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Stefano Maglia

Produttore iniziale di rifiuti: il punto della situazione

di Stefano Maglia, Deborah De Stefani

Categoria: Rifiuti

 

1. Il produttore di rifiuti è solo colui che materialmente li produce?

 

Chiunque si occupi – a qualunque titolo – di gestione di rifiuti, sa che l’identificazione del produttore dei medesimi è di fondamentale importanza, in quanto su questa figura incombono i principali (e, in certi casi, esclusivi) obblighi relativi alla corretta gestione.

Orbene, recentemente la Terza Sezione della Corte di Cassazione Penale è intervenuta più volte sull’argomento confermando – nello specifico, in materia di appalto – quello che dovrebbe essere evidente a chiunque abbia a cuore una gestione ambientalmente coerente: il momento essenziale è quello in cui i rifiuti vengono materialmente prodotti, perché è da quel momento che il loro impatto sulla salute e sull’ambiente manifesta i suoi effetti. Un conto è l’identificazione del “produttore” ed un altro è l’eventuale estensione di possibili “co-responsabilità”[1].

Facciamo dunque il punto della situazione, partendo dal momento in cui è stata modificata ingiustificatamente la definizione di produttore (iniziale!) di rifiuti di cui all’art. 183, comma 1, lett. f) del D.Lvo n. 152/06.

 

Fino al 14 agosto 2015, ossia il giorno precedente all’entrata in vigore della Legge 6 agosto 2015, n. 125, l’art. 183 comma 1 lett. f) del D.Lvo n. 152/06 recava la definizione espressa di produttore iniziale di rifiuti di seguito riportata, la quale considerava unicamente “il soggetto la cui attività produce rifiuti”, in piena aderenza al dato letterale dell’analoga definizione adottata dalla Direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE all’art. 3 punto 5, anche nell’attuale versione successiva alle modifiche apportate dal c.d. Pacchetto Circular Economy, precisamente dalla direttiva 2018/851/UE.

 

f) “produttore di rifiuti”: la persona la cui attività produce rifiuti (produttore iniziale di rifiuti) o chiunque effettui operazioni di pretrattamento, miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti (nuovo produttore).

 

Per effetto della suddetta novella legislativa, dal 15 agosto 2015 fino alla data in cui si scrive, la nozione di produttore iniziale di rifiuti ricomprende un ulteriore soggetto, “il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione”.

 

f) “produttore di rifiuti”: il soggetto la cui attività produce rifiuti e il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione (produttore iniziale) o chiunque effettui operazioni di pretrattamento, di miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti (nuovo produttore).

 

Tralasciando, almeno per ora, le ragioni “particolari” che hanno verosimilmente determinato la modifica legislativa in discorso, non può ad ogni modo non rilevarsi come la nuova figura inclusa nella definizione di produttore iniziale non sia descritta in modo chiaro e preciso [2].

 

Inoltre, due anni più tardi, nel giugno del 2017, con il d.P.R. 13 giugno 2017, n. 120, il Legislatore nazionale tornava sulla nozione di produttore iniziale di rifiuti, anche se con riferimento all’ambito della disciplina speciale della gestione delle terre e rocce da scavo.

Nel titolo I, ove sono contenute le disposizioni di carattere generale, ossia valide per la gestione delle terre e rocce da scavo, a prescindere dalla loro qualifica come sottoprodotti, rifiuti o materiali da ritenersi esclusi dalla disciplina sui rifiuti ai sensi dell’art. 185 del D.Lvo n. 152/06, è infatti presente l’art. 2 comma 1 lett. r), che definisce produttore “il soggetto la cui attività materiale produce le terre e rocce da scavo”.

