Preveniamo rischi Risolviamo problemi Formiamo competenze
"Mi occupo di diritto ambientale da oltre trent’anni TuttoAmbiente è la guida più autorevole per la formazione e la consulenza ambientale Conta su di noi" Stefano Maglia
Miscelazione e diluizione rifiuti speciali tra normativa tecnica, giurisprudenza e prassi
di Maurizio Sante Minichilli
Categoria: Rifiuti
Le operazioni di miscelazione dei rifiuti sono state oggetto di normazione già dall’entrata in vigore del D.Lgs. 22/97, dove all’art. 9 si prescriveva il divieto di miscelazione di categorie diverse di rifiuti pericolosi di cui all’allegato G e di rifiuti pericolosi con i non pericolosi.
In deroga a detto divieto, la miscelazione poteva essere autorizzata al “fine di rendere più sicuro il recupero e lo smaltimento”, “senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti e o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente”. Il disposto di cui al citato art. 9 è stato trasfuso, nella sua interezza, nell’art. 187 del D.Lgs. 152/2006, fino alla sua sostanziale modifica, avvenuta con il D.Lgs. 205/2010, in recepimento della direttiva 98/2008/UE.
Diversamente da quanto fino ad allora disposto, il nuovo art. 187/comma 1 vieta la miscelazione di rifiuti speciali pericolosi aventi caratteristiche di pericolosità differenti (HP) e di rifiuti P con NP, precisando che la miscelazione comprende la diluizione di sostante pericolose. Analogamente alle precedenti disposizioni, il nuovo art. 187 prevede la possibilità di derogare al divieto di miscelazione alle condizioni elencate al comma 2 ovvero:” a) siano rispettate le condizioni di cui all’art. 177/comma 4 (non vi siano rischi per l’acqua, l’aria, il suolo, nonché la fauna e la flora, non causi inconvenienti da rumori od odori, non venga danneggiato il paesaggio i siti di particolare interesse tutelati dalla normativa vigente) e l’impatto negativo della gestione dei rifiuti non risulti accresciuto; b) l’operazione di miscelazione sia effettuata da un ente o da un’impresa che abbia ottenuto un’autorizzazione ai sensi degli artt. 208, 209 e 211; c) l’operazione di miscelazione sia conforme alle migliori tecniche disponibili di cui all’art. 183/comma 1 lett.ra n). Per quanto concerne l’ultimo capoverso lett.ra c) l’art. 5/comma 1 del D.Lgs. 152/2006 fornisce le seguenti definizioni di migliori tecnologie disponibili (B.A.T.) alle lett.re:” l-ter 1) Documento di riferimento sulle BAT o BREF: documento pubblicato dalla Commissione Europea ai sensi dell’art. 13/paragrafo 6 della Direttiva 2010/75/UE; l-ter 2) conclusioni sulle BAT: un documento adottato secondo quanto specificato all’art. 13/par. 5 Dir. 2010/757UE e pubblicato in italiano sulla G.U.U.E. contenente le parti di un BREF riguardanti le conclusioni sulle migliori tecnologie disponibili, la loro descrizione, le informazioni per valutarne l’applicabilità, i livelli di emissione associati alle migliori tecniche disponibili, il monitoraggio associato, i livelli di consumo associati e, se del caso, le pertinenti misure di bonifica del sito.” V’è da dire che con la L. 221/2015 art. 49/comma 1 all’art. 187 D.Lgs. 152/2006 veniva aggiunto il comma 3-bis il quale recitava:”
Le miscelazioni non vietate in base al presente articolo non sono sottoposte ad autorizzazione e, anche se effettuate da enti o imprese autorizzati ai sensi degli artt. 208, 209 e 211, non possono essere sottoposte a prescrizioni o limitazioni diverse od ulteriori rispetto a quelle previste per legge”.
Detta norma, tuttavia, (su impugnativa delle Regione Lombardia), è stata dichiarata incostituzionale dalla Consulta con sentenza nr. 75 del 21.03.2017, per violazione dell’art. 23 Direttiva n. 2008/98/CE – gli Stati membri impongo a qualsiasi ente o impresa che intende effettuare il trattamento dei rifiuti (e la miscelazione deve considerarsi tale) di ottenere l’autorizzazione dell’autorità competente – accertata la lesione delle competenze costituzionali regionali (sancite ex artt. 11 e 117 Cost.), e ribadito l’univoco e consolidato indirizzo giurisprudenziale della Corte Costituzionale (Sent. n. 61 e 61/2008, n, 225/2009, n. 373/2010, 244/2012 e nr. 58/2015) di collegamento fra la disciplina ambientale, ed in particolare quella dei rifiuti, e la tutela della salute. In particolare la norma derogatoria alla miscelazione “priva di prescrizioni di impianto specifiche”, in assenza di titolo abilitativo, sarebbe stata idonea (ove non cassata) a condizionare la competenza legislativa regionale in materia di tutela della salute ed, in concreto, con riguardo specifico a quanto oggetto di doglianza dalla Regione Lombardia, a rendere inapplicabile la disciplina regolatoria in tema di miscelazione.
