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Procedure semplificate per il recupero dei rifiuti non pericolosi
di Stefano Maglia
Categoria: Rifiuti
Sul S.O. alla G.U. n. 88 del 16 aprile 1998 è stato pubblicato il tanto atteso D.M. 5 febbraio 1998 (Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli artt. 31 e 33 del Dlg 5 febbraio 1997, n. 22), il quale definisce attività, procedimenti e metodi di recupero per circa 200 tipologie di rifiuti non pericolosi, ammessi alle procedure semplificate di cui agli artt. 31 e33 del Ronchi.
Il decreto, in particolare, non si applica ai rifiuti pericolosi elencati nell’allegato D del Dlgs 22/1997, che saranno disciplinati da uno specifico provvedimento in corso di definizione. Il recupero dei rifiuti pericolosi continua ad essere disciplinato, nel frattempo, dalla normativa vigente (DM 5 settembre 1994; DM 16 gennaio1995).
Questo significa che tutti i rifiuti presenti nei “vecchi” DM sopra citati (i quali non distinguevano tra rifiuti pericolosi e non) e rientranti tra i rifiuti pericolosi (es. batterie al piombo) continueranno ad essere recuperati secondo le regole ivi dettate fino all’emanazione del nuovo DM che disciplinerà il recupero dei rifiuti pericolosi. Solo in quel momento la disciplina relativa al recupero sarà definitiva. Pertanto, fino ad allora, dovremo -come ha ben scritto Paola Ficco in un articolo comparso su internet – “continuare ;ad usare non più due decreti, bensì tre: i due “vecchi” decreti e quello “nuovo””.
Per sapere esattamente cosa e come recuperare sarà necessario fare ricorso ad un po’ di “pragmatismo” nella consultazione dei tre decreti, capendo:
a) se si gestiscono rifiuti NON pericolosi;
b) se questi rifiuti NON pericolosi sono citati nei “vecchi” DM e se sono citati anche nel nuovo;
c) se la propria posizione è in regola con le nuove procedure amministrative previste dal Dlgs 22/1997 e successive modifiche e integrazioni.
d) se i cd. “ex mercuriali” (all. 1 al DM 5 settembre) sono citati nel nuovo testo o meno e capire come adattare la propria situazione amministrativa alle nuove regole autorizzatorie dettate dal “Decreto Ronchi”;
e) se si gestiscono rifiuti pericolosi.
E’ evidente che la scelta tra procedura agevolata e autorizzazione regionale spetta solo all’impresa. Se questa sceglie la procedura agevolata, però, dovrà fare attenzione al fatto che questa si applica “esclusivamente alle operazioni di recupero specificate ed ai rifiuti individuati dai rispettivi codici e descritti negli allegati”.
Il DM 5 febbraio 1998 è entrato in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione sulla G.U. ed è pertanto dal 17 aprile scorso che si devono fare i conti per capire entro quando si devono fare le comunicazioni alle Province.
E’ composto da 11 articoli e da tre (assai corposi) allegati.
L art. 1 riporta i principi generali.
In perfetta linea con la ratio del Ronchi il primo comma del primo articolo chiarisce immediatamente che “le attività, i procedimenti e i metodi di recupero di ciascuna delle tipologie di rifiuti individuati dal presente decreto non devono costituire un pericolo per la salute dell’uomo e recare pregiudizio all’ambiente, e in particolare non devono:
a) creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo e per la fauna e la flora;
b) causare inconvenienti da rumori e odori;
c) danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse.
Nel comma 3 si specifica che le attività, i procedimenti e i metodi di recupero di ogni tipologia di rifiuto, disciplinati dal presente decreto, devono rispettare le norme vigenti in materia di tutela della salute dell’uomo e dell’ambiente, nonchè – non si dimentichi – di sicurezza sul lavoro, importante puntualizzazione con particolare riferimento alle acque di scarico ed alle emissioni in atmosfera risultanti dalle attività di recupero (L. 319/76; Dlg 132/92; Dlg 133/92 e Dpr 203/88).
Come già segnalato poco sopra, poi, è di fondamentale importanza il lapidario richiamo contenuto nel quarto comma, per cui “le procedure semplificate…si applicano esclusivamente alle operazioni di recupero specificate ed ai rifiuti individuati dai rispettivi codici (ricavati dal Catalogo Europeo dei Rifiuti – CER) e descritti negli allegati”. Dunque, in un certo senso, all’elenco “tassativo” di rifiuti pericolosi di cui all’allegato D del decreto Ronchi si aggiunge l’elenco, altrettanto tassativo, di rifiuti non pericolosi ai quali sono applicabili le procedure agevolate.
In una interessante Circolare dell’ Assocarta (n. 140/98 R-MM.ml) si consigliano le imprese di “verificare che i codici europei dei rifiuti avviati al recupero coincidano con quelli indicati negli allegati al decreto. Eventuali incongruenze vanno segnalate con urgenza alle Associazioni industriali per i necessari interventi presso i ministeri competenti”.
Art. 2: Definizioni
In questo articolo sono contenute le definizioni di co-combustione, di impianto dedicato, di impianto termico e di raccolta finalizzata. E’ però sparita quella relativa alle MPE (Materie prime equivalenti) che si trovava nella bozza del provvedimento. Le MPE sono state sostituite dalle più tradizionali MPS (Materie prime secondarie), ma la definizione di queste ultime non c’è, anche se vengono citate per ben tre volte nell’art. 3.
Bisogna fare estrema attenzione a non confondere queste MPS come una sorta di mera resuscitazione della disciplina previgente (L. 475/88 e art. 2 del DM 26 gennaio 1990), seppur limitatamente a questo settore.
