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"Mi occupo di diritto ambientale da oltre trent’anni TuttoAmbiente è la guida più autorevole per la formazione e la consulenza ambientale Conta su di noi" Stefano Maglia
Tentativi di definizione a partire dal livello sovranazionale e dagli esempi italiano e francese. Criticato da alcuni per rappresentare un freno allo sviluppo e alla ricerca scientifica, elogiato da altri quale simbolo del progresso anzitutto etico e culturale, oltreché giuridico[1], raggiunto dalla civiltà moderna, il principio di precauzione costituisce indubbiamente uno dei cardini del Diritto Ambientale contemporaneo. Imponendo l’adozione di misure cautelative in presenza di situazioni di incertezza scientifica, il principio in esame si presenta come il precipitato giuridico di un livello di accettabilità del rischio che è andato mutando nel corso degli anni. Al tempo della certezza e del controllo dell’uomo sulla natura, in cui l’essere umano credeva di poter tutto dominare e si pensava che la scienza permettesse di porre rimedio a tutti gli eventuali danni arrecati all’ambiente, è seguito il tempo dei dubbi, del timore che l’hybris umana possa portare (come, del resto, è avvenuto) a compromissioni ambientali irreparabili, le quali assumono spesso evidenza solo a distanza di anni, colpendo le generazioni future. A partire dalla fine degli anni ’70, e soprattutto nel corso del decennio successivo, i gravi danni ambientali legati al rapido sviluppo industriale conosciuto dai Paesi dell’Europa occidentale incominciano ad appalesarsi agli occhi di tutti, e non più unicamente a quel ristretto gruppo di industriali, politici ed amministratori che li aveva volontariamente nascosti o ignorati. L’uomo inizia così a prendere coscienza dell’inadeguatezza dei classici strumenti, risarcitori e sanzionatori, di protezione dell’ambiente. Riappare evidente il rapporto di interdipendenza con la natura, e si sostiene la necessità di un’etica nuova, adattata ai tempi e agli spazi naturali[2]. E’ proprio questa etica rinnovata, mossa dall’obiettivo di prevenire i danni ambientali che possono emergere in situazioni di incertezza scientifica, a portare alla nascita del principio di precauzione. Consacrato a livello sovrastatale e poi recepito dagli ordinamenti nazionali, il principio in esame si impone in breve tempo quale pilastro del diritto ambientale europeo e delle branche del diritto a questo collegate, in particolare la salute e l’alimentazione. La sua estensione è stata però accompagnata da feroci accuse da parte di coloro che, criticandone l’indeterminatezza, ne vedrebbe un freno all’innovazione, e, conseguentemente, ne auspicherebbero una rimodulazione o -addirittura- la soppressione. La fluidità del principio di precauzione è del resto una realtà con la quale occorre fare i conti, strettamente legata ai contorni sfumati della sua definizione e al differente valore giuridico riconosciutogli nei singoli ordinamenti nazionali.
Il principio di precauzione: la ricostruzione della sua definizione in ambito sovranazionale
Per tracciare la definizione del principio di precauzione, occorre partire dall’analisi degli ambiti in cui esso ha per la prima volta trovato riconoscimento, ovverosia quello internazionale e quello comunitario.
1.1. Il principio di precauzione a livello internazionale
E’ a livello internazionale che si rinvengono i primi riferimenti al principio di precauzione. La Carta mondiale della natura (1982), pur se giuridicamente non vincolante, rappresenta il testo precursore sul punto, laddove afferma che: (i) le attività che comportano un elevato grado di rischio per la natura devono essere precedute da un esame approfondito e i loro promotori devono dimostrare che i benefici derivanti dall’attività prevalgono sui danni eventuali alla natura; e (ii) qualora gli effetti nocivi di tali attività siano conosciuti in maniera imperfetta, esse non dovranno essere intraprese (art. 11, b[3]). Il concetto di precauzione trova poi compiuto riconoscimento in maniera settoriale, in relazione alla protezione dello strato d’ozono (con la Convenzione di Vienna del 1985), dell’ambiente marino e dei corsi d’acqua (per mezzo, anzitutto, della Dichiarazione interministeriale sulla protezione del Mare del Nord del 1987) e al divieto di importazione di rifiuti pericolosi in Africa (Convenzione di Bamako del 1991). E’ ad opera della Dichiarazione di Rio del 1992, atto conclusivo della Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo, che la precauzione viene consacrata in riferimento alla generalità del diritto ambientale. Il Principio 15 enuncia infatti che “Al fine di proteggere l’ambiente, gli Stati applicheranno largamente, secondo le loro capacità, il Principio di precauzione. In caso di rischio di danno grave o irreversibile, l’assenza di certezza scientifica assoluta non deve servire da pretesto per differire l’adozione di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado ambientale”. Le linee direttive per l’attuazione del principio in esame sono così tracciate: non sarà necessario che il danno si sia già prodotto, essendo invero sufficiente che ne incorra la sola minaccia; tale rischio dovrà essere “grave o irreversibile”, aspetto da valutare in riferimento alle conseguenze patrimoniali e all’impossibilità di ripristinare la situazione ambientale precedente[4]. Da esso deriverà l’obbligo, posto in capo agli operatori economici e la cui vigilanza sarà demandata alle Amministrazioni, di non intraprendere una determinata attività o di adottare delle misure tecniche e giuridiche volte a controllarne gli effetti sull’ambiente. L’ambizione della “precauzione” è difatti quella di gestire situazione di pericolo ambientale non conosciute, o non completamente conosciute, così differenziandosi dal principio di prevenzione che invece obbliga ad adottare misure anticipatorie volte a eliminare o ridurre il rischio “certo” di danno all’ambiente scaturente dall’esercizio di una certa attività. Tutta la portata del principio di precauzione emerge allora con chiarezza: forte stimolo alla ricerca scientifica (spinta ad indagare gli effetti dei nuovi prodotti e delle nuove tecniche), da un lato, strumento invocabile al momento del verificarsi di un danno all’ambiente, dall’altro. Al riguardo, gli Stati, le organizzazioni internazionali, le imprese, le Amministrazioni devono tutti rispettare e far rispettare il principio di precauzione. Sicché, qualora si produca un effetto negativo sull’ambiente o sulla salute umana, tale principio potrà essere posto a fondamento della responsabilità, penale e civile, dei soggetti che non abbiano adottato misure precauzionali, tutte le volte che conoscevano, avrebbero dovuto conoscere, o avrebbero dovuto dubitare dei rischi gravi o irreversibili discendenti da una determinata attività[5]. Dopo la Dichiarazione di Rio, il principio di precauzione trova fertile terreno di consacrazione in numerose ulteriori convenzioni, poste -in particolare- a salvaguardia dei mari, dei laghi e dei corsi d’acqua fluviali (ex multis, Convenzione di Helsinki sulla protezione e l’utilizzazione dei corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali, 1992; Convenzione di Helsinki sulla protezione dell’ambiente marino nell’area del Mar Baltico, 1992; Convenzione di Parigi sulla protezione dell’ambiente marino dell’Atlantico del Nord-Est, 1992[6]), così che nessun dubbio sussiste ormai in merito al ruolo fondamentale rivestito dalla “precauzione” all’interno del diritto ambientale internazionale. Un aspetto resta tuttavia ancora incerto. Si tratta dell’eventuale possibilità di riconoscere al principio di precauzione valore di norma consuetudinaria. Considerata l’incertezza degli organi giudicanti sul punto[7], la risposta sembra essere al momento negativa.
1.2. Il principio di precauzione a livello comunitario
Affermatosi in ambito internazionale, il principio di precauzione viene velocemente recepito a livello comunitario. L’art. 130 R (2) del Trattato di Maastricht, posto ad apertura del Titolo XVI (“Ambiente”), stabilisce che la politica della Comunità in materia ambientale è fondata, fra l’altro, sui “principi di precauzione e dell’azione preventiva” e richiede che le politiche comunitarie siano integrate con le esigenze connesse alla tutela dell’ambiente. Ripreso dall’art. 174 del Trattato di Amsterdam, il principio in esame trova da ultimo consacrazione nell’art. 191 TFUE, la cui formulazione non si discosta da quella primigenia dell’art. 130 R[8].
A fronte di un mero ed asettico richiamo alla “precauzione”, emerge con evidenza la mancanza di ulteriori precisazioni e, soprattutto, di una definizione del suo contenuto.
A tal fine, svolta di fondamentale importanza è rappresentata dall’adozione nel 2000, da parte della Commissione delle Comunità europee, della “Comunicazione della Commissione sul principio di precauzione”, in cui si precisa che “Il fatto di invocare o no il principio di precauzione è una decisione esercitata in condizioni in cui le informazioni scientifiche sono insufficienti, non conclusive o incerte e vi sono indicazioni che i possibili effetti sull’ambiente e sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante possono essere potenzialmente pericolosi e incompatibili con il livello di protezione prescelto”.
Dalla lettura di tale passaggio si appalesa immediatamente, come messo in luce dalla dottrina[9], una divergenza rispetto a quanto sancito dalla Dichiarazione di Rio, sì da domandarsi se sia forse il caso di parlare di un principio di precauzione “comunitario”. Viene infatti meno il riferimento ad una minaccia di danno “grave o irreversibile”, il principio in esame potendo pertanto essere invocato anche semplicemente in presenza di una situazione di potenziale pericolo.
