Top

Preveniamo rischi Risolviamo problemi Formiamo competenze

"Mi occupo di diritto ambientale da oltre trent’anni
TuttoAmbiente è la guida più autorevole per la formazione e la consulenza ambientale
Conta su di noi"
Stefano Maglia

Preparazione per il riutilizzo. Uno scherzo d’inizio anno?

di Paolo Pipere

Categoria: Rifiuti

La Legge di bilancio 2022 prevede incentivi per i nuovi impianti, ma dal 2010 si attende il decreto che deve stabilire come devono essere autorizzate queste operazioni di recupero

 

La Legge 30 dicembre 2021 n. 234 (Bilancio di previsione dello Stato) ha previsto, con i commi da 499 a 501 dell’articolo 1, un fondo con una dotazione pari a 3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2022 e 2023 finalizzato ad incentivare l’apertura dei centri per la preparazione per il riutilizzo.

Sembrerebbe una buona notizia, se si considera che la preparazione per il riutilizzo, definita come l’insieme di operazioni “di controllo, pulizia, smontaggio e riparazione attraverso cui prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti sono preparati in modo da poter essere reimpiegati senza altro pretrattamento”, è la modalità di trattamento con il migliore bilancio ambientale, da preferire sia al riciclaggio sia alle altre attività di recupero di materia o di energia.

Una priorità affermata dall’articolo 4 della Direttiva quadro sui rifiuti fin dal 2008 e recepita nell’ordinamento nazionale nel 2010 con l’articolo 179, Criteri di priorità nella gestione dei rifiuti, del decreto legislativo 152/2006.

Ben venga il fondo, anche se la legislazione ambientale italiana, pur avendo affermato la preminenza delle attività di preparazione per il riutilizzo, non sembra però in grado di incentivarle concretamente.

 

Nell’attesa dei decreti…

Da dieci anni si attendeva che, come previsto dal decreto legislativo 205/2010, “con uno o più decreti del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare” fossero adottate “le ulteriori misure necessarie per promuovere il riutilizzo dei prodotti e la preparazione dei rifiuti per il riutilizzo”, ma fino ad oggi l’attesa è stata vana.

Non è bastato neppure che il decreto legislativo 116/2020 disponesse che: «Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione [quindi entro il 26 novembre del 2020], con decreto del Ministro dell’ambiente […] sono definite le modalità operative, le dotazioni tecniche e strutturali, i requisiti minimi di qualificazione degli operatori necessari per l’esercizio delle operazioni di preparazione per il riutilizzo, le quantità massime impiegabili, la provenienza, i tipi e le caratteristiche dei rifiuti, nonché le condizioni specifiche di utilizzo degli stessi in base alle quali prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti sono sottoposti a operazioni di preparazione per il riutilizzo».

 

 

Semplificazione e successiva complicazione

La riforma di settembre aveva previsto che le operazioni di preparazione per il riutilizzo di prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti potessero essere avviate, a partire dall’entrata in vigore del decreto che avrebbe dovuto essere emanato, mediante “segnalazione certificata di inizio di attività” (SCIA), quindi con un procedimento molto snello che forse avrebbe potuto contribuire a recuperare, almeno in parte, il ritardo nel frattempo accumulato.

La legge di conversione del decreto-legge 77/2021 (108/2021) ha però eliminato la SCIA e ha introdotto un controllo preventivo in luogo dell’autocertificazione. L’attività potrà essere intrapresa solo: «successivamente alla verifica e al controllo dei requisiti previsti dal decreto di cui al comma 2, effettuati dalle province ovvero dalle città metropolitane territorialmente competenti, secondo le modalità indicate all’articolo 216».

Deve essere ricordato, inoltre, che la riforma della Parte quarta del decreto legislativo 152/2006 ha espunto dalla disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto (articolo 184-ter) il riferimento alla preparazione per il riutilizzo. Da un lato, quindi, le attività di preparazione per il riutilizzo non rientrerebbero nella disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto, pur costituendo l’esempio più evidente di oggettiva e indubitabile “fine del rifiuto” (End of Waste); dall’altro, la mancata emanazione dei decreti ministeriali rende impossibile l’esercizio di queste attività nell’ambito delle previste “procedure semplificate” volte a incentivarne la diffusione.

 

Un circolo vizioso

Le autorità deputate al rilascio delle autorizzazioni, a causa dell’incertezza causata dalla modifica della norma e dalla mancata emanazione dei previsti decreti attuativi, sono restie sia a rilasciare nuove autorizzazioni sia a rinnovare le poche esistenti.

Difficile, quindi, che sia possibile accedere al nuovo fondo, anche perché la legge di bilancio dispone che le imprese che intendono svolgere le attività di preparazione per il riutilizzo, si debbano iscrivere “nell’apposito registro di cui all’articolo 216, comma 3, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”. L’iscrizione al registro, però, presuppone sia che l’impresa possa presentare una “dichiarazione di inizio attività”, che con riferimento alla preparazione per il riutilizzo è stata eliminata dalla Legge 108/2021, sia la vigenza del decreto ministeriale, annunciato dal 2020 e non ancora emanato, sulla base del quale l’autorità competente deve preliminarmente effettuare la verifica e il controllo dei requisiti previsti.

Naturalmente, come da tradizione, anche le modalità di impiego e di gestione del fondo saranno disciplinate: “con decreto del Ministro della transizione ecologica, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge”.

Torna all'elenco completo

© Riproduzione riservata