Ordunque, superata tale digressione, passiamo ad individuare le disposizioni normative vigenti con riferimento in tema di miscelazione: – art. 178 D.Lgs. 152/2006 “Principi” – Art. 179 D.Lgs. 152/2006 “Criteri di priorità nella gestione dei rifiuti” e precisamente: * comma 2. La gerarchia stabilisce in generale un ordine di priorità di ciò che costituisce la migliore opzione ambientale. Nel rispetto della gerarchia di cui al comma 1, devono essere adottate tutte le misure volte ad incoraggiare le opzioni che garantiscono, nel rispetto degli artt. 177/commi 1 e 4, 178, il migliore risultato complessivo,tenendo conto degli impatti sanitari, sociali ed economici, ivi compresa la fattibilità tecnica e la praticabilità economica. * comma 3. Con riferimento a singoli flussi di rifiuti è consentito discostarsi, in via eccezionale, dall’ordine di priorità di cui al comma 1 qualora ciò sia giustificato, nel rispetto del principio di precauzione e sostenibilità, in base ad una specifica analisi degli impatti complessivi della produzione e della gestione di tali rifiuti sia sotto il profilo ambientale e sanitario, in termini di ciclo di vita, sia sotto il profilo sociale ed economico, ivi compresi la fattibilità tecnica e la protezione delle risorse. – art. 181 D.Lgs. 152/2006 “Riciclaggio e recupero dei rifiuti” comma 3 [….] sono adottate misure per promuovere il recupero dei rifiuti in conformità ai criteri di priorità di cui all’art. 179 ed alle modalità di cui all’art. 177/comma 4, nonché misure intese a promuovere il riciclaggio di alta qualità, privilegiando la raccolta differenziata, eventualmente anche monomateriale dei rifiuti. Comma 4. Per facilitare o migliorare il recupero, i rifiuti sono raccolti separatamente, laddove ciò sia realizzabile dal punto di vista tecnico, economico ed ambientale, e non sono miscelati con altri rifiuti o altri materiali aventi proprietà diverse. A tal proposito deve farsi riferimento alle definizioni di raccolta differenziata alla lettera p) e di deposito temporaneo alla lett.ra bb) dell’art. 183 D.Lgs. 152/2006. – Art. 184 D.Lgs. 152/2006 “Classificazione”; comma 5-ter. La declassificazione da rifiuto pericoloso a rifiuto non pericoloso non può essere ottenuta attraverso una diluizione o una miscelazione del rifiuto che comporti una riduzione delle concentrazioni iniziali di sostanze pericolose sotto le soglie che definiscono il carattere pericoloso del rifiuto. – Art. 187 D.Lgs. 152/2006 “Divieto di miscelazione di rifiuti pericolosi” – Art. 6 D.Lgs. 36/2003 “Rifiuti non ammessi in discarica” comma 2. E’ vietato diluire o miscelare rifiuti al solo fine di renderli conformi ai criteri di ammissibilità di cui all’art. 7. – cap. 2.1.5 Blending and Mixing del Reference Document on Best available Tecnhiques for the Waste Treatments Industries (August 2006) – cap. 2.1.4 Blending and Mixing Best Available Tecnhiques (BAT) Reference Document for Waste Treatment (April 2018); – decisione di esecuzione (UE) 2018/1147 della Commissione del 10.08.2018 che stabilisce le conclusioni sulle migliori tecniche disponibili (BAT) per il trattamento dei rifiuti, ai sensi della direttiva 2010/75/ UE.
In tema di individuazione dei corretti parametri tecnico-normativi a cui riferirsi per quanto concerne il rilascio di autorizzazione alla miscelazione, in deroga, da parte dell’autorità regionale, sono da tenere in debita considerazione i criteri espressi nel paragrafo 2.1.4 delle “BAT Reference Document for Wast Treatment”, (aprile 2018) dedicato alla miscelazione, nel cui documento sono enunciati i seguenti principi: I rifiuti, una volta prodotti, sono in linea di principio tenuti separati dagli altri rifiuti. La ragione di ciò è che il trattamento dei flussi omogenei è generalmente più agevole di quello dei flussi compositi. A determinate condizioni, tuttavia, è possibile trattare anche diversi flussi di rifiuti, oppure a volte anche meglio, se sono raggruppati tra loro…. A causa della natura eterogenea dei rifiuti, la miscelazione e diluizione sono necessarie nella maggior parte delle operazioni di trattamento al fine di garantire una composizione omogenea e stabile dei rifiuto che verrà successivamente sottoposto a trattamento finale.. I principi base che regolano la miscelazione dei rifiuti sono i seguenti: a) la miscelazione di sostanze che reagiscono fortemente l’uno con l’altro ( provocando calore, incendio, formazione di gas) o di sostanze esplosive è vietata. La miscelazione non deve comportare un aumento dei rischi per la salute umana o l’ambiente, sia durante l’operazione di miscelazione stessa, sia durante il successivo trattamento. Ciò significa che prima di effettuare l’operazione, occorre valutare se questa possa avvenire in sicurezza, eseguendo test di compatibilità prima della miscelazione per qualsiasi tipologia. b) In caso di miscelazione dev’essere garantita la tracciabilità dei rifiuti pericolosi; c) La miscelazione non può comportare un grado di trattamento inferiore ad altro livello di gestione, ad esempio quello di recupero che va comunque tenuto in considerazione come minimo standard di lavorazione, ragion per cui il raggruppamento con rifiuti da avviare a smaltimento non è consentita. d) la miscelazione di rifiuti non deve comportare una dannosa dispersione nell’ambiente di sostanze pericolose. A seguire sono riportati alcuni esempi di regole di miscelazione applicate a determinati tipi di processi e rifiuti: = Trattamento dei rifiuti contaminati da POP (Inquinanti Organici persistenti). La miscelazione dei rifiuti per il recupero può essere consentita solo se non vi è il superamento dei limiti di POP definiti nei trattati di Basilea e Stoccolma e nel regolamento CE 850/2004. Tuttavia la miscelazione di rifiuti per altre finalità di trattamento come la pulizia del suolo, la preparazione di mangimi per animali, la preparazione di fertilizzanti ecc.., può essere vietata anche se il limite del contenuto di POP non è superato. = Metalli pesanti