La Commissione ha poi cura di precisare che l’applicazione del principio di precauzione deve inserirsi nel quadro generale dell’analisi e della gestione del rischio connesso all’esercizio di una determinata attività. Ciò che, nei fatti, richiede di definire il livello di pericolo “accettabile” per la società, sulla base (i) dell’identificazione degli effetti potenzialmente negativi, (ii) della valutazione dei dati scientifici disponibili e (iii) dell’ampiezza dell’incertezza scientifica, ovverosia facendo riferimento a rigorosi criteri ed analisi, e non invece a semplici ipotesi o scelte politiche.
Le misure nelle mani delle autorità incaricate della gestione del rischio sono poi molteplici, variando dal divieto sic et simpliciter di intraprendere l’attività, all’adozione di atti giuridicamente vincolanti, di progetti di ricerca o di raccomandazioni. In ogni caso, qualora si ritenga necessario agire, le azioni messe in campo dovranno essere: proporzionali rispetto al livello di protezione prescelto; non discriminatorie; coerenti con misure analoghe già adottate; basate su un esame dei potenziali vantaggi e oneri dell’azione o dell’inazione (compresa, ove ciò sia possibile e adeguato, un’analisi economica costi/benefici); soggette a revisione, alla luce dei nuovi dati scientifici; in grado di attribuire la responsabilità per la produzione delle prove scientifiche necessarie per una più completa valutazione del rischio.
La Commissione si sofferma infine su un tema di primaria importanza: la definizione dell’onere della prova. Precisa che, in assenza di procedure di autorizzazione preventiva[10], la responsabilità di dimostrare la natura e il livello di pericolo di un prodotto o di un processo può spettare agli utilizzatori o alle pubbliche autorità. Anche in tali casi, tuttavia, potrebbe essere adottata una specifica misura precauzionale consistente nell’imporre l’onere della prova sul produttore o sull’importatore, senza peraltro che tale inversione diventi una regola generale.
Dall’analisi effettuata emerge, ancora una volta, tutta la complessità del principio di precauzione e, in particolare, il ruolo fondamentale rivestito dalle procedure di giustificazione delle decisioni da adottare. I responsabili politici sono infatti chiamati ad operare un corretto equilibrio fra interessi molteplici e non sempre perfettamente convergenti: la libertà e i diritti delle industrie e delle organizzazioni, da un lato, l’esigenza di ridurre i rischi per l’ambiente e per la salute degli esseri umani, degli animali e delle piante, dall’altro (cfr. Comunicazione).
Un bilanciamento, questo, di notevole complessità, in ragione dei confini variabili e sfumati del diritto ambientale, e dei suoi stretti legami con altre discipline, quali -anzitutto- il diritto alimentare e la salute umana ed animale. Proprio a tali ambiti, del resto, il principio di precauzione ha trovato rapido approdo a livello comunitario (nota è la vicenda degli OGM)[11], introducendo così ulteriori fattori da prendere in considerazione nell’opera di equilibrio poc’anzi accennata.
Il principio di precauzione: il suo valore giuridico negli ordinamenti nazionali
Concepito in ambito internazionale, esteso a livello europeo, il principio di precauzione viene ben presto recepito anche dagli ordinamenti nazionali, dove tuttavia, come sottolineato dalla dottrina, il suo valore giuridico è spesso non ben determinabile e la sua definizione “vaga”, ciò che “permette applicazioni molteplici e nuove, mostrando l’elasticità dello stesso, ma è anche causa di legislazioni molto diverse e usi impropri della precauzione, collegati ad interessi economici o protezionistici”[12]. Ricostruire il valore giuridico del principio di precauzione e le sue modalità applicative appare pertanto di fondamentale importanza. Obiettivo, questo, che verrà perseguito in riferimento all’ordinamento italiano e a quello francese, stante la soluzione del tutto innovativa da esso adottata all’interno del panorama europeo.
2.1. Il principio di precauzione nell’ordinamento giuridico italiano
Prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 152/2006 (cd. Codice dell’Ambiente), nell’ordinamento italiano era assente un richiamo generale al principio di precauzione, a cui si faceva riferimento unicamente in alcune leggi settoriali (cfr. art. 1, c. 1, lett. b) della l. n. 36/2001, “Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici”). Il principio in esame trovava ingresso nell’ordinamento interno indirettamente, tramite il richiamo alle disposizioni comunitarie operato dall’art. 117, c. 1 Cost., al fine -come nel caso che ha portato alla sentenza T.A.R. Brescia, 11 aprile 2005, n. 304- di vagliare la legittimità di provvedimenti emanati dalla Pubblica Amministrazione[13]. Per la consacrazione della precauzione quale principio alla base dell’insieme del diritto ambientale bisogna attendere l’entrata in vigore del nuovo Codice dell’Ambiente, il quale, all’art. 301, c. 1 stabilisce che “In applicazione del principio di precauzione di cui all’articolo 174, paragrafo 2, del Trattato CE, in caso di pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l’ambiente, deve essere assicurato un alto livello di protezione”, e interviene -al contempo- a disciplinare le tipologie e le modalità di applicazione delle misure preventive adottabili (cfr. art. 304 ss. d.lgs. n. 152/2006)[14]. Ciò chiarito, resta da interrogarsi sul rilievo assunto dal principio in esame a livello costituzionale[15]. Al riguardo, è interessante soffermarsi su due interessanti sentenze della Corte Costituzionale, riferite ai casi OGM (Corte Cost., sent. n. 116/2006) e Ilva di Taranto (Corte Cost., sent. n. 85/2013). Nella prima decisione, la Corte, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale del d.l. n. 279/2004 (“Disposizioni urgenti per assicurare la coesistenza tra le forme di agricoltura transgenica, convenzionale e biologica”), sottolinea come la questione della regolamentazione delle colture transgeniche coinvolga e richieda una sintesi fra divergenti interessi di rilevanza costituzionale: la libertà di iniziativa economica dell’imprenditore agricolo, da un lato, l’esigenza che tale libertà non sia esercitata in contrasto con l’utilità sociale, ed in particolare recando danni sproporzionati all’ambiente e alla salute, dall’altro. E’ proprio nell’ambito dell’elaborazione e della conciliazione di tali indirizzi, operazione che spetta alla legge dello Stato e non è derogabile dalla legislazione regionale, che il principio di precauzione gioca un ruolo importante. Esso infatti può intervenire “nell’interesse dell’ambiente e della salute umana”, al fine di giustificare costituzionalmente l’imposizione di limiti all’esercizio della libertà di iniziativa economica[16]. Il principio di precauzione, dunque, non costituisce un nuovo ed autonomo termine nel bilanciamento eseguito dalla Corte Costituzionale, rappresentando, al contrario, l’ago della bilancia che fa sì che uno degli interessi oggetto della sintesi (la tutela dell’ambiente e della salute) abbia la meglio sull’altro (la libertà di iniziativa economica). Più complesso è il ruolo rivestito dalla precauzione nel noto caso dell’Ilva di Taranto, in cui la Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di alcune disposizioni del d.l. n. 207/2012, testo adottato in via d’urgenza per consentire la prosecuzione delle attività dello stabilimento industriale tarantino. Anche in questo caso, come in quello precedente, il principio di precauzione gioca un ruolo di arbitro, definendo quale degli interessi in gioco (produzione e diritto alla libertà economica, da un lato, diritto alla salute e all’ambiente, dall’altro) debba prevalere. A differenza della vicenda degli OGM, tuttavia, questo bilanciamento non viene già operato dal legislatore, il quale, invece, lo ha demandato all’adozione dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (cd. AIA). La Corte rimarca difatti come, nell’ottica del legislatore, il procedimento che culmina nel rilascio dell’AIA rappresenti, per le sue caratteristiche di partecipazione e di pubblicità ed in quanto “risultato di apporti plurimi, tecnici e amministrativi”, il migliore strumento attraverso cui pervenire all’individuazione del punto di equilibrio in ordine all’accettabilità e alla gestione dei rischi che derivano da un’attività industriale. Ed è proprio all’interno di tale procedimento che si inserisce il principio di precauzione. Ben potrà poi l’Autorizzazione Integrata Ambientale “essere contestata davanti al giudice competente, nel caso si lamentino vizi di legittimità dell’atto da parte di cittadini che si ritengano lesi nei loro diritti e interessi legittimi” a causa, per esempio, di un eccesso di potere nell’applicazione del principio di precauzione[17].
Dall’analisi della giurisprudenza costituzionale italiana emerge pertanto come il principio di precauzione assuma rilievo in due differenti sedi, legislativa ed amministrativa, nell’ambito del procedimento che porta all’adozione di una legge (e nel suo eventuale sindacato di legittimità costituzionale) o di un provvedimento amministrativo (e nel possibile ricorso amministrativo promosso avverso di esso), quale l’autorizzazione all’esercizio di una determinata attività o un’ordinanza di necessità e urgenza.