In un articolo di imminente pubblicazione su Rivista Penale così si esprime Massimo Medugno: “Mentre la materia prima secondaria ex lege 475/88 era assoggettata a precisi vincoli e procedure, quella del D.M. 5.2.98 é un “non rifiuto”.
Ciò è evidente leggendo l’art. 3, comma 3 del D.M. 5.2.98, secondo cui “restano sottoposti al regime dei rifiuti i prodotti, le materie prime e le materie prime secondarie ottenuti dalle attività di recupero che non vengono destinati in modo effettivo ed oggettivo all’utilizzo nei cicli di produzione e di consumo”.
Peraltro, quest’ultimo principio, applicato ai “prodotti” delle attività di recupero appare essere di valenza più generale. Infatti, non c’è dubbio alcuno che una qualsiasi materia prima (anche non derivante da un’attività di recupero…) rientri nelle categorie riportate nell’allegato A del decreto Ronchi, se il detentore se ne disfa (parafrasando l’art. 6,comma i lett. a del decreto Ronchi) in modo che la stessa non venga destinata a cicli di produzione e di consumo”.
Si rammenta inoltre che il concetto di MPS non è un’invenzione italiana: per esempio la Dir. CEE 156/91 prevede espressamente che gli stati membri adottino misure appropriate per promuovere “il recupero dei rifiuti mediante riciclo, reimpiego e ogni altra azione intesa a ottenere materie prime secondarie”.
Sempre per questo Autore, ed è una impostazione che condivido, “attraverso le operazioni di recupero descritte nel decreto si producono “materie prime secondarie” che hanno standard e requisiti di “materie prime” evidentemente già preesistenti: proprio tramite le operazioni di recupero (descritte nella normativa tecnica …) si raggiunge la caratterizzazione necessaria affinché i materiali possano essere considerati delle materie prime a tutti gli effetti, escluse dal regime dei rifiuti (art. 3, comma 3).
Le “materie prime” non derivanti da attività di recupero senza bisogno di specifiche attività di recupero/selezione, in quanto già conformi agli standards previsti vengono utilizzate “tal quale” nei cicli economici e produttivi.
A queste, come a quelle derivanti da attività di recupero, la nozione di rifiuto e la connessa disciplina non sembra che possano essere applicate in quanto entrambi siano destinate in modo effettivo ed oggettivo nell’utilizzo nei cicli economici e produttivi.
Peraltro, un diverso orientamento parrebbe illogico e in grado di determinare, sotto il profilo del trattamento giuridico, dei risultati assurdi”.
Paola Ficco, invece, guarda alle MPS attraverso un’altra prospettiva. Per questa studiosa, infatti, “i materiali ricavati dal recupero sono materie prime e/o prodotti; però, queste materie prime e/o prodotti sono ricavati dai “rifiuti”. Questo significa che tutto quello che tutto quello che entra in un impianto è rifiuto (pertanto, dovrà rispettare tutte le regole relative a MUD, registri, formulari, comunicazioni alla Provincia o, se l’operatore vuole, all’autorizzazione regionale); invece, tutto quello che esce dall’ impianto é una materia prima e/o un prodotto. In alcuni casi questa materia prima e/o prodotto può essere una MPS. Quando si parla di impianto si intende sia quello dedicato al recupero per vocazione, sia quello che, invece, nasce come impianto produttivo e che (suo malgrado) diventa un impianto che recupera rifiuti: si pensi ad una conceria, ad un cementificio, ad una cereria, ad una industria plastica ecc.
Le MPS, rappresentano una specificazione qualitativa delle materie prime e/o dei prodotti ottenuti dal recupero. Va da sé che se tali MPS entrano in un impianto vi entrano come materie prime e/o prodotti, poiché così sono qualificate dalle varie voci del decreto in esame in quanto presenti sotto la specifica dizione “caratteristiche delle materie prime e/o dei prodotti ottenuti”. Questo significa che nessuno degli obblighi derivanti dal “Decreto Ronchi” dovrà osservarsi per la raccolta, il trasporto e il recupero. Non tutte le tipologie di rifiuti, però, se recuperate, generano materie prime e/o prodotti chiamati MPS”. Infatti, solo dal recupero di alcune tipologie di rifiuti derivano MPS: per es. per la carta solo i rifiuti di carta, cartone e cartoncino (CER 1501010 – 150105 – 150106 – 200101) e gli scarti di pannolini ed assorbenti (CER 150200).
Dunque le MPS non sono rifiuti, ed ad esse quindi non si applica il Ronchi, in quanto materie prime e/o prodotti ottenuti dal recupero.
In pratica si è provveduto a salvare gli ex mercuriali (all. 1 al DM 5 settembre 1994), escluse le ceneri di pirite che non sono presenti in alcuna parte del testo sul recupero dei rifiuti non pericolosi.
L’ Art. 3 tratta del recupero di materia. Le disposizioni ivi contenute non comportano in realtà particolari novità per le imprese se non per quel richiamo alle MPS già analizzato più sopra.
E’ importante comunque notare che quanto è ottenuto dal recupero o dal riciclaggio dei rifiuti ivi individuati non deve presentare caratteristiche di pericolo superiori a quelle dei prodotti e delle materie ottenuti dalla lavorazione di materie prime vergini”.
Di un certo interesse è poi la precisazione di cui al comma 3, per cui “restano sottoposti al regime dei rifiuti i prodotti, le materie prime e le materie prime secondarie ottenuti dalle attività di recupero che non vengono destinati in modo effettivo ed oggettivo all’utilizzo nei cicli di consumo o di produzione”.
