica”.
A prescindere dal fatto che tale norma – (in realtà l’intero D.M. 161/12) – è scritta veramente coi piedi, se il “legislatore” (parolona nel caso di specie) avesse voluto limitarne l’applicazione solo alle opere pubbliche, l’avrebbe non solo in qualche modo scritto o affermato in almeno un documento illustrativo (v. per es. il Parere del Cons. di Stato dell’ 8 marzo 2012), ma, specialmente, avrebbe fatto riferimento direttamente al D.L.vo 163/06 (e non solo al c. 8 dell’art. 3), e, avrebbe inserito e riportato tale affermazione nello specifico art. 3 (“Ambito di applicazione”).
Del resto lo stesso Capo della Segreteria tecnica del Ministero dell’ambiente, in una Nota del 20 novembre 2012, alla precisa domanda relativa al corretto ambito di applicazione del decreto, rispose correttamente che “il DM 161/12 non tratta (solo) il materiale riutilizzato nello stesso sito in cui è prodotto”.
Non solo. Il D.M. 161/12 è “figlio” di una norma del T.U.A., o, meglio, del DLvo n. 205/10 (art. 39, come modificato dal DL n. 1/12) che impone di considerare le terre e rocce da scavo quali sottoprodotti (cosa che accade tranquillamente in tutti i più civili Paesi europei) solo se verrà emanato il D.M. in questione che abrogherà (dal giorno della sua entrata in vigore) il – provvisorio – art. 186. Ciò significa che l’art. 184 bis sui sottoprodotti non è – e non sarà mai, per specifica esclusione normativa – applicabile tout court alle terre e rocce da scavo.
Pertanto, se si seguisse l’orientamento citato, in questo momento la situazione sarebbe: tutte le terre da scavo sono rifiuti speciali tranne quelle che derivano dalle opere pubbliche che potrebbero ricadere nel novero dei sottoprodotti, con la fantastica conseguenza che – fino a che non verrà emanato il decreto sui “piccoli cantieri” ex art. 266, c. 7[3] – le terre della TAV potrebbero essere considerati sottoprodotti e quelle che rimuovo per costruire la cuccia del cane e non riutilizzo in situ devono necessariamente essere smaltite in discarica. Mi sembra un’ottima e auspicabile conseguenza.
Ripeto: il D.M. è scritto male ed è in gran parte inapplicabile (v. per esempio il caso per cui bisogna conoscere tre mesi prima quali percorsi stradali l’automezzo effettuerà per portare via la nuova terra: speriamo non ci siano blocchi stradali quel giorno!), e riferimenti a sproposito come quello citato servono solo a far confusione (è del resto di tutta evidenza che la “testa” del legislatore nella stesura del Regolamento fosse tutta protesa verso la “semplificazione” delle “grandi opere”), ma arrovellarsi su cavilli interpretativi per giungere a conclusioni come quelle di cui abbiamo scritto poco sopra è davvero imperdonabile.
Come vedete – cari lettori – in questo caso (e anche nelle attività di formazione che ne derivano, v per esempio il Corso di Milano del 28.2.13 su TERRE E ROCCE DA SCAVO) l’articolo è firmato da un giurista e da una geologa: mi permetto di diffidare dai tuttologi o da coloro che non conoscono nemmeno lontanamente non solo l’umiltà di riconoscere i propri limiti “tecnici” nell’affrontare una materia interdisciplinare complessa come questa, ma nemmeno quella di riflettere un’istante sugli effetti che potrebbero avere determinate interpretazioni.
Altro tema interessante – e qui si condivide la posizione assunta dagli autori precedentemente citati – è quello relativo ai “materiali di scavo” e di “riporto” e delle possibilità che possano contenere scarti di attività di demolizione in opera. Ovviamente questo non è ammissibile: la percentuale del 20% delle matrici materiali da riporto riguarda solo materiali di origine antropica già presenti nel terreno al momento dello scavo e non frutto di abbandono illecito di rifiuti o di discariche abusive. Si ricorda infatti che tale aspetto è ben chiarito dal punto di vista tecnico nell’allegato 9 del DM 161 “..i materiali antropici..si sono stratificati e sedimentati nel suolo fino a profondità variabili e che, compattandosi con il terreno naturale, si sono assestati determinando un nuovo orizzonte stratigrafico. “[4]
Per completezza si segnala infine la recentissima sentenza TAR Piemonte, Torino, Sez. II, n. 1257 del 22 novembre 2012, per cui “a norma dell’art. 186 del T.U.A. – ora da ritenersi abrogato dal D.M. n. 161/2012 – le terre e rocce da scavo riutilizzabili per reinterri, riempimenti o rimodellazioni, potranno ritenersi escluse dalla disciplina rifiuti solo se tali materiali provenivano da siti non contaminati, condizione che non ricorre in caso di pronunciamento dell’ARPA che accerti la nocività di tali materiali anche senza effettuare l’indagine in contraddittorio”.