2.2. Il principio di precauzione nell’ordinamento giuridico francese
Importanza fondamentale è rivestita dalla “precauzione ambientale” anche in Francia, Paese in cui è consacrata al massimo vertice della piramide delle fonti del diritto, fra i principi avente valore costituzionale. E forse è tale rango giuridico primario frutto della scelta operata dal legislatore nel 2005 (il quale ha richiamato la Charte de l’environnement nel preambolo della Costituzione francese facendola così divenire parte integrante del cd. bloc de constitutionnalité) a far sì che il principio di precauzione sia oggetto di sempre più accese critiche[18], entrando finanche nel dibattito politico che sta precedendo le prossime elezioni presidenziali[19]. E’ anzitutto in via indiretta che la precauzione in materia ambientale fa il suo ingresso in Francia, per mezzo dei trattati internazionali ratificati dallo Stato francese, ai quali l’art. 55 Cost. riconosce “une autorité supérieure à celle des lois”. Punto di svolta è rappresentato dall’approvazione nel 1995 della legge Barnier (“Loi n° 95-101 du 2 février 1995 relative au renforcement de la protection de l’environnement”), a cui va il merito di iscrivere il principio di precauzione nel diritto positivo francese. L’articolo L200-1, inserito all’interno del Code rural (disposizione abrogata nel 2000 e sostituita dall’art. L110-1 del Code de l’environnement, che ne riprende il contenuto in termini identici), stabilisce difatti che la protezione, la valorizzazione e, in generale, la gestione dell’ambiente (termine comprensivo di “espaces, ressources et milieux naturels, les sites et paysages, la qualité de l’air, les espèces animales et végétales, la diversité et les équilibres biologiques auxquels ils participent”) devono ispirarsi al principio di precauzione, secondo il quale “l’assenza di certezze, in considerazione delle conoscenze scientifiche e tecniche del momento, non deve ritardare l’adozione di misure effettive e proporzionate volte a prevenire un rischio di danni gravi e irreversibili all’ambiente ad un costo economicamente sostenibile” (traduzione nostra[20]). Una formulazione dunque, quella della Loi Barnier, che, a ben vedere, riprende i termini della Dichiarazione di Rio del 1992: il principio di precauzione deve fondarsi su una comparazione dei benefici apportati da una nuova tecnologia e dei rischi ambientali ad essa connessi, i quali devono presentare i caratteri della gravità e dell’irreversibilità; qualora si decida di adottare misure precauzionali, queste devono essere “effectives”, “proportionnées” e al contempo avere un “coût économiquement acceptable”. Ricondotto al rango di legge ordinaria, il principio in esame assume un triplice rilievo nella giurisprudenza francese[21], quale: (i) elemento componente del principio di legalità, richiamato al fine di annullare un provvedimento amministrativo che autorizza l’esercizio di un’attività pericolosa per l’ambiente; (ii) fondamento giuridico di una domanda cautelare di sospensione dell’esecuzione di un atto amministrativo (“demande de sursis à exécution”); (iii) fonte di responsabilità civile, penale ed amministrativa. Il vero salto qualitativo è però rappresentato dalla loi constitutionnelle n° 2005-2015 del 1 marzo 2005, la quale eleva la Charte de l’environnement al rango costituzionale, facendo dell’esperienza francese un’interessante esempio a livello europeo. L’art. 5 della Carta proclama (“proclame”) che “Quando la realizzazione di un danno, sebbene incerta allo stato delle conoscenze scientifiche, potrebbe colpire l’ambiente in modo grave ed irreversibile, le autorità pubbliche vegliano, in applicazione del principio di precauzione e nei rispettivi ambiti di competenza, alla messa in opera di procedure di valutazione dei rischi e all’adozione di misure provvisorie e proporzionali al fine di evitare la realizzazione del danno” (traduzione nostra[22]). Si delinea dunque con chiarezza la peculiare inversione dell’onere della prova connessa al principio di precauzione. Spetterà al soggetto che richiede un’autorizzazione amministrativa dimostrare, attraverso dati scientifici, che la sua attività non comporta rischi sconosciuti in grado di “affecter de manière grave et irréversible l’environnement”. Per il resto, l’art. 5 della Carta dell’Ambiente riprende nella sostanza la definizione del principio di precauzione tracciata dal Code de l’environnement, ponendo però l’accento sull’importante ruolo di controllo che le Autorità pubbliche sono chiamate a svolgere. La responsabilità dell’attuazione del principio in esame, del resto, era stata al centro di un acceso dibattito già a partire dalla fine del secolo scorso. Alla raccomandazione contenuta nel cd. Rapport Kourilsky et Viney del 15 ottobre 1999[23], secondo cui tutti coloro che mettono in atto o hanno il potere di porre fine ad un’attività suscettibile di arrecare rischi all’ambiente sono tenuti ad applicare il principio di precauzione, si contrapponeva una visione più restrittiva, per la quale gli unici responsabili sarebbero i soggetti a cui spetta di definire le politiche ambientali, ovverosia le Autorità pubbliche[24]. Ebbene, l’art. 5 della Charte de l’environnement sembra prendere posizione a favore di una responsabilità “allargata”. Come messo in evidenza dalla dottrina[25], infatti, all’interno del quadro giuridico delineato dalla legge, tutti i soggetti hanno il dovere di assicurare la preservazione dell’ambiente, in funzione delle proprie competenze e dei rischi generati dalla loro attività. Altro aspetto focale cui l’art. 5 della Carta fa riferimento è la necessità che l’applicazione del principio di precauzione si fondi su “procédures d’évaluation des risques”. Scopo di tali procedure è mettere in evidenza, sulla base di studi scientifici, i pericoli connessi all’esercizio dell’attività di cui si domanda l’autorizzazione, la probabilità della loro manifestazione, la loro possibile entità e il grado di esposizione delle persone e dell’ambiente. All’“analisi del rischio” così descritta dovrà poi seguire la cd. “gestione del rischio”, ovverosia la definizione e la messa in atto di quelle misure volte a rendere il rischio accettabile da un triplice punto di vista: ambientale, sociale ed economico. Due aspetti, dunque, quelli di analisi e di gestione del rischio, che rappresentano con tutta evidenza gli snodi fondamentali e più delicati dell’attuazione del principio di precauzione, e che necessitano pertanto di essere inquadrati all’interno di una procedura valutativa, quale un’analisi di impatto, le cui linee fondamentali dovranno essere tracciate dal legislatore[26]. Solo a quel punto, forse, ridotti i suoi margini di incertezza applicativa, il principio di precauzione non sarà più oggetto delle attuali numerose critiche.
[1] Riguardo al rapporto e alla definizione agli aspetti morali, politici e giuridici sottesi al principio di precauzione, cfr.: L. Boy, La nature juridique du principe de précaution, in Natures Sciences Sociétés, 1999, vol. 7, n° 3, 5-11. [2] Sul rapporto fra principio di precauzione ed una nuova forma di etica: v. M. Rémond-Gouilloud, L’ère de la précaution, Colloque sur “Vous avez dit progrès?”, Revue Archimède et Léonard, in Carnets de l’association internationale des techniciens, experts et chercheurs, n° 10, 1993-94, p. 63. “…Hans Jonas… nous dit de l’interdépendance entre l’homme et la nature : l’intégrité de la nature autour de nous, c’est l’intégrité de la nature en nous ; les agressions qui affectent l’une se répercutent inéluctablement sur l’autre. Et il plaide pour une éthique nouvelle élargie dans le temps et dans l’espace, à la mesure des temps qui viennent. Cette éthique élargie s’appelle « principe de précaution ». Celui-ci comporte notamment une prise en compte de la durée. A la suite de Teilhard et de Jonas il faut désormais à notre société et à son droit apprendre à se projeter dans le future, ménager les réversibilités, éviter l’irréparable au nom des générations futures”. [3] “Les activités comportant un degré élevé de risques pour la nature seront précédées d’un examen approfondi et leurs promoteurs devront prouver que les bénéfices escomptés l’emportent sur les dommages éventuels pour la nature et, lorsque les effets nuisibles éventuels de ces activités ne sont qu’imparfaitement connus, ces dernières ne devraient pas être entreprises”. [4] Al riguardo, la dottrina ha avuto cura di rimarcare l’indeterminatezza dei concetti di “irreversibilità” e di “rischi gravi”: cfr. “Certains pensent que l’irréversibilité du dommage peut être par fois démontrée (par exemple pour la disparition d’espèces vivantes) mais la notion n’est pas toujours claire, ainsi une forêt détruite pourra repousser en quelques décennies (?). D’autre part la définition de risques graves n’est pas évidente. D’autres insistent sur le fait que dès qu’il y a risques graves ou irréversibles, même si des doutes et des ambiguïtés subsistent sur la nature de ces risques, il faut appliquer le principe” (J.-M. Lavieille, Les principes généraux du droit international de l’environnement et un exemple : le principe de précaution, Université de Limoges). [5] Sul triplice declinarsi dell’elemento soggettivo della responsabilità discendente dalla violazione del principio di precauzione, cfr. J.-M. Lavieille, Les principes généraux du droit international de l’environnement et un exemple : le principe de précaution, cit.: “Le principe de précaution consiste à dire que non seulement nous sommes responsables de ce que nous savons, de ce que nous aurions dû savoir mais, aussi, de ce dont nous aurions dû nous douter”. [6] Particolarmente limpida è la definizione del principio di precauzione contenuta nell’art. 2, c. 2, lett. a) della Convenzione di Parigi: “Le parti contraenti applicano: il principio di precauzione, secondo cui devono essere adottate misure di prevenzione quando sussistono motivi ragionevoli di preoccuparsi del fatto che sostanze o energia introdotte, direttamente o indirettamente, nell’ambiente marino possano comportare rischi per la salute dell’uomo, nuocere alle risorse biologiche e agli ecosistemi marini, violare i valori ammessi o intralciare altri usi legittimi del mare, anche qualora non vi siano prove determinanti dell’esistenza di un nesso di causalità tra gli apporti e i loro effetti”. [7] Al riguardo, in ambito giudiziale, il primo significativo riferimento al principio di precauzione è operato dal Tribunale Internazionale per il Diritto del Mare nel caso del Tonno pinna blu, che ha visto l’Australia e la Nuova Zelanda fare ricorso contro il Giappone, avverso il suo programma di pesca del tonno pinna blu nell’Oceano Pacifico (International Tribunal for the Law Of the Sea, Southern Bluefin Tuna Cases, Requests for provisional measures, order, 1999).