Il recupero energetico è invece trattato nell’art. 4, che fissa le quote minime di trasformazione del potere calorifico dei rifiuti in energia termica o in energia elettrica nell’impianto di recupero o negli schemi cogenerativi per la produzione combinata di energia elettrica e calore.
Nell’art. 5 si definisce il recupero ambientale come “restituzione di aree degradate ad usi produttivi o sociali attraverso rimodellamenti morfologici”.
Vi è da osservare come questo articolo introduca limitazioni al recupero dei rifiuti per ripristini ambientali sia per quanto attiene alla destinazione (restituzione di aree degradate ad usi produttivi o sociali), che per quanto attiene alle modalità operative (approvazione di un apposito progetto da parte dell’autorità competente).
La messa in riserva (art. 6), costituisce operazione di recupero di rifiuti per sottoporli ad altre attività di recupero da realizzare nello stesso luogo o in altri; in altri termini si tratta dell’attività di stoccaggio dei rifiuti destinati al recupero.
Come ogni altra operazione di recupero, la messa in riserva è ammessa alle procedure semplificate previa la prescritta comunicazione alla provincia.
Si segnala che sono da subito emersi tanti e tali dubbi interpretativi con riferimento a tale norma che l’Ufficio legislativo del Ministero dell’industria ha emanato una nota (20 maggio 1998, prot. 15257 F 1-2) per rispondere ad alcuni Organi di controllo ad avviso dei quali dopo l’emanazione di questo decreto “non sarebbe possibile procedere all’applicazione delle procedure agevolate a quella particolare operazione di recupero denominata “messa in riserva” di cui al punto R 13 allegato C, Dlgs 22/1997 cit, ove non espressamente menzionata nelle attività di recupero individuate negli allegati al citato Dm 5 febbraio 1998″.
Nella Nota si chiarisce che “l’articolo 6 del Dm 5 febbraio 1998 sul recupero dei rifiuti non pericolosi, articolo dedicato alla messa in riserva, condiziona l’applicazione delle relative procedure agevolate solo ed unicamente alla menzione dei rifiuti ed all’osservanza delle condizioni ivi individuate. Tra queste non figura la menzione esplicita della “messa in riserva” nell’ambito delle attività di recupero che anzi, tale articolo 6, unitamente all’articolo 7 (quantità), regolamenta in modo generale ed autonomo.
Quanto precede, dimostra “per tabulas” che le attività di “messa in riserva”, con l’applicazione delle procedure agevolate di cui all’articolo 33, Dlgs 22/1997 e successive modifiche e integrazioni, possono essere intraprese per tutte le tipologie di rifiuti indicate negli allegati al Dm 5 febbraio 1998 sul recupero dei rifiuti non pericolosi a prescindere dalla menzione esplicita dell’attività nei singoli punti delle varie tipologie di rifiuti individuati dal citato Dm 5 febbraio 1998.
Pertanto, ad avviso della scrivente Amministrazione, in ragione di quanto precede e soprattutto della sua regolamentazione autonoma recata dagli articoli 6 e 7 del Dm 5 febbraio 1998, la “messa in riserva” può essere condotta con procedura semplificata anche in modo autonomo e disgiunto solo a condizione che si riferisca ai “rifiuti non pericolosi individuati e destinati ad una delle attività comprese negli allegati 1 e 2″ al Dm 5 febbraio 1998 cit. Resta inteso che dovranno essere rispettate le condizioni quali-quantitative indicate ai medesimi articoli 6 e 7″.
E’ evidente che la messa in riserva attiene solo ed esclusivamente alla fase successiva alla produzione materiale del rifiuto. Ciò conferma che il sistema del recupero non comincia dal produttore, bensì dal soggetto che effettua la raccolta e il trasporto.
Per quanto concerne le quantità massime annue di rifiuti impiegabili in regime semplificato, l’art. 7, c.1, dispone che sono determinate dalla potenzialità annua dell’impianto in cui si effettua l’attività al netto della materia prima eventualmente impiegata (per quanto concerne la materia) o in funzione del potere calorifico del rifiuto (per ciò che concerne l’energia).
Condizioni particolari sono poi stabilite per la messa in riserva di questi rifiuti.
Si noti che le quantità annue di rifiuti avviati al recupero devono essere indicate nella comunicazione di inizio di attività, precisando il rispetto delle condizioni di cui al medesimo articolo 7.
Ovviamente di tutte le condizioni e gli obblighi stabiliti nell’art. 7 deve essere data menzione nella comunicazione alla provincia.
L’art. 8 si occupa di campionamenti ed analisi da effettuarsi sui rifiuti ai fini della loro caratterizzazione chimico-fisica. Le analisi dei campioni devono essere effettuate almeno ad ogni inizio di attività e, successivamente ogni due anni e, comunque, ogni volta che intervengano delle modifiche sostanziali nel processo di recupero de rifiuti.
L’art. 9 concerne i test di cessione, da effettuarsi con la stessa periodicità delle analisi di cui all’art. 8. Rinvia direttamente all’allegato 3 che reca le metodiche per effettuare il test di cessione sull’eluato, laddove la sua esecuzione sia prevista dall’allegato 1, suballegato 1.
I test di cessione devono essere eseguiti su un campione ottenuto nella stessa forma fisica prevista nelle condizioni finali d’uso
L’art 10 prevede i requisiti soggettivi che devono aggiungersi a quelli oggettivi più sopra individuati.
Tali requisiti devono sussistere in capo al titolare dell’impresa o di tutti gli altri soggetti ivi previsti.
