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Stefano Maglia

Prelievi e analisi di acque reflue industriali

di Ettore Sassi

Categoria: Acqua


 
Prelievi ed analisi dei campioni costituiscono un aspetto nevralgico nel campo dell’applicazione del D.L.vo 152/06 in materia di inquinamento idrico: è, infatti, inevitabile nella maggior parte dei casi ricorrere a questa procedura per integrare il sistema probatorio delle violazioni di legge nel campo specifico.
 
Per la misurazione ed il controllo degli scarichi valgono le regole base stabilite dall’art. 101, c. 3: “tutti gli scarichi ad eccezione di quelli domestici e di quelli assimilati ai sensi del comma 7, lett. e) devono essere resi accessibili per il campionamento da parte dell’autorità competente per il controllo nel punto assunto a riferimento per il campionamento, che, salvo quanto previsto dall’art. 108, comma 4, va effettuato immediatamente a monte della immissione nel recapito in tutti gli impluvi naturali, le acque superficiali e sotterranee, interne e marine, le fognature, sul suolo e nel sottosuolo”.
 
Sussiste tuttavia un’eccezione a questa regola-base sul punto di prelievo stabilita dall’art. 108, c. 5, che prevede in deroga al principio-base così espresso che “per le acque reflue industriali contenenti le sostanze della tabella 5 dell’allegato 5 alla Parte III del presente decreto, il punto di misurazione dello scarico è fissato secondo quanto previsto dall’autorizzazione integrata ambientale di cui al D.L.vo 18 febbraio 2005, n. 59, e, nel caso di attività non rientranti nel campo di applicazione del suddetto decreto, subito dopo l’uscita dallo stabilimento o dall’impianto di trattamento che serve lo stabilimento medesimo”.
 
In ordine all’importante tema del punto di prelievo, la giurisprudenza della Cassazione aveva già stabilito in precedenza che, al fine di conseguire la prova del superamento del limite tabellare da parte di un insediamento produttivo, il prelievo deve essere effettuato sul sistema di scarico immediatamente prima del riversamento del refluo sul corpo ricettore. Infatti, l’insediamento deve essere munito di pozzetto di ispezione per operare il prelievo; ove l’insediamento non disponga di un pozzetto, il punto ideale sarà scelto dall’operatore di vigilanza che esegue il prelievo. E’ fuorviante effettuare il prelievo dopo il riversamento dello scarico sul corpo ricettore per ricercare la violazione tabellare specifica.
 
In particolare, precisa la sentenza n. 4648 del Consiglio di Stato, Sez. V, 9 settembre 2005, che “ai fini dell’esatta individuazione del punto di prelievo dei reflui dell’impianto di smaltimento, rilevante ai fini del controllo sull’eventuale superamento dei limiti tabellari, l’art. 34, comma 3, del D. Lgs. n. 152/1999 fissa inequivocabilmente il punto posto “subito dopo l’uscita dallo stabilimento o dall’impianto di trattamento”. Ove lo stabilimento sia costituito da un complesso ed articolato sistema di depurazione, composto da una pluralità di passaggi intermedi prima dell’immissione delle acque nel corpo ricettore, il punto di misurazione va pertanto individuato nei tratti terminali del canale di scarico, immediatamente precedenti lo sbocco nel corpo ricettore. La provincia, ove intenda qualificare una parte dell’impianto (nello specifico, la cokeria) come funzionalmente autonomo, è tenuta a imporre preventivamente la separazione dello specifico scarico dalle acque di raffreddamento o di lavaggio, configurandolo al contempo come “parziale” ai sensi del D. Lgs. n. 152/99 oppure fissando, in sede di autorizzazione, ulteriori e più stringenti prescrizioni tecniche ex art. 45, comma 9, all’insegna della migliore tecnologia disponibile (da descriversi esattamente e, soprattutto, da individuarsi alla stregua dei principi di proporzionalità e di precauzione)”.
 
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La norma prevede espressamente che gli scarichi devono essere resi accessibili e l’autorità competente al controllo è autorizzata ad accedere ai luoghi degli stessi ed ancora che “l’autorità competente per il controllo è autorizzata ad effettuare tutte le ispezioni che essa ritenga necessarie per l’accertamento delle condizioni che danno luogo alla formazione degli scarichi” (art. 101, c. 4).
 