Quando si tiene conto dei principi di base della miscelazione, le autorità competenti possono fissare dei limiti massimi di concentrazione consentiti nei rifiuti da miscelare per combustione o coincenerimento. Emissioni di metalli pesanti volatili come cadmio, tallio, piombo, arsenico ed antimonio nell’atmosfera si verificano quando vengono utilizzati rifiuti contenenti tali componenti nei forni da cemento e nelle centrali elettriche. Le autorità competenti, per garantire il non superamento dei limiti di emissione, possono prescrivere un livello inferiore nell’autorizzazione alla miscelazione, allorquando i criteri di accettazione dell’impianto finale lo rendano necessario.” La stessa decisione di esecuzione (UE) 2018/1147 della Commissione del 10.08.2018 include la miscelazione tra le migliori tecniche disponibili (All. 5.1. lett.ra c) prescrivendo alle conclusioni generali sulle BAT (punto 1.1. BAT2) lett.ra f): di garantire la compatibilità dei rifiuti prima della miscelazione e segnatamente:” La compatibilità è garantita da una serie di prove e di misure di controllo al fine di rilevare eventuali reazioni chimiche indesiderate e/o potenzialmente pericolose tra i rifiuti (es. polimerizzazione, evoluzione di gas, reazione esotermica, decomposizione, cristallizzazione, precipitazione) in caso di dosaggio, miscelatura o altre operazioni di trattamento. I test di compatibilità sono sul rischio tenendo conto, ad esempio, delle caratteristiche di pericolosità dei rifiuti, dei rischi da essi posti in termini di sicurezza dei processi, sicurezza sul lavoro ed impatto sull’ambiente, nonché delle informazioni fornite dal o dai precedenti detentori dei rifiuti”. Ordunque la miscelazione, effettuata nell’osservanza delle migliori tecnologie disponibili, dev’essere funzionale alle esigenze del successivo trattamento cui è destinato il rifiuto e non un metodo rivolto a facilitare l’accettazione dei rifiuti. Le Regioni, al fine di poter uniformare le modalità di rilascio dei titoli autorizzativi (tra l’altro) alla miscelazione, possono dotarsi di atti generali di indirizzo all’interno del quale impartire (agli uffici istruendi) prescrizioni in tema di gestione delle attività di raggruppamento (R12/D13) quali ad esempio: • caratterizzazione del rifiuto in ingresso e sua omologa; • formazione di lotti da caratterizzare e classificare prima del successivo conferimento a destino finale (recupero e/o smaltimento); • tracciabilità della provenienza; • compatibilità e formazione gruppi di miscelazione (reciprocamente inerti o non reattivi); • divieto di miscelazione che comporti riduzione dei contaminanti al di sotto della soglia di concentrazione fissata per l’attribuzione della classe di pericolo; • obbligo dell’impianto di destino finale di poter ricevere la miscela di rifiuti solo se autorizzato per ciascun singolo EER; • divieto di miscelazione di determinate tipologie quali ad esempio amianto, sostanze che eccedono i limiti di cui al reg. 850/2004, rifiuti sanitari e/o a rischio infettivo con altri rifiuti non appartenenti a dette tipologie; • accertamento della fattibilità di miscelazione in deroga al comma 1 dell’art. 187 D.Lgs. 152/2006 mediante prova su scala in laboratorio, da registrare su apposita scheda e conservare per la durata di 5 anni; • compilazione delle specifiche schede di miscelazione da cui si rinvenibile la tracciabilità delle partite; • divieto di diluizione degli inquinanti attraverso la miscelazione o l’accorpamento di rifiuti o con altri materiali, prescrivendo l’obbligo di mantenimento delle medesime HP possedute dai singoli rifiuti in ingresso; • obbligo di conferimento delle miscele a smaltimento e/o recupero definitivo con conseguente preclusione di ulteriori passaggi intermedi ad impianti autorizzati alle operazioni da D13 a D15 dell’allegato B o alle operazioni da R12 ad R13 dell’allegato C del D.Lgs. 152/2006.
E’ quanto recentemente ribadito dai Giudici di Palazzo Spada (C.d.S. sent. n. 6513 dep. 25.07.2022) in un articolato excursus motivazione scaturente dall’impugnativa della D.G.R. Veneto n. 119 del 07.02.218, promossa da alcuni gestori di impianti di rifiuti (autorizzati, tra l’altro, alla miscelazione) risoltasi con nr. 2 sentenze TAR Veneto (rispettivamente n. 218/2022 e n. 235/2022), parzialmente riformate in sede di appello. I Giudici del riesame hanno condiviso la delibazione del TAR in merito alla validità dei criteri adottati dalla Regione Veneto con D.G.R. n. 119/2018 qualificati come “criteri di indirizzo” e non invece come “norme tecniche” in materia di gestione dei rifiuti, riservate allo Stato, ai sensi dell’art. 195/comma 2 lett.ra a) D.Lgs. 152/2006, di cui gli uffici regionali devono tener conto ai fini del rilascio delle autorizzazioni per gli impianti di trattamento dei rifiuti, considerandoli espressione delle competenze loro attribuite ai sensi dell’art. 196/comma 1 TUA. Il tutto validato da uniformi precedenti giurisprudenziali, tra cui ex plurimis la sentenza Corte Cost. n. 75 del 12.04.2017 la quale, nell’annullare il comma 3-bis dell’art. 187 D.Lgs. 152/2006, per violazione degli art. 11 e 117/1° comma Cost., in relazione alla direttiva 2008/98/CE, ed all’art. 117/commi 2 e 3, aveva ribadito la prerogativa le prerogative regionali in tema di disciplina per il rilascio delle autorizzazioni, nell’assumere e garantire livelli ulteriori di tutela ambientale ai sensi dell’art. 3-quinquies/comma 2 D.Lgs. 152/2006.
La Consulta, nel riaffermare che le operazioni di miscelazione, non vietate ai sensi dell’art. 187 TUA, devono comunque essere specificatamente autorizzate, implicitamente ha riconosciuto all’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione, un potere di verifica e di conformazione di dette operazioni, che deve soggiacere all’adozione di specifiche misure e prescrizioni valevoli erga omnes e quindi oggetto di disciplina generale. Il C.d.S. ha osservato che la differenza tra “criteri di indirizzo” e “norme tecniche” statali, di cui all’art. 195/comma 2 lett.ra a) D.Lgs. 152/2006 non è affatto meramente nominalistica ma sostanziale in quanto dette ultime, emanabili con D.M. Ambiente, afferiscono alle modalità generali di trattamento delle varie tipologie di rifiuti (speciali pericolosi e non), a differenza dei criteri in esame, funzionali al rilascio della autorizzazioni al trattamento, fermo restando la possibilità che, in sede di autorizzazione, siano introdotte prescrizioni e misure più stringenti di quelle ricavabili in via generale dalle regole tecniche, in ossequio al generale potere delle Regioni di assicurare livelli più elevati di tutela ambientale, ai sensi del succitato art. 3-quinquies comma 2 TUA.
