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Percolato da rifiuti in pubblica fognatura: è scarico?
di Miriam Viviana Balossi
Categoria: Acqua
La tematica dei rifiuti liquidi e delle sue interferenze con il concetto di scarico solleva alcune problematiche di ordine pratico quando, a prima vista, non è facilmente individuabile il regime giuridico al quale ricondurre la fattispecie concreta.
In via preliminare, è necessario partire dal concetto di scarico (per poter comprendere in che termini differisca da un rifiuto liquido).
A tal fine, l’attuale e vigente art. 74, c. 1, lett. ff) del D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152[1] reca la seguente definizione di scarico:
“qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante”.
Tale nozione è risultato di anni di modifiche normative, interpretazioni dottrinali e pronunce giurisprudenziali che hanno contribuito a definire giuridicamente uno scarico, ovvero quell’immissione diretta e continuativa immessa tramite un sistema stabile di deflusso, dal momento della produzione del refluo fino al suo sversamento in un recettore, che sia la pubblica fognatura o un corpo idrico. Per contro, tutto ciò che non rientra in tale casistica (e, quindi, nei casi in cui si ravvisa un’interruzione rappresentata ad esempio, da un accumulo in una vasca o un prelievo da parte di un’autobotte) è inesorabilmente un rifiuto (liquido)[2]: quest’ultimo è un rifiuto a tutti gli effetti (con stato fisico liquido anziché solido), ovvero, ai sensi dell’art. 183, c. 1 lett. a) del D.L.vo 152/06, “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”. Come confermato dalla pronuncia n. 25037 del 22 giugno 2011 della Corte di Cassazione Penale, sez. III, “in assenza di una condotta di scarico, le acque reflue devono qualificarsi rifiuti liquidi … il cui versamento sul suolo ovvero la cui immissione in acque superficiali o sotterranee, senza autorizzazione, è sanzionata penalmente dall’art. 256, commi 1 e 2” del D.L.vo 152/06.
Del resto, l’art. 185, c. 2, lett. a) del D.L.vo 152/06 esclude dall’ambito di applicazione della Parte IV, in quanto regolate da altre disposizioni normative, “le acque di scarico” (che trovano, infatti, la loro disciplina nella Parte III del medesimo provvedimento).
La giurisprudenza, in considerazione della possibile sovrapposizione tra la nozione di acque di scarico e di rifiuti allo stato liquido, ha avuto occasione di chiarire che assume rilievo, quale unico criterio di discrimine tra le due discipline di riferimento (Parte III e Parte IV del D.L.vo 152/06), non già la natura inquinante della sostanza, bensì la tipologia di collegamento (diretto/indiretto) tra la fonte di produzione del refluo ed il suo corpo recettore (cfr. sentenza n. 16623 del 21 aprile 2015 della Corte di Cassazione Penale, sez. III).
Ciò premesso in ordine al concetto di scarico, è evidente che la gestione di rifiuti umidi e bagnati (si pensi, ad esempio, agli scarti derivanti dalla preparazione e trattamento di frutta e verdura), collocati in bidoni o cassoni in stato di deposito, generino un percolato – la cui qualità e quantità varia, ovviamente, a seconda dei rifiuti gestiti, delle condizioni climatiche e della frequenza di ritiro dei rifiuti medesimi.
Trattandosi di una sostanza liquida, non di rado si assiste al tentativo di gestirla veicolandola in pubblica fognatura al pari di un’acqua reflua, oppure di convogliarla al depuratore aziendale per un primo trattamento.
A parere di chi scrive, la gestione del percolato quale “scarico” non solo non è corretta, ma realizza una gestione di rifiuti non autorizzata e sanzionabile penalmente.
Dopo aver inizialmente introdotto il concetto di scarico e di rifiuto liquido, è ora possibile comprendere perché il percolato proveniente da rifiuti umidi e bagnati, collocato in bidoni o cassoni in deposito – seppur convogliato attraverso una conduttura in un impianto di depurazione oppure in pubblica fognatura – non soddisfi le condizioni prescritte dalla normativa in materia di cui alla Parte III del D.L.vo 152/06.
Si precisa innanzitutto che il percolato di cui trattasi in questo commento non è il percolato ex art. 2, c. 1, lett. m) del D.L.vo 36/03[3], in quanto quest’ultimo è il “liquido che si origina prevalentemente dall’infiltrazione di acqua nella massa dei rifiuti o dalla decomposizione degli stessi”[4]. Infatti, nell’ambito del CER (All. D del D.L.vo 152/06) il percolato di discariche viene classificato o con il codice 19.07.02* – percolato di discarica, contenente sostanze pericolose) o con il codice 19.07.03 – percolato di discarica, diverso da quello di alla voce 19.07.02*).