Non si dimentichi che, peraltro, l’art. 129 prevede come “il titolare dello scarico è tenuto a fornire le informazioni richieste e a consentire l’accesso ai luoghi dai quali origina lo scarico”.
 
Il c. 4 dell’art. 101 prescrive quanto segue: “l’autorità competente per il controllo è autorizzata ad effettuare tutte le ispezioni che ritenga necessarie per l’accertamento delle condizioni che danno luogo alla formazione degli scarichi. Essa può richiedere che scarichi parziali contenenti le sostanze di cui ai numeri 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 12, 15, 16, 17 e 18 della tabella 5 dell’allegato 5 alla parte terza del presente decreto, subiscano un trattamento particolare prima della loro confluenza nello scarico generale”. Tale previsione riguarda il potere di controllo da parte dell’autorità competente in materia di scarichi e, pur essendo una disposizione d’indubbia utilità, va considerato che il potere ispettivo di tipo preventivo – amministrativo e repressivo penale era già individuabile nei principi generale dell’ordinamento.
 
Le ispezioni (e il termine va inteso in senso tecnico e non generico, quale quindi anticamera alla perquisizione in senso stretto) sono possibili in ogni struttura e locale ove siano da ricercarsi elementi attinenti alle “condizioni che danno luogo alla formazione degli scarichi”. E quindi non soltanto presso gli stabilimenti in senso stretto quali luoghi e locali produttivi, ma anche in tutte le altre aree aziendali, ivi inclusi, ad esempio, gli uffici amministrativi e gestionali.
 
Il primo problema che ancora oggi si pone è quello in ordine a quale organo può (o deve) eseguire i prelievi e le analisi. In ordine a tale punto, va in primo luogo ricordato (sussistendo ancora taluni contrari avvisi) che la giurisprudenza della S.C. da tempo ha stabilito che tutti gli organi di polizia giudiziaria, e non solo il personale delle strutture sanitarie, possono eseguire i prelievi; ove il personale non sia professionalmente idoneo e/o non disponga delle attrezzature necessarie, può ricorrere ad un ausiliario (art. 348, c. 4, Cod. proc. pen.[1]) nominato tra soggetti dotati di specifiche competenze tecniche nel settore per la fase materiale delle operazioni. Si apre, dunque, il delicato e prioritario campo verso l’enorme potenzialità operativa di tutta la P.G. nel settore.
 
Laddove un soggetto sia indagato, l’operazione di prelievo è soggetta alle garanzie difensive previste dal codice di procedura penale: di conseguenza, l’operatore tecnico e/o di polizia giudiziaria, prima di recarsi sul posto per eseguire le attività connesse, deve inevitabilmente rispettare le procedure di preavviso stabilite dal codice di rito con il fine di assicurare la presenza potenziale del difensore del soggetto passivo.
 
Un soggetto è indagato formale quando è ufficialmente iscritto nel registro degli indagati presso la Procura della Repubblica (peraltro, si può ritenere sussistente il concetto di indagato “sostanziale” quando sono in corso indagini da parte della P.G. e/o del P.M. le quali, seppur senza l’iscrizione sopraccitata, sono di fatto svolte in via diretta a carico di uno specifico soggetto; di conseguenza, sembra corretto che le garanzie difensive si applichino anche nel caso di indagato sostanziale).
 
I prelievi effettuati da un organo di vigilanza (inclusa tutta la P.G.) che opera ancora in una fase preventiva-amministrativa, senza che sussistano a carico del titolare dello scarico elementi di carattere penale, sono invece ritenuti dalla Cassazione estranei al regime del codice di procedura penale e, dunque, esenti da ogni garanzia difensiva così come delineata dalla Corte costituzionale. Non è, dunque, necessario alcun preavviso, ma è sufficiente l’avviso al titolare (o al suo rappresentante) contestualmente alle operazioni di prelievo. In altre parole, laddove il prelievo sia di natura amministrativa (senza soggetto garantito), l’organo addetto si reca in azienda senza preavviso e chiede di poter accedere al pozzetto di ispezione per poter eseguire immediatamente il prelievo.
 
Di norma avviene che un addetto al controllo inizia le operazioni e contemporaneamente un collega avverte il titolare dello scarico che può assistere o farsi assistere da un soggetto di fiducia nelle operazioni di prelievo. Non si deve attendere (ritardando, quindi, le operazioni di prelievo) il soggetto eventualmente indicato come di fiducia, giacché appare onere del titolare garantirne la presenza in tempo reale in loco. Non si deve attendere (ritardando, quindi, le operazioni di prelievo) un eventuale legale, perché l’atto non è soggetto a garanzie difensive.
 