Standars maggiori di tutela ambientale, rispetto a quelli dello Stato, che le Regioni hanno titolo ad introdurre viste le prerogative esclusive a queste ultime in tema di salute pubblica, sicurezza e tutela del suolo. Del resto, in assenza di norme statali che individuino livelli di tutela ambientale uniformi in tema di miscelazione, non possono ritenersi sussistenti vincoli derivanti dalla legislazione statale per l’esercizio di funzioni regionali, salvo quelli desumibili dall’art. 187/comma 2 D.Lgs. 152/2006, che le Regioni legittimamente hanno il potere di declinare anche nell’esercizio dei poteri di coordinamento amministrativo propedeutici alle funzioni autorizzatorie che le spettano. Sulla diluizione, come vietata dalla D.G.R. Veneto 119/2018 in quanto inammissibile al fine di ridurre la concentrazione di inquinanti al di sotto delle soglie che ne stabiliscono la pericolosità (con conseguente mantenimento di tutte le HP in uscita possedute dai rifiuti in ingresso poi raggruppati), i motivi dei ricorrenti (avverso il provvedimento regionale impugnato) sono stati ritenuti fondati dal TAR VENETO nelle citate sent. 218/2022 e n. 235/2022. Segnatamente detto Giudice ha stabilito che l’art. 184/comma 5-ter D.Lgs. 152/2006 (declassificazione di rifiuto da P a NP mediante diluizione o miscelazione con riduzione delle concentrazioni iniziali) non tratta della composizione chimica del rifiuto, ma della sua classificazione, ai fini dell’individuazione del corretto regime da applicare. Ed invero, come sopra illustrato, il par. 2.1.4 del BREF WT 2018 afferma che la miscelazione non è una tecnica preordinata a facilitare l’accessibilità del rifiuto, attraverso la diluizione, ma a migliorare sul piano tecnico il successivo trattamento, garantendo un trattamento ambientalmente corretto con la tracciabilità stessa dei rifiuti. Tuttavia, traendo spunto da quanto statuito dalla stessa Regione (All. DGR 119/2018 paragr. 4.1 punto 4.b:”è ammessa la miscelazione che consente, attraverso la diluizione, di ricondurre i contaminanti che saranno oggetto di trattamento presso il successivo impianto alle concentrazioni idonee ai processi in esso previsti”) il TAR Veneto asserisce che, nell’ipotesi di abbattimento delle concentrazioni mediante diluizione (attività intrinseca alla miscelazione), imporre il mantenimento della concentrazione dei contaminanti oltre le soglie che determinano la caratteristica di pericolo sarebbe illogico nel caso in cui il successivo trattamento desse certezza riguardo l’assenza di rischio di trattamento non ambientalmente corretto della miscela stessa. Pertanto, la previsione secondo cui sarebbe sempre, a prescindere dalla successiva destinazione della miscela, necessario mantenere le concentrazioni di contaminanti sopra le soglie che ne determinano la caratteristica di pericolo è irragionevole (e quindi da annullare), nella circostanza in cui, ad ogni singola verifica, risultino riscontri concreti da far ragionevolmente ritenere tale adempimento non necessario a garantire l’ammissibilità ed il corretto trattamento del rifiuto nell’ambito degli impianti di destino.
Peccato che il C.d.S. sia di diverso avviso e, nella sentenza n. 6513/2022, abbia stigmatizzato l’operato dei Giudici di Prime Cure su tale tema, confermando la bontà e validità di quanto contenuto nella D.G.R. Veneto 119/2018 in tema di diluizione, poiché in contrasto con quanto previsto dal succitato art. 184/comma 5-ter D.Lgs. 152/2006. Ciò in quanto dev’esserci sempre l’impossibilità di eliminare, in sede di diluizione, una classe di pericolo HP originariamente presente, non essendo sufficiente che durante la diluizione la miscela rimanga pericolosa solo per quei componenti non diluiti. Del resto il divieto regionale non si applica sic et simpliciter per la diluizione ma solamente su quella di uno o più inquinanti, originariamente presenti, ma che, una volta miscelati, riducono la loro concentrazione al di sotto della soglia di pericolosità.
Così ad esempio, se i rifiuti originari hanno diversi componenti inquinanti (X, Y e Z), cui corrispondono tre diverse classi di pericolo (HP1, HP2 ed HP3), la miscela deve mantenere il carattere di pericolosità per X, Y e Z (non si può quindi diluire X ed Y al di sotto della soglia di pericolosità). In altre parole non è sufficiente che la miscela rimanga pericolosa solo per il componente inquinante Z (in ipotesi non diluito), ma deve restare pericolosa anche per i componenti inquinanti X ed Y. In sintesi la miscelazione può avvenire, in regime autorizzatorio ammettendo la diluizione dei contaminanti “alle concentrazioni idonee ai processi previsti nell’impianto di trattamento finale” ma senza l’abbattimento delle concentrazioni al di sotto della soglia di pericolo che devono permanere anche per il successivo destino finale in impianto autorizzato a ricevere i singoli EER che compongono la miscela. Nel rassegnare le conclusioni espongo le mie brevi e sommesse riflessioni in merito: a) è del tutto pacifico che, nell’ambito del dettato autorizzativo possano e debbano essere impartite al gestore le prescrizioni inerenti le modalità di miscelazione/diluizione e successiva rendicontazione (schede di miscelazione, verifiche periodiche su lotti, protocolli e metodiche di campionamento, archiviazione dati). Il tutto al fine di garantire, sempre e comunque, la tracciabilità del rifiuto fino al suo destino finale; b) la distinzione tra atto di indirizzo (ammesso) e norma tecnica (non ammessa), ritenuta dai giudici del TAR e C.d.S., sostanziale e quindi consentita, la prima, alle Regioni in ossequio alle proprie prerogative costituzionali in tema di autorizzazione ambientale, non è a mio avviso convincente dal momento che trattasi comunque di una disciplina dirimente nel permettere (in alcune regioni) lo svolgimento dell’attività di miscelazione oppure nel limitarla, circoscriverla o vietarla (in altre), creando un’evidente dicotomia sia sotto il profilo statuale, sia per quanto concerne la concorrenza tra diversi operatori, soggiacenti a regole diverse (più o meno stringenti) a seconda del territorio regionale in cui questi svolgono la propria attività autorizzata; c) il tema della diluizione/miscelazione è chiosato (nel verso del divieto) in modo ineludibile dall’art. 183-comma 5-ter D.Lgs. 152/2006, il quale tuttavia sarebbe stato esaustivo (evitando tutti i funnanbulismi interpretativi della giurisprudenza) se avesse precisato l’obbligo del produttore di dimostrare, oltre ogni ragionevole dubbio e con analisi chimiche rappresentative, che la miscela abbia modificato il contenuto delle concentrazioni iniziali (per reazione chimica, inertizzazione o anche per diluzione) riducendo la concentrazione iniziale di sostanze pericolose al di sotto delle soglie che ne definiscono il carattere pericoloso del rifiuto. Ciò in quanto il tema, prima che essere risolto giuridicamente doveva essere esplicitato dal punto di vista della chimica degli elementi e della rappresentatività delle analisi sui campioni prelevati, a maggior ragione del fatto che tutta la corposa documentazione tecnica comunitaria richiamata, non contiene in alcun punto detto divieto ma, in modo più ragionevole, indica una serie di prescrizioni e raccomandazioni per la migliore e corretta gestione delle attività di miscelazione. Anche in tale consesso sarebbe quanto mai utile che il Ministero dell’Ambiente e (oggi) della Sicurezza Energetica, decretasse una compiuta disciplina in materia di miscelazione e diluizione raccordandosi con la Conferenza Stato- Regioni per definire un testo uniforme sul territorio nazionale, valevole erga omnes, in modo da assicurare la par conditio degli operatori, e tranciante su spinte localistiche oltremodo libertarie o, al contrario, ingiustamente restrittive, e sollevando la giurisprudenza dal non facile (e non sempre uniforme) esercizio esegetico del complesso di norme (comunitarie, nazionali e regionali) vigenti.
