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Principio di autosufficienza e prossimità: vale per tutti i rifiuti?
di Miriam Viviana Balossi
Categoria: Rifiuti
Le norme del D.L.vo 152/06 che concernono il principio di autosufficienza (e prossimità) nella gestione dei rifiuti[1], nonché la giurisprudenza sul punto, permettono di svolgere alcune interessanti riflessioni, in particolare per quanto riguarda l’attività di recupero di rifiuti urbani indifferenziati. In materia, l’art. 182-bis, c. 1, lett. a) dispone “Lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani non differenziati sono attuati con il ricorso ad una rete integrata ed adeguata di impianti, tenendo conto delle migliori tecniche disponibili e del rapporto tra i costi e i benefici complessivi, al fine di: a) realizzare l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e dei rifiuti del loro trattamento in ambiti territoriali ottimali; b) permettere lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani indifferenziati in uno degli impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione o raccolta, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi, tenendo conto del contesto geografico o della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti”. Per completezza si segnala che l’art. 182, c. 3 prescrive “E’ vietato smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti, fatti salvi eventuali accordi regionali o internazionali, qualora gli aspetti territoriali e l’opportunità tecnico economica di raggiungere livelli ottimali di utenza servita lo richiedano”. Sul punto, la Corte Costituzionale con sentenza n. 10 del 23 gennaio 2009 ha stabilito che alla luce del principio di autosufficienza, il divieto di smaltimento dei rifiuti di produzione extraregionale è applicabile ai rifiuti urbani non pericolosi, mentre non può valere né per quelli speciali pericolosi, né per quelli speciali non pericolosi. Per tali tipologie di rifiuti non è possibile preventivare in modo attendibile la dimensione quantitativa e qualitativa del materiale da smaltire, cosa che, conseguentemente, rende impossibile “individuare un ambito territoriale ottimale che valga a garantire l’obiettivo della autosufficienza nello smaltimento”. Questo principio è stato recentemente confermato dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 993 del 19 febbraio 2013, secondo il quale ex art. 182 bis del D.L.vo 152/06 “va esclusa la possibilità di estensione ai rifiuti diversi da quelli urbani non pericolosi del principio specifico dell’autosufficienza locale nello smaltimento e va invece applicato anche ai rifiuti speciali non pericolosi il diverso criterio, pure previsto dal legislatore, della specializzazione dell’impianto di smaltimento integrato dal criterio della prossimità, considerato il contesto geografico, al luogo di produzione, in modo da ridurre il più possibile la movimentazione dei rifiuti”. Tutto ciò permesso, bisogna poi valutare se il principio specifico dell’autosufficienza nello smaltimento valga anche nel caso del recupero, segnatamente per quanto concerne i rifiuti urbani indifferenziati (CER 20.03.01). L’art. 181, c. 5 dispone che “Per le frazioni di rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata destinati al riciclaggio ed al recupero è sempre ammessa la libera circolazione sul territorio nazionale tramite enti o imprese iscritti nelle apposite categorie dell’Albo nazionale gestori ambientali ai sensi dell’articolo 212, comma 5, al fine di favorire il più possibile il loro recupero privilegiando il principio di prossimità agli impianti di recupero”. Da questa disposizione discende che nel caso dei rifiuti urbani differenziati destinati al recupero il sopraccitato principio di autosufficienza non vale. Per quanto concerne i R.U. indifferenziati, invece, è intervenuta la sentenza del TAR Toscana, Sez. II, n. 83 del 16 gennaio 2012 (fattispecie relativa proprio al rifiuto urbano non differenziato – codice CER 20.03.01): “non può essere condiviso l’assunto … secondo cui il divieto di smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi di provenienza extraregionale andrebbe applicato solamente allo smaltimento in senso stretto di tali rifiuti e, perciò, non sarebbe applicabile all’impianto … dove non è svolta alcuna attività di smaltimento in senso stretto, ma di trattamento dei rifiuti ai fini del recupero. … il Collegio ritiene che sussistano ragioni sia logico-giuridiche, sia letterali, a supporto dell’opzione ermeneutica che estende il divieto di smaltimento dei rifiuti di provenienza extraregionale … sul piano logico-sistematico, limitare il divieto de quo al solo “smaltimento” in senso stretto dei rifiuti