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Il MOG tailor made ai fini della quantificazione della pena degli enti nei reati ambientali

di Fabrizio Salmi, Benedetta d’Aquino

Categoria: Responsabilità ambientali

La Sezione III della Cassazione, con sentenza n. 27148 del 2023, torna a pronunciarsi sull’importanza, per gli enti dotati di un Modello di Organizzazione e Gestione ai sensi del D.lgs. 231/2001, di redigerne uno su misura – rispettando i processi che coinvolgono tutte le attività della Governance Aziendale – e di garantirne la efficace attuazione, confermando la sentenza di condanna di primo grado limitatamente alla fattispecie di cui all’art. 256 comma 1 D.lgs. 152/2006.
 

In effetti, ciò comporta conseguenze immediate non solo per escludere la responsabilità da reato dell’ente, ma altresì ai fini della valutazione del quantum della pena da irrogare alla Società che ne sia carente.
 

Nei punti sesto e ottavo, la Corte affronta le doglianze della ricorrente il tema di confisca del provento da un lato e, dall’altro, la censura di illogicità della motivazione con riferimento alle modalità di determinazione del numero di quote applicate all’ente come sanzione pecuniaria ai sensi del Decreto Legislativo 231/2001 e dell’entità unitaria delle suddette.
 

La Corte di legittimità pone le fondamenta per giungere alla conclusione di congruenza della pena pecuniaria di 250 quote pari a 500,00 Euro l’una, irrogata dal Giudice di prime cure, attraverso una breve trattazione sull’interesse o sul vantaggio conseguiti dall’ente e sulla sussistenza della colpa d’organizzazione, condividendo quanto affermato in primo grado.
 

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In proposito dell’interesse o del vantaggio, tutt’altro che endiadi, la Corte ribadisce quanto sostenuto nel caso Espenhahn del 2014 in cui il primo è apprezzabile ex ante secondo un metro di giudizio soggettivo. Rientrano pertanto in tale concetto le condotte coerenti con la politica imprenditoriale e le scelte gestionali dell’ente.
 

Il concetto di vantaggio invece assume una connotazione essenzialmente oggettiva, valutabile dunque ex post, sulla base delle utilità che siano concretamente derivate dalla realizzazione dell’illecito, non necessariamente di carattere patrimoniale.
 

Per quanto riguarda la colpa d’organizzazione, la Corte rileva una sostanziale mancata applicazione del modello di organizzazione e gestione da parte della ricorrente, a fronte di una formale adozione del medesimo.
 

La mera sussistenza del modello, come mera adesione a generiche prescrizioni, non può essere automaticamente sufficiente a determinare l’idoneità di esclusione della colpa dell’organizzazione, la quale pertanto ha la possibilità di redigere un modello che sia tailor made vale a dire calato interamente nella realtà della società cui si riferisce, rispettando le trame e il perimetro dell’attività d’impresa. Questo è il motivo per cui va sempre più in disuso la redazione di un modello la cui parte speciale sia divisa per reati a favore di un modello suddiviso per processi, quei processi che formano la Governance aziendale.
 

In materia di reati ambientali, la Corte pone in correlazione l’assenza della nomina di un Organismo di Vigilanza 231 (OdV) con la inefficace attuazione del modello, dando una errata interpretazione all’art. 6 del Decreto in esame. La normativa infatti assegna carattere esimente ad alcune condotte che la società deve porre in essere per andare esente da imputazione, di cui la nomina di un organismo di vigilanza costituisce solo una circostanza alternativa e non congiunta alle altre elencate dalla norma, men che meno obbligatoria.
 

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Laddove l’OdV nominato avesse poteri di controllo limitati, ma il Modello fosse stato idoneo, il Giudice avrebbe dovuto porsi in ottica di prognosi postuma e valutare se la corretta attuazione del medesimo avrebbe potuto evitare l’evento. In caso negativo, come ad esempio si è verificato nella Sentenza Impregilo del 2022, i limitati poteri dell’OdV non costituirebbero il nesso di causalità con il fatto di reato verificatosi.
 

Quanto al dato sanzionatorio, in primo grado è stata gestita in modo opinabile la fondatezza delle decisioni del Giudice di prime cure in merito alla confisca da un lato e alla quantificazione della pena dall’altro.
 

Il concetto di profitto confiscabile, attraverso un ragionamento di analogia in malam partem di carattere giurisprudenziale, viene esteso come segue, “il vantaggio economico indiretto derivante dal risparmio conseguente alla posposizione delle esigenze della sicurezza del lavoro le quali vengono ragionevolmente estese alla materia dei presidi ambientali”.
 

Tuttavia la Corte di cassazione ha condiviso l’argomentazione della Società ricorrente proprio sulla quantificazione del profitto oggetto di confisca. Secondo la pronuncia delle Sezioni Unite del 2015 “il profitto del reato si identifica con il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito”. Pertanto, il vantaggio economico è il legame pertinenziale con il fatto di reato, quindi se un vantaggio si può collegare causalmente al fatto di reato, sarà di conseguenza reputato profitto.
 

Il 2 comma dell’art. 19 del D.lgs. 231/2001 sancisce il carattere residuale della confisca per equivalente, rispetto a quella diretta, la quale pertanto dovrà essere necessariamente quantificata in concreto. Non è sufficiente un generico riferimento di carattere equitativo.
 

Nell’ultimo punto sulla quantificazione della sanzione riferita all’ente, la Corte di legittimità ha ritenuto il ricorso infondato reputando non illogica la dosimetria della sanzione pecuniaria. I criteri di valutazione utilizzati dal giudice in sede di quantificazione della pena da irrogare, pur tenendo salva la discrezionalità tipica ricondotta all’organo giudicante, necessita in ogni caso di essere concretamente motivata. La sanzione tiene conto in primo luogo della gravità del reato e della durata della condotta, laddove la gravità del reato viene giustificata dalla presenza di “immensi cumuli di rifiuti”, p. 37.
 

Sul grado di responsabilità dell’ente, la corte ha rilevato che il reato è stato posto in essere nell’interesse e a vantaggio dell’ente stesso attraverso la messa a disposizione di un sito illegale per la gestione dei rifiuti e di non aver posto alcuna attività per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto o per prevenire la commissione di ulteriori illeciti.
 

In effetti, non risulta essere stato adottato un modello organizzativo di nuova redazione, all’esito delle problematiche emerse, idoneo pro futuro a intercettare simili condotte criminose e avente pertanto carattere riparatorio rispetto alle carenze riscontrate dall’attuazione del precedente modello di organizzazione e gestione.
 

In conclusione, la redazione di un Modello di organizzazione e gestione 231 come mero esercizio di stile e non tailor made, non consente di comprenderne la capacità esimente ed espone gli enti coinvolti a sanzioni pecuniarie, nel migliore dei casi, elevate e fortemente invalidanti per gli affari societari.
 

Due utili articoli sull’argomento:
Modello 231, le risposte alle domande frequenti di Fabrizio Salmi
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