Le norme transitorie sono contenute nell’art 11 che fissa i termini per l’adeguamento alle nuove disposizioni:
-16 mesi (17 agosto 1999) dall’entrata in vigore del decreto, per il valore-limite ed i sistemi di controllo e monitoraggio delle emissioni;
-3 mesi (17 luglio 1998) per il recupero da RSU e da rifiuti speciali non pericolosi assimilati di poliaccoppiati composti da carta, polietilene ed alluminio, di resine e gomme artificiali e sintetiche non clorurate, pneumatici fuori uso e resine e fibre artificiali e sintetiche (voci 6, 7, 9 e 14 del DM 16 gennaio 1995), per la produzione di combustibile da rifiuti (CDR).
Gli allegati.
Gli allegati 1 e 2 contengono le norme tecniche che disciplinano, per le diverse tipologie di rifiuti non pericolosi definiti in funzione delle caratteristiche, le attività di recupero ammesse al regime semplificato ed individuano le caratteristiche delle materie prime, delle MPS e dei prodotti ottenute dalle stesse attività di recupero.
L’allegato 1 è suddiviso in due parti. Il suballegato 1 fissa le norme tecniche generali per il recupero di materia dai rifiuti non pericolosi. E’ suddiviso in 18 capitoli, corrispondenti ad altrettante famiglie di rifiuti (es: rifiuti di carta; rifiuti di vetro; ecc.). Ogni capitolo riguarda più tipologie di rifiuti (es.: rifiuti di carta, cartone e cartoncino; scarti di pannolini e assorbenti; ecc.), per ognuna delle quali sono riportate (dopo la descrizione ed il codice europeo): 1) Provenienza (es: industria cartaria; ecc.); 2) Caratteristiche del rifiuto (es.: fustellati di cartone, refili, ecc.); 3) Attività di recupero (es.: messa in riserva per la produzione di MPS per l’industria cartaria; ecc.); 4) Caratteristiche delle materie prime e/o dei prodotti ottenuti e delle eventuali MPS (es.: carta nelle forme usualmente commercializzate; MPS per l’industria cartaria; ecc.).
Come già più volte ribadito, solo il puntuale ed assoluto rispetto di tutti questi punti consente l’accesso alle procedure agevolate.
Nella Circ. dell’Assocarta citata sopra si legge che :”Prodotti, materie prime e materie prime secondarie non sono esclusi dalla normativa sui rifiuti, cui tornano ad essere soggetti qualora il detentore se ne disfi, per esempio smaltendoli in discarica. La normativa sui rifiuti non si applica, invece, in caso di effettivo loro utilizzo. Cio’ vale anche per i materiali che hanno le caratteristiche merceologiche dei prodotti, materie prime e materie prime secondarie individuate ai punti 4, anche se non provenienti da operazioni di recupero, ad evitare distorsioni nell’applicazione delle norme e difficoltà nei controlli”.
Come giustamente sottolinea Paola Ficco è poi “importante notare che nell’ambito di ogni tipologia di rifiuto, le singole “attività di recupero” sono – molto spesso – contraddistinte da specifiche lettere (a, b, c, ecc.); quando ciò avviene, le stesse lettere contraddistinguono anche le “caratteristiche delle materie prime e/o dei prodotti ottenuti”. Questo significa che dall’attività di recupero “a)”, deve discendere la materia prima e/o il prodotto “a)” e non un altro. Tale sistematicità ricognitiva è assolutamente vincolante.
Ovviamente, tale vincolatività “di percorso” deve essere rispettata solo se si vuole accedere alla procedura agevolata; altrimenti nulla vieta di poter recuperare qualcosa in modo diverso da quello previsto dal decreto e di poter ottenere magari lo stesso o un altro prodotto. In questo caso, però, non sarà possibile inviare una semplice comunicazione alla Provincia (art. 33 “Decreto Ronchi”), ma sarà necessario richiedere 1’autorizzazione alla Regione (artt. 27 e 28 “Decreto Ronchi”). Del pari la raccolta e il trasporto dei rifiuti da recuperare in modo difforme da quanto previsto nel decreto in esame saranno soggetti all’iscrizione all’Albo gestori previo pagamento delle fideiussioni (art. 30, commi 5 e 6)”.
Il suballegato 2 dell’allegato 1 fissa valori limite e prescrizioni per le emissioni convogliate in atmosfera delle attività di recupero di materia dai rifiuti non pericolosi, sia con riferimento ai processi a freddo che ai processi termici.
L’ allegato 2, fissa nel suballegato 1 le norme tecniche per l’utilizzazione dei rifiuti non pericolosi come combustibile o come altro mezzo per produrre energia: contiene 14 tipologie di rifiuti, ciascuna contrassegnata dal proprio codice CER (es.: Combustibile derivato da rifiuti; biogas; ecc.).
Per ciascuna tipologia sono individuate: 1) Provenienza del rifiuto; 2) Caratteristiche; 3) Attività e metodi di recupero.
Il suballegato 2 determina poi i valori limite e le prescrizioni per le emissioni in atmosfera delle attività di recupero di energia dai rifiuti non pericolosi, mentre il suballegato 3 determina i valori limite per le emissioni dovute al recupero di rifiuti non pericolosi come combustibili o altro mezzo per produrre energia tramite combustione mista di rifiuti e combustibili tradizionali (questo suballegato si riferisce quindi alla co-combustione, ex art. 2, c.1, lett. e).
L’allegato 3, infine, come già accennato, stabilisce la metodica per effettuare il test di cessione da effettuare sull’eluato, laddove previsto nell’allegato 1, suballegato 1, per il recupero della materia.
