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La miscelazione tra rifiuti non pericolosi deve essere autorizzata?

di Linda Maestri

Categoria: Rifiuti

 

Con il presente contributo si intende approfondire una delle tante questioni operative emerse in seguito all’ormai famosa sentenza della Corte Costituzionale n. 75 del 12 aprile 2017 in tema di miscelazione dei rifiuti. Tenendo sempre come riferimento l’analisi della pronuncia, e dei suoi possibili effetti, oggetto di un precedente approfondimento (Miscelazione di rifiuti: è obbligatoria l’autorizzazione?), ci occupiamo ora di un interrogativo ben preciso: la miscelazione di rifiuti non pericolosi deve essere autorizzata?

 

Cos’è successo

Fermo restante il riferimento sopra riportato, è chiaro che l’analisi de quo non può prescindere da un – seppur minimo – riassunto di quanto accaduto. Brevemente, quindi, si ricorda che la cosiddetta Legge sulla Green Economy del 2015[1] aveva introdotto all’interno del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152[2] (anche conosciuto come Testo Unico Ambientale) una nuova disposizione, innovando l’art. 187, rubricato “Divieto di miscelazione di rifiuti pericolosi”, che dispone quanto segue:

1. E’ vietato miscelare rifiuti pericolosi aventi differenti caratteristiche di pericolosità ovvero rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi. La miscelazione comprende la diluizione di sostanze pericolose.

2.In deroga al comma 1, la miscelazione dei rifiuti pericolosi che non presentino la stessa caratteristica di pericolosità, tra loro o con altri rifiuti, sostanze o materiali, può essere autorizzata ai sensi degli articoli 208, 209 e 211 a condizione che: a) siano rispettate le condizioni di cui all’articolo 177, comma 4, e l’impatto negativo della gestione dei rifiuti sulla salute umana e sull’ambiente non risulti accresciuto; b) l’operazione di miscelazione sia effettuata da un ente o da un’impresa che ha ottenuto un’autorizzazione ai sensi degli articoli 208, 209 e 211;c) l’operazione di miscelazione sia conforme alle migliori tecniche disponibili di cui all’articoli 183, comma 1, lettera nn)[…]”.

La Legge Green Economy[3] aveva aggiunto alla disposizione in commento il comma 3-bis, ai sensi del quale “le miscelazioni non vietate in base al presente articolo non sono sottoposte ad autorizzazione e, anche se effettuate da enti o imprese autorizzati ai sensi degli articoli 208, 209 e 211, non possono essere sottoposte a prescrizioni o limitazioni diverse od ulteriori rispetto a quelle previste per legge”.

 

Combinando quanto sopra riportato, quindi, era possibile concludere che:

  • il divieto[4] doveva intendersi circoscritto alla miscelazione di rifiuti pericolosi con differenti caratteristiche di pericolosità e alla miscelazione di rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi;
  • (di conseguenza) era consentita la miscelazione tra rifiuti non pericolosi e di rifiuti non pericolosi e altre sostanze;
  • in via eccezionale, l’autorizzazione poteva derogare al divieto relativo ai rifiuti pericolosi con differenti caratteristiche di pericolo se la miscelazione non comportasse un impatto negativo sulla salute umana e sull’ambiente e fosse conforme alle migliori tecniche disponibili[5];
  • al di fuori dei casi vietati di cui sopra, la miscelazione non necessitava di autorizzazione e non poteva essere sottoposta a prescrizioni ulteriori o diverse rispetto a quelle previste dalla normativa vigente.

