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Percolato di discariche convogliato con una conduttura in un impianto di depurazione: disciplina applicabile
di Stefano Maglia
Categoria: Rifiuti
L’art. 2 del recentissimo D.L.vo 13.01.2003, n. 36, relativo all’attuazione della direttiva 1999/31/CE sulle discariche di rifiuti, fornisce alla lettera m) la più recente definizione giuridica di percolato quale “…liquido che si origina prevalentemente dall’infiltrazione di acqua nella massa dei rifiuti o dalla decomposizione degli stessi”.
Nell’ambito poi del CER (Elenco Europeo dei Rifiuti di cui all’attuale versione dell’allegato D del D. Lgs 22/97) il percolato di discariche viene effettivamente classificato o con il codice 19 07 02* (percolato di discarica, contenente sostanze pericolose) o con il codice 19 07 03 (percolato di discarica, diverso da quello di alla voce precedente): nel primo caso si tratta dunque di un rifiuto pericoloso.
La lettera g), art. 7, D.L.vo 22/1997 colloca poi effettivamente tra i rifiuti speciali, come peraltro evidenziato anche nel testo del quesito, i rifiuti “…derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi”. Tra le operazioni di smaltimento, l’allegato B del decreto Ronchi colloca appunto il deposito sul suolo ovvero nel suolo ad esempio attraverso la discarica (operazione D1) e pertanto certamente i rifiuti che originano da tale operazione, possono farsi rientrare nell’alveo dei rifiuti speciali ex art. 7, D.L.vo 22/1997.
Dunque il percolato di discarica è un rifiuto speciale pericoloso o non pericoloso a seconda che contenga o no sostanze pericolose.
L’esame di queste nozioni non costituisce una premessa meramente teorica, bensì un percorso logico diretto alla individuazione della normativa concretamente applicabile.
A questo proposito si rende altresì necessaria l’esame del concetto di scarico e di acque reflue.
L’art. 2, D.L.vo 152/1999 contiene tutta una serie di nozioni tra le quali assume particolare interesse per il caso in esame quella contenuta nella lettera bb) “scarico: qualsiasi immissione diretta di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili nelle acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti dall’articolo 40”. La successiva lettera cc) individua quali acque di scarico “tutte le acque reflue provenienti da uno scarico”. Il suddetto decreto 152/1999 tuttavia non fornisce una definizione di acque reflue, ma si limita a distinguere tra le acque reflue domestiche, urbane ed industriali.
Il fatto che il percolato prodotto dalla discarica venga convogliato attraverso una conduttura in un impianto di depurazione all’interno della medesima area su cui insiste la discarica, soddisfa la condizione prescritta del convogliamento diretto? No. Questo non è infatti sufficiente a fare ritenere sussistente uno scarico di acque reflue, assoggettato come tale alla disciplina del decreto 152/1999. Non deve infatti trarre in inganno la circostanza della convogliabilità diretta mediante conduttura del percolato. Questo requisito potrebbe fare ritenere sussistente uno scarico – anziché un rifiuto liquido – là dove esista a monte acqua reflua, ma non un rifiuto specificamente individuato, come si tratta in questo caso. Inoltre deve esserci sversamento diretto in un corpo recettore (acqua, suolo, sottosuolo, rete fognaria), ma non è certo questo il caso de quo. Inoltre, e questa è la motivazione definitiva che fa propendere per la impossibilità di far ricadere la conduzione di cui al quesito nell’ambito di applicazione del D. Lgs 152/99, siamo di fronte, “a monte”, ad un vero e proprio rifiuto liquido e non ad uno scarico di acque reflue.
Sia chiaro: se è vero che uno scarico che viene convogliato direttamente verso un corpo recettore mantiene le proprie caratteristiche di scarico e viene assoggettato alla disciplina di cui al D. Lgs 152/99, mentre se tale conduzione subisce interruzioni si “trasforma” in un rifiuto liquido, e come tale diviene assoggettabile alla disciplina del “decreto Ronchi”, non è vero il contrario. Infatti un rifiuto liquido che viene convogliato direttamente verso un corpo recettore mantiene tutte le caratteristiche di rifiuto liquido non trasformandosi mai in uno “scarico”.
