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Novità introdotte dal D.L.vo 116/2020 sul calcolo del riciclo negli R.S.U.

di Maurizio Sante Minichilli

Categoria: Rifiuti

Gli obiettivi di raccolta differenziata previsti dall’art. 205 del D.Lgs. 152/2006 (35% entro il 2006, 45% entro il 2008 e 65%entro il 2012), pur se conseguiti, non costituiscono in alcun modo l’elemento dirimente per poter riconoscere condotte virtuose nella prevenzione dello smaltimento dei R.S.U.

 

Basti pensare ai rifiuti (provenienti dalla RD) prodotti da impianti di trattamento, quali ad esempio quelli con codice 191212 (altri rifiuti compresi i materiali misti prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti), 191210 (rifiuti combustibili – CSS), 190501 (parte di rifiuti urbani e simili non compostata), 190503 (compost fuori specifica) e 190599 (rifiuti provenienti dal trattamento aerobico dei rifiuti non specificati altrimenti) i quali,seppur classificati come speciali a seguito delle operazioni di trattamento, che ne modificano la natura e composizione chimica, sono di origine urbana ed hanno, soventemente, come destino lo smaltimento (D1 oppure, in via residuale, D10).
Non sottacendo la criticità nell’acquisizione dei dati per la difficoltà a censire movimentazioni con destino extra-regionale, rendendo oltremodo improba la possibilità di individuare e quantificare il flusso di destinazione finale dei rifiuti, post-trattamento.

 

Nel 2019 (dati rapporto ISPRA) lo smaltimento in discarica ha interessato il 21% dei rifiuti urbani prodotti (pari a ca. 6.283.307 ton), di cui il cui 95,4% sottoposti a trattamento preliminare, dal momento che, ai sensi dell’art. 7 D.Lgs. 36/2003 (recepimento direttiva 99/31/CE) vi è il divieto di conferimento del rifiuto urbano indifferenziato (salvo ordinanze regionali contingibili ed urgenti ex art. 191 D.Lgs. 152/2006).
Nei prossimi 15 anni lo smaltimento in discarica dovrà essere dimezzato per arrivare al 2035 ad una quota non superiore al 10%, secondo quanto previsto dalla direttiva 2018/850/UE, a modifica della direttiva 1999/31/CE (recepita con D.Lgs. 121/2020), incrementandosi, di contro, le operazioni di recupero di materia verso l’obiettivo del 65%, sempre entro la medesima dead-line (termine non a caso).

 

Risulta del tutto evidente la necessità di comprendere ed implementare le novità normative in tema di metodologia di calcolo sia per il riciclato che per la valutazione dello smaltimento in discarica, le quali appaiono decisamente più stringenti rispetto a quelle fino ad oggi utilizzate.
Ab origine la direttiva 2008/98/CE, recepita nel D.Lgs. 205/2010, il quale ha introdotto l’art. 181 del D.Lgs. 152/2006, ha fissato come obiettivo al 2020 la preparazione ed il riciclaggio dei rifiuti urbani pari al 50% del peso.
La successiva decisione 2011/753/UE ha indicato le modalità di calcolo per il raggiungimento degli obiettivi, consentendo agli stati membri la possibilità di scegliere tra le seguenti quattro metodologie:
– 1°=% riciclaggio rifiuti domestici costituiti da carta, metalli, plastica e vetro;
– 2°=% riciclaggio rifiuti domestici costituiti da carta, metalli, plastica e vetro ed altri flussi domestici e simili (metodologia scelta dall’Italia nella prima relazione di monitoraggio del 2013);
– 3°=% riciclaggio rifiuti domestici in generale;
– 4°=% riciclaggio rifiuti urbani.

 

La direttiva 2018/851/UE, recepita nel D.Lgs. 116/2020, ha introdotto ulteriori obiettivi per la preparazione, riutilizzo e riciclaggio, da conseguirsi entro il 2025 (55%), il 2030 (60%) ed il 2035 (65%) ma, circostanza più rilevante, non tiene conto delle specifiche frazioni merceologiche bensì dell’intero quantitativo di rifiuti urbani prodotti,con la conseguente adozione di un’unica metodologia di calcolo ovvero la 4°.
Le regole per il calcolo degli conseguimento degli obiettivi sono riportate all’art. 11-bis della direttiva UE 2008/98/CE come modificata dalla direttiva 2018/851/UE e precisamente:
a) calcolo annuale del peso dei rifiuti urbani prodotti e preparati al riciclo/riutilizzo da ciascun stato membro;
b) peso rifiuti urbani dopo essere stati sottoposti a cernita ed altre operazioni preliminari, per eliminare i materiali di scarto;
c) peso rifiuti urbani riciclati dopo essere stati sottoposti a tutte le operazioni di controllo, cernita ed altre operazioni preliminari, per eliminare i materiali di scarto che non sono interessati dal successivo ritrattamento e per garantire un riciclaggio per l’effettivo ottenimento di prodotti, materiali e sostanze. Tale peso dev’essere misurato all’atto dell’immissione nell’operazione di riciclaggio.

 

In deroga a quanto sopra, il peso dei rifiuti urbani riciclati può essere misurato in uscita dopo qualsiasi operazione di cernita a condizione che:
a) tali rifiuti in uscita siano successivamente riciclati;
b) il peso dei materiali o delle sostanze rimosse con ulteriori operazioni precedenti a quella di riciclaggio e che non sono successivamente riciclati, non sia incluso nel peso dei rifiuti comunicati come riciclati.
In buona sostanza l’intero articolato (al di la dei bizantinismi a cui ormai l’UE ci ha abituato) impone di considerare riciclati o recuperati unitamente quei materiali che, alla fine del ciclo di selezione, siano effettivamente destinati all’ottenimento di prodotti e/o sostanze da utilizzare per la loro funzione originaria o per altre finalità.

 

Basti pensare alla FORSU in ingresso negli impianti di trattamento aerobico o anaerobico, la quale potrà che essere computata come riciclata esclusivamente per la parte di digestato destinato alla produzione di compost (circa il 20% anche se il legislatore non precisa in alcun punto le perdite di processo); nel caso di utilizzo del prodotto sul terreno, si potrà computare solo se vi siano effettivi benefici per l’agricoltura o un miglioramento sul piano ambientale.
Aggiungasi che i materiali, di cui è cessata la qualifica di rifiuti (cd. E.o.W) da utilizzare come combustibili o altri mezzi per produrre energia o da incenerire, per riempimenti o smaltimenti in discarica, non saranno computati ai fini del conseguimento degli obiettivi di riciclaggio.

 

Per assicurare condizioni uniformi di calcolo dei nuovi obiettivi all’interno dei paesi membri ,è stata emanata in data 7.06.2019 la decisione di esecuzione 2019/1004/UE, in ragione del quale si deve tener conto che alcune frazioni, già incluse nel computo della raccolta differenziata secondo la metodologia indicata dal D.M. 26.05.2016 (MIBATT Linee guida per il calcolo della percentuale di raccolta differenziata dei rifiuti urbani), non rientreranno più tra gli obiettivi di riciclaggio previsti (si veda ad esempio gli scarti del multimateriale).
Aspetto dirimente nel tema affrontato riguarda gli effetti statistici conseguenti alla non più applicabile metodologia 2 (decisione 2011/753/UE) da parte dello Stato Italiano e le conseguenti risultanze ottenibili praticando il previsto metodo di calcolo n. 4, il quale considera tutti i rifiuti urbani e non solo alcune frazioni degli stessi.
La tabella di riferimento in calce (rapporto ISPRA 2020 pag. 82) spiega in modo evidente come per il 2019, il riciclaggio calcolato secondo il nuovo metodo (4) risulta essere pari al 46,9% rispetto al 61,3% di RD ed al 53,3% di riciclaggio, quest’ultimo con la metodologia precedentemente utilizzata dall’Italia e comunicata all’UE.

 

Cosa implica tutto ciò è di lapalissiana evidenza ovvero che siamo ben lontani dagli obiettivi di riciclaggio fissati (o per meglio dire imposti) dall’UE, al punto che le condotte virtuose (ed onerose) degli Enti Locali (o Ambiti Territoriali) nell’effettuare la raccolta differenziata rischiano di essere vanificate dalla mancanza di effettiva capacità impiantistica nel trattare (e recuperare) tutte le frazioni di R.S.U..

 

Salvo alcuni preoccupati (e non ascoltati) addetti ai lavori, non vedo in giro una chiara consapevolezza di come dovrebbe essere affrontata una sfida così cruciale, non solo per la filiera del riciclo ma anche, in generale, per l’intero comparto ambientale legato all’R.S.U., coinvolgendo tutti gli stakeholders interessati su una serie di tematiche che vanno affrontate il prima possibile ovvero:
a) la raccolta differenziata rappresenta uno passaggio cruciale della filiera e va oltremodo potenziata al capacità di selezionare a monte i flussi al fine di renderli più omogenei e di qualità, e quindi maggiormente riciclabili. Basti pensare agli elevati livelli di scarto nelle attività di trattamento della frazione organica, destinati successivamente in discarica come 190501 o 190503, oppure al CER 191212;
b) l’impiantistica intermedia con specifico riguardo alla frazione secca (multi materiale) va adeguata alla sfida di rendere sempre maggiormente efficiente le operazioni di riciclaggio, con l’impiego di tecnologie in grado di minimizzare gli scarti di processo e di accrescere le funzioni selettive automatizzate (veggasi impiego lettori ottici);
c) sul versante della materia plastica (problema divenuta tra le più cruciali all’indomani della chiusura del mercato cinese), la leva fiscale, vista in un ottica graduale e di medio periodo, non può essere accantonata al fine di rendere più conveniente (potenziando la filiera) l’impiego di prodotti e sostanze riciclate rispetto alle materie prime;
d) in ultimo, ma non per questo meno rilevante, favorire le attività di recupero energetico (R1) presso impianti anche non dedicati, di combustibili alternativi provenienti dalle attività di trattamento meccanico biologico dei rifiuti urbani (anche, perché no, con incentivi mirati alla produzione di EE e/o riduzione di T.E.P.), rendendo meno conveniente dover ricorrere a spedizioni transfrontaliere di CSS (o 191210 / 191212) presso destini balcanici o anche extra-UE (dagli opinabili limiti e controlli in materia di emissione), riducendo l’evidente fabbisogno energetico (e conseguentemente fossile) di tale dispendiosa logistica.

 

Essendo le competenze ambientali ripartite tra Stato e Regione, è assolutamente necessario che si intavoli una concertazione tra le parti ove studiare (termine non a caso) e pianificare come raggiungere gli obiettivi fissati (con tanto di verifica d’implementazione ex ante ed ex post), superando questa fase di attendismo che potrebbe essere fatale per la nostra credibilità con i ns. partner europei.

 

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