urbani non pericolosi avrebbe l’effetto di depotenziare oltremisura la portata del principio di autosufficienza territoriale … perché consentirebbe di far circolare i rifiuti indifferenziati sul territorio nazionale, al fine del conferimento in un impianto di recupero ubicato in Regioni diverse da quelle di produzione dei rifiuti stessi, mettendo a rischio l’autosufficienza della Regione dove sono conferiti (ciò, pur quando tale Regione si sia adoperata per rispettare il principio di autosufficienza mediante una corretta pianificazione della gestione dei propri rifiuti attraverso la creazione od autorizzazione di impianti di smaltimento e recupero). Una simile scelta interpretativa, allora, finirebbe per disincentivare le Regioni dal realizzare impianti di recupero, in contrasto con la finalità dell’incentivazione dei processi di recupero dei rifiuti urbani e della riduzione al minimo dei processi di smaltimento”. Pertanto, in considerazione della normativa oggi vigente e della giurisprudenza in materia, se ne possono dedurre i seguenti principi: – autosufficienza locale nello smaltimento dei rifiuti urbani, differenziati e indifferenziati; – autosufficienza locale nel recupero dei rifiuti urbani indifferenziati; – libera circolazione sul territorio per i rifiuti urbani differenziati destinati al recupero. In conclusione, quindi, si ritiene che la normativa nazionale ponga dei principi che, per come interpretati dalla giurisprudenza più recente, limitino la possibilità di ritirare rifiuti urbani indifferenziati (cer 20.03.01) di provenienza extra-regionale, seppur destinati a recupero e non a smaltimento.
[1] Per approfondimenti, si veda P. PIPERE – S. MAGLIA – M. MEDUGNO – D. CARISSIMI, La nuova gestione dei rifiuti dopo il D.L.vo 205/2010, Irnerio Editore, p. 26 ss.
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Principio di autosufficienza e prossimità: vale per tutti i rifiuti?
di Miriam Viviana Balossi
Le norme del D.L.vo 152/06 che concernono il principio di autosufficienza (e prossimità) nella gestione dei rifiuti[1], nonché la giurisprudenza sul punto, permettono di svolgere alcune interessanti riflessioni, in particolare per quanto riguarda l’attività di recupero di rifiuti urbani indifferenziati.
In materia, l’art. 182-bis, c. 1, lett. a) dispone
“Lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani non differenziati sono attuati con il ricorso ad una rete integrata ed adeguata di impianti, tenendo conto delle migliori tecniche disponibili e del rapporto tra i costi e i benefici complessivi, al fine di:
a) realizzare l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e dei rifiuti del loro trattamento in ambiti territoriali ottimali;
b) permettere lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani indifferenziati in uno degli impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione o raccolta, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi, tenendo conto del contesto geografico o della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti”.
Per completezza si segnala che l’art. 182, c. 3 prescrive
“E’ vietato smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti, fatti salvi eventuali accordi regionali o internazionali, qualora gli aspetti territoriali e l’opportunità tecnico economica di raggiungere livelli ottimali di utenza servita lo richiedano”.
Sul punto, la Corte Costituzionale con sentenza n. 10 del 23 gennaio 2009 ha stabilito che alla luce del principio di autosufficienza, il divieto di smaltimento dei rifiuti di produzione extraregionale è applicabile ai rifiuti urbani non pericolosi, mentre non può valere né per quelli speciali pericolosi, né per quelli speciali non pericolosi. Per tali tipologie di rifiuti non è possibile preventivare in modo attendibile la dimensione quantitativa e qualitativa del materiale da smaltire, cosa che, conseguentemente, rende impossibile “individuare un ambito territoriale ottimale che valga a garantire l’obiettivo della autosufficienza nello smaltimento”. Questo principio è stato recentemente confermato dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 993 del 19 febbraio 2013, secondo il quale ex art. 182 bis del D.L.vo 152/06 “va esclusa la possibilità di estensione ai rifiuti diversi da quelli urbani non pericolosi del principio specifico dell’autosufficienza locale nello smaltimento e va invece applicato anche ai rifiuti speciali non pericolosi il diverso criterio, pure previsto dal legislatore, della specializzazione dell’impianto di smaltimento integrato dal criterio della prossimità, considerato il contesto geografico, al luogo di produzione, in modo da ridurre il più possibile la movimentazione dei rifiuti”.