 

Vieppiù, in tale panorama legislativo non proprio cristallino né coerente in merito alla nozione normativa di produttore di rifiuti, le sentenze della Corte di Cassazione successive alla cennata riforma non hanno fornito alcuna indicazione su come debba interpretarsi la generica formulazione definitoria “il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione”, in quanto i giudici di legittimità hanno – per fortuna – continuato ad attribuire la qualifica di produttore dei rifiuti esclusivamente sulla base di un criterio materialistico, da intendersi ovviamente non con riferimento alla singola e specifica manovra fisica da cui si originano i materiali che costituiscono rifiuto, ma con riguardo all’esercizio in concreto dell’attività da cui derivano i rifiuti, non apprezzando affatto il criterio della riferibilità giuridica, seppur espressamente previsto nel relativo testo di legge.

 

2. La risposta della giurisprudenza: analisi delle più recenti sentenze della Corte di Cassazione.

 

In particolare, nel corso degli ultimi 20 anni, la nozione di produttore ha assunto rilievo ed è stata quindi oggetto di attenzione in molte sentenze della Corte di Cassazione che vertono principalmente sul tema della distribuzione delle responsabilità tra committente ed appaltatore per la corretta gestione dei rifiuti originati nell’esecuzione dei contratti di appalto e di subappalto.

Sul punto la giurisprudenza è ferma nel ritenere produttore dei predetti rifiuti, con tutti gli obblighi e le responsabilità connessi, soltanto colui che esegue concretamente l’attività da cui essi provengono, ovvero l’appaltatore o, nei casi di subappalto, il subappaltatore.

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Al riguardo deve citarsi la fondamentale sentenza n. 11029 del 16 marzo 2015[3], ove i giudici di legittimità stabiliscono che “l’appaltatore, in ragione della natura del rapporto contrattuale, che lo vincola al compimento di un’ opera o alla prestazione di un servizio con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio è, di regola, il produttore del rifiuti; su di lui gravano i relativi oneri, pur potendosi verificare casi in cui, per la particolarità dell’obbligazione assunta o per la condotta del committente, concretatasi in ingerenza o controllo diretto sull’attività dell’appaltatore, detti oneri si estendono anche a tale ultimo soggetto”.

 

Tra le più recenti e molteplici sentenze emanate sul punto nel corso del 2018 dalla Terza Sezione della Corte di Cassazione[4], giudice “naturalmente” competente per i reati in materia di inquinamento e rifiuti, si riporta la sentenza n. 223 del 9 gennaio 2018, la quale riassume che “come, è stato, infatti, in più circostanze da questa Corte affermato e ribadito, in ipotesi di esecuzione di lavori attraverso un contratto di appalto, è l’appaltatore che – per la natura del rapporto contrattuale da lui stipulato ed attraverso il quale egli è vincolato al compimento di un’opera o alla prestazione di un servizio, con organizzazione dei mezzi necessari e gestione a proprio rischio dell’intera attività – riveste generalmente la qualità di produttore del rifiuto; da ciò ne deriva che gravano su di lui, ed in linea di principio esclusivamente su di lui, gli obblighi connessi al corretto smaltimento dei rifiuti rivenienti dallo svolgimento della sua prestazione contrattuale, salvo il caso in cui, per ingerenza o controllo diretto del committente sullo svolgimento dei lavori, i relativi obblighi si estendano anche a carico di tale soggetto (Corte di cassazione, Sezione III penale, 16 marzo 2015, n. 11029)”.

 

Inoltre la sentenza n. 43160 del 1° ottobre 2018 precisa che non èravvisabile a suo carico, a differenza di quanto avviene in materia edilizia, alcun obbligo di vigilanza e denuncia, in quanto il committente di lavori edili, al pari dell’appaltante nell’ipotesi del subappalto, e il direttore dei lavori, non hanno alcun obbligo giuridico di intervenire nella gestione dei rifiuti prodotti dalla ditta appaltatrice o subappaltatrice, né di garantire che la stessa venga effettuata correttamente (Sez. 3, n. 25041 del 25/05/2011, Spagnuolo, Rv. 250676, relativa a una ipotesi di deposito incontrollato di materiali di risulta edile, provenienti dai lavori di recupero abitativo del sottotetto di un immobile, in violazione delle disposizioni sul deposito temporaneo), perché l’obbligo di garanzia in relazione all’interesse tutelato e al corretto espletamento delle operazioni di raccolta e smaltimento dei rifiuti connessi all’attività edificatoria incombe sull’appaltatore dei lavori”.