 

Due mesi dopo la pubblicazione in Gazzetta della Legge Green Economy, precisamente il 25 marzo 2016, la Regione Lombardia ricorreva alla Corte Costituzionale impugnando la norma che introduceva il predetto comma 3-bis all’interno dell’art. 187, sollevando cinque questioni di costituzionalità. Secondo la Regione, infatti, quel comma aveva l’effetto di liberalizzare le miscelazioni non vietate “(quindi quelle relative a rifiuti con uguali caratteristiche di pericolosità oppure non pericolosi), disponendo anzi l’impossibilità di sottoporre l’operazione di miscelazione a limitazioni in sede autorizzatoria[6]. Questo, sosteneva la Regione, contravvenendo alla normativa comunitaria di cui alla Direttiva 2008/98/CE[7], la cosiddetta Direttiva Quadro sui rifiuti, che prevede all’art. 23[8] (non modificato dalla nuova direttiva 2018/851[9], contenuta nel Pacchetto Economia Circolare) la necessità di ottenere l’autorizzazione dell’Autorità competente per effettuare attività di “trattamento” di rifiuti: secondo la Regione, infatti, “la miscelazione […] costituisce una delle operazioni di smaltimento e di gestione dei rifiuti e, pertanto, è disciplinata all’interno dell’autorizzazione all’esercizio dell’impianto, con proprie prescrizioni”.

 

Mentre l’Avvocatura Generale dello Stato sosteneva che, costituendo la miscelazione attività di gestione dei rifiuti, ed essendo in quanto tale da disciplinare nell’ambito delle prescritte autorizzazioni, il comma 3-bis oggetto di contestazione chiariva l’esclusione delle sole “limitazioni “diverse o ulteriori” rispetto a quelle previste per legge», il che garantirebbe il rispetto della normativa europea e del codice dell’ambiente”, con la sentenza n. 75/2017 la Corte Costituzionale ha pronunciato l’illegittimità costituzionale della norma che ha introdotto il predetto comma 3-bis, per violazione degli artt. 117, commi 1 e 3, e dell’art. 118, comma 1 della Costituzione italiana[10]. In virtù di quanto stabilito dall’art. 136 della medesima Costituzione, la norma così dichiarata incostituzionale cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, in questo caso dal 20 aprile 2017[11].

 

Cosa succede?

Si dovrebbe, quindi, fare finta che il comma 3-bis non sia mai esistito mentre, come premesso, non può dirsi lo stesso per le motivazioni addotte dalla Corte Costituzionale.

Preliminarmente, è opportuno considerare che l’attuale formulazione dell’art. 187 conduce a concludere che al divieto di miscelazione è possibile derogare per mezzo di apposita indicazione nell’atto autorizzativo, sempreché non si arrechino pericolo alla salute umana o pregiudizio all’ambiente[12]: da qui, invero, si deduce la necessità che operazioni di miscelazione fra rifiuti pericolosi con diverse caratteristiche di pericolo e fra rifiuti pericolosi e non pericolosi debbano essere autorizzate. Di conseguenza, il comma 3-bis aveva formalmente confermato il fatto che non fosse obbligatorio autorizzare le attività di miscelazione non vietate, ossia quelle fra rifiuti pericolosi con le stesse caratteristiche di pericolosità e quelle fra rifiuti non pericolosi.

 

Venendo meno il comma 3-bis, qual è la sorte delle operazioni di miscelazione tra rifiuti non pericolosi?

Per rispondere occorre considerare, da un lato, le considerazioni espresse dalla Corte Costituzionale nella sentenza in commento e, dall’altro, la ratio che governa il divieto di miscelazione di cui al citato art. 187.

 

Le considerazioni della Corte

Secondo la Corte Costituzionale, innanzitutto, la norma impugnata sfuggiva alla ratio di evitare frodi nella gestione dei rifiuti per il tramite della diluizione di sostanze pericolose in sostanze meno pericolose, riconoscendole, piuttosto, “lo scopo di eliminare i controlli per determinate miscelazioni di rifiuti[13].

Successivamente, richiamato il testo dell’art. 23 della direttiva quadro sui rifiuti (v. nota), aggiunge che l’Allegato I alla direttiva comprende fra le operazioni di smaltimento, al punto D13, il “Blending or mixing prior to submission to any of the operations numbered D1 to D12”, tradotto nel testo italiano come raggruppamento preliminare prima di una delle operazioni indicate da D1 a D12, e che l’Allegato II comprende fra le operazioni di recupero, al punto R12, una voce analoga, alla quale può essere ricondotta la miscelazione dei rifiuti.