E il percolato di discarica è un rifiuto. Ciò è sostenuto – si ribadisce – da almeno un triplice ordine di motivazioni: a) in primo luogo si tratta di un rifiuto avente una precisa identificazione nell’ambito del CER, dove è collocato tra i rifiuti prodotti da impianti di trattamento dei rifiuti e avente quindi una sua specifica connotazione; b) in secondo luogo il decreto Ronchi lo considera quale rifiuto speciale perché derivante, come si è accennato, dall’attività di smaltimento; c) ed infine la discarica è tipicamente un’attività di smaltimento.
Tutte queste considerazioni ostano alla possibilità di configurare legittimamente uno scarico e conseguentemente di sottrarre la gestione del rifiuto in esame dalla normativa prevista dal decreto Ronchi.
L’impianto di trattamento deputato alla “depurazione”, dovrà pertanto munirsi delle necessarie autorizzazioni ex artt. 27 e 28 del D.L.vo 22/1997, rispettivamente per la sua realizzazione e per l’esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero.
Ciò non esclude ovviamente responsabilità per eventuale inquinamento di acque (sotterranee, di falda, ecc.) provocato da una inefficace o inesistente corretta conduzione del percolato, a prescindere dalle corrette autorizzazioni ottenute. Ed in caso di superamento dei valori tabellari di cui al Dl.vo 152/99 saranno applicabili tendenzialmente le sanzioni amministrative di cui all’art. 54 del citato decreto (c. 1: “Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato, nell’effettuazione di uno scarico supera i valori limite di emissione fissati nelle tabelle di cui all’allegato 5, ovvero i diversi valori limite stabiliti dalle regioni a norma dell’articolo 28, comma 2, ovvero quelli fissati dall’autorità competente a norma dell’articolo 33, comma 1, o dell’articolo 34, comma 1, è punito con la sanzione amministrativa da euro 2.582 a euro 25.822. Se l’inosservanza dei valori limite riguarda scarichi recapitanti nelle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano di cui all’articolo 21 ovvero in corpi idrici posti nelle aree protette di cui alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, si applica la sanzione amministrativa non inferiore a euro 15.493”). Quelle penali ex art. 59 solo in caso di scarichi contenenti particolari sostanze pericolose (c. 5: “Chiunque, nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, supera i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell’allegato 5 ovvero i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall’autorità competente a norma degli articoli 33, comma 1, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell’allegato 5, è punito con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da euro 2.582 a euro 25.822. Se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3A dell’allegato 5, si applica l’arresto da sei mesi a tre anni e l’ammenda da euro 5.164 a euro 103.291”).
D’altronde il medesimo art. 8, c. 1 (lett. e ed i) del citato decreto 36/03 ci ricorda che la domanda di autorizzazione per la costruzione e l`esercizio di una discarica deve contenere – tra l’altro – dati e informazioni relative sia ai “metodi previsti per la prevenzione e la riduzione dell`inquinamento, con particolare riferimento alle misure per prevenire l`infiltrazione di acqua all`interno e alla conseguente formazione di percolato”, che al “piano di sorveglianza e controllo, nel quale devono essere indicate tutte le misure necessarie per prevenire rischi d`incidenti causati dal funzionamento della discarica e per limitarne le conseguenze, sia in fase operativa che post-operativa, con particolare riferimento alle precauzioni adottate a tutela delle acque dall`inquinamento provocato da infiltrazioni di percolato nel terreno e alle altre misure di prevenzione e protezione contro qualsiasi danno all`ambiente”.
Questa attenzione all’inquinamento idrico provocato dal percolato di discarica a prescindere dagli aspetti meramente autorizzativi è del resto rinvenibile anche nella nota Delib. 27.7.1984, che così si esprimeva: “Tutti gli impianti devono essere progettati, realizzati e condotti in modo che il percolato non produca inquinamento delle acque superficiali e delle falde idriche sotterranee.
Nel caso di impianti per i quali non siano previsti né l’impermeabilizzazione con materiali artificiali, né sistemi di drenaggio o captazione del percolato, la regione, prima del rilascio dell’autorizzazione provvisoria, deve accertare, attraverso indagini di natura idraulica, geologica e idrogeologica, che lo spessore, la permeabilità e la capacità di ritenzione e assorbimento degli strati del suolo interposti tra la massa dei rifiuti e le acque superficiali e di falda, siano tali da preservare le acque medesime dall’inquinamento”.