 

Tuttavia, deve darsi conto altresì della sentenza n. 12876 dello scorso 25 marzo[5], emessa dalla Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione. Ivi la Corte ha affermato che “produttore di rifiuti ex art. 183 d.lgs citato che, alla lett. f), definisce tale il soggetto la cui attività produce rifiuti, senza alcun riferimento, come erratamente sostiene la Corte territoriale ad una attività manipolatoria; e, alla lettera h), qualifica il detentore come il produttore di rifiuto o la persona giuridica o fisica che ne è in possesso” e, non senza un certo grado di imprecisione terminologica ed argomentativa, ha dunque concluso che “deve intendersi produttore o detentore di rifiuto non solo chi svolge l’attività materiale ma colui al quale è riferibile l’attività giuridica e quindi qualsiasi intervento che determina in concreto la produzione di rifiuti e da cui deriva la posizione di garanzia dell’adempimento di determinati obblighi in materia di smaltimento”.

 

La recente sentenza è, quindi, la prima a richiamare la nuova formulazione letterale della definizione di “produttore inziale di rifiuti”, rimasta dalla sua entrata in vigore nell’agosto del 2015 fino a poche settimane fa priva di alcuna valorizzazione nel c.d. diritto vivente, ossia nella prassi interpretativa ed applicativa delle decisioni dei giudici delle corti di merito e della Corte di Cassazione.

Va evidenziato peraltro che la Quarta Sezione Penale è la sezione competente e specializzata non in materia di illeciti ambientali, ma per lo più in materia di illeciti inerenti alla sicurezza sui luoghi di lavoro.

Risulta infatti incerto l’utilizzo dei termini impiegati, così come contraddittorio è il percorso motivazionale, che dapprima afferma di potersi prescindere da un’imprecisata “attività manipolatoria” e poi dà rilievo a “qualsiasi intervento che determina in concreto la produzione di rifiuti”.

Pertanto – a parere di chi scrive – nulla ha tolto questa sentenza all’indirizzo recente, ormai da ritenersi consolidato, sostenuto nelle citate sentenze della specializzata Terza Sezione Penale.

 

3. Cosa s’intende per ingerenza e controllo diretto del committente?

 

A fronte di quanto sopra illustrato, deve ritenersi che sussistano esclusivamente in capo al soggetto appaltatore gli obblighi di verifica e di controllo che discendono dalla qualifica di produttore dei rifiuti, tra i quali ad esempio l’obbligo di provvedere a una corretta attribuzione del codice CER e l’obbligo di verificare l’esistenza o la regolarità del prescritto titolo autorizzativo, finalizzati ad assicurare che la successiva gestione dei rifiuti avvenga nel rispetto della legalità e senza pregiudizi per l’ambiente[6].

 

Proprio in virtù della sussistenza di tali obblighi giuridici di verifica e controllo (c.d. posizione di garanzia) è possibile affermare la sua responsabilità a titolo di concorso[7] o di cooperazione colposa[8] nel reato di gestione illecita di cui all’art. 256 comma 1 D.Lvo n. 152/06[9], quand’anche a quest’ultimo sia rimproverabile “soltanto” una condotta omissiva, ossia un non facere, come ad esempio il non aver compiuto le dovute verifiche sulle autorizzazioni dei soggetti cui ha affidato il trasporto o lo smaltimento.

 

Diversamente, nell’ipotesi in cui si verifichino illeciti nella gestione dei rifiuti derivanti dall’esecuzione delle opere appaltate, la responsabilità del committente, che non ricopre appunto la qualifica di produttore iniziale, può fondarsi esclusivamente su una sua condotta attiva, rilevante ai sensi delle regole generali sul concorso di persone nel reato di cui agli artt. 110 e ss cod. pen.