Prosegue, la Corte, evidenziando che in base alla direttiva quadro “esistono miscelazioni vietate (art. 18, paragrafo 1), ma autorizzabili in deroga (art. 18, paragrafo 2), e miscelazioni non vietate (non in deroga), ma comunque soggette ad autorizzazione in quanto rientranti tra le operazioni di trattamento dei rifiuti (art. 23)”.

 

Sul punto si è già avuto modo di osservare (v. Miscelazione di rifiuti: è obbligatoria l’autorizzazione?) che il citato art. 18 è rubricato “Divieto di miscelazione di rifiuti pericolosi”, senza alcun cenno ai rifiuti non pericolosi[14]. In questa sede si aggiunge, peraltro, che la nuova direttiva 2018/851 è intervenuta solo sul comma 3 dell’art. 18, che attualmente prevede che:

3.Qualora i rifiuti pericolosi siano stati illegalmente miscelati in violazione del presente articolo, gli Stati membri provvedono affinché, fatto salvo l’articolo 36, si proceda alla separazione ove tecnicamente fattibile e necessario per soddisfare l’articolo 13.

Se non è richiesta la separazione in conformità del primo comma del presente paragrafo, gli Stati membri provvedono affinché i rifiuti miscelati siano trattati in un impianto che abbia ottenuto un’autorizzazione a norma dell’articolo 23 per trattare una siffatta miscela”.

La nuova formulazione del comma 3, in vigore in UE dal 4 luglio 2018, pare confermare, ad avviso di chi scrive, la limitazione del campo di applicazione del divieto alla miscelazione con e tra rifiuti pericolosi. Questo risulterebbe essere, per lo meno, l’intento del Legislatore comunitario, sulla base del fatto che la norma è stata novellata solo nel suo comma 3, rimanendo invece ferme le disposizioni di cui ai commi 1 e 2.

 

Cosa dice la direttiva quadro sui rifiuti

La tematica della miscelazione è dettagliatamente analizzata nell’ambito del Documento a firma della Commissione Europea recante la guida all’interpretazione dei concetti chiave della direttiva 2008/98/CE[15]. Relativamente al concetto stesso di miscelazione, la Commissione precisa che il divieto di miscelare rifiuti pericolosi di cui all’articolo 18, paragrafo 1 e i requisiti previsti ai fini dell’applicabilità della deroga di cui all’articolo 18, paragrafo 2 si applicano indipendentemente dallo stato di aggregazione del rifiuto in questione[16]. Successivamente, dopo aver chiarito che il divieto si applica alla miscelazione di rifiuti pericolosi con altre categorie di rifiuti pericolosi, con rifiuti non pericolosi e con altre sostanze o materiali, osserva che la direttiva tratta di un divieto di miscelazione di rifiuti pericolosi da intendersi in senso estensivo (“exhaustive”), in linea con il principio di precauzione, che riguarda qualsiasi “mixing” (nell’accezione estensiva che ricomprende “blending” – mescolanza – e “diluition” – diluizione). Copre, quindi, qualsiasi miscelazione di rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi e qualsiasi miscelazione di rifiuti pericolosi con qualsiasi sostanza o materiale, indipendentemente dalle circostanze, la tecnica utilizzata o l’intenzione del detentore. Precisa, poi, la Commissione che la miscelazione di rifiuti pericolosi con altri rifiuti pericolosi è vietata solo se i rifiuti non appartengono alla stessa categoria di pericolo.