Categorie
Miscelazione e diluizione rifiuti speciali tra normativa tecnica, giurisprudenza e prassi
di Maurizio Sante Minichilli
Le operazioni di miscelazione dei rifiuti sono state oggetto di normazione già dall’entrata in vigore del D.Lgs. 22/97, dove all’art. 9 si prescriveva il divieto di miscelazione di categorie diverse di rifiuti pericolosi di cui all’allegato G e di rifiuti pericolosi con i non pericolosi.
In deroga a detto divieto, la miscelazione poteva essere autorizzata al “fine di rendere più sicuro il recupero e lo smaltimento”, “senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti e o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente”. Il disposto di cui al citato art. 9 è stato trasfuso, nella sua interezza, nell’art. 187 del D.Lgs. 152/2006, fino alla sua sostanziale modifica, avvenuta con il D.Lgs. 205/2010, in recepimento della direttiva 98/2008/UE.
Diversamente da quanto fino ad allora disposto, il nuovo art. 187/comma 1 vieta la miscelazione di rifiuti speciali pericolosi aventi caratteristiche di pericolosità differenti (HP) e di rifiuti P con NP, precisando che la miscelazione comprende la diluizione di sostante pericolose. Analogamente alle precedenti disposizioni, il nuovo art. 187 prevede la possibilità di derogare al divieto di miscelazione alle condizioni elencate al comma 2 ovvero:”
a) siano rispettate le condizioni di cui all’art. 177/comma 4 (non vi siano rischi per l’acqua, l’aria, il suolo, nonché la fauna e la flora, non causi inconvenienti da rumori od odori, non venga danneggiato il paesaggio i siti di particolare interesse tutelati dalla normativa vigente) e l’impatto negativo della gestione dei rifiuti non risulti accresciuto;
b) l’operazione di miscelazione sia effettuata da un ente o da un’impresa che abbia ottenuto un’autorizzazione ai sensi degli artt. 208, 209 e 211;
c) l’operazione di miscelazione sia conforme alle migliori tecniche disponibili di cui all’art. 183/comma 1 lett.ra n).
Per quanto concerne l’ultimo capoverso lett.ra c) l’art. 5/comma 1 del D.Lgs. 152/2006 fornisce le seguenti definizioni di migliori tecnologie disponibili (B.A.T.) alle lett.re:”
l-ter 1) Documento di riferimento sulle BAT o BREF: documento pubblicato dalla Commissione Europea ai sensi dell’art. 13/paragrafo 6 della Direttiva 2010/75/UE;
l-ter 2) conclusioni sulle BAT: un documento adottato secondo quanto specificato all’art. 13/par. 5 Dir. 2010/757UE e pubblicato in italiano sulla G.U.U.E. contenente le parti di un BREF riguardanti le conclusioni sulle migliori tecnologie disponibili, la loro descrizione, le informazioni per valutarne l’applicabilità, i livelli di emissione associati alle migliori tecniche disponibili, il monitoraggio associato, i livelli di consumo associati e, se del caso, le pertinenti misure di bonifica del sito.”
V’è da dire che con la L. 221/2015 art. 49/comma 1 all’art. 187 D.Lgs. 152/2006 veniva aggiunto il comma 3-bis il quale recitava:”
Le miscelazioni non vietate in base al presente articolo non sono sottoposte ad autorizzazione e, anche se effettuate da enti o imprese autorizzati ai sensi degli artt. 208, 209 e 211, non possono essere sottoposte a prescrizioni o limitazioni diverse od ulteriori rispetto a quelle previste per legge”.
Detta norma, tuttavia, (su impugnativa delle Regione Lombardia), è stata dichiarata incostituzionale dalla Consulta con sentenza nr. 75 del 21.03.2017, per violazione dell’art. 23 Direttiva n. 2008/98/CE – gli Stati membri impongo a qualsiasi ente o impresa che intende effettuare il trattamento dei rifiuti (e la miscelazione deve considerarsi tale) di ottenere l’autorizzazione dell’autorità competente – accertata la lesione delle competenze costituzionali regionali (sancite ex artt. 11 e 117 Cost.), e ribadito l’univoco e consolidato indirizzo giurisprudenziale della Corte Costituzionale (Sent. n. 61 e 61/2008, n, 225/2009, n. 373/2010, 244/2012 e nr. 58/2015) di collegamento fra la disciplina ambientale, ed in particolare quella dei rifiuti, e la tutela della salute. In particolare la norma derogatoria alla miscelazione “priva di prescrizioni di impianto specifiche”, in assenza di titolo abilitativo, sarebbe stata idonea (ove non cassata) a condizionare la competenza legislativa regionale in materia di tutela della salute ed, in concreto, con riguardo specifico a quanto oggetto di doglianza dalla Regione Lombardia, a rendere inapplicabile la disciplina regolatoria in tema di miscelazione.
Ordunque, superata tale digressione, passiamo ad individuare le disposizioni normative vigenti con riferimento in tema di miscelazione:
– art. 178 D.Lgs. 152/2006 “Principi”
– Art. 179 D.Lgs. 152/2006 “Criteri di priorità nella gestione dei rifiuti” e precisamente:
* comma 2. La gerarchia stabilisce in generale un ordine di priorità di ciò che costituisce la migliore opzione ambientale. Nel rispetto della gerarchia di cui al comma 1, devono essere adottate tutte le misure volte ad incoraggiare le opzioni che garantiscono, nel rispetto degli artt. 177/commi 1 e 4, 178, il migliore risultato complessivo,tenendo conto degli impatti sanitari, sociali ed economici, ivi compresa la fattibilità tecnica e la praticabilità economica.
* comma 3. Con riferimento a singoli flussi di rifiuti è consentito discostarsi, in via eccezionale, dall’ordine di priorità di cui al comma 1 qualora ciò sia giustificato, nel rispetto del principio di precauzione e sostenibilità, in base ad una specifica analisi degli impatti complessivi della produzione e della gestione di tali rifiuti sia sotto il profilo ambientale e sanitario, in termini di ciclo di vita, sia sotto il profilo sociale ed economico, ivi compresi la fattibilità tecnica e la protezione delle risorse.
– art. 181 D.Lgs. 152/2006 “Riciclaggio e recupero dei rifiuti”
comma 3 [….] sono adottate misure per promuovere il recupero dei rifiuti in conformità ai criteri di priorità di cui all’art. 179 ed alle modalità di cui all’art. 177/comma 4, nonché misure intese a promuovere il riciclaggio di alta qualità, privilegiando la raccolta differenziata, eventualmente anche monomateriale dei rifiuti.