Non deve infatti trarre in inganno la circostanza della convogliabilità diretta mediante conduttura del percolato. Questo requisito potrebbe fare ritenere sussistente uno scarico – anziché un rifiuto liquido – là dove esista a monte acqua reflua, ma non un rifiuto specificamente individuato, come accade di solito in questi casi (per tornare all’esempio di cui sopra, gli scarti derivanti dalla preparazione e trattamento di frutta e verdura sono un rifiuto catalogato dal CER – capitolo 02). È proprio questa la motivazione principale che esclude il ricorso al concetto di scarico, sicché siamo di fronte, “a monte”, ad un vero e proprio rifiuto liquido (che scaturisce, a sua volta, da un rifiuto) e non ad uno scarico di acque reflue.
In altre parole: se è vero che uno scarico che viene convogliato direttamente verso un corpo recettore mantiene le proprie caratteristiche di scarico e viene assoggettato alla disciplina di cui alla Parte III, mentre se tale conduzione subisce interruzioni deve essere riclassificato quale rifiuto liquido (e come tale diviene assoggettabile alla disciplina della Parte IV), non è vero il contrario. Ovvero, un rifiuto liquido che viene convogliato direttamente verso un corpo recettore mantiene tutte le caratteristiche di rifiuto liquido e non si “declassa” mai a scarico.
Tutte queste considerazioni ostano alla possibilità di configurare legittimamente uno scarico e conseguentemente di sottrarre la gestione del rifiuto in esame dalla normativa prevista dalla Parte IV.
Tutto ciò premesso, un’eventuale attività di convogliamento del percolato in pubblica fognatura sarebbe sanzionabile ai sensi della Parte IV del D.L.vo 152/06, rinviando all’autorità di controllo la verifica dei presupposti delle fattispecie illecite di abbandono di rifiuti piuttosto che di gestione non autorizzata.
V. BALOSSI – E. SASSI, La gestione degli scarichi. Aspetti giuridici e tecnici, Irnerio Editore, 2011, p. 9;
PRATI – G. GALOTTO, Scarichi, inquinamento idrico e difesa del suolo, WKI Editore, 2008, p. 15;
FICCO – M. SANTOLOCI, Confine tra acque di scarico e rifiuti allo stato liquido: il d.lgs. 152/2006 conferma la distinzione con qualche certezza in più, in www.reteambiente.it
[3] Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti.
Pubblicata in G.U. n. 59 del 12 marzo 2003 – S.O. n. 40 ed in vigore dal 27 marzo 2003.
[4] Per approfondimenti sulla classificazione del percolato di discarica, si veda S. MAGLIA, Percolato di discariche convogliato con una conduttura in un impianto di depurazione: disciplina applicabile, in www.tuttoambiente.it
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Percolato da rifiuti in pubblica fognatura: è scarico?
di Miriam Viviana Balossi
La tematica dei rifiuti liquidi e delle sue interferenze con il concetto di scarico solleva alcune problematiche di ordine pratico quando, a prima vista, non è facilmente individuabile il regime giuridico al quale ricondurre la fattispecie concreta.
In via preliminare, è necessario partire dal concetto di scarico (per poter comprendere in che termini differisca da un rifiuto liquido).
A tal fine, l’attuale e vigente art. 74, c. 1, lett. ff) del D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152[1] reca la seguente definizione di scarico:
“qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante”.
Tale nozione è risultato di anni di modifiche normative, interpretazioni dottrinali e pronunce giurisprudenziali che hanno contribuito a definire giuridicamente uno scarico, ovvero quell’immissione diretta e continuativa immessa tramite un sistema stabile di deflusso, dal momento della produzione del refluo fino al suo sversamento in un recettore, che sia la pubblica fognatura o un corpo idrico. Per contro, tutto ciò che non rientra in tale casistica (e, quindi, nei casi in cui si ravvisa un’interruzione rappresentata ad esempio, da un accumulo in una vasca o un prelievo da parte di un’autobotte) è inesorabilmente un rifiuto (liquido)[2]: quest’ultimo è un rifiuto a tutti gli effetti (con stato fisico liquido anziché solido), ovvero, ai sensi dell’art. 183, c. 1 lett. a) del D.L.vo 152/06, “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”. Come confermato dalla pronuncia n. 25037 del 22 giugno 2011 della Corte di Cassazione Penale, sez. III, “in assenza di una condotta di scarico, le acque reflue devono qualificarsi rifiuti liquidi … il cui versamento sul suolo ovvero la cui immissione in acque superficiali o sotterranee, senza autorizzazione, è sanzionata penalmente dall’art. 256, commi 1 e 2” del D.L.vo 152/06.
Del resto, l’art. 185, c. 2, lett. a) del D.L.vo 152/06 esclude dall’ambito di applicazione della Parte IV, in quanto regolate da altre disposizioni normative, “le acque di scarico” (che trovano, infatti, la loro disciplina nella Parte III del medesimo provvedimento).