Nel giustificare l’applicazione delle misure cautelari richieste dalle ricorrenti, il Tribunale ha di fatto attuato il principio di precauzione al fine di evitare “further deterioration of the southern bluefin tuna stock”, e ciò sebbene “there is scientific uncertainty regarding measures to be taken to conserve the stock of southern bluefin tuna”. Difatti, “the court or tribunal may prescribe any provisional measures which it considers appropriate under the circumstances to preserve the respective rights of the parties to the dispute or to prevent serious harm to the marine environment”. [8] Art. 191 (2) TFUE: “La politica dell’Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell’Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio «chi inquina paga»”. [9] S. Leoni, Il principio di precauzione in diritto ambientale, in Diritto all’ambiente, dirittoambiente.com [10] Al riguardo, la commercializzazione di alcuni tipi di prodotti, quali le medicine, i pesticidi e gli additivi alimentari, richiede il rilascio di una specifica autorizzazione. Questo altro non è che una diretta applicazione del principio di precauzione, per superare il quale il produttore, ovvero l’importatore, dovrà dimostrare l’assenza della pericolosità di tali sostanze.
Cfr. punto 6.4 della Comunicazione sopracitata: “Le regole esistenti nella legislazione comunitaria e in quella di numerosi paesi terzi applicano il principio dell’autorizzazione preventiva (elenco positivo) prima dell’immissione sul mercato di alcuni tipi di prodotti, quali le medicine, gli antiparassitari o gli additivi alimentari. Ciò costituisce già un modo di applicare il principio di precauzione spostando la responsabilità della produzione delle prove scientifiche. È questo il caso in particolare delle sostanze ritenute a priori pericolose o che possono essere potenzialmente pericolose ad un certo livello d’assorbimento. In questo caso il legislatore, per precauzione, ha previsto l’inversione dell’onere della prova, stabilendo che tali sostanze siano considerate come pericolose finché non sia dimostrato il contrario. Spetta quindi alle imprese realizzare i lavori scientifici necessari per la valutazione del rischio. Finché il livello di rischio per la salute e per l’ambiente non può essere valutato con sufficiente certezza, il legislatore non può legittimamente autorizzare l’utilizzazione della sostanza, salvo in casi eccezionali per effettuare prove”. [11] A livello comunitario, il principio di precauzione è ormai pacificamente applicabile non più al solo diritto ambientale, ma anche alla salute umana, ai prodotti alimentari, ai settori zoosanitario e fitosanitario.
Tale estensione è stata anzitutto inaugurata dalla risoluzione sul principio di precauzione annessa alle conclusioni del Consiglio europeo di Nizza del 7-10 dicembre 2000, in cui si legge che “il principio di precauzione fa parte dei principi da prendere in considerazione nella politica della Comunità in materia ambientale; che tale principio è altresì applicabile alla salute umana nonché ai settori zoosanitario e fitosanitario”.
Un ruolo fondamentale è stato inoltre svolto dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea e dal Tribunale dell’Unione Europea, il quale ha delineato il principio di precauzione quale vero e proprio principio generale di diritto comunitario: “Nonostante sia menzionato nel Trattato solamente in relazione alla politica ambientale, il principio di precauzione ha quindi un ambito di applicazione più ampio. Esso è destinato ad applicarsi, al fine di assicurare un livello elevato di protezione della salute, della sicurezza dei consumatori e dell’ambiente, in tutti gli ambiti di azione della Comunità” (Tribunale di primo grado, II sez. ampl., Artegodan GmbH e altri contro Commissione delle Comunità europee, 26 novembre 2002). [12] M. Marchese, Il principio di precauzione tra luci ed ombre, in comparazionedirittocivile.it, p. 3. [13] Nel caso che ha portato all’emanazione della sentenza citata, era stato impugnato un provvedimento adottato dal Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro per i Beni e le Attività Culturali, contenente un giudizio positivo condizionato di compatibilità ambientale sul progetto relativo alla trasformazione di un impianto di post-combustione in un impianto di termodistruzione di rifiuti speciali e tossico-nocivi. [14] In argomento, cfr.: L. Butti, Principio di precauzione, Codice dell’Ambiente e giurisprudenza delle Corti comunitarie e della Corte costituzionale, in Riv. giur. ambiente, fasc.6, 2006, pag. 809. [15] In argomento, cfr.: G. Di Cosimo, Corte Costituzionale, bilanciamento di interessi e principio di precauzione, in forumcostituzionale.it, n. 3/2015; G. Di Cosimo, Il principio di precauzione nella recente giurisprudenza costituzionale, in federalismi.it, n. 25/2006 [16] Tali limiti, come ha cura di precisare la Corte Costituzionale, possono essere giustificati solo sulla base di “indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi, di norma nazionali o sovranazionali, a ciò deputati, dato l’essenziale rilievo che, a questi fini, rivestono gli organi tecnico scientifici (sentenza n. 282 del 2002)”. [17] Come messo efficacemente in luce dalla dottrina, il fatto di demandare l’applicazione del principio di precauzione ad organi amministrativi, dunque tecnici, rischia di eludere quanto previsto dalla Comunicazione della Commissione Europea del 2000, secondo cui “la scelta della risposta da dare di fronte ad una certa situazione deriva… da una decisione eminentemente politica, funzione del livello di rischio accettabile dalla società che deve supportarlo”, e pertanto rimessa ad un organo politico. Cfr. G. Di Cosimo, Corte Costituzionale, bilanciamento di interessi e principio di precauzione, cit. [18] In argomento, cfr.: N. Treich, Le véritable enjeu des débats sur le principe de précaution, 8 ottobre 2014, in lemonde.fr ; D. Lecourt, Le principe de précaution engendre la peur et inhibe l’innovation, 29 novembre 2016, in lefigaro.fr [19] Il principio di precauzione è stato al centro del dibattito politico che ha accompagnato le primarie del partito della destra francese Les Républicains. Secondo il vincitore uscente, François Fillon, che dunque concorrerà alle elezioni presidenziali dell’aprile 2017, il principio di precauzione dovrebbe essere sostituito da un “principe de responsabilité”, il primo rappresentando un forte limite all’innovazione e al progresso scientifico. In argomento, cfr.: E. Mandonnet, La droite part en guerre contre le principe de précaution, 28 agosto 2013, in lexpress.fr ; L. Prat de Seabra, Primaire à droite : l’environnement, invité surprise de la campagne, 19 settembre 2016, in lefigaro.fr ; R. Loury, A droite, haro sur le principe de précaution, 5 ottobre 2016, in journaldelenvironnement.net [20] “Le principe de précaution, selon lequel l’absence de certitudes, compte tenu des connaissances scientifiques et techniques du moment, ne doit pas retarder l’adoption de mesures effectives et proportionnées visant à prévenir un risque de dommages graves et irréversibles à l’environnement à un coût économiquement acceptable”. [21] Cfr. M. Prieur, Le principe de précaution, in legiscompare.fr [22] “Lorsque la réalisation d’un dommage, bien qu’incertaine en l’état des connaissances scientifiques, pourrait affecter de manière grave et irréversible l’environnement, les autorités publiques veillent, par application du principe de précaution et dans leurs domaines d’attributions, à la mise en œuvre de procédures d’évaluation des risques et à l’adoption de mesures provisoires et proportionnées afin de parer à la réalisation du dommage”. [23] “Le principe de précaution”, Rapport au Premier Ministre présenté par P. Kourilsky et G. Viney, 15 octobre 1999, in ladocumentationfrancaise.fr. [24] In argomento, cfr.: E. Ewald, La précaution, une responsabilité de l’État, Le Monde, 11 marzo 2000. [25] Sul punto, Olivier Godard sottolinea come “Le fait que les autorités publiques se voient attribuer un rôle premier d’orchestration ne signifie pas qu’elles soient les seules à devoir mettre en œuvre des actions, puisque toute personne a le devoir de prendre part à la préservation de l’environnement dans le cadre public fixé par la loi, et que le rôle des autorités publiques est de «veiller à» ce que chacun satisfasse bien à ses obligations en fonction de des compétences et de sa place au renard de la création des risques”. O. Godard, Quid de la gestion des risques après la constitutionnalisation du principe de précaution ?, in Annales des Mines – Responsabilité et environnement, 2010/I (N° 57), pp. 38-44. [26] In argomento, cfr.: N. Treich, Le véritable enjeu des débats sur le principe de précaution, cit.