Al termine delle operazioni, prelevato un campione, lo stesso viene sigillato anche con la firma del titolare dello scarico.
Le operazioni devono essere dettagliatamente riportate in un verbale sottoposto alla firma anche del titolare dello scarico (in caso di rifiuto si darà semplicemente atto della decisione).
Le osservazioni del titolare o del soggetto di fiducia devono essere fedelmente riportate in verbale.
E’ possibile realizzare contestuali foto del luogo del prelievo e dei punti salienti delle operazioni, allegando poi le stesse al carteggio finale.
 
In caso di assenza del titolare, si deve avvertire il soggetto gerarchicamente più elevato nell’organigramma aziendale che, comunque, deve rivestire una funzione dirigenziale o amministrativa di livello; appare, invece, inidoneo – salvo casi di particolare urgenza e gravità – l’addetto al depuratore o altro soggetto con mansioni equiparabili ad una attività di manovra e manutenzione.
Il prelievo è così depositato dall’organo di controllo presso il laboratorio pubblico di analisi.
Si deve a questo punto notificare nelle forme di rito il preavviso di legge al titolare dello scarico del giorno, ora e luogo dell’analisi con avvertenza che potrà assistere alla stessa o farsi assistere da proprio tecnico di fiducia. La notifica è un atto formale e rituale, e deve seguire le regole ordinarie della procedura: essa non può essere sostituita – a pena di nullità e conseguente inutilizzabilità del referto di analisi successivo – da forme alternative ed atipiche di comunicazioni (spesso di uso comune, ma irrituali e, quindi, invalidanti).
 
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I prelievi, dunque, sono attività amministrativa (in caso di soggetto non indagato), possono essere eseguiti da qualunque organo di P.G. (ancorché assistito da ausiliario tecnico), ed è sufficiente l’avviso contestuale in loco per la pratica realizzazione. I risultati successivi delle analisi possono essere utilizzati in dibattimento come atti irripetibili, purché all’interessato sia stato dato opportuno e tempestivo preavviso dell’ora e giorno (e luogo) delle analisi. E’ questo l’unico adempimento formale la cui irregolarità è stata sottoposta dalla Corte di Cassazione, in tutto il suo orientamento giurisprudenziale, a censura di nullità assoluta per tutta la procedura connessa. La motivazione è comprensibile: giacché il momento delle analisi è l’atto culminante di tutta la procedura, esso deve essere necessariamente svolto nel contraddittorio delle parti.
 
In ordine al concetto di “avviso” e “preavviso”, la Corte di Cassazione ha precisato che “in materia di tutela delle acque dall’inquinamento, l’attività di prelievo di campioni ha natura amministrativa e non richiede il preavviso degli interessati, mentre l’avviso della data e luogo delle analisi è prescritto a pena di nullità” (Cass. pen., sez. III, 19 aprile 1999, n. 4993).
 
Va sottolineato che il prelievo eseguito in via amministrativa è soggetto all’analisi presso il laboratorio pubblico e il referto che segue assume carattere di atto irripetibile in senso penale grazie a due situazioni di fatto connesse tra di loro:

– preavviso delle operazioni di analisi al soggetto passivo (che dunque può partecipare direttamente alle operazioni stesse con un proprio tecnico), cosa che trasforma l’operazione in una fase sostanzialmente garantita;

– l’apertura e l’esistenza di un solo campione in laboratorio esaminato e di fatto esaurito alla presenza contestuale delle parti, con connessa irripetibilità tecnica della analisi (sia perché il materiale è di fatto ormai distrutto, sia perché comunque l’analisi di revisione è espressamente non ammessa dalla giurisprudenza della Cassazione).

 

 

 

Articolo tratto da LA GESTIONE DEGLI SCARICHI, di M.V. Balossi – E. Sassi, Irnerio Editore, 2011

 


[1] Art. 348, c. 4, Cod. Proc. Pen.: “la polizia giudiziaria, quando, di propria iniziativa o a seguito di delega del pubblico ministero, compie atti od operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, può avvalersi di persone idonee le quali non possono rifiutare la propria opera”.

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