Il divieto di miscelazione, si legge nella guida interpretativa, risponde alle seguenti esigenze:

  • assicurare una corretta gestione dei rifiuti (riutilizzo e recupero di flussi omogenei, più facile rispetto a flussi misti
  • rendere la gestione dei rifiuti (e in particolare le operazioni di riciclaggio e recupero) più semplice, dato che le caratteristiche dei singoli flussi di rifiuti possono essere più facili da controllare rispetto ai rifiuti misti
  • evitare la contaminazione dei flussi di rifiuti che sono adatti per il riciclaggio e l’inclusione di sostanze pericolose nei prodotti generati da materiali riciclati
  • ridurre i livelli di contaminazione

 

In particolare, per quanto riguarda i rifiuti pericolosi, l’impatto della miscelazione è preoccupante in quanto i rifiuti pericolosi possono reagire chimicamente tra loro e aggravare gli effetti della loro pericolosità e, inoltre, produrre sostanze pericolose aggiuntive e far sì che le sostanze pericolose presenti si disperdano nell’ambiente, anziché essere rimosse con gli opportuni trattamenti. Di conseguenza, prosegue la Commissione, le misure che limitano la miscelazione di rifiuti pericolosi sono poste a presidio della sicurezza nella gestione dei rifiuti e della rimozione delle sostanze pericolose, nonché, in via generale, per proteggere la salute umana e l’ambiente, nonché la salute e la sicurezza sul lavoro: il divieto di miscelare rifiuti pericolosi è, quindi, un’espressione del principio di precauzione e di azione preventiva[17].

 

La ratio dell’art. 187 del D.L.vo 152/2006

L’art. 187 del D.L.vo 152/2006 riprende il dettato del citato art. 18 della direttiva quadro. A partire dalla rubrica, che è la medesima, la norma nazionale riprende il concetto di un generico divieto di miscelazione relativo a rifiuti pericolosi, sia con riferimento alla miscelazione con altri rifiuti pericolosi, con differenti caratteristiche di pericolo, sia con riferimento alla miscelazione con rifiuti non pericolosi. Il comune denominatore risulta, pertanto, essere costituito dalla pericolosità del rifiuto: ciò, ad avviso di chi scrive, conformemente all’approccio precauzionale adottato dal Legislatore comunitario, che intende vietare o, in via eccezionale, sottoporre a precisa regolamentazione (da parte dell’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione) le miscelazioni aventi ad oggetto almeno un rifiuto pericoloso o, comunque, rifiuti pericolosi con differenti caratteristiche di pericolo (comma 2).

Relativamente ai rifiuti non pericolosi non sembrerebbero, pertanto, ravvisarsi tali esigenze di cautela e prevenzione. Non menzionando, né la norma in esame, né la disposizione comunitaria di riferimento, la necessità di autorizzare la miscelazione di rifiuti non pericolosi, non sembrerebbe ravvisarsi un tale obbligo. Tale necessità emerge, invero, nei casi di cui al comma 2, i quali contemplano, comunque, la presenza di un rifiuto pericoloso.

 

Altrettanto vero, peraltro, è che nella citata Guida interpretativa alla direttiva quadro sui rifiuti la Commissione UE afferma che la miscelazione dei rifiuti è una prassi comune nell’UE ed è riconosciuta come operazione di trattamento dagli allegati I e II della direttiva (cfr. note in calce alle operazioni D13 / R12)[18]. In quanto tale, essa rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 23 della medesima direttiva, ai sensi del quale qualsiasi ente o impresa che intende effettuare il trattamento dei rifiuti dovrebbe ottenere l’autorizzazione dell’autorità competente. Tuttavia, la normativa nazionale non offre, ad avviso di chi scrive, le possibilità per dare una tale lettura, limitandosi a riportare il divieto di cui sopra e a circoscrivere la necessità di autorizzazione alla miscelazione dei rifiuti pericolosi che non presentino la stessa caratteristica di pericolosità, tra loro o con altri rifiuti, sostanze o materiali[19]. La ratio dell’art. 187 risulterebbe essere, ad avviso di chi scrive, quella di vietare le miscelazioni che potrebbero potenzialmente pregiudicare la saluta umana o l’ambiente, il che non sembrerebbe dirsi anche relativamente alla miscelazione tra rifiuti non pericolosi.