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Il principio di precauzione in materia ambientale
di Rosa Bertuzzi, Andrea Tedaldi
Tentativi di definizione a partire dal livello sovranazionale e dagli esempi italiano e francese.
Criticato da alcuni per rappresentare un freno allo sviluppo e alla ricerca scientifica, elogiato da altri quale simbolo del progresso anzitutto etico e culturale, oltreché giuridico[1], raggiunto dalla civiltà moderna, il principio di precauzione costituisce indubbiamente uno dei cardini del Diritto Ambientale contemporaneo.
Imponendo l’adozione di misure cautelative in presenza di situazioni di incertezza scientifica, il principio in esame si presenta come il precipitato giuridico di un livello di accettabilità del rischio che è andato mutando nel corso degli anni. Al tempo della certezza e del controllo dell’uomo sulla natura, in cui l’essere umano credeva di poter tutto dominare e si pensava che la scienza permettesse di porre rimedio a tutti gli eventuali danni arrecati all’ambiente, è seguito il tempo dei dubbi, del timore che l’hybris umana possa portare (come, del resto, è avvenuto) a compromissioni ambientali irreparabili, le quali assumono spesso evidenza solo a distanza di anni, colpendo le generazioni future.
A partire dalla fine degli anni ’70, e soprattutto nel corso del decennio successivo, i gravi danni ambientali legati al rapido sviluppo industriale conosciuto dai Paesi dell’Europa occidentale incominciano ad appalesarsi agli occhi di tutti, e non più unicamente a quel ristretto gruppo di industriali, politici ed amministratori che li aveva volontariamente nascosti o ignorati.
L’uomo inizia così a prendere coscienza dell’inadeguatezza dei classici strumenti, risarcitori e sanzionatori, di protezione dell’ambiente. Riappare evidente il rapporto di interdipendenza con la natura, e si sostiene la necessità di un’etica nuova, adattata ai tempi e agli spazi naturali[2]. E’ proprio questa etica rinnovata, mossa dall’obiettivo di prevenire i danni ambientali che possono emergere in situazioni di incertezza scientifica, a portare alla nascita del principio di precauzione.
Consacrato a livello sovrastatale e poi recepito dagli ordinamenti nazionali, il principio in esame si impone in breve tempo quale pilastro del diritto ambientale europeo e delle branche del diritto a questo collegate, in particolare la salute e l’alimentazione. La sua estensione è stata però accompagnata da feroci accuse da parte di coloro che, criticandone l’indeterminatezza, ne vedrebbe un freno all’innovazione, e, conseguentemente, ne auspicherebbero una rimodulazione o -addirittura- la soppressione.
La fluidità del principio di precauzione è del resto una realtà con la quale occorre fare i conti, strettamente legata ai contorni sfumati della sua definizione e al differente valore giuridico riconosciutogli nei singoli ordinamenti nazionali.
Il principio di precauzione: la ricostruzione della sua definizione in ambito sovranazionale
Per tracciare la definizione del principio di precauzione, occorre partire dall’analisi degli ambiti in cui esso ha per la prima volta trovato riconoscimento, ovverosia quello internazionale e quello comunitario.
1.1. Il principio di precauzione a livello internazionale
E’ a livello internazionale che si rinvengono i primi riferimenti al principio di precauzione.
La Carta mondiale della natura (1982), pur se giuridicamente non vincolante, rappresenta il testo precursore sul punto, laddove afferma che: (i) le attività che comportano un elevato grado di rischio per la natura devono essere precedute da un esame approfondito e i loro promotori devono dimostrare che i benefici derivanti dall’attività prevalgono sui danni eventuali alla natura; e (ii) qualora gli effetti nocivi di tali attività siano conosciuti in maniera imperfetta, esse non dovranno essere intraprese (art. 11, b[3]).
Il concetto di precauzione trova poi compiuto riconoscimento in maniera settoriale, in relazione alla protezione dello strato d’ozono (con la Convenzione di Vienna del 1985), dell’ambiente marino e dei corsi d’acqua (per mezzo, anzitutto, della Dichiarazione interministeriale sulla protezione del Mare del Nord del 1987) e al divieto di importazione di rifiuti pericolosi in Africa (Convenzione di Bamako del 1991).
E’ ad opera della Dichiarazione di Rio del 1992, atto conclusivo della Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo, che la precauzione viene consacrata in riferimento alla generalità del diritto ambientale. Il Principio 15 enuncia infatti che “Al fine di proteggere l’ambiente, gli Stati applicheranno largamente, secondo le loro capacità, il Principio di precauzione. In caso di rischio di danno grave o irreversibile, l’assenza di certezza scientifica assoluta non deve servire da pretesto per differire l’adozione di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado ambientale”.
Le linee direttive per l’attuazione del principio in esame sono così tracciate: non sarà necessario che il danno si sia già prodotto, essendo invero sufficiente che ne incorra la sola minaccia; tale rischio dovrà essere “grave o irreversibile”, aspetto da valutare in riferimento alle conseguenze patrimoniali e all’impossibilità di ripristinare la situazione ambientale precedente[4]. Da esso deriverà l’obbligo, posto in capo agli operatori economici e la cui vigilanza sarà demandata alle Amministrazioni, di non intraprendere una determinata attività o di adottare delle misure tecniche e giuridiche volte a controllarne gli effetti sull’ambiente.
L’ambizione della “precauzione” è difatti quella di gestire situazione di pericolo ambientale non conosciute, o non completamente conosciute, così differenziandosi dal principio di prevenzione che invece obbliga ad adottare misure anticipatorie volte a eliminare o ridurre il rischio “certo” di danno all’ambiente scaturente dall’esercizio di una certa attività.
Tutta la portata del principio di precauzione emerge allora con chiarezza: forte stimolo alla ricerca scientifica (spinta ad indagare gli effetti dei nuovi prodotti e delle nuove tecniche), da un lato, strumento invocabile al momento del verificarsi di un danno all’ambiente, dall’altro.
Al riguardo, gli Stati, le organizzazioni internazionali, le imprese, le Amministrazioni devono tutti rispettare e far rispettare il principio di precauzione. Sicché, qualora si produca un effetto negativo sull’ambiente o sulla salute umana, tale principio potrà essere posto a fondamento della responsabilità, penale e civile, dei soggetti che non abbiano adottato misure precauzionali, tutte le volte che conoscevano, avrebbero dovuto conoscere, o avrebbero dovuto dubitare dei rischi gravi o irreversibili discendenti da una determinata attività[5].
Dopo la Dichiarazione di Rio, il principio di precauzione trova fertile terreno di consacrazione in numerose ulteriori convenzioni, poste -in particolare- a salvaguardia dei mari, dei laghi e dei corsi d’acqua fluviali (ex multis, Convenzione di Helsinki sulla protezione e l’utilizzazione dei corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali, 1992; Convenzione di Helsinki sulla protezione dell’ambiente marino nell’area del Mar Baltico, 1992; Convenzione di Parigi sulla protezione dell’ambiente marino dell’Atlantico del Nord-Est, 1992[6]), così che nessun dubbio sussiste ormai in merito al ruolo fondamentale rivestito dalla “precauzione” all’interno del diritto ambientale internazionale. Un aspetto resta tuttavia ancora incerto. Si tratta dell’eventuale possibilità di riconoscere al principio di precauzione valore di norma consuetudinaria. Considerata l’incertezza degli organi giudicanti sul punto[7], la risposta sembra essere al momento negativa.
1.2. Il principio di precauzione a livello comunitario
Affermatosi in ambito internazionale, il principio di precauzione viene velocemente recepito a livello comunitario. L’art. 130 R (2) del Trattato di Maastricht, posto ad apertura del Titolo XVI (“Ambiente”), stabilisce che la politica della Comunità in materia ambientale è fondata, fra l’altro, sui “principi di precauzione e dell’azione preventiva” e richiede che le politiche comunitarie siano integrate con le esigenze connesse alla tutela dell’ambiente. Ripreso dall’art. 174 del Trattato di Amsterdam, il principio in esame trova da ultimo consacrazione nell’art. 191 TFUE, la cui formulazione non si discosta da quella primigenia dell’art. 130 R[8].
A fronte di un mero ed asettico richiamo alla “precauzione”, emerge con evidenza la mancanza di ulteriori precisazioni e, soprattutto, di una definizione del suo contenuto.
A tal fine, svolta di fondamentale importanza è rappresentata dall’adozione nel 2000, da parte della Commissione delle Comunità europee, della “Comunicazione della Commissione sul principio di precauzione”, in cui si precisa che “Il fatto di invocare o no il principio di precauzione è una decisione esercitata in condizioni in cui le informazioni scientifiche sono insufficienti, non conclusive o incerte e vi sono indicazioni che i possibili effetti sull’ambiente e sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante possono essere potenzialmente pericolosi e incompatibili con il livello di protezione prescelto”.
Dalla lettura di tale passaggio si appalesa immediatamente, come messo in luce dalla dottrina[9], una divergenza rispetto a quanto sancito dalla Dichiarazione di Rio, sì da domandarsi se sia forse il caso di parlare di un principio di precauzione “comunitario”. Viene infatti meno il riferimento ad una minaccia di danno “grave o irreversibile”, il principio in esame potendo pertanto essere invocato anche semplicemente in presenza di una situazione di potenziale pericolo.