 

Perché allora molteplici e recenti sentenze della Corte di Cassazioni ribadiscono che la qualifica di produttore e i relativi obblighi gravano esclusivamente sull’appaltatore, “eccetto i casi in cui per ingerenza o controllo diretto del committente, detti oneri si estendono anche a carico di tale soggetto”? E cosa deve intendersi per ingerenza o controllo diretto del committente?

 

In merito deve riportarsi la pronuncia n. 19152 del 4 maggio 2018[10], la quale oltre a ribadire che “in caso di appalto, la responsabilità della stazione appaltante […] è limitata ai casi in cui sia stata dimostrata un’ingerenza nella esecuzione dell’opera ovvero un controllo diretto su quest’ultima da parte del committente, tale da comportare l’estensione anche a carico di questo dei doveri diversamente concernente il solo soggetto appaltatore” , precisa che la contraria impostazione, che postuli invece l’esistenza di un dovere di vigilanza anche dal parte del soggetto committente, trascura di considerare che “ai fini della integrazione dell’obbligo di impedire l’evento, rilevante ai sensi dell’art. 40, comma secondo, cod. pen., è necessario, affinché la posizione di garanzia rivestita di chi sia assume essere gravato da tale obbligo – posizione che può essere generata da investitura formale o dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante – possa ritenersi operativa, che l’agente assuma in concreto la gestione dei rischi connessi all’attività assunta, non estendendosi essa oltre la sua sfera di governo dei rischi in questione (Corte di cassazione, Sezione IV penale, 20 aprile 2017, n. 19029; idem, Sezione IV penale, 17 novembre 2016, n. 48793)”.

 

Da tale ultimo estratto e soprattutto dalla citazione delle due recenti sentenze della Quarta Sezione Penale che trattano, seppur con riferimento a fattispecie differenti, il tema dell’origine degli obblighi di garanzia dalla previa attività del soggetto che abbia assunto su di sé l’esercizio di fatto delle funzioni tipiche del soggetto garante, deve concludersi non tanto e non solo che il committente non può essere chiamato a garantire la corretta gestione dei rifiuti che si originano durante l’esecuzione dei lavori poiché non ha in concreto la possibilità di intervento e di gestione dei rischi inerenti al verificarsi di illeciti, ma anche e soprattutto che l’ingerenza o il controllo diretto da parte del committente deve dunque risolversi nell’esercizio delle attività di gestione organizzativa e operativa che dovrebbero competere all’appaltatore il quale, secondo il contenuto tipico del contratto di appalto ai sensi dell’art. 1655 e ss cod. civ., dovrebbe appunto eseguire l’opera o il servizio appaltati con autonomia di mezzi e di gestione[11]. Pertanto, in simili circostanze, a seguito del comportamento tenuto dal committente, il medesimo diviene garante anch’egli della corretta gestione dei rifiuti, ovvero è tenuto anch’egli all’assolvimento dei relativi obblighi, al pari dell’appaltatore.

 

Da ultimo, deve quindi ritenersi che il dictum della sentenza n. 11029 del 16 marzo 2015, nella parte in cui afferma che nei “casi in cui, “per la particolarità dell’obbligazione assunta” o per la condotta del committente, concretatasi in ingerenza o controllo diretto sull’attività dell’appaltatore, detti oneri si estendono anche a tale ultimo soggetto”, si riferisca alle ipotesi in cui il committente attribuisca a sé l’esercizio delle funzioni spettanti, secondo lo schema contrattuale tipico adottato, all’appaltatore non per mezzo di un comportamento concludente, ma già in fase di redazione e stipula del regolamento contrattuale, che costituisce dunque fonte di obbligazioni dal contenuto particolare, difforme da quello che contraddistingue la figura contrattuale tipica dell’appalto.