Tutto ciò permesso, bisogna poi valutare se il principio specifico dell’autosufficienza nello smaltimento valga anche nel caso del recupero, segnatamente per quanto concerne i rifiuti urbani indifferenziati (CER 20.03.01).
L’art. 181, c. 5 dispone che
“Per le frazioni di rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata destinati al riciclaggio ed al recupero è sempre ammessa la libera circolazione sul territorio nazionale tramite enti o imprese iscritti nelle apposite categorie dell’Albo nazionale gestori ambientali ai sensi dell’articolo 212, comma 5, al fine di favorire il più possibile il loro recupero privilegiando il principio di prossimità agli impianti di recupero”.
Da questa disposizione discende che nel caso dei rifiuti urbani differenziati destinati al recupero il sopraccitato principio di autosufficienza non vale.
Per quanto concerne i R.U. indifferenziati, invece, è intervenuta la sentenza del TAR Toscana, Sez. II, n. 83 del 16 gennaio 2012 (fattispecie relativa proprio al rifiuto urbano non differenziato – codice CER 20.03.01):
“non può essere condiviso l’assunto … secondo cui il divieto di smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi di provenienza extraregionale andrebbe applicato solamente allo smaltimento in senso stretto di tali rifiuti e, perciò, non sarebbe applicabile all’impianto … dove non è svolta alcuna attività di smaltimento in senso stretto, ma di trattamento dei rifiuti ai fini del recupero. … il Collegio ritiene che sussistano ragioni sia logico-giuridiche, sia letterali, a supporto dell’opzione ermeneutica che estende il divieto di smaltimento dei rifiuti di provenienza extraregionale … sul piano logico-sistematico, limitare il divieto de quo al solo “smaltimento” in senso stretto dei rifiuti urbani non pericolosi avrebbe l’effetto di depotenziare oltremisura la portata del principio di autosufficienza territoriale … perché consentirebbe di far circolare i rifiuti indifferenziati sul territorio nazionale, al fine del conferimento in un impianto di recupero ubicato in Regioni diverse da quelle di produzione dei rifiuti stessi, mettendo a rischio l’autosufficienza della Regione dove sono conferiti (ciò, pur quando tale Regione si sia adoperata per rispettare il principio di autosufficienza mediante una corretta pianificazione della gestione dei propri rifiuti attraverso la creazione od autorizzazione di impianti di smaltimento e recupero). Una simile scelta interpretativa, allora, finirebbe per disincentivare le Regioni dal realizzare impianti di recupero, in contrasto con la finalità dell’incentivazione dei processi di recupero dei rifiuti urbani e della riduzione al minimo dei processi di smaltimento”.
Pertanto, in considerazione della normativa oggi vigente e della giurisprudenza in materia, se ne possono dedurre i seguenti principi:
– autosufficienza locale nello smaltimento dei rifiuti urbani, differenziati e indifferenziati;
– autosufficienza locale nel recupero dei rifiuti urbani indifferenziati;
– libera circolazione sul territorio per i rifiuti urbani differenziati destinati al recupero.
In conclusione, quindi, si ritiene che la normativa nazionale ponga dei principi che, per come interpretati dalla giurisprudenza più recente, limitino la possibilità di ritirare rifiuti urbani indifferenziati (cer 20.03.01) di provenienza extra-regionale, seppur destinati a recupero e non a smaltimento.
[1] Per approfondimenti, si veda P. PIPERE – S. MAGLIA – M. MEDUGNO – D. CARISSIMI, La nuova gestione dei rifiuti dopo il D.L.vo 205/2010, Irnerio Editore, p. 26 ss.
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