La Commissione ha poi cura di precisare che l’applicazione del principio di precauzione deve inserirsi nel quadro generale dell’analisi e della gestione del rischio connesso all’esercizio di una determinata attività. Ciò che, nei fatti, richiede di definire il livello di pericolo “accettabile” per la società, sulla base (i) dell’identificazione degli effetti potenzialmente negativi, (ii) della valutazione dei dati scientifici disponibili e (iii) dell’ampiezza dell’incertezza scientifica, ovverosia facendo riferimento a rigorosi criteri ed analisi, e non invece a semplici ipotesi o scelte politiche.
Le misure nelle mani delle autorità incaricate della gestione del rischio sono poi molteplici, variando dal divieto sic et simpliciter di intraprendere l’attività, all’adozione di atti giuridicamente vincolanti, di progetti di ricerca o di raccomandazioni. In ogni caso, qualora si ritenga necessario agire, le azioni messe in campo dovranno essere: proporzionali rispetto al livello di protezione prescelto; non discriminatorie; coerenti con misure analoghe già adottate; basate su un esame dei potenziali vantaggi e oneri dell’azione o dell’inazione (compresa, ove ciò sia possibile e adeguato, un’analisi economica costi/benefici); soggette a revisione, alla luce dei nuovi dati scientifici; in grado di attribuire la responsabilità per la produzione delle prove scientifiche necessarie per una più completa valutazione del rischio.
La Commissione si sofferma infine su un tema di primaria importanza: la definizione dell’onere della prova. Precisa che, in assenza di procedure di autorizzazione preventiva[10], la responsabilità di dimostrare la natura e il livello di pericolo di un prodotto o di un processo può spettare agli utilizzatori o alle pubbliche autorità. Anche in tali casi, tuttavia, potrebbe essere adottata una specifica misura precauzionale consistente nell’imporre l’onere della prova sul produttore o sull’importatore, senza peraltro che tale inversione diventi una regola generale.
Dall’analisi effettuata emerge, ancora una volta, tutta la complessità del principio di precauzione e, in particolare, il ruolo fondamentale rivestito dalle procedure di giustificazione delle decisioni da adottare. I responsabili politici sono infatti chiamati ad operare un corretto equilibrio fra interessi molteplici e non sempre perfettamente convergenti: la libertà e i diritti delle industrie e delle organizzazioni, da un lato, l’esigenza di ridurre i rischi per l’ambiente e per la salute degli esseri umani, degli animali e delle piante, dall’altro (cfr. Comunicazione).
Un bilanciamento, questo, di notevole complessità, in ragione dei confini variabili e sfumati del diritto ambientale, e dei suoi stretti legami con altre discipline, quali -anzitutto- il diritto alimentare e la salute umana ed animale. Proprio a tali ambiti, del resto, il principio di precauzione ha trovato rapido approdo a livello comunitario (nota è la vicenda degli OGM)[11], introducendo così ulteriori fattori da prendere in considerazione nell’opera di equilibrio poc’anzi accennata.
Il principio di precauzione: il suo valore giuridico negli ordinamenti nazionali
Concepito in ambito internazionale, esteso a livello europeo, il principio di precauzione viene ben presto recepito anche dagli ordinamenti nazionali, dove tuttavia, come sottolineato dalla dottrina, il suo valore giuridico è spesso non ben determinabile e la sua definizione “vaga”, ciò che “permette applicazioni molteplici e nuove, mostrando l’elasticità dello stesso, ma è anche causa di legislazioni molto diverse e usi impropri della precauzione, collegati ad interessi economici o protezionistici”[12].
Ricostruire il valore giuridico del principio di precauzione e le sue modalità applicative appare pertanto di fondamentale importanza. Obiettivo, questo, che verrà perseguito in riferimento all’ordinamento italiano e a quello francese, stante la soluzione del tutto innovativa da esso adottata all’interno del panorama europeo.
2.1. Il principio di precauzione nell’ordinamento giuridico italiano
Prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 152/2006 (cd. Codice dell’Ambiente), nell’ordinamento italiano era assente un richiamo generale al principio di precauzione, a cui si faceva riferimento unicamente in alcune leggi settoriali (cfr. art. 1, c. 1, lett. b) della l. n. 36/2001, “Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici”).
Il principio in esame trovava ingresso nell’ordinamento interno indirettamente, tramite il richiamo alle disposizioni comunitarie operato dall’art. 117, c. 1 Cost., al fine -come nel caso che ha portato alla sentenza T.A.R. Brescia, 11 aprile 2005, n. 304- di vagliare la legittimità di provvedimenti emanati dalla Pubblica Amministrazione[13].
Per la consacrazione della precauzione quale principio alla base dell’insieme del diritto ambientale bisogna attendere l’entrata in vigore del nuovo Codice dell’Ambiente, il quale, all’art. 301, c. 1 stabilisce che “In applicazione del principio di precauzione di cui all’articolo 174, paragrafo 2, del Trattato CE, in caso di pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l’ambiente, deve essere assicurato un alto livello di protezione”, e interviene -al contempo- a disciplinare le tipologie e le modalità di applicazione delle misure preventive adottabili (cfr. art. 304 ss. d.lgs. n. 152/2006)[14].
Ciò chiarito, resta da interrogarsi sul rilievo assunto dal principio in esame a livello costituzionale[15]. Al riguardo, è interessante soffermarsi su due interessanti sentenze della Corte Costituzionale, riferite ai casi OGM (Corte Cost., sent. n. 116/2006) e Ilva di Taranto (Corte Cost., sent. n. 85/2013).
Nella prima decisione, la Corte, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale del d.l. n. 279/2004 (“Disposizioni urgenti per assicurare la coesistenza tra le forme di agricoltura transgenica, convenzionale e biologica”), sottolinea come la questione della regolamentazione delle colture transgeniche coinvolga e richieda una sintesi fra divergenti interessi di rilevanza costituzionale: la libertà di iniziativa economica dell’imprenditore agricolo, da un lato, l’esigenza che tale libertà non sia esercitata in contrasto con l’utilità sociale, ed in particolare recando danni sproporzionati all’ambiente e alla salute, dall’altro. E’ proprio nell’ambito dell’elaborazione e della conciliazione di tali indirizzi, operazione che spetta alla legge dello Stato e non è derogabile dalla legislazione regionale, che il principio di precauzione gioca un ruolo importante. Esso infatti può intervenire “nell’interesse dell’ambiente e della salute umana”, al fine di giustificare costituzionalmente l’imposizione di limiti all’esercizio della libertà di iniziativa economica[16].
Il principio di precauzione, dunque, non costituisce un nuovo ed autonomo termine nel bilanciamento eseguito dalla Corte Costituzionale, rappresentando, al contrario, l’ago della bilancia che fa sì che uno degli interessi oggetto della sintesi (la tutela dell’ambiente e della salute) abbia la meglio sull’altro (la libertà di iniziativa economica).
Più complesso è il ruolo rivestito dalla precauzione nel noto caso dell’Ilva di Taranto, in cui la Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di alcune disposizioni del d.l. n. 207/2012, testo adottato in via d’urgenza per consentire la prosecuzione delle attività dello stabilimento industriale tarantino.
Anche in questo caso, come in quello precedente, il principio di precauzione gioca un ruolo di arbitro, definendo quale degli interessi in gioco (produzione e diritto alla libertà economica, da un lato, diritto alla salute e all’ambiente, dall’altro) debba prevalere. A differenza della vicenda degli OGM, tuttavia, questo bilanciamento non viene già operato dal legislatore, il quale, invece, lo ha demandato all’adozione dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (cd. AIA).
La Corte rimarca difatti come, nell’ottica del legislatore, il procedimento che culmina nel rilascio dell’AIA rappresenti, per le sue caratteristiche di partecipazione e di pubblicità ed in quanto “risultato di apporti plurimi, tecnici e amministrativi”, il migliore strumento attraverso cui pervenire all’individuazione del punto di equilibrio in ordine all’accettabilità e alla gestione dei rischi che derivano da un’attività industriale. Ed è proprio all’interno di tale procedimento che si inserisce il principio di precauzione.
Ben potrà poi l’Autorizzazione Integrata Ambientale “essere contestata davanti al giudice competente, nel caso si lamentino vizi di legittimità dell’atto da parte di cittadini che si ritengano lesi nei loro diritti e interessi legittimi” a causa, per esempio, di un eccesso di potere nell’applicazione del principio di precauzione[17].
Dall’analisi della giurisprudenza costituzionale italiana emerge pertanto come il principio di precauzione assuma rilievo in due differenti sedi, legislativa ed amministrativa, nell’ambito del procedimento che porta all’adozione di una legge (e nel suo eventuale sindacato di legittimità costituzionale) o di un provvedimento amministrativo (e nel possibile ricorso amministrativo promosso avverso di esso), quale l’autorizzazione all’esercizio di una determinata attività o un’ordinanza di necessità e urgenza.
2.2. Il principio di precauzione nell’ordinamento giuridico francese
Importanza fondamentale è rivestita dalla “precauzione ambientale” anche in Francia, Paese in cui è consacrata al massimo vertice della piramide delle fonti del diritto, fra i principi avente valore costituzionale. E forse è tale rango giuridico primario frutto della scelta operata dal legislatore nel 2005 (il quale ha richiamato la Charte de l’environnement nel preambolo della Costituzione francese facendola così divenire parte integrante del cd. bloc de constitutionnalité) a far sì che il principio di precauzione sia oggetto di sempre più accese critiche[18], entrando finanche nel dibattito politico che sta precedendo le prossime elezioni presidenziali[19].