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Procedure semplificate per il recupero dei rifiuti non pericolosi
di Stefano Maglia
Sul S.O. alla G.U. n. 88 del 16 aprile 1998 è stato pubblicato il tanto atteso D.M. 5 febbraio 1998 (Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli artt. 31 e 33 del Dlg 5 febbraio 1997, n. 22), il quale definisce attività, procedimenti e metodi di recupero per circa 200 tipologie di rifiuti non pericolosi, ammessi alle procedure semplificate di cui agli artt. 31 e33 del Ronchi.
Il decreto, in particolare, non si applica ai rifiuti pericolosi elencati nell’allegato D del Dlgs 22/1997, che saranno disciplinati da uno specifico provvedimento in corso di definizione. Il recupero dei rifiuti pericolosi continua ad essere disciplinato, nel frattempo, dalla normativa vigente (DM 5 settembre 1994; DM 16 gennaio1995).
Questo significa che tutti i rifiuti presenti nei “vecchi” DM sopra citati (i quali non distinguevano tra rifiuti pericolosi e non) e rientranti tra i rifiuti pericolosi (es. batterie al piombo) continueranno ad essere recuperati secondo le regole ivi dettate fino all’emanazione del nuovo DM che disciplinerà il recupero dei rifiuti pericolosi. Solo in quel momento la disciplina relativa al recupero sarà definitiva. Pertanto, fino ad allora, dovremo -come ha ben scritto Paola Ficco in un articolo comparso su internet – “continuare ;ad usare non più due decreti, bensì tre: i due “vecchi” decreti e quello “nuovo””.
Per sapere esattamente cosa e come recuperare sarà necessario fare ricorso ad un po’ di “pragmatismo” nella consultazione dei tre decreti, capendo:
a) se si gestiscono rifiuti NON pericolosi;
b) se questi rifiuti NON pericolosi sono citati nei “vecchi” DM e se sono citati anche nel nuovo;
c) se la propria posizione è in regola con le nuove procedure amministrative previste dal Dlgs 22/1997 e successive modifiche e integrazioni.
d) se i cd. “ex mercuriali” (all. 1 al DM 5 settembre) sono citati nel nuovo testo o meno e capire come adattare la propria situazione amministrativa alle nuove regole autorizzatorie dettate dal “Decreto Ronchi”;
e) se si gestiscono rifiuti pericolosi.
E’ evidente che la scelta tra procedura agevolata e autorizzazione regionale spetta solo all’impresa. Se questa sceglie la procedura agevolata, però, dovrà fare attenzione al fatto che questa si applica “esclusivamente alle operazioni di recupero specificate ed ai rifiuti individuati dai rispettivi codici e descritti negli allegati”.
Il DM 5 febbraio 1998 è entrato in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione sulla G.U. ed è pertanto dal 17 aprile scorso che si devono fare i conti per capire entro quando si devono fare le comunicazioni alle Province.
E’ composto da 11 articoli e da tre (assai corposi) allegati.
L art. 1 riporta i principi generali.
In perfetta linea con la ratio del Ronchi il primo comma del primo articolo chiarisce immediatamente che “le attività, i procedimenti e i metodi di recupero di ciascuna delle tipologie di rifiuti individuati dal presente decreto non devono costituire un pericolo per la salute dell’uomo e recare pregiudizio all’ambiente, e in particolare non devono:
a) creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo e per la fauna e la flora;
b) causare inconvenienti da rumori e odori;
c) danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse.
Nel comma 3 si specifica che le attività, i procedimenti e i metodi di recupero di ogni tipologia di rifiuto, disciplinati dal presente decreto, devono rispettare le norme vigenti in materia di tutela della salute dell’uomo e dell’ambiente, nonchè – non si dimentichi – di sicurezza sul lavoro, importante puntualizzazione con particolare riferimento alle acque di scarico ed alle emissioni in atmosfera risultanti dalle attività di recupero (L. 319/76; Dlg 132/92; Dlg 133/92 e Dpr 203/88).
Come già segnalato poco sopra, poi, è di fondamentale importanza il lapidario richiamo contenuto nel quarto comma, per cui “le procedure semplificate…si applicano esclusivamente alle operazioni di recupero specificate ed ai rifiuti individuati dai rispettivi codici (ricavati dal Catalogo Europeo dei Rifiuti – CER) e descritti negli allegati”. Dunque, in un certo senso, all’elenco “tassativo” di rifiuti pericolosi di cui all’allegato D del decreto Ronchi si aggiunge l’elenco, altrettanto tassativo, di rifiuti non pericolosi ai quali sono applicabili le procedure agevolate.
In una interessante Circolare dell’ Assocarta (n. 140/98 R-MM.ml) si consigliano le imprese di “verificare che i codici europei dei rifiuti avviati al recupero coincidano con quelli indicati negli allegati al decreto. Eventuali incongruenze vanno segnalate con urgenza alle Associazioni industriali per i necessari interventi presso i ministeri competenti”.
Art. 2: Definizioni
In questo articolo sono contenute le definizioni di co-combustione, di impianto dedicato, di impianto termico e di raccolta finalizzata. E’ però sparita quella relativa alle MPE (Materie prime equivalenti) che si trovava nella bozza del provvedimento. Le MPE sono state sostituite dalle più tradizionali MPS (Materie prime secondarie), ma la definizione di queste ultime non c’è, anche se vengono citate per ben tre volte nell’art. 3.
Bisogna fare estrema attenzione a non confondere queste MPS come una sorta di mera resuscitazione della disciplina previgente (L. 475/88 e art. 2 del DM 26 gennaio 1990), seppur limitatamente a questo settore.