La giurisprudenza, in considerazione della possibile sovrapposizione tra la nozione di acque di scarico e di rifiuti allo stato liquido, ha avuto occasione di chiarire che assume rilievo, quale unico criterio di discrimine tra le due discipline di riferimento (Parte III e Parte IV del D.L.vo 152/06), non già la natura inquinante della sostanza, bensì la tipologia di collegamento (diretto/indiretto) tra la fonte di produzione del refluo ed il suo corpo recettore (cfr. sentenza n. 16623 del 21 aprile 2015 della Corte di Cassazione Penale, sez. III).
Ciò premesso in ordine al concetto di scarico, è evidente che la gestione di rifiuti umidi e bagnati (si pensi, ad esempio, agli scarti derivanti dalla preparazione e trattamento di frutta e verdura), collocati in bidoni o cassoni in stato di deposito, generino un percolato – la cui qualità e quantità varia, ovviamente, a seconda dei rifiuti gestiti, delle condizioni climatiche e della frequenza di ritiro dei rifiuti medesimi.
Trattandosi di una sostanza liquida, non di rado si assiste al tentativo di gestirla veicolandola in pubblica fognatura al pari di un’acqua reflua, oppure di convogliarla al depuratore aziendale per un primo trattamento.
A parere di chi scrive, la gestione del percolato quale “scarico” non solo non è corretta, ma realizza una gestione di rifiuti non autorizzata e sanzionabile penalmente.
Dopo aver inizialmente introdotto il concetto di scarico e di rifiuto liquido, è ora possibile comprendere perché il percolato proveniente da rifiuti umidi e bagnati, collocato in bidoni o cassoni in deposito – seppur convogliato attraverso una conduttura in un impianto di depurazione oppure in pubblica fognatura – non soddisfi le condizioni prescritte dalla normativa in materia di cui alla Parte III del D.L.vo 152/06.
Si precisa innanzitutto che il percolato di cui trattasi in questo commento non è il percolato ex art. 2, c. 1, lett. m) del D.L.vo 36/03[3], in quanto quest’ultimo è il “liquido che si origina prevalentemente dall’infiltrazione di acqua nella massa dei rifiuti o dalla decomposizione degli stessi”[4]. Infatti, nell’ambito del CER (All. D del D.L.vo 152/06) il percolato di discariche viene classificato o con il codice 19.07.02* – percolato di discarica, contenente sostanze pericolose) o con il codice 19.07.03 – percolato di discarica, diverso da quello di alla voce 19.07.02*).
Non deve infatti trarre in inganno la circostanza della convogliabilità diretta mediante conduttura del percolato. Questo requisito potrebbe fare ritenere sussistente uno scarico – anziché un rifiuto liquido – là dove esista a monte acqua reflua, ma non un rifiuto specificamente individuato, come accade di solito in questi casi (per tornare all’esempio di cui sopra, gli scarti derivanti dalla preparazione e trattamento di frutta e verdura sono un rifiuto catalogato dal CER – capitolo 02). È proprio questa la motivazione principale che esclude il ricorso al concetto di scarico, sicché siamo di fronte, “a monte”, ad un vero e proprio rifiuto liquido (che scaturisce, a sua volta, da un rifiuto) e non ad uno scarico di acque reflue.
In altre parole: se è vero che uno scarico che viene convogliato direttamente verso un corpo recettore mantiene le proprie caratteristiche di scarico e viene assoggettato alla disciplina di cui alla Parte III, mentre se tale conduzione subisce interruzioni deve essere riclassificato quale rifiuto liquido (e come tale diviene assoggettabile alla disciplina della Parte IV), non è vero il contrario. Ovvero, un rifiuto liquido che viene convogliato direttamente verso un corpo recettore mantiene tutte le caratteristiche di rifiuto liquido e non si “declassa” mai a scarico.
Tutte queste considerazioni ostano alla possibilità di configurare legittimamente uno scarico e conseguentemente di sottrarre la gestione del rifiuto in esame dalla normativa prevista dalla Parte IV.
Tutto ciò premesso, un’eventuale attività di convogliamento del percolato in pubblica fognatura sarebbe sanzionabile ai sensi della Parte IV del D.L.vo 152/06, rinviando all’autorità di controllo la verifica dei presupposti delle fattispecie illecite di abbandono di rifiuti piuttosto che di gestione non autorizzata.
Piacenza, 15 ottobre 2019
[1] Norme in materia ambientale.
Pubblicato sul S.O. alla G.U. n. 88 del 14 aprile 2006 ed in vigore dal 29 aprile 2006.
[2] Si veda ampia dottrina sul punto:
[3] Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti.
Pubblicata in G.U. n. 59 del 12 marzo 2003 – S.O. n. 40 ed in vigore dal 27 marzo 2003.
[4] Per approfondimenti sulla classificazione del percolato di discarica, si veda S. MAGLIA, Percolato di discariche convogliato con una conduttura in un impianto di depurazione: disciplina applicabile, in www.tuttoambiente.it
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