E’ anzitutto in via indiretta che la precauzione in materia ambientale fa il suo ingresso in Francia, per mezzo dei trattati internazionali ratificati dallo Stato francese, ai quali l’art. 55 Cost. riconosce “une autorité supérieure à celle des lois”.
Punto di svolta è rappresentato dall’approvazione nel 1995 della legge Barnier (“Loi n° 95-101 du 2 février 1995 relative au renforcement de la protection de l’environnement”), a cui va il merito di iscrivere il principio di precauzione nel diritto positivo francese. L’articolo L200-1, inserito all’interno del Code rural (disposizione abrogata nel 2000 e sostituita dall’art. L110-1 del Code de l’environnement, che ne riprende il contenuto in termini identici), stabilisce difatti che la protezione, la valorizzazione e, in generale, la gestione dell’ambiente (termine comprensivo di “espaces, ressources et milieux naturels, les sites et paysages, la qualité de l’air, les espèces animales et végétales, la diversité et les équilibres biologiques auxquels ils participent”) devono ispirarsi al principio di precauzione, secondo il quale “l’assenza di certezze, in considerazione delle conoscenze scientifiche e tecniche del momento, non deve ritardare l’adozione di misure effettive e proporzionate volte a prevenire un rischio di danni gravi e irreversibili all’ambiente ad un costo economicamente sostenibile” (traduzione nostra[20]).
Una formulazione dunque, quella della Loi Barnier, che, a ben vedere, riprende i termini della Dichiarazione di Rio del 1992: il principio di precauzione deve fondarsi su una comparazione dei benefici apportati da una nuova tecnologia e dei rischi ambientali ad essa connessi, i quali devono presentare i caratteri della gravità e dell’irreversibilità; qualora si decida di adottare misure precauzionali, queste devono essere “effectives”, “proportionnées” e al contempo avere un “coût économiquement acceptable”.
Ricondotto al rango di legge ordinaria, il principio in esame assume un triplice rilievo nella giurisprudenza francese[21], quale: (i) elemento componente del principio di legalità, richiamato al fine di annullare un provvedimento amministrativo che autorizza l’esercizio di un’attività pericolosa per l’ambiente; (ii) fondamento giuridico di una domanda cautelare di sospensione dell’esecuzione di un atto amministrativo (“demande de sursis à exécution”); (iii) fonte di responsabilità civile, penale ed amministrativa.
Il vero salto qualitativo è però rappresentato dalla loi constitutionnelle n° 2005-2015 del 1 marzo 2005, la quale eleva la Charte de l’environnement al rango costituzionale, facendo dell’esperienza francese un’interessante esempio a livello europeo.
L’art. 5 della Carta proclama (“proclame”) che “Quando la realizzazione di un danno, sebbene incerta allo stato delle conoscenze scientifiche, potrebbe colpire l’ambiente in modo grave ed irreversibile, le autorità pubbliche vegliano, in applicazione del principio di precauzione e nei rispettivi ambiti di competenza, alla messa in opera di procedure di valutazione dei rischi e all’adozione di misure provvisorie e proporzionali al fine di evitare la realizzazione del danno” (traduzione nostra[22]).
Si delinea dunque con chiarezza la peculiare inversione dell’onere della prova connessa al principio di precauzione. Spetterà al soggetto che richiede un’autorizzazione amministrativa dimostrare, attraverso dati scientifici, che la sua attività non comporta rischi sconosciuti in grado di “affecter de manière grave et irréversible l’environnement”.
Per il resto, l’art. 5 della Carta dell’Ambiente riprende nella sostanza la definizione del principio di precauzione tracciata dal Code de l’environnement, ponendo però l’accento sull’importante ruolo di controllo che le Autorità pubbliche sono chiamate a svolgere.
La responsabilità dell’attuazione del principio in esame, del resto, era stata al centro di un acceso dibattito già a partire dalla fine del secolo scorso. Alla raccomandazione contenuta nel cd. Rapport Kourilsky et Viney del 15 ottobre 1999[23], secondo cui tutti coloro che mettono in atto o hanno il potere di porre fine ad un’attività suscettibile di arrecare rischi all’ambiente sono tenuti ad applicare il principio di precauzione, si contrapponeva una visione più restrittiva, per la quale gli unici responsabili sarebbero i soggetti a cui spetta di definire le politiche ambientali, ovverosia le Autorità pubbliche[24].
Ebbene, l’art. 5 della Charte de l’environnement sembra prendere posizione a favore di una responsabilità “allargata”. Come messo in evidenza dalla dottrina[25], infatti, all’interno del quadro giuridico delineato dalla legge, tutti i soggetti hanno il dovere di assicurare la preservazione dell’ambiente, in funzione delle proprie competenze e dei rischi generati dalla loro attività.
Altro aspetto focale cui l’art. 5 della Carta fa riferimento è la necessità che l’applicazione del principio di precauzione si fondi su “procédures d’évaluation des risques”. Scopo di tali procedure è mettere in evidenza, sulla base di studi scientifici, i pericoli connessi all’esercizio dell’attività di cui si domanda l’autorizzazione, la probabilità della loro manifestazione, la loro possibile entità e il grado di esposizione delle persone e dell’ambiente.
All’“analisi del rischio” così descritta dovrà poi seguire la cd. “gestione del rischio”, ovverosia la definizione e la messa in atto di quelle misure volte a rendere il rischio accettabile da un triplice punto di vista: ambientale, sociale ed economico.
Due aspetti, dunque, quelli di analisi e di gestione del rischio, che rappresentano con tutta evidenza gli snodi fondamentali e più delicati dell’attuazione del principio di precauzione, e che necessitano pertanto di essere inquadrati all’interno di una procedura valutativa, quale un’analisi di impatto, le cui linee fondamentali dovranno essere tracciate dal legislatore[26]. Solo a quel punto, forse, ridotti i suoi margini di incertezza applicativa, il principio di precauzione non sarà più oggetto delle attuali numerose critiche.
[1] Riguardo al rapporto e alla definizione agli aspetti morali, politici e giuridici sottesi al principio di precauzione, cfr.: L. Boy, La nature juridique du principe de précaution, in Natures Sciences Sociétés, 1999, vol. 7, n° 3, 5-11.
[2] Sul rapporto fra principio di precauzione ed una nuova forma di etica: v. M. Rémond-Gouilloud, L’ère de la précaution, Colloque sur “Vous avez dit progrès?”, Revue Archimède et Léonard, in Carnets de l’association internationale des techniciens, experts et chercheurs, n° 10, 1993-94, p. 63. “…Hans Jonas… nous dit de l’interdépendance entre l’homme et la nature : l’intégrité de la nature autour de nous, c’est l’intégrité de la nature en nous ; les agressions qui affectent l’une se répercutent inéluctablement sur l’autre. Et il plaide pour une éthique nouvelle élargie dans le temps et dans l’espace, à la mesure des temps qui viennent. Cette éthique élargie s’appelle « principe de précaution ». Celui-ci comporte notamment une prise en compte de la durée. A la suite de Teilhard et de Jonas il faut désormais à notre société et à son droit apprendre à se projeter dans le future, ménager les réversibilités, éviter l’irréparable au nom des générations futures”.
[3] “Les activités comportant un degré élevé de risques pour la nature seront précédées d’un examen approfondi et leurs promoteurs devront prouver que les bénéfices escomptés l’emportent sur les dommages éventuels pour la nature et, lorsque les effets nuisibles éventuels de ces activités ne sont qu’imparfaitement connus, ces dernières ne devraient pas être entreprises”.
[4] Al riguardo, la dottrina ha avuto cura di rimarcare l’indeterminatezza dei concetti di “irreversibilità” e di “rischi gravi”: cfr. “Certains pensent que l’irréversibilité du dommage peut être par fois démontrée (par exemple pour la disparition d’espèces vivantes) mais la notion n’est pas toujours claire, ainsi une forêt détruite pourra repousser en quelques décennies (?). D’autre part la définition de risques graves n’est pas évidente. D’autres insistent sur le fait que dès qu’il y a risques graves ou irréversibles, même si des doutes et des ambiguïtés subsistent sur la nature de ces risques, il faut appliquer le principe” (J.-M. Lavieille, Les principes généraux du droit international de l’environnement et un exemple : le principe de précaution, Université de Limoges).
[5] Sul triplice declinarsi dell’elemento soggettivo della responsabilità discendente dalla violazione del principio di precauzione, cfr. J.-M. Lavieille, Les principes généraux du droit international de l’environnement et un exemple : le principe de précaution, cit.: “Le principe de précaution consiste à dire que non seulement nous sommes responsables de ce que nous savons, de ce que nous aurions dû savoir mais, aussi, de ce dont nous aurions dû nous douter”.