 

4. Cosa significa “riferibilità giuridica”?

 

L’espressione “giuridicamente riferibile” è, come sopra anticipato, alquanto ambigua e non è possibile associarvi un significato preciso e certo.

La “riferibilità giuridica” è un concetto sfuggente e privo di confini esattamente determinabili. Nelle ipotesi di realizzazione di grandi opere o comunque di operazioni complesse, nelle quali ricorra ad esempio lo schema contrattuale del subappalto o siano coinvolti più soggetti, può difatti condurre all’individuazione di una serie pressoché illimitata di soggetti produttori del rifiuto, poiché in simili circostanze è plausibile individuare “a ritroso” più committenti prima dell’esecutore effettivo dei lavori e non esiste alcun dato normativo che consenta di operare una distinzione e non ritenere, pertanto, giuridicamente riferibile la produzione di rifiuti a coloro che non siano i committenti “diretti” del soggetto la cui attività produce materialmente detti rifiuti.

 

A conferma di ciò, basti osservare che la già citata sentenza n. 4957 del 2000[12], generalmente considerata caposaldo dell’orientamento c.d. estensivo, individua come produttori dei rifiuti derivanti dalla demolizione di un fabbricato preordinata alla successiva costruzione di un nuovo edificio commerciale ben tre diversi soggetti[13].

 

Inoltre, ad ulteriore conferma dell’ambiguità dell’espressione “giuridicamente riferibile”, si riporta che la giurisprudenza stessa[14] ha attribuito alla predetta locuzione due significati differenti, impiegandola in due contesti differenti.

Oltre alle ipotesi di appalto e subappalto, i giudici hanno interpretato e applicato il concetto di “giuridicamente riferibile” in altro modo e in altre fattispecie. La Corte di Cassazione ha interpretato e applicato la nozione di riferibilità giuridica della produzione di rifiuti con riferimento all’organizzazione aziendale interna, così da asserire che il legale rappresentante di un’impresa sia da ritenersi produttore dei rifiuti originati nell’esercizio di tale impresa e che su costui gravino gli obblighi e le responsabilità per la corretta gestione dei rifiuti medesimi ai sensi dell’art. 188 D.Lvo n. 152/06[15], ivi incluso l’obbligo di impedire l’inosservanza delle norme ambientali da parte dai suoi dipendenti o altri sottoposti o delegati (eventualmente produttori dei rifiuti in senso materiale), che egli è perciò tenuto a vigilare.

 

Come risulta evidente, la locuzione “giuridicamente riferibile” è quindi suscettibile di trovare molteplici e soprattutto indeterminate soluzioni interpretativo-applicative, creando il rischio di un’assoluta incertezza in ordine all’individuazione dei soggetti sui quali gravano responsabilità ed obblighi, la cui violazione integra per lo più illeciti penali, per i quali è inoltre prevista la responsabilità degli enti e delle società coinvolte ai sensi del D.Lvo 8 giugno 2001, n. 231.

In particolare, lasciando impregiudicata la questione, comunque non di poco conto, relativa al corretto svolgimento degli adempimenti documentali (registro c/s e MUD) nei casi in cui vi sia una pluralità di soggetti qualificabili come produttori dei rifiuti e pertanto obbligati all’assolvimento di detti adempimenti[16], preme osservare che la nozione di riferibilità giuridica non può essere intesa, come invece la sua formulazione letterale potrebbe consentire, nel senso di assumere tra i c.d. “produttori giuridici di rifiuti” qualsiasi soggetto su incarico o decisione del quale o nel cui interesse sia stata realizzata l’attività materiale produttrice dei rifiuti.

 

E’ innegabile come una simile deriva estensiva finisca per gravare dell’obbligo di intervenire nella gestione soggetti che non hanno alcuna contezza della composizione e dell’origine del rifiuto, necessaria per un’appropriata classificazione del medesimo e a sua volta indispensabile per una corretta filiera di gestione del rifiuto, con intuibili effetti negativi in primis sul bene giuridico dell’ambiente in nome della cui tutela si propugna la moltiplicazione dei soggetti da qualificarsi produttori dei rifiuti.