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Percolato di discariche convogliato con una conduttura in un impianto di depurazione: disciplina applicabile
di Stefano Maglia
L’art. 2 del recentissimo D.L.vo 13.01.2003, n. 36, relativo all’attuazione della direttiva 1999/31/CE sulle discariche di rifiuti, fornisce alla lettera m) la più recente definizione giuridica di percolato quale “…liquido che si origina prevalentemente dall’infiltrazione di acqua nella massa dei rifiuti o dalla decomposizione degli stessi”.
Nell’ambito poi del CER (Elenco Europeo dei Rifiuti di cui all’attuale versione dell’allegato D del D. Lgs 22/97) il percolato di discariche viene effettivamente classificato o con il codice 19 07 02* (percolato di discarica, contenente sostanze pericolose) o con il codice 19 07 03 (percolato di discarica, diverso da quello di alla voce precedente): nel primo caso si tratta dunque di un rifiuto pericoloso.
La lettera g), art. 7, D.L.vo 22/1997 colloca poi effettivamente tra i rifiuti speciali, come peraltro evidenziato anche nel testo del quesito, i rifiuti “…derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi”. Tra le operazioni di smaltimento, l’allegato B del decreto Ronchi colloca appunto il deposito sul suolo ovvero nel suolo ad esempio attraverso la discarica (operazione D1) e pertanto certamente i rifiuti che originano da tale operazione, possono farsi rientrare nell’alveo dei rifiuti speciali ex art. 7, D.L.vo 22/1997.
Dunque il percolato di discarica è un rifiuto speciale pericoloso o non pericoloso a seconda che contenga o no sostanze pericolose.
L’esame di queste nozioni non costituisce una premessa meramente teorica, bensì un percorso logico diretto alla individuazione della normativa concretamente applicabile.
A questo proposito si rende altresì necessaria l’esame del concetto di scarico e di acque reflue.
L’art. 2, D.L.vo 152/1999 contiene tutta una serie di nozioni tra le quali assume particolare interesse per il caso in esame quella contenuta nella lettera bb) “scarico: qualsiasi immissione diretta di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili nelle acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti dall’articolo 40”. La successiva lettera cc) individua quali acque di scarico “tutte le acque reflue provenienti da uno scarico”. Il suddetto decreto 152/1999 tuttavia non fornisce una definizione di acque reflue, ma si limita a distinguere tra le acque reflue domestiche, urbane ed industriali.
Il fatto che il percolato prodotto dalla discarica venga convogliato attraverso una conduttura in un impianto di depurazione all’interno della medesima area su cui insiste la discarica, soddisfa la condizione prescritta del convogliamento diretto? No. Questo non è infatti sufficiente a fare ritenere sussistente uno scarico di acque reflue, assoggettato come tale alla disciplina del decreto 152/1999. Non deve infatti trarre in inganno la circostanza della convogliabilità diretta mediante conduttura del percolato. Questo requisito potrebbe fare ritenere sussistente uno scarico – anziché un rifiuto liquido – là dove esista a monte acqua reflua, ma non un rifiuto specificamente individuato, come si tratta in questo caso. Inoltre deve esserci sversamento diretto in un corpo recettore (acqua, suolo, sottosuolo, rete fognaria), ma non è certo questo il caso de quo. Inoltre, e questa è la motivazione definitiva che fa propendere per la impossibilità di far ricadere la conduzione di cui al quesito nell’ambito di applicazione del D. Lgs 152/99, siamo di fronte, “a monte”, ad un vero e proprio rifiuto liquido e non ad uno scarico di acque reflue.
Sia chiaro: se è vero che uno scarico che viene convogliato direttamente verso un corpo recettore mantiene le proprie caratteristiche di scarico e viene assoggettato alla disciplina di cui al D. Lgs 152/99, mentre se tale conduzione subisce interruzioni si “trasforma” in un rifiuto liquido, e come tale diviene assoggettabile alla disciplina del “decreto Ronchi”, non è vero il contrario. Infatti un rifiuto liquido che viene convogliato direttamente verso un corpo recettore mantiene tutte le caratteristiche di rifiuto liquido non trasformandosi mai in uno “scarico”.