In un articolo di imminente pubblicazione su Rivista Penale così si esprime Massimo Medugno: “Mentre la materia prima secondaria ex lege 475/88 era assoggettata a precisi vincoli e procedure, quella del D.M. 5.2.98 é un “non rifiuto”.
Ciò è evidente leggendo l’art. 3, comma 3 del D.M. 5.2.98, secondo cui “restano sottoposti al regime dei rifiuti i prodotti, le materie prime e le materie prime secondarie ottenuti dalle attività di recupero che non vengono destinati in modo effettivo ed oggettivo all’utilizzo nei cicli di produzione e di consumo”.
Peraltro, quest’ultimo principio, applicato ai “prodotti” delle attività di recupero appare essere di valenza più generale. Infatti, non c’è dubbio alcuno che una qualsiasi materia prima (anche non derivante da un’attività di recupero…) rientri nelle categorie riportate nell’allegato A del decreto Ronchi, se il detentore se ne disfa (parafrasando l’art. 6,comma i lett. a del decreto Ronchi) in modo che la stessa non venga destinata a cicli di produzione e di consumo”.
Si rammenta inoltre che il concetto di MPS non è un’invenzione italiana: per esempio la Dir. CEE 156/91 prevede espressamente che gli stati membri adottino misure appropriate per promuovere “il recupero dei rifiuti mediante riciclo, reimpiego e ogni altra azione intesa a ottenere materie prime secondarie”.
Sempre per questo Autore, ed è una impostazione che condivido, “attraverso le operazioni di recupero descritte nel decreto si producono “materie prime secondarie” che hanno standard e requisiti di “materie prime” evidentemente già preesistenti: proprio tramite le operazioni di recupero (descritte nella normativa tecnica …) si raggiunge la caratterizzazione necessaria affinché i materiali possano essere considerati delle materie prime a tutti gli effetti, escluse dal regime dei rifiuti (art. 3, comma 3).
Le “materie prime” non derivanti da attività di recupero senza bisogno di specifiche attività di recupero/selezione, in quanto già conformi agli standards previsti vengono utilizzate “tal quale” nei cicli economici e produttivi.
A queste, come a quelle derivanti da attività di recupero, la nozione di rifiuto e la connessa disciplina non sembra che possano essere applicate in quanto entrambi siano destinate in modo effettivo ed oggettivo nell’utilizzo nei cicli economici e produttivi.
Peraltro, un diverso orientamento parrebbe illogico e in grado di determinare, sotto il profilo del trattamento giuridico, dei risultati assurdi”.
Paola Ficco, invece, guarda alle MPS attraverso un’altra prospettiva. Per questa studiosa, infatti, “i materiali ricavati dal recupero sono materie prime e/o prodotti; però, queste materie prime e/o prodotti sono ricavati dai “rifiuti”. Questo significa che tutto quello che tutto quello che entra in un impianto è rifiuto (pertanto, dovrà rispettare tutte le regole relative a MUD, registri, formulari, comunicazioni alla Provincia o, se l’operatore vuole, all’autorizzazione regionale); invece, tutto quello che esce dall’ impianto é una materia prima e/o un prodotto. In alcuni casi questa materia prima e/o prodotto può essere una MPS. Quando si parla di impianto si intende sia quello dedicato al recupero per vocazione, sia quello che, invece, nasce come impianto produttivo e che (suo malgrado) diventa un impianto che recupera rifiuti: si pensi ad una conceria, ad un cementificio, ad una cereria, ad una industria plastica ecc.
Le MPS, rappresentano una specificazione qualitativa delle materie prime e/o dei prodotti ottenuti dal recupero. Va da sé che se tali MPS entrano in un impianto vi entrano come materie prime e/o prodotti, poiché così sono qualificate dalle varie voci del decreto in esame in quanto presenti sotto la specifica dizione “caratteristiche delle materie prime e/o dei prodotti ottenuti”. Questo significa che nessuno degli obblighi derivanti dal “Decreto Ronchi” dovrà osservarsi per la raccolta, il trasporto e il recupero. Non tutte le tipologie di rifiuti, però, se recuperate, generano materie prime e/o prodotti chiamati MPS”. Infatti, solo dal recupero di alcune tipologie di rifiuti derivano MPS: per es. per la carta solo i rifiuti di carta, cartone e cartoncino (CER 1501010 – 150105 – 150106 – 200101) e gli scarti di pannolini ed assorbenti (CER 150200).
Dunque le MPS non sono rifiuti, ed ad esse quindi non si applica il Ronchi, in quanto materie prime e/o prodotti ottenuti dal recupero.
In pratica si è provveduto a salvare gli ex mercuriali (all. 1 al DM 5 settembre 1994), escluse le ceneri di pirite che non sono presenti in alcuna parte del testo sul recupero dei rifiuti non pericolosi.
L’ Art. 3 tratta del recupero di materia. Le disposizioni ivi contenute non comportano in realtà particolari novità per le imprese se non per quel richiamo alle MPS già analizzato più sopra.
E’ importante comunque notare che quanto è ottenuto dal recupero o dal riciclaggio dei rifiuti ivi individuati non deve presentare caratteristiche di pericolo superiori a quelle dei prodotti e delle materie ottenuti dalla lavorazione di materie prime vergini”.
Di un certo interesse è poi la precisazione di cui al comma 3, per cui “restano sottoposti al regime dei rifiuti i prodotti, le materie prime e le materie prime secondarie ottenuti dalle attività di recupero che non vengono destinati in modo effettivo ed oggettivo all’utilizzo nei cicli di consumo o di produzione”.