Comma 4. Per facilitare o migliorare il recupero, i rifiuti sono raccolti separatamente, laddove ciò sia realizzabile dal punto di vista tecnico, economico ed ambientale, e non sono miscelati con altri rifiuti o altri materiali aventi proprietà diverse.
A tal proposito deve farsi riferimento alle definizioni di raccolta differenziata alla lettera p) e di deposito temporaneo alla lett.ra bb) dell’art. 183 D.Lgs. 152/2006.
– Art. 184 D.Lgs. 152/2006 “Classificazione”;
comma 5-ter. La declassificazione da rifiuto pericoloso a rifiuto non pericoloso non può essere ottenuta attraverso una diluizione o una miscelazione del rifiuto che comporti una riduzione delle concentrazioni iniziali di sostanze pericolose sotto le soglie che definiscono il carattere pericoloso del rifiuto.
– Art. 187 D.Lgs. 152/2006 “Divieto di miscelazione di rifiuti pericolosi”
– Art. 6 D.Lgs. 36/2003 “Rifiuti non ammessi in discarica”
comma 2. E’ vietato diluire o miscelare rifiuti al solo fine di renderli conformi ai criteri di ammissibilità di cui all’art. 7.
– cap. 2.1.5 Blending and Mixing del Reference Document on Best available Tecnhiques for the Waste Treatments Industries (August 2006)
– cap. 2.1.4 Blending and Mixing Best Available Tecnhiques (BAT) Reference Document for Waste Treatment (April 2018);
– decisione di esecuzione (UE) 2018/1147 della Commissione del 10.08.2018 che stabilisce le conclusioni sulle migliori tecniche disponibili (BAT) per il trattamento dei rifiuti, ai sensi della direttiva 2010/75/ UE.
In tema di individuazione dei corretti parametri tecnico-normativi a cui riferirsi per quanto concerne il rilascio di autorizzazione alla miscelazione, in deroga, da parte dell’autorità regionale, sono da tenere in debita considerazione i criteri espressi nel paragrafo 2.1.4 delle “BAT Reference Document for Wast Treatment”, (aprile 2018) dedicato alla miscelazione, nel cui documento sono enunciati i seguenti principi:
I rifiuti, una volta prodotti, sono in linea di principio tenuti separati dagli altri rifiuti. La ragione di ciò è che il trattamento dei flussi omogenei è generalmente più agevole di quello dei flussi compositi. A determinate condizioni, tuttavia, è possibile trattare anche diversi flussi di rifiuti, oppure a volte anche meglio, se sono raggruppati tra loro…. A causa della natura eterogenea dei rifiuti, la miscelazione e diluizione sono necessarie nella maggior parte delle operazioni di trattamento al fine di garantire una composizione omogenea e stabile dei rifiuto che verrà successivamente sottoposto a trattamento finale..
I principi base che regolano la miscelazione dei rifiuti sono i seguenti:
a) la miscelazione di sostanze che reagiscono fortemente l’uno con l’altro ( provocando calore, incendio, formazione di gas) o di sostanze esplosive è vietata. La miscelazione non deve comportare un aumento dei rischi per la salute umana o l’ambiente, sia durante l’operazione di miscelazione stessa, sia durante il successivo trattamento. Ciò significa che prima di effettuare l’operazione, occorre valutare se questa possa avvenire in sicurezza, eseguendo test di compatibilità prima della miscelazione per qualsiasi tipologia.
b) In caso di miscelazione dev’essere garantita la tracciabilità dei rifiuti pericolosi;
c) La miscelazione non può comportare un grado di trattamento inferiore ad altro livello di gestione, ad esempio quello di recupero che va comunque tenuto in considerazione come minimo standard di lavorazione, ragion per cui il raggruppamento con rifiuti da avviare a smaltimento non è consentita.
d) la miscelazione di rifiuti non deve comportare una dannosa dispersione nell’ambiente di sostanze pericolose.
A seguire sono riportati alcuni esempi di regole di miscelazione applicate a determinati tipi di processi e rifiuti:
= Trattamento dei rifiuti contaminati da POP (Inquinanti Organici persistenti).
La miscelazione dei rifiuti per il recupero può essere consentita solo se non vi è il superamento dei limiti di POP definiti nei trattati di Basilea e Stoccolma e nel regolamento CE 850/2004. Tuttavia la miscelazione di rifiuti per altre finalità di trattamento come la pulizia del suolo, la preparazione di mangimi per animali, la preparazione di fertilizzanti ecc.., può essere vietata anche se il limite del contenuto di POP non è superato.
= Metalli pesanti
Quando si tiene conto dei principi di base della miscelazione, le autorità competenti possono fissare dei limiti massimi di concentrazione consentiti nei rifiuti da miscelare per combustione o coincenerimento. Emissioni di metalli pesanti volatili come cadmio, tallio, piombo, arsenico ed antimonio nell’atmosfera si verificano quando vengono utilizzati rifiuti contenenti tali componenti nei forni da cemento e nelle centrali elettriche. Le autorità competenti, per garantire il non superamento dei limiti di emissione, possono prescrivere un livello inferiore nell’autorizzazione alla miscelazione, allorquando i criteri di accettazione dell’impianto finale lo rendano necessario.”
La stessa decisione di esecuzione (UE) 2018/1147 della Commissione del 10.08.2018 include la miscelazione tra le migliori tecniche disponibili (All. 5.1. lett.ra c) prescrivendo alle conclusioni generali sulle BAT (punto 1.1. BAT2) lett.ra f): di garantire la compatibilità dei rifiuti prima della miscelazione e segnatamente:” La compatibilità è garantita da una serie di prove e di misure di controllo al fine di rilevare eventuali reazioni chimiche indesiderate e/o potenzialmente pericolose tra i rifiuti (es. polimerizzazione, evoluzione di gas, reazione esotermica, decomposizione, cristallizzazione, precipitazione) in caso di dosaggio, miscelatura o altre operazioni di trattamento. I test di compatibilità sono sul rischio tenendo conto, ad esempio, delle caratteristiche di pericolosità dei rifiuti, dei rischi da essi posti in termini di sicurezza dei processi, sicurezza sul lavoro ed impatto sull’ambiente, nonché delle informazioni fornite dal o dai precedenti detentori dei rifiuti”.
Ordunque la miscelazione, effettuata nell’osservanza delle migliori tecnologie disponibili, dev’essere funzionale alle esigenze del successivo trattamento cui è destinato il rifiuto e non un metodo rivolto a facilitare l’accettazione dei rifiuti.