[6] Particolarmente limpida è la definizione del principio di precauzione contenuta nell’art. 2, c. 2, lett. a) della Convenzione di Parigi: “Le parti contraenti applicano: il principio di precauzione, secondo cui devono essere adottate misure di prevenzione quando sussistono motivi ragionevoli di preoccuparsi del fatto che sostanze o energia introdotte, direttamente o indirettamente, nell’ambiente marino possano comportare rischi per la salute dell’uomo, nuocere alle risorse biologiche e agli ecosistemi marini, violare i valori ammessi o intralciare altri usi legittimi del mare, anche qualora non vi siano prove determinanti dell’esistenza di un nesso di causalità tra gli apporti e i loro effetti”.
[7] Al riguardo, in ambito giudiziale, il primo significativo riferimento al principio di precauzione è operato dal Tribunale Internazionale per il Diritto del Mare nel caso del Tonno pinna blu, che ha visto l’Australia e la Nuova Zelanda fare ricorso contro il Giappone, avverso il suo programma di pesca del tonno pinna blu nell’Oceano Pacifico (International Tribunal for the Law Of the Sea, Southern Bluefin Tuna Cases, Requests for provisional measures, order, 1999).
Nel giustificare l’applicazione delle misure cautelari richieste dalle ricorrenti, il Tribunale ha di fatto attuato il principio di precauzione al fine di evitare “further deterioration of the southern bluefin tuna stock”, e ciò sebbene “there is scientific uncertainty regarding measures to be taken to conserve the stock of southern bluefin tuna”. Difatti, “the court or tribunal may prescribe any provisional measures which it considers appropriate under the circumstances to preserve the respective rights of the parties to the dispute or to prevent serious harm to the marine environment”.
[8] Art. 191 (2) TFUE: “La politica dell’Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell’Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio «chi inquina paga»”.
[9] S. Leoni, Il principio di precauzione in diritto ambientale, in Diritto all’ambiente, dirittoambiente.com
[10] Al riguardo, la commercializzazione di alcuni tipi di prodotti, quali le medicine, i pesticidi e gli additivi alimentari, richiede il rilascio di una specifica autorizzazione. Questo altro non è che una diretta applicazione del principio di precauzione, per superare il quale il produttore, ovvero l’importatore, dovrà dimostrare l’assenza della pericolosità di tali sostanze.
Cfr. punto 6.4 della Comunicazione sopracitata: “Le regole esistenti nella legislazione comunitaria e in quella di numerosi paesi terzi applicano il principio dell’autorizzazione preventiva (elenco positivo) prima dell’immissione sul mercato di alcuni tipi di prodotti, quali le medicine, gli antiparassitari o gli additivi alimentari. Ciò costituisce già un modo di applicare il principio di precauzione spostando la responsabilità della produzione delle prove scientifiche. È questo il caso in particolare delle sostanze ritenute a priori pericolose o che possono essere potenzialmente pericolose ad un certo livello d’assorbimento. In questo caso il legislatore, per precauzione, ha previsto l’inversione dell’onere della prova, stabilendo che tali sostanze siano considerate come pericolose finché non sia dimostrato il contrario. Spetta quindi alle imprese realizzare i lavori scientifici necessari per la valutazione del rischio. Finché il livello di rischio per la salute e per l’ambiente non può essere valutato con sufficiente certezza, il legislatore non può legittimamente autorizzare l’utilizzazione della sostanza, salvo in casi eccezionali per effettuare prove”.
[11] A livello comunitario, il principio di precauzione è ormai pacificamente applicabile non più al solo diritto ambientale, ma anche alla salute umana, ai prodotti alimentari, ai settori zoosanitario e fitosanitario.
Tale estensione è stata anzitutto inaugurata dalla risoluzione sul principio di precauzione annessa alle conclusioni del Consiglio europeo di Nizza del 7-10 dicembre 2000, in cui si legge che “il principio di precauzione fa parte dei principi da prendere in considerazione nella politica della Comunità in materia ambientale; che tale principio è altresì applicabile alla salute umana nonché ai settori zoosanitario e fitosanitario”.
Un ruolo fondamentale è stato inoltre svolto dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea e dal Tribunale dell’Unione Europea, il quale ha delineato il principio di precauzione quale vero e proprio principio generale di diritto comunitario: “Nonostante sia menzionato nel Trattato solamente in relazione alla politica ambientale, il principio di precauzione ha quindi un ambito di applicazione più ampio. Esso è destinato ad applicarsi, al fine di assicurare un livello elevato di protezione della salute, della sicurezza dei consumatori e dell’ambiente, in tutti gli ambiti di azione della Comunità” (Tribunale di primo grado, II sez. ampl., Artegodan GmbH e altri contro Commissione delle Comunità europee, 26 novembre 2002).
[12] M. Marchese, Il principio di precauzione tra luci ed ombre, in comparazionedirittocivile.it, p. 3.
[13] Nel caso che ha portato all’emanazione della sentenza citata, era stato impugnato un provvedimento adottato dal Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro per i Beni e le Attività Culturali, contenente un giudizio positivo condizionato di compatibilità ambientale sul progetto relativo alla trasformazione di un impianto di post-combustione in un impianto di termodistruzione di rifiuti speciali e tossico-nocivi.
[14] In argomento, cfr.: L. Butti, Principio di precauzione, Codice dell’Ambiente e giurisprudenza delle Corti comunitarie e della Corte costituzionale, in Riv. giur. ambiente, fasc.6, 2006, pag. 809.
[15] In argomento, cfr.: G. Di Cosimo, Corte Costituzionale, bilanciamento di interessi e principio di precauzione, in forumcostituzionale.it, n. 3/2015; G. Di Cosimo, Il principio di precauzione nella recente giurisprudenza costituzionale, in federalismi.it, n. 25/2006
[16] Tali limiti, come ha cura di precisare la Corte Costituzionale, possono essere giustificati solo sulla base di “indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi, di norma nazionali o sovranazionali, a ciò deputati, dato l’essenziale rilievo che, a questi fini, rivestono gli organi tecnico scientifici (sentenza n. 282 del 2002)”.
[17] Come messo efficacemente in luce dalla dottrina, il fatto di demandare l’applicazione del principio di precauzione ad organi amministrativi, dunque tecnici, rischia di eludere quanto previsto dalla Comunicazione della Commissione Europea del 2000, secondo cui “la scelta della risposta da dare di fronte ad una certa situazione deriva… da una decisione eminentemente politica, funzione del livello di rischio accettabile dalla società che deve supportarlo”, e pertanto rimessa ad un organo politico. Cfr. G. Di Cosimo, Corte Costituzionale, bilanciamento di interessi e principio di precauzione, cit.
[18] In argomento, cfr.: N. Treich, Le véritable enjeu des débats sur le principe de précaution, 8 ottobre 2014, in lemonde.fr ; D. Lecourt, Le principe de précaution engendre la peur et inhibe l’innovation, 29 novembre 2016, in lefigaro.fr
[19] Il principio di precauzione è stato al centro del dibattito politico che ha accompagnato le primarie del partito della destra francese Les Républicains. Secondo il vincitore uscente, François Fillon, che dunque concorrerà alle elezioni presidenziali dell’aprile 2017, il principio di precauzione dovrebbe essere sostituito da un “principe de responsabilité”, il primo rappresentando un forte limite all’innovazione e al progresso scientifico. In argomento, cfr.: E. Mandonnet, La droite part en guerre contre le principe de précaution, 28 agosto 2013, in lexpress.fr ; L. Prat de Seabra, Primaire à droite : l’environnement, invité surprise de la campagne, 19 settembre 2016, in lefigaro.fr ; R. Loury, A droite, haro sur le principe de précaution, 5 ottobre 2016, in journaldelenvironnement.net
[20] “Le principe de précaution, selon lequel l’absence de certitudes, compte tenu des connaissances scientifiques et techniques du moment, ne doit pas retarder l’adoption de mesures effectives et proportionnées visant à prévenir un risque de dommages graves et irréversibles à l’environnement à un coût économiquement acceptable”.
[21] Cfr. M. Prieur, Le principe de précaution, in legiscompare.fr
[22] “Lorsque la réalisation d’un dommage, bien qu’incertaine en l’état des connaissances scientifiques, pourrait affecter de manière grave et irréversible l’environnement, les autorités publiques veillent, par application du principe de précaution et dans leurs domaines d’attributions, à la mise en œuvre de procédures d’évaluation des risques et à l’adoption de mesures provisoires et proportionnées afin de parer à la réalisation du dommage”.
[23] “Le principe de précaution”, Rapport au Premier Ministre présenté par P. Kourilsky et G. Viney, 15 octobre 1999, in ladocumentationfrancaise.fr.
[24] In argomento, cfr.: E. Ewald, La précaution, une responsabilité de l’État, Le Monde, 11 marzo 2000.
[25] Sul punto, Olivier Godard sottolinea come “Le fait que les autorités publiques se voient attribuer un rôle premier d’orchestration ne signifie pas qu’elles soient les seules à devoir mettre en œuvre des actions, puisque toute personne a le devoir de prendre part à la préservation de l’environnement dans le cadre public fixé par la loi, et que le rôle des autorités publiques est de «veiller à» ce que chacun satisfasse bien à ses obligations en fonction de des compétences et de sa place au renard de la création des risques”. O. Godard, Quid de la gestion des risques après la constitutionnalisation du principe de précaution ?, in Annales des Mines – Responsabilité et environnement, 2010/I (N° 57), pp. 38-44.
[26] In argomento, cfr.: N. Treich, Le véritable enjeu des débats sur le principe de précaution, cit.
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