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Considerazioni conclusive

Sulla base di quanto sopra riportato, alla problematica di cui si discute è possibile dare due differenti letture. La prima, che prende le basi da quanto espresso dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 75/2017, ritiene in via cautelativa che anche la miscelazione di rifiuti non pericolosi debba, per essere lecitamente esercitata, essere previamente autorizzata.

La seconda, invece, ritenendo che la ratio dell’art. 187 ha riguardo ai rifiuti pericolosi, in ragione del rischio che la loro miscelazione (tra pericolosi o con rifiuti non pericolosi o altre sostanze o materiali) comporta, sostiene che la miscelazione di rifiuti non pericolosi non debba essere autorizzata.

 

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Piacenza, 29.10.2018

 

 

[1] Legge 28 dicembre 2015, n. 221, Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali, pubblicata sulla GU n. 13 del 18 gennaio 2016, in vigore dal 2 febbraio 2016.

 

[2] Norme in materia ambientale, pubblicato sulla GU n. 88 del 14 aprile 2006, in vigore dal 29 aprile 2006.

 

[3] Precisamente, l’art. 49 della Legge.

 

[4] L’inosservanza del divieto trova sanzione all’art. 256 del medesimo D.L.vo 152/2006 (Attività di gestione di rifiuti non autorizzata), precisamente al comma 5, che così dispone: “Chiunque, in violazione del divieto di cui all’articolo 187, effettua attività non consentite di miscelazione di rifiuti, è punito con la pena di cui al comma 1, lettera b)”, vale a dire con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro.

 

[5] Art. 183 (definizioni) D.L.vo 152/2006, comma 1 lett. nn) migliori tecniche disponibili“: le migliori tecniche disponibili quali definite all’articolo 5, comma 1, lett. l-ter) del presente decreto”, vale a dire “la più efficiente e avanzata fase di sviluppo di attività e relativi metodi di esercizio indicanti l’idoneità pratica di determinate tecniche a costituire, in linea di massima, la base dei valori limite di emissione e delle altre condizioni di autorizzazione intesi ad evitare oppure, ove ciò si riveli impossibile, a ridurre in modo generale le emissioni e l’impatto sull’ambiente nel suo complesso. Nel determinare le migliori tecniche disponibili, occorre tenere conto in particolare degli elementi di cui all’allegato XI. Si intende per: 1) tecniche: sia le tecniche impiegate sia le modalità di progettazione, costruzione, manutenzione, esercizio e chiusura dell’impianto; 2) disponibili: le tecniche sviluppate su una scala che ne consenta l’applicazione in condizioni economicamente e tecnicamente idonee nell’ambito del relativo comparto industriale, prendendo in considerazione i costi e i vantaggi, indipendentemente dal fatto che siano o meno applicate o prodotte in ambito nazionale, purché il gestore possa utilizzarle a condizioni ragionevoli; 3) migliori: le tecniche più efficaci per ottenere un elevato livello di protezione dell’ambiente nel suo complesso”.

 

[6]La norma statale sottrarrebbe all’autorizzazione «e alle prescrizioni ad essa connesse» la miscelazione di rifiuti con uguali caratteristiche di pericolosità e quella fra rifiuti non pericolosi, che invece sarebbe assoggettata ad autorizzazione dall’art. 23, paragrafo 1, della direttiva n. 2008/98/CE”.

 

[7] Direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive, pubblicata sulla GU L 312 del 22 novembre 2008.

 

[8] Articolo 23 Dir. 2008/98/CE – Rilascio delle autorizzazioni:

1.Gli Stati membri impongono a qualsiasi ente o impresa che intende effettuare il trattamento dei rifiuti di ottenere l’autorizzazione dell’autorità competente. Tali autorizzazioni precisano almeno quanto segue:

a) i tipi e i quantitativi di rifiuti che possono essere trattati;

b) per ciascun tipo di operazione autorizzata, i requisiti tecnici e di altro tipo applicabili al sito interessato;

c) le misure precauzionali e di sicurezza da prendere;

d) il metodo da utilizzare per ciascun tipo di operazione;

e) le operazioni di monitoraggio e di controllo che si rivelano necessarie;

f) le disposizioni relative alla chiusura e agli interventi ad essa successivi che si rivelano necessarie […]”.