 



[1] V. M Santoloci e V. Vattani, dal sito www.dirittoambiente.net

[2] V, tra gli altri, “Il nuovo statuto delle terre e rocce da scavo secondo il D.M. n. 161/2012” (di Pasquale Giampietro) su www.tuttoambiente.it; S. Maglia e M.V. Balossi “Terre e rocce: il punto della situazione alla luce del DM 161/12”, in Amb. & Svil. 11/2012; A. Muratori “Terre e rocce di scavo: le ridondanti regole del D.M. n. 161/2012, in Amb. & Svil. 2012/1005; F. Vanetti e A. Gussoni “Il D.M. n. 161/2012: note introduttive”; G. Garzia “Terre e rocce da scavo, sottoprodotti e normale pratica industriale”; V. Paone “Legge penale: il regolamento in materia di terre e rocce da scavo”; V. Giampietro “Terre e rocce da scavo: profili tecnici e gestionali”;

[3] Il testo attualmente in fase di discussione è quello di cui all’art. 21 del DDL “Semplificazioni bis”:

Art. 21 (Terre e rocce da scavo –Cantieri di minori dimensioni)

1. In relazione a quanto disposto dall’articolo 266, comma 7, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in deroga a quanto previsto dal decreto di cui all’articolo 49 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, i materiali da scavo prodotti nel corso di attività e interventi autorizzati in base alle norme vigenti sono sottoposte al regime di cui all’articolo 184-bis se il produttore dimostra: a) che la destinazione all’utilizzo è certa, direttamente presso un determinato sito o un determinato ciclo produttivo; b) che per i materiali che derivano dallo scavo non sono superate le Concentrazioni Soglia di Contaminazione di cui alle colonne A e B tabella 1 allegato 5, al titolo V parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006, con riferimento alla specifica destinazione d’uso urbanistica del sito di destinazione; c) che l’utilizzo in un successivo ciclo di produzione non determina rischi per la salute né variazioni qualitative o quantitative delle emissioni rispetto al normale utilizzo di altre di materie prime; d)che ai fini di cui alle lettere b) e c) non è necessario sottoporre le terre e rocce da scavo ad alcun preventivo trattamento, fatte salve le normali pratiche industriali e di cantiere.

2. Il produttore può attestare il rispetto delle condizioni di cui al comma 1 anche tramite dichiarazione resa all’Autorità territorialmente competente ai sensi e per gli effetti di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, precisando le quantità destinate all’utilizzo, i tempi previsti per l’utilizzo e il sito di deposito, che non può comunque superare un anno dalla data di produzione, fermo restando che l’attività di scavo e di utilizzo devono essere autorizzate in conformità alla vigente disciplina urbanistica e igienico sanitaria.

3. Il produttore deve in ogni caso confermare all’Autorità territorialmente competente che le terre e rocce da scavo sono state completamente utilizzate secondo le previsioni iniziali.

4. L’utilizzo delle terre e rocce da scavo come sottoprodotto resta assoggettato al regime proprio dei beni e dei prodotti. A tal fine il trasporto di tali materiali è accompagnato dal documento di trasporto o da copia del contratto di trasporto redatto in forma scritta o dalla scheda di trasporto di cui agli articoli 6 e 7-bis del decreto legislativo n. 286 del 2005.”

[4] Sul punto è utile segnalare quanto “pericolosamente” disporrebbe (se venisse trasformata in legge con questo testo) l’art. 22 del DDL “semplificazioni bis”

Art. 22 (Materiali di riporto)

All’art. 3 del decreto-legge 25 gennaio 2012, n.2, convertito con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 28, i commi 2 e 3 sono sostituiti dai seguenti:

“2. Ai fini dell’applicazione del presente articolo, per matrici materiali di riporto si intendono i materiali eterogenei, utilizzati per la realizzazione di riempimenti e rilevati, non assimilabili per caratteristiche geologiche e stratigrafiche al terreno in situ, all’interno dei quali possono trovarsi materiali estranei quali residui di lavorazioni industriali e residui in generale, come, a mero titolo esemplificativo, materiali di demolizione, materiali litoidi, pietrisco tolto d’opera, conglomerati bituminosi e non, scorie spente, loppe di fonderia, detriti e fanghi di lavorazione e lavaggio di inerti.”

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