Il recupero energetico è invece trattato nell’art. 4, che fissa le quote minime di trasformazione del potere calorifico dei rifiuti in energia termica o in energia elettrica nell’impianto di recupero o negli schemi cogenerativi per la produzione combinata di energia elettrica e calore.
Nell’art. 5 si definisce il recupero ambientale come “restituzione di aree degradate ad usi produttivi o sociali attraverso rimodellamenti morfologici”.
Vi è da osservare come questo articolo introduca limitazioni al recupero dei rifiuti per ripristini ambientali sia per quanto attiene alla destinazione (restituzione di aree degradate ad usi produttivi o sociali), che per quanto attiene alle modalità operative (approvazione di un apposito progetto da parte dell’autorità competente).
La messa in riserva (art. 6), costituisce operazione di recupero di rifiuti per sottoporli ad altre attività di recupero da realizzare nello stesso luogo o in altri; in altri termini si tratta dell’attività di stoccaggio dei rifiuti destinati al recupero.
Come ogni altra operazione di recupero, la messa in riserva è ammessa alle procedure semplificate previa la prescritta comunicazione alla provincia.
Si segnala che sono da subito emersi tanti e tali dubbi interpretativi con riferimento a tale norma che l’Ufficio legislativo del Ministero dell’industria ha emanato una nota (20 maggio 1998, prot. 15257 F 1-2) per rispondere ad alcuni Organi di controllo ad avviso dei quali dopo l’emanazione di questo decreto “non sarebbe possibile procedere all’applicazione delle procedure agevolate a quella particolare operazione di recupero denominata “messa in riserva” di cui al punto R 13 allegato C, Dlgs 22/1997 cit, ove non espressamente menzionata nelle attività di recupero individuate negli allegati al citato Dm 5 febbraio 1998″.
Nella Nota si chiarisce che “l’articolo 6 del Dm 5 febbraio 1998 sul recupero dei rifiuti non pericolosi, articolo dedicato alla messa in riserva, condiziona l’applicazione delle relative procedure agevolate solo ed unicamente alla menzione dei rifiuti ed all’osservanza delle condizioni ivi individuate. Tra queste non figura la menzione esplicita della “messa in riserva” nell’ambito delle attività di recupero che anzi, tale articolo 6, unitamente all’articolo 7 (quantità), regolamenta in modo generale ed autonomo.
Quanto precede, dimostra “per tabulas” che le attività di “messa in riserva”, con l’applicazione delle procedure agevolate di cui all’articolo 33, Dlgs 22/1997 e successive modifiche e integrazioni, possono essere intraprese per tutte le tipologie di rifiuti indicate negli allegati al Dm 5 febbraio 1998 sul recupero dei rifiuti non pericolosi a prescindere dalla menzione esplicita dell’attività nei singoli punti delle varie tipologie di rifiuti individuati dal citato Dm 5 febbraio 1998.
Pertanto, ad avviso della scrivente Amministrazione, in ragione di quanto precede e soprattutto della sua regolamentazione autonoma recata dagli articoli 6 e 7 del Dm 5 febbraio 1998, la “messa in riserva” può essere condotta con procedura semplificata anche in modo autonomo e disgiunto solo a condizione che si riferisca ai “rifiuti non pericolosi individuati e destinati ad una delle attività comprese negli allegati 1 e 2″ al Dm 5 febbraio 1998 cit. Resta inteso che dovranno essere rispettate le condizioni quali-quantitative indicate ai medesimi articoli 6 e 7″.
E’ evidente che la messa in riserva attiene solo ed esclusivamente alla fase successiva alla produzione materiale del rifiuto. Ciò conferma che il sistema del recupero non comincia dal produttore, bensì dal soggetto che effettua la raccolta e il trasporto.
Per quanto concerne le quantità massime annue di rifiuti impiegabili in regime semplificato, l’art. 7, c.1, dispone che sono determinate dalla potenzialità annua dell’impianto in cui si effettua l’attività al netto della materia prima eventualmente impiegata (per quanto concerne la materia) o in funzione del potere calorifico del rifiuto (per ciò che concerne l’energia).
Condizioni particolari sono poi stabilite per la messa in riserva di questi rifiuti.
Si noti che le quantità annue di rifiuti avviati al recupero devono essere indicate nella comunicazione di inizio di attività, precisando il rispetto delle condizioni di cui al medesimo articolo 7.
Ovviamente di tutte le condizioni e gli obblighi stabiliti nell’art. 7 deve essere data menzione nella comunicazione alla provincia.
L’art. 8 si occupa di campionamenti ed analisi da effettuarsi sui rifiuti ai fini della loro caratterizzazione chimico-fisica. Le analisi dei campioni devono essere effettuate almeno ad ogni inizio di attività e, successivamente ogni due anni e, comunque, ogni volta che intervengano delle modifiche sostanziali nel processo di recupero de rifiuti.
L’art. 9 concerne i test di cessione, da effettuarsi con la stessa periodicità delle analisi di cui all’art. 8. Rinvia direttamente all’allegato 3 che reca le metodiche per effettuare il test di cessione sull’eluato, laddove la sua esecuzione sia prevista dall’allegato 1, suballegato 1.
I test di cessione devono essere eseguiti su un campione ottenuto nella stessa forma fisica prevista nelle condizioni finali d’uso
L’art 10 prevede i requisiti soggettivi che devono aggiungersi a quelli oggettivi più sopra individuati.
Tali requisiti devono sussistere in capo al titolare dell’impresa o di tutti gli altri soggetti ivi previsti.