 

[9] Direttiva 2018/851 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 maggio 2018, che modifica la direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti, pubblicata sulla GU L 150 del 14 giugno 2018.

 

[10] Secondo la Corte, “La Regione argomenta specificamente l’incidenza della norma impugnata sulle proprie competenze costituzionali, affermando, da un lato, che essa comprime il suo potere di fissare livelli di tutela ambientale più elevati di quelli statali, nell’esercizio delle competenze regionali in materia di «tutela della salute» e «tutela e sicurezza del lavoro», e impedisce il pieno esercizio di esse (art. 117, terzo comma, Cost.); dall’altro lato, che l’art. 49 della legge n. 221 del 2015 lede le funzioni amministrative regionali (art. 118 Cost.), escludendo la possibilità per le regioni di sottoporre ad autorizzazione alcune operazioni di smaltimento di rifiuti”.

 

[11] La sentenza in commento, infatti, è stata depositata il 12 aprile 2017, e pubblicata nella GU n. 16 del 19 aprile 2017.

 

[12] A. POSTIGLIONE, S. MAGLIA, “Diritto e gestione dell’ambiente”, Irnerio Editore, 2013, pagg. 216-217.

 

[13]La difesa dello Stato evoca inoltre la competenza esclusiva dello Stato per la disciplina della miscelazione dei rifiuti evidenziando che essa ha finalità di «tutela dell’ambiente», in quanto «volta ad evitare “frodi” nella gestione degli stessi, tramite la diluizione di sostanze pericolose in sostanze meno pericolose», ma non considera che la norma impugnata sfugge a quella ratio, avendo lo scopo di eliminare i controlli per determinate miscelazioni di rifiuti”.

 

[14] La norma stabilisce, infatti, che “gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che i rifiuti pericolosi non siano miscelati con altre categorie di rifiuti pericolosi o con altri rifiuti, sostanze o materiali. La miscelazione comprende la diluizione di sostanze pericolose. 2. In deroga al paragrafo 1, gli Stati membri possono permettere la miscelazione a condizione che: a) l’operazione di miscelazione sia effettuata da un ente o da un’impresa che ha ottenuto un’autorizzazione a norma dell’articolo 23; b) le disposizioni dell’articolo 13 siano ottemperate e l’impatto negativo della gestione dei rifiuti sulla salute umana e sull’ambiente non risulti accresciuto; e c) l’operazione di miscelazione sia conforme alle migliori tecniche disponibili […]”.

 

[15] Guidance on the interpretation of key provisions of Directive 2008/98/EC on waste, datato giugno 2012.

 

[16]Indeed, the ban on the mixing of hazardous waste in Article 18 WFD and the requirements for derogation in Article 18 WFD apply irrespective of the aggregation state of the waste in question and the reasons — if any — for the person or institution to undertake the mixing of waste”.

 

[17]Thus, measures restricting the mixing of hazardous waste are measures ensuring the safety of waste management and the removal of hazardous substances from wastes, both on general grounds to protect human health and the environment, in line with the general principles of Article 13 WFD, but also for reasons of occupational health and safety. Considering these aspects, the ban in principle on mixing hazardous waste is an expression of the precautionary principle and the principle of preventive action” (pag. 59).

 

[18]The mixing of waste is common practice in the EU and is recognised as a treatment operation by Annex I and II to the WFD (see footnotes to operations D13 / R12). In many fields of waste management, mixing of waste is everyday practice”.

 

[19] In ossequio, peraltro, al principio giuridico interpretativo in base al quale ubi lex voluit, dixit; ubi noluit, tacuit, come affermato nel contributo citato in premessa.

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