 

A tale censurabile operazione interpretativa osta un’ altra serie di considerazioni.

Le modifiche apportate dalla novella del 2015 hanno interessato non solo la definizione di produttore iniziale, ma anche la definizione di deposito temporaneo di cui all’art. 183 comma 1 lett. bb), in virtù della quale il luogo di produzione dei rifiuti è ora “da intendersi quale l’intera area in cui si svolge l’attività che ha determinato la produzione dei rifiuti”.

Leggendo l’inciso normativo soprariportato in combinato con la tesi interpretativa in commento, secondo cui produttore dei rifiuti è “colui al quale è riferibile l’attività giuridica e quindi qualsiasi intervento che determina in concreto la produzione di rifiuti”, dovrebbe concludersi, com’era nelle intenzioni dei redattori della novella 2015 con riferimento al caso Fincantieri, che il raggruppamento dei rifiuti effettuato non presso il luogo esatto in cui l’appaltatore esegue la propria attività materiale e di sua disponibilità, ma presso altro luogo, comunque prossimo, in disponibilità del soggetto committente, costituisca comunque un deposito temporaneo e non un’operazione di stoccaggio, poiché anche quest’ultimo luogo dovrebbe considerarsi luogo in cui si svolge l’attività che determina la produzione dei rifiuti, ossia l’attività del produttore c.d. in senso giuridico, il committente.

A tale ricostruzione si oppone il dato letterale degli articoli 230[17] e 266 comma 4[18] del D.Lvo n. 152/06, i quali disciplinano proprio l’ipotesi classica di lavori svolti su committenza, ossia i lavori di manutenzione.

Le suddette norme prevedono un regime eccezionale di favore in ordine all’individuazione del luogo di produzione, nel quale poter effettuare il deposito temporaneo, proprio al fine di ovviare al problema dell’assenza di spazi in disponibilità del manutentore nel contesto fisico-spaziale in cui esegue la propria opera, nell’evidente presupposto dell’impossibilità di considerare deposito temporaneo (e pertanto effettuato presso il luogo in cui si svolge l’attività che ha determinato la produzione dei rifiuti) il raggruppamento dei medesimi allestito presso gli spazi del committente.

 

5. Conclusioni

 

Alla luce delle considerazioni suesposte, deve quindi auspicarsi, a parere degli scriventi, che la giurisprudenza riconfermi la sua recente posizione interpretativa, attribuendo la qualifica di produttore di rifiuti e i relativi obblighi esclusivamente al soggetto che produce materialmente i rifiuti, sia per responsabilizzare opportunamente il soggetto che più degli altri è in grado di gestire in modo ottimale il rifiuto prodotto, sia d’altra parte per non gravare di obblighi, il cui inadempimento ne determina la penale responsabilità, soggetti – i quali ovviamente dovranno provare di non essere in nessun caso ritenuti co-responsabili di eventuali comportamenti illegittimi del produttore materiale – che spesso non hanno in concreto la possibilità materiale – e nemmeno le competenze – di intervenire e assicurare la corretta gestione dei rifiuti, in contrasto con il principio di personalità di cui all’art. 27 comma 1 Costituzione, il quale inoltre impone che i soggetti destinatari di obblighi presidiati con sanzione penale siano preventivamente individuabili in modo chiaro e preciso.