Le Regioni, al fine di poter uniformare le modalità di rilascio dei titoli autorizzativi (tra l’altro) alla miscelazione, possono dotarsi di atti generali di indirizzo all’interno del quale impartire (agli uffici istruendi) prescrizioni in tema di gestione delle attività di raggruppamento (R12/D13) quali ad esempio:
• caratterizzazione del rifiuto in ingresso e sua omologa;
• formazione di lotti da caratterizzare e classificare prima del successivo conferimento a destino finale (recupero e/o smaltimento);
• tracciabilità della provenienza;
• compatibilità e formazione gruppi di miscelazione (reciprocamente inerti o non reattivi);
• divieto di miscelazione che comporti riduzione dei contaminanti al di sotto della soglia di concentrazione fissata per l’attribuzione della classe di pericolo;
• obbligo dell’impianto di destino finale di poter ricevere la miscela di rifiuti solo se autorizzato per ciascun singolo EER;
• divieto di miscelazione di determinate tipologie quali ad esempio amianto, sostanze che eccedono i limiti di cui al reg. 850/2004, rifiuti sanitari e/o a rischio infettivo con altri rifiuti non appartenenti a dette tipologie;
• accertamento della fattibilità di miscelazione in deroga al comma 1 dell’art. 187 D.Lgs. 152/2006 mediante prova su scala in laboratorio, da registrare su apposita scheda e conservare per la durata di 5 anni;
• compilazione delle specifiche schede di miscelazione da cui si rinvenibile la tracciabilità delle partite;
• divieto di diluizione degli inquinanti attraverso la miscelazione o l’accorpamento di rifiuti o con altri materiali, prescrivendo l’obbligo di mantenimento delle medesime HP possedute dai singoli rifiuti in ingresso;
• obbligo di conferimento delle miscele a smaltimento e/o recupero definitivo con conseguente preclusione di ulteriori passaggi intermedi ad impianti autorizzati alle operazioni da D13 a D15 dell’allegato B o alle operazioni da R12 ad R13 dell’allegato C del D.Lgs. 152/2006.
E’ quanto recentemente ribadito dai Giudici di Palazzo Spada (C.d.S. sent. n. 6513 dep. 25.07.2022) in un articolato excursus motivazione scaturente dall’impugnativa della D.G.R. Veneto n. 119 del 07.02.218, promossa da alcuni gestori di impianti di rifiuti (autorizzati, tra l’altro, alla miscelazione) risoltasi con nr. 2 sentenze TAR Veneto (rispettivamente n. 218/2022 e n. 235/2022), parzialmente riformate in sede di appello.
I Giudici del riesame hanno condiviso la delibazione del TAR in merito alla validità dei criteri adottati dalla Regione Veneto con D.G.R. n. 119/2018 qualificati come “criteri di indirizzo” e non invece come “norme tecniche” in materia di gestione dei rifiuti, riservate allo Stato, ai sensi dell’art. 195/comma 2 lett.ra a) D.Lgs. 152/2006, di cui gli uffici regionali devono tener conto ai fini del rilascio delle autorizzazioni per gli impianti di trattamento dei rifiuti, considerandoli espressione delle competenze loro attribuite ai sensi dell’art. 196/comma 1 TUA.
Il tutto validato da uniformi precedenti giurisprudenziali, tra cui ex plurimis la sentenza Corte Cost. n. 75 del 12.04.2017 la quale, nell’annullare il comma 3-bis dell’art. 187 D.Lgs. 152/2006, per violazione degli art. 11 e 117/1° comma Cost., in relazione alla direttiva 2008/98/CE, ed all’art. 117/commi 2 e 3, aveva ribadito la prerogativa le prerogative regionali in tema di disciplina per il rilascio delle autorizzazioni, nell’assumere e garantire livelli ulteriori di tutela ambientale ai sensi dell’art. 3-quinquies/comma 2 D.Lgs. 152/2006.
La Consulta, nel riaffermare che le operazioni di miscelazione, non vietate ai sensi dell’art. 187 TUA, devono comunque essere specificatamente autorizzate, implicitamente ha riconosciuto all’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione, un potere di verifica e di conformazione di dette operazioni, che deve soggiacere all’adozione di specifiche misure e prescrizioni valevoli erga omnes e quindi oggetto di disciplina generale.
Il C.d.S. ha osservato che la differenza tra “criteri di indirizzo” e “norme tecniche” statali, di cui all’art. 195/comma 2 lett.ra a) D.Lgs. 152/2006 non è affatto meramente nominalistica ma sostanziale in quanto dette ultime, emanabili con D.M. Ambiente, afferiscono alle modalità generali di trattamento delle varie tipologie di rifiuti (speciali pericolosi e non), a differenza dei criteri in esame, funzionali al rilascio della autorizzazioni al trattamento, fermo restando la possibilità che, in sede di autorizzazione, siano introdotte prescrizioni e misure più stringenti di quelle ricavabili in via generale dalle regole tecniche, in ossequio al generale potere delle Regioni di assicurare livelli più elevati di tutela ambientale, ai sensi del succitato art. 3-quinquies comma 2 TUA.
Standars maggiori di tutela ambientale, rispetto a quelli dello Stato, che le Regioni hanno titolo ad introdurre viste le prerogative esclusive a queste ultime in tema di salute pubblica, sicurezza e tutela del suolo.
Del resto, in assenza di norme statali che individuino livelli di tutela ambientale uniformi in tema di miscelazione, non possono ritenersi sussistenti vincoli derivanti dalla legislazione statale per l’esercizio di funzioni regionali, salvo quelli desumibili dall’art. 187/comma 2 D.Lgs. 152/2006, che le Regioni legittimamente hanno il potere di declinare anche nell’esercizio dei poteri di coordinamento amministrativo propedeutici alle funzioni autorizzatorie che le spettano.