Le norme transitorie sono contenute nell’art 11 che fissa i termini per l’adeguamento alle nuove disposizioni:
-16 mesi (17 agosto 1999) dall’entrata in vigore del decreto, per il valore-limite ed i sistemi di controllo e monitoraggio delle emissioni;
-3 mesi (17 luglio 1998) per il recupero da RSU e da rifiuti speciali non pericolosi assimilati di poliaccoppiati composti da carta, polietilene ed alluminio, di resine e gomme artificiali e sintetiche non clorurate, pneumatici fuori uso e resine e fibre artificiali e sintetiche (voci 6, 7, 9 e 14 del DM 16 gennaio 1995), per la produzione di combustibile da rifiuti (CDR).
Gli allegati.
Gli allegati 1 e 2 contengono le norme tecniche che disciplinano, per le diverse tipologie di rifiuti non pericolosi definiti in funzione delle caratteristiche, le attività di recupero ammesse al regime semplificato ed individuano le caratteristiche delle materie prime, delle MPS e dei prodotti ottenute dalle stesse attività di recupero.
L’allegato 1 è suddiviso in due parti. Il suballegato 1 fissa le norme tecniche generali per il recupero di materia dai rifiuti non pericolosi. E’ suddiviso in 18 capitoli, corrispondenti ad altrettante famiglie di rifiuti (es: rifiuti di carta; rifiuti di vetro; ecc.). Ogni capitolo riguarda più tipologie di rifiuti (es.: rifiuti di carta, cartone e cartoncino; scarti di pannolini e assorbenti; ecc.), per ognuna delle quali sono riportate (dopo la descrizione ed il codice europeo): 1) Provenienza (es: industria cartaria; ecc.); 2) Caratteristiche del rifiuto (es.: fustellati di cartone, refili, ecc.); 3) Attività di recupero (es.: messa in riserva per la produzione di MPS per l’industria cartaria; ecc.); 4) Caratteristiche delle materie prime e/o dei prodotti ottenuti e delle eventuali MPS (es.: carta nelle forme usualmente commercializzate; MPS per l’industria cartaria; ecc.).
Come già più volte ribadito, solo il puntuale ed assoluto rispetto di tutti questi punti consente l’accesso alle procedure agevolate.
Nella Circ. dell’Assocarta citata sopra si legge che :”Prodotti, materie prime e materie prime secondarie non sono esclusi dalla normativa sui rifiuti, cui tornano ad essere soggetti qualora il detentore se ne disfi, per esempio smaltendoli in discarica. La normativa sui rifiuti non si applica, invece, in caso di effettivo loro utilizzo. Cio’ vale anche per i materiali che hanno le caratteristiche merceologiche dei prodotti, materie prime e materie prime secondarie individuate ai punti 4, anche se non provenienti da operazioni di recupero, ad evitare distorsioni nell’applicazione delle norme e difficoltà nei controlli”.
Come giustamente sottolinea Paola Ficco è poi “importante notare che nell’ambito di ogni tipologia di rifiuto, le singole “attività di recupero” sono – molto spesso – contraddistinte da specifiche lettere (a, b, c, ecc.); quando ciò avviene, le stesse lettere contraddistinguono anche le “caratteristiche delle materie prime e/o dei prodotti ottenuti”. Questo significa che dall’attività di recupero “a)”, deve discendere la materia prima e/o il prodotto “a)” e non un altro. Tale sistematicità ricognitiva è assolutamente vincolante.
Ovviamente, tale vincolatività “di percorso” deve essere rispettata solo se si vuole accedere alla procedura agevolata; altrimenti nulla vieta di poter recuperare qualcosa in modo diverso da quello previsto dal decreto e di poter ottenere magari lo stesso o un altro prodotto. In questo caso, però, non sarà possibile inviare una semplice comunicazione alla Provincia (art. 33 “Decreto Ronchi”), ma sarà necessario richiedere 1’autorizzazione alla Regione (artt. 27 e 28 “Decreto Ronchi”). Del pari la raccolta e il trasporto dei rifiuti da recuperare in modo difforme da quanto previsto nel decreto in esame saranno soggetti all’iscrizione all’Albo gestori previo pagamento delle fideiussioni (art. 30, commi 5 e 6)”.
Il suballegato 2 dell’allegato 1 fissa valori limite e prescrizioni per le emissioni convogliate in atmosfera delle attività di recupero di materia dai rifiuti non pericolosi, sia con riferimento ai processi a freddo che ai processi termici.
L’ allegato 2, fissa nel suballegato 1 le norme tecniche per l’utilizzazione dei rifiuti non pericolosi come combustibile o come altro mezzo per produrre energia: contiene 14 tipologie di rifiuti, ciascuna contrassegnata dal proprio codice CER (es.: Combustibile derivato da rifiuti; biogas; ecc.).
Per ciascuna tipologia sono individuate: 1) Provenienza del rifiuto; 2) Caratteristiche; 3) Attività e metodi di recupero.
Il suballegato 2 determina poi i valori limite e le prescrizioni per le emissioni in atmosfera delle attività di recupero di energia dai rifiuti non pericolosi, mentre il suballegato 3 determina i valori limite per le emissioni dovute al recupero di rifiuti non pericolosi come combustibili o altro mezzo per produrre energia tramite combustione mista di rifiuti e combustibili tradizionali (questo suballegato si riferisce quindi alla co-combustione, ex art. 2, c.1, lett. e).
L’allegato 3, infine, come già accennato, stabilisce la metodica per effettuare il test di cessione da effettuare sull’eluato, laddove previsto nell’allegato 1, suballegato 1, per il recupero della materia.
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