 

 

Piacenza, 7 maggio 2019

 

[1] Art. 178 D.Lvo n. 152/06 – (Principi). 1. La gestione dei rifiuti è effettuata conformemente ai principi di precauzione, di prevenzione, di sostenibilità, di proporzionalità, di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti, nonché del principio chi inquina paga. A tale fine la gestione dei rifiuti è effettuata secondo criteri di efficacia, efficienza, economicità, trasparenza, fattibilità tecnica ed economica, nonché nel rispetto delle norme vigenti in materia di partecipazione e di accesso alle informazioni ambientali.
A riguardo S. MAGLIA, Esiste un principio di “co-responsabilità” nella gestione dei rifiuti ?, in www.tuttoambiente.it

 

[2] Sul punto sia consentito rinviare alle considerazioni espresse, all’indomani della novella legislativa, in S. MAGLIA, Ferragosto: vietato distrarsi! Le novità della L. 125/15 su classificazione rifiuti, produttore e deposito temporaneo, in www.tuttoambiente.it.
Del medesimo avviso, tra gli altri, si vedano anche D. ROETTGEN – P. LEPORE, La nozione di ‘‘produttore iniziale di rifiuti’’cambia?,in Ambiente & Sviluppo, 11/12-2015, 628; F. PERES, Nuova nozione di produttore di rifiuti prime riflessioni dopo la riforma, in Ambiente & Sicurezza, 21/2015, 68.

 

[3] Cass. Pen., sez. III, n. 11209 del 16 marzo 2015, Pres. Squassoni, Rel. Ramacci.

 

[4] Cass. Pen., sez. III, n. 223 del 9 gennaio 2018, Pres. Savani, Rel. Gentile; Cass. Pen., sez. III, n, 1581 del 16 gennaio 2018, Pres. Savani, Rel. Di Stati; Cass. Pen., sez. III, n. 19152 del 4 maggio 2018, Pres. Di Nicola, Rel. Gentili; Cass. Pen., sez. III, n. 43160 del 1° ottobre 2018, Pres. Lapalorcia, Rel. Liberati. Per un approfondimento si veda L. MAESTRI, La gestione dei rifiuti tra committenti, appaltatori e sub-appaltatori, in www.tuttoambiente.it

 

[5] Cass. Pen., sez. IV, n. 12876 del 25 marzo 2019, Pres. Ciampi, Rel. Ferranti.

 

[6] Ex multis: Cass. Pen., sez. III, n. 29727 dell’11 luglio 2013; Cass. Sez. III n. 18030 del 11 maggio 2007.

 

[7] Art. 110 cod. pen. – (Pena per coloro che concorrono nel reato). Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, salve le disposizioni degli articoli seguenti.

 

[8] Cass. Pen. sez. III, n. 48016 del 20 novembre 2014, Pres. Mannino, Rel. Orilia, proprio con riferimento a una vicenda relativa alla gestione di una discarica abusiva di rifiuti, ha ribadito “il principio secondo cui la cooperazione, benché dalla legge espressamente prevista per i delitti colposi, è riferibile anche alle contravvenzioni”.
Art. 113 cod. pen. – (Cooperazione nel delitto colposo).1. Nel delitto colposo, quando l’evento è stato cagionato dalla cooperazione di più persone, ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite per il delitto stesso.

 

[9] Art. 256 D.Lvo n. 152/06 – (Attività di gestione di rifiuti non autorizzata). 1. Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell’articolo 29-quattuordecies, comma 1, chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 è punito:
a) con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi;
b) con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti pericolosi […].

 

[10] Cass. Pen., sez. III, n. 19152 del 4 maggio 2018, Pres. Di Nicola, Rel. Gentili

 

[11] Sul punto si rinvia a quanto già detto in L. MAESTRI, La gestione dei rifiuti tra committenti, appaltatori e sub-appaltatori, in www.tuttoambiente.it,: “il committente vanta, per legge, solamente il diritto di controllare lo svolgimento dei lavori, e di verificarne, a proprie spese, lo stato (art. 1662 del codice civile); viceversa, l’appaltatore esegue l’opera commessagli con mezzi propri. E’, quindi, lo stesso contratto di appalto a non contemplare ingerenze da parte del committente nelle attività dell’appaltatore, essendo improntato all’autonomia gestionale di quest’ultimo […]. Il committente che, invece, assume un maