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Parti di ricambio di veicoli fuori uso = beni d’occasione: è ufficiale la posizione della Corte di Giustizia UE
di Michela Giannini
Categoria: Rifiuti
In questi giorni è stata definita la posizione della Corte di Giustizia, in merito all’applicabilità del regime del margine alla vendita dei pezzi di ricambio estratti dai veicoli fuori uso, da parte di imprese che svolgono un’attività economica di riciclaggio[1].
La questione pregiudiziale, sollevata da un giudice danese, verteva sulla possibilità di considerare “beni d’occasione” parti di veicoli fuori uso che un’impresa di riutilizzazione di veicoli registrata ai fini dell’IVA, rimuoveva da un veicolo acquistato da un privato per rivenderle come parti di ricambio.
L’art. 311, paragrafo 1, punto 1) della direttiva 2006/112/CE[2] definisce beni d’occasione “…i beni mobili materiali suscettibili di reimpiego, nello stato originario o previa riparazione…”
Secondo il governo danese, non ci sarebbe quella completa identità tra il bene “veicolo fuori uso” e il bene “pezzo di ricambio”; identità invece richiesta dalla direttiva 2006/112. Questa interpretazione si fonda sulla considerazione che le componenti estratte da un veicolo fuori uso vengono in realtà prodotte in quello stesso momento, il che equivarrebbe a considerarle alla stregua di beni prodotti ex novo.
Secondo la Corte, invece, il fatto che un bene usato costituisca parte integrante di un altro bene, dal quale venga poi separato, non lo spoglia della qualifica di “bene d’occasione”, sempre che naturalmente il bene usato mantenga una propria funzionalità equiparabile a quella di un bene nuovo della stessa specie. E’ la funzionalità del pezzo di ricambio che si configura come requisito costitutivo, divenendo irrilevante la presenza in un veicolo piuttosto che in un altro. Già questo concetto era stato affrontato nelle conclusioni dell’avvocato generale[3], ma la Corte lo consolida, aggiungendo che la norma (Dir. 2006/112/CE) non richiede che il bene mobile sia riutilizzato nel medesimo bene originario, ben potendo assolvere la sua funzione tipica anche in un altro, al quale venga assemblato successivamente. Nel caso di specie in un altro veicolo.
Del resto non ci si può limitare all’analisi di una singola norma, ma è necessario ricorrere al raccordo sistematico delle normative esistenti in una determinata materia e individuare la disciplina adatta al caso concreto. Inoltre i criteri interpretativi impongono anche una valutazione degli obiettivi che hanno mosso il legislatore nazionale o comunitario. La richiamata Direttiva sul regime del margine deve pertanto essere interpretata con la Direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso. Il requisito costitutivo del bene d’occasione è infatti la sua idoneità al reimpiego e – come argomentato anche dall’avvocato generale presso la Corte – l’art. 2 punto 6 della direttiva sui veicoli fuori uso definisce il “reimpiego” come l’insieme delle operazioni in virtù delle quali i componenti di un veicolo fuori uso sono utilizzati allo stesso scopo per cui erano stati originariamente concepiti. Quindi anche il ricorso al raccordo sistematico conduce al medesimo parallelismo tra funzionalità del bene e reimpiego.
Accanto a queste argomentazione di carattere giuridico ambientale, occorre comunque considerare l’obiettivo primario della normativa fiscale del margine che è rappresentato dalla necessità di evitare una doppia imposizione dell’IVA e conseguenti distorsioni di concorrenza tra soggetti passivi nel settore dei beni d’occasione. L’impresa di riciclaggio, infatti, acquista il veicolo fuori uso dal privato ad un prezzo che tiene già conto dell’IVA pagata dal privato stesso all’atto del suo acquisto, mentre l’impresa di riciclaggio non avrebbe più modo di detrarre tale imposta successivamente. Negare ad un’impresa di riciclaggio la possibilità di ricorrere al regime del margine significa scoraggiarne l’attività e ciò si pone in evidente contrasto con l’obiettivo a monte sia della normativa fiscale che di quella ambientale in tema di veicoli fuori uso. Quest’ultima infatti pone come obiettivo generale il reimpiego ed il riciclaggio dei rifiuti, tuttavia, se un’impresa di riciclaggio viene assoggettata ad una duplice imposizione fiscale, è di certo scoraggiata e indotta a smaltire integralmente il veicolo, procedendo invece alla commercializzazione di beni nuovi; in questo modo almeno detrae l’IVA[4].
Certamente tale operazione presenta una difficoltà tecnica costituita dall’individuazione del prezzo di acquisto della parte di ricambio estratta dal veicolo fuori uso, in quanto il prezzo corrisposto dall’impresa è complessivo e riferito all’intero veicolo. Questa problematica viene trasferita sul giudice nazionale, tuttavia l’avvocato generale presso la Corte ipotizza alcune soluzioni elaborate in via di applicazione analogica. La base imponibile potrebbe essere individuata attraverso una delle seguenti modalità:
una frazione del prezzo di vendita pari al 30% di quest’ultimo (richiamando una normativa esistente in Francia e Lussemburgo con riguardo alle opere d’arte);
la metà del prezzo di cessione (punto 310 del Bulletin officiel des finances publiques-Impots per gli acquirenti di lotti eterogenei comprensivi di materiali di recupero e beni d’occasione suscettibili di reimpiego);
metodo globale che viene ritenuto più consono e adeguato al caso.
Con questo sistema il margine verrebbe calcolato sulla differenza tra la sommatoria delle vendita di pezzi di ricambio e la sommatoria degli acquisti dei pezzi medesimi nell’ambito di un intero periodo di riferimento. In particolare per calcolare poi i prezzi dei pezzi di ricambio si potrebbe sottrarre dal prezzo di acquisto sostenuto dall’impresa, l’importo delle operazioni di disinquinamento e trattamento dei rifiuti, l’importo della vendita dei rottami e altro. La somma residua potrebbe considerarsi quale prezzo di acquisto dei pezzi di ricambio
In ogni caso, al di là delle difficoltà che si possono incontrare nella concreta individuazione del prezzo e che non possono tradursi – secondo quanto precisato dalla Corte – in motivo di esclusione di alcuni soggetti passivi-rivenditori dal regime del margine, con la pronuncia del 18 gennaio 2017 è sancita l’applicabilità di tale regime ai pezzi di ricambio estratti da un veicolo acquistato da un soggetto passivo-rivenditore[5] e reimpiegati. Per quanto riguarda le operazioni tra privati il problema non si pone in quanto non sono soggetti a IVA.
[1] Sentenza Corte di giustizia UE 18 gennaio 2017, nella causa C-471/15 – Sjelle Autogenbrug I/S contro Skatteministeriet.
[4] L’art. 315 della Dir. 2006/112 al comma 1, stabilisce che la base imponibile delle cessioni di beni d’occasione assoggettati al regime del margine, sia costituita dal margine realizzato dal soggetto passivo-rivenditore, diminuito dell’importo dell’IVA relativa al margine stesso. Al comma 2 precisa che “Il margine del soggetto passivo-rivenditore è pari alla differenza tra il prezzo di vendita chiesto dal soggetto passivo-rivenditore per il bene e il prezzo di acquisto.
[5] Soggetto passivo-rivenditore, secondo la nozione contenuta nell’art. 311, paragrafo 1, punto 5), è “…il soggetto passivo che, nell’ambito della sua attività economica, acquista o utilizza ai fini della sua impresa o importa per rivenderli beni d’occasione, oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione, sia che agisca in proprio sia per conto terzi in virtù di un contratto di commissione per l’acquisto o per la vendita”.
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Parti di ricambio di veicoli fuori uso = beni d’occasione: è ufficiale la posizione della Corte di Giustizia UE
di Michela Giannini
In questi giorni è stata definita la posizione della Corte di Giustizia, in merito all’applicabilità del regime del margine alla vendita dei pezzi di ricambio estratti dai veicoli fuori uso, da parte di imprese che svolgono un’attività economica di riciclaggio[1].
La questione pregiudiziale, sollevata da un giudice danese, verteva sulla possibilità di considerare “beni d’occasione” parti di veicoli fuori uso che un’impresa di riutilizzazione di veicoli registrata ai fini dell’IVA, rimuoveva da un veicolo acquistato da un privato per rivenderle come parti di ricambio.
L’art. 311, paragrafo 1, punto 1) della direttiva 2006/112/CE[2] definisce beni d’occasione “…i beni mobili materiali suscettibili di reimpiego, nello stato originario o previa riparazione…”
Secondo il governo danese, non ci sarebbe quella completa identità tra il bene “veicolo fuori uso” e il bene “pezzo di ricambio”; identità invece richiesta dalla direttiva 2006/112. Questa interpretazione si fonda sulla considerazione che le componenti estratte da un veicolo fuori uso vengono in realtà prodotte in quello stesso momento, il che equivarrebbe a considerarle alla stregua di beni prodotti ex novo.
Secondo la Corte, invece, il fatto che un bene usato costituisca parte integrante di un altro bene, dal quale venga poi separato, non lo spoglia della qualifica di “bene d’occasione”, sempre che naturalmente il bene usato mantenga una propria funzionalità equiparabile a quella di un bene nuovo della stessa specie. E’ la funzionalità del pezzo di ricambio che si configura come requisito costitutivo, divenendo irrilevante la presenza in un veicolo piuttosto che in un altro. Già questo concetto era stato affrontato nelle conclusioni dell’avvocato generale[3], ma la Corte lo consolida, aggiungendo che la norma (Dir. 2006/112/CE) non richiede che il bene mobile sia riutilizzato nel medesimo bene originario, ben potendo assolvere la sua funzione tipica anche in un altro, al quale venga assemblato successivamente. Nel caso di specie in un altro veicolo.
Del resto non ci si può limitare all’analisi di una singola norma, ma è necessario ricorrere al raccordo sistematico delle normative esistenti in una determinata materia e individuare la disciplina adatta al caso concreto. Inoltre i criteri interpretativi impongono anche una valutazione degli obiettivi che hanno mosso il legislatore nazionale o comunitario. La richiamata Direttiva sul regime del margine deve pertanto essere interpretata con la Direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso. Il requisito costitutivo del bene d’occasione è infatti la sua idoneità al reimpiego e – come argomentato anche dall’avvocato generale presso la Corte – l’art. 2 punto 6 della direttiva sui veicoli fuori uso definisce il “reimpiego” come l’insieme delle operazioni in virtù delle quali i componenti di un veicolo fuori uso sono utilizzati allo stesso scopo per cui erano stati originariamente concepiti. Quindi anche il ricorso al raccordo sistematico conduce al medesimo parallelismo tra funzionalità del bene e reimpiego.
Accanto a queste argomentazione di carattere giuridico ambientale, occorre comunque considerare l’obiettivo primario della normativa fiscale del margine che è rappresentato dalla necessità di evitare una doppia imposizione dell’IVA e conseguenti distorsioni di concorrenza tra soggetti passivi nel settore dei beni d’occasione. L’impresa di riciclaggio, infatti, acquista il veicolo fuori uso dal privato ad un prezzo che tiene già conto dell’IVA pagata dal privato stesso all’atto del suo acquisto, mentre l’impresa di riciclaggio non avrebbe più modo di detrarre tale imposta successivamente. Negare ad un’impresa di riciclaggio la possibilità di ricorrere al regime del margine significa scoraggiarne l’attività e ciò si pone in evidente contrasto con l’obiettivo a monte sia della normativa fiscale che di quella ambientale in tema di veicoli fuori uso. Quest’ultima infatti pone come obiettivo generale il reimpiego ed il riciclaggio dei rifiuti, tuttavia, se un’impresa di riciclaggio viene assoggettata ad una duplice imposizione fiscale, è di certo scoraggiata e indotta a smaltire integralmente il veicolo, procedendo invece alla commercializzazione di beni nuovi; in questo modo almeno detrae l’IVA[4].
Certamente tale operazione presenta una difficoltà tecnica costituita dall’individuazione del prezzo di acquisto della parte di ricambio estratta dal veicolo fuori uso, in quanto il prezzo corrisposto dall’impresa è complessivo e riferito all’intero veicolo. Questa problematica viene trasferita sul giudice nazionale, tuttavia l’avvocato generale presso la Corte ipotizza alcune soluzioni elaborate in via di applicazione analogica. La base imponibile potrebbe essere individuata attraverso una delle seguenti modalità:
Con questo sistema il margine verrebbe calcolato sulla differenza tra la sommatoria delle vendita di pezzi di ricambio e la sommatoria degli acquisti dei pezzi medesimi nell’ambito di un intero periodo di riferimento. In particolare per calcolare poi i prezzi dei pezzi di ricambio si potrebbe sottrarre dal prezzo di acquisto sostenuto dall’impresa, l’importo delle operazioni di disinquinamento e trattamento dei rifiuti, l’importo della vendita dei rottami e altro. La somma residua potrebbe considerarsi quale prezzo di acquisto dei pezzi di ricambio
In ogni caso, al di là delle difficoltà che si possono incontrare nella concreta individuazione del prezzo e che non possono tradursi – secondo quanto precisato dalla Corte – in motivo di esclusione di alcuni soggetti passivi-rivenditori dal regime del margine, con la pronuncia del 18 gennaio 2017 è sancita l’applicabilità di tale regime ai pezzi di ricambio estratti da un veicolo acquistato da un soggetto passivo-rivenditore[5] e reimpiegati. Per quanto riguarda le operazioni tra privati il problema non si pone in quanto non sono soggetti a IVA.
[1] Sentenza Corte di giustizia UE 18 gennaio 2017, nella causa C-471/15 – Sjelle Autogenbrug I/S contro Skatteministeriet.
[2] GUUE, L 347/1 del 11/12/2006.
[3] Yves Bot, depositate il 22 settembre 2016.
[4] L’art. 315 della Dir. 2006/112 al comma 1, stabilisce che la base imponibile delle cessioni di beni d’occasione assoggettati al regime del margine, sia costituita dal margine realizzato dal soggetto passivo-rivenditore, diminuito dell’importo dell’IVA relativa al margine stesso. Al comma 2 precisa che “Il margine del soggetto passivo-rivenditore è pari alla differenza tra il prezzo di vendita chiesto dal soggetto passivo-rivenditore per il bene e il prezzo di acquisto.
[5] Soggetto passivo-rivenditore, secondo la nozione contenuta nell’art. 311, paragrafo 1, punto 5), è “…il soggetto passivo che, nell’ambito della sua attività economica, acquista o utilizza ai fini della sua impresa o importa per rivenderli beni d’occasione, oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione, sia che agisca in proprio sia per conto terzi in virtù di un contratto di commissione per l’acquisto o per la vendita”.
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