Sulla diluizione, come vietata dalla D.G.R. Veneto 119/2018 in quanto inammissibile al fine di ridurre la concentrazione di inquinanti al di sotto delle soglie che ne stabiliscono la pericolosità (con conseguente mantenimento di tutte le HP in uscita possedute dai rifiuti in ingresso poi raggruppati), i motivi dei ricorrenti (avverso il provvedimento regionale impugnato) sono stati ritenuti fondati dal TAR VENETO nelle citate sent. 218/2022 e n. 235/2022. Segnatamente detto Giudice ha stabilito che l’art. 184/comma 5-ter D.Lgs. 152/2006 (declassificazione di rifiuto da P a NP mediante diluizione o miscelazione con riduzione delle concentrazioni iniziali) non tratta della composizione chimica del rifiuto, ma della sua classificazione, ai fini dell’individuazione del corretto regime da applicare. Ed invero, come sopra illustrato, il par. 2.1.4 del BREF WT 2018 afferma che la miscelazione non è una tecnica preordinata a facilitare l’accessibilità del rifiuto, attraverso la diluizione, ma a migliorare sul piano tecnico il successivo trattamento, garantendo un trattamento ambientalmente corretto con la tracciabilità stessa dei rifiuti. Tuttavia, traendo spunto da quanto statuito dalla stessa Regione (All. DGR 119/2018 paragr. 4.1 punto 4.b:”è ammessa la miscelazione che consente, attraverso la diluizione, di ricondurre i contaminanti che saranno oggetto di trattamento presso il successivo impianto alle concentrazioni idonee ai processi in esso previsti”) il TAR Veneto asserisce che, nell’ipotesi di abbattimento delle concentrazioni mediante diluizione (attività intrinseca alla miscelazione), imporre il mantenimento della concentrazione dei contaminanti oltre le soglie che determinano la caratteristica di pericolo sarebbe illogico nel caso in cui il successivo trattamento desse certezza riguardo l’assenza di rischio di trattamento non ambientalmente corretto della miscela stessa. Pertanto, la previsione secondo cui sarebbe sempre, a prescindere dalla successiva destinazione della miscela, necessario mantenere le concentrazioni di contaminanti sopra le soglie che ne determinano la caratteristica di pericolo è irragionevole (e quindi da annullare), nella circostanza in cui, ad ogni singola verifica, risultino riscontri concreti da far ragionevolmente ritenere tale adempimento non necessario a garantire l’ammissibilità ed il corretto trattamento del rifiuto nell’ambito degli impianti di destino.
Peccato che il C.d.S. sia di diverso avviso e, nella sentenza n. 6513/2022, abbia stigmatizzato l’operato dei Giudici di Prime Cure su tale tema, confermando la bontà e validità di quanto contenuto nella D.G.R. Veneto 119/2018 in tema di diluizione, poiché in contrasto con quanto previsto dal succitato art. 184/comma 5-ter D.Lgs. 152/2006. Ciò in quanto dev’esserci sempre l’impossibilità di eliminare, in sede di diluizione, una classe di pericolo HP originariamente presente, non essendo sufficiente che durante la diluizione la miscela rimanga pericolosa solo per quei componenti non diluiti.
Del resto il divieto regionale non si applica sic et simpliciter per la diluizione ma solamente su quella di uno o più inquinanti, originariamente presenti, ma che, una volta miscelati, riducono la loro concentrazione al di sotto della soglia di pericolosità.
Così ad esempio, se i rifiuti originari hanno diversi componenti inquinanti (X, Y e Z), cui corrispondono tre diverse classi di pericolo (HP1, HP2 ed HP3), la miscela deve mantenere il carattere di pericolosità per X, Y e Z (non si può quindi diluire X ed Y al di sotto della soglia di pericolosità). In altre parole non è sufficiente che la miscela rimanga pericolosa solo per il componente inquinante Z (in ipotesi non diluito), ma deve restare pericolosa anche per i componenti inquinanti X ed Y.
In sintesi la miscelazione può avvenire, in regime autorizzatorio ammettendo la diluizione dei contaminanti “alle concentrazioni idonee ai processi previsti nell’impianto di trattamento finale” ma senza l’abbattimento delle concentrazioni al di sotto della soglia di pericolo che devono permanere anche per il successivo destino finale in impianto autorizzato a ricevere i singoli EER che compongono la miscela.
Nel rassegnare le conclusioni espongo le mie brevi e sommesse riflessioni in merito:
a) è del tutto pacifico che, nell’ambito del dettato autorizzativo possano e debbano essere impartite al gestore le prescrizioni inerenti le modalità di miscelazione/diluizione e successiva rendicontazione (schede di miscelazione, verifiche periodiche su lotti, protocolli e metodiche di campionamento, archiviazione dati). Il tutto al fine di garantire, sempre e comunque, la tracciabilità del rifiuto fino al suo destino finale;
b) la distinzione tra atto di indirizzo (ammesso) e norma tecnica (non ammessa), ritenuta dai giudici del TAR e C.d.S., sostanziale e quindi consentita, la prima, alle Regioni in ossequio alle proprie prerogative costituzionali in tema di autorizzazione ambientale, non è a mio avviso convincente dal momento che trattasi comunque di una disciplina dirimente nel permettere (in alcune regioni) lo svolgimento dell’attività di miscelazione oppure nel limitarla, circoscriverla o vietarla (in altre), creando un’evidente dicotomia sia sotto il profilo statuale, sia per quanto concerne la concorrenza tra diversi operatori, soggiacenti a regole diverse (più o meno stringenti) a seconda del territorio regionale in cui questi svolgono la propria attività autorizzata;
c) il tema della diluizione/miscelazione è chiosato (nel verso del divieto) in modo ineludibile dall’art. 183-comma 5-ter D.Lgs. 152/2006, il quale tuttavia sarebbe stato esaustivo (evitando tutti i funnanbulismi interpretativi della giurisprudenza) se avesse precisato l’obbligo del produttore di dimostrare, oltre ogni ragionevole dubbio e con analisi chimiche rappresentative, che la miscela abbia modificato il contenuto delle concentrazioni iniziali (per reazione chimica, inertizzazione o anche per diluzione) riducendo la concentrazione iniziale di sostanze pericolose al di sotto delle soglie che ne definiscono il carattere pericoloso del rifiuto. Ciò in quanto il tema, prima che essere risolto giuridicamente doveva essere esplicitato dal punto di vista della chimica degli elementi e della rappresentatività delle analisi sui campioni prelevati, a maggior ragione del fatto che tutta la corposa documentazione tecnica comunitaria richiamata, non contiene in alcun punto detto divieto ma, in modo più ragionevole, indica una serie di prescrizioni e raccomandazioni per la migliore e corretta gestione delle attività di miscelazione.
Anche in tale consesso sarebbe quanto mai utile che il Ministero dell’Ambiente e (oggi) della Sicurezza Energetica, decretasse una compiuta disciplina in materia di miscelazione e diluizione raccordandosi con la Conferenza Stato- Regioni per definire un testo uniforme sul territorio nazionale, valevole erga omnes, in modo da assicurare la par conditio degli operatori, e tranciante su spinte localistiche oltremodo libertarie o, al contrario, ingiustamente restrittive, e sollevando la giurisprudenza dal non facile (e non sempre uniforme) esercizio esegetico del complesso di norme (comunitarie, nazionali e regionali) vigenti.
Piacenza, 9 gennaio 2023
Torna all'elenco completo
© Riproduzione riservata