E il percolato di discarica è un rifiuto. Ciò è sostenuto – si ribadisce – da almeno un triplice ordine di motivazioni: a) in primo luogo si tratta di un rifiuto avente una precisa identificazione nell’ambito del CER, dove è collocato tra i rifiuti prodotti da impianti di trattamento dei rifiuti e avente quindi una sua specifica connotazione; b) in secondo luogo il decreto Ronchi lo considera quale rifiuto speciale perché derivante, come si è accennato, dall’attività di smaltimento; c) ed infine la discarica è tipicamente un’attività di smaltimento.
Tutte queste considerazioni ostano alla possibilità di configurare legittimamente uno scarico e conseguentemente di sottrarre la gestione del rifiuto in esame dalla normativa prevista dal decreto Ronchi.
L’impianto di trattamento deputato alla “depurazione”, dovrà pertanto munirsi delle necessarie autorizzazioni ex artt. 27 e 28 del D.L.vo 22/1997, rispettivamente per la sua realizzazione e per l’esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero.
Ciò non esclude ovviamente responsabilità per eventuale inquinamento di acque (sotterranee, di falda, ecc.) provocato da una inefficace o inesistente corretta conduzione del percolato, a prescindere dalle corrette autorizzazioni ottenute. Ed in caso di superamento dei valori tabellari di cui al Dl.vo 152/99 saranno applicabili tendenzialmente le sanzioni amministrative di cui all’art. 54 del citato decreto (c. 1: “Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato, nell’effettuazione di uno scarico supera i valori limite di emissione fissati nelle tabelle di cui all’allegato 5, ovvero i diversi valori limite stabiliti dalle regioni a norma dell’articolo 28, comma 2, ovvero quelli fissati dall’autorità competente a norma dell’articolo 33, comma 1, o dell’articolo 34, comma 1, è punito con la sanzione amministrativa da euro 2.582 a euro 25.822. Se l’inosservanza dei valori limite riguarda scarichi recapitanti nelle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano di cui all’articolo 21 ovvero in corpi idrici posti nelle aree protette di cui alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, si applica la sanzione amministrativa non inferiore a euro 15.493”). Quelle penali ex art. 59 solo in caso di scarichi contenenti particolari sostanze pericolose (c. 5: “Chiunque, nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, supera i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell’allegato 5 ovvero i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall’autorità competente a norma degli articoli 33, comma 1, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell’allegato 5, è punito con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da euro 2.582 a euro 25.822. Se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3A dell’allegato 5, si applica l’arresto da sei mesi a tre anni e l’ammenda da euro 5.164 a euro 103.291”).
D’altronde il medesimo art. 8, c. 1 (lett. e ed i) del citato decreto 36/03 ci ricorda che la domanda di autorizzazione per la costruzione e l`esercizio di una discarica deve contenere – tra l’altro – dati e informazioni relative sia ai “metodi previsti per la prevenzione e la riduzione dell`inquinamento, con particolare riferimento alle misure per prevenire l`infiltrazione di acqua all`interno e alla conseguente formazione di percolato”, che al “piano di sorveglianza e controllo, nel quale devono essere indicate tutte le misure necessarie per prevenire rischi d`incidenti causati dal funzionamento della discarica e per limitarne le conseguenze, sia in fase operativa che post-operativa, con particolare riferimento alle precauzioni adottate a tutela delle acque dall`inquinamento provocato da infiltrazioni di percolato nel terreno e alle altre misure di prevenzione e protezione contro qualsiasi danno all`ambiente”.
Questa attenzione all’inquinamento idrico provocato dal percolato di discarica a prescindere dagli aspetti meramente autorizzativi è del resto rinvenibile anche nella nota Delib. 27.7.1984, che così si esprimeva: “Tutti gli impianti devono essere progettati, realizzati e condotti in modo che il percolato non produca inquinamento delle acque superficiali e delle falde idriche sotterranee.
Nel caso di impianti per i quali non siano previsti né l’impermeabilizzazione con materiali artificiali, né sistemi di drenaggio o captazione del percolato, la regione, prima del rilascio dell’autorizzazione provvisoria, deve accertare, attraverso indagini di natura idraulica, geologica e idrogeologica, che lo spessore, la permeabilità e la capacità di ritenzione e assorbimento degli strati del suolo interposti tra la massa dei rifiuti e le acque superficiali e di falda, siano tali da preservare le acque medesime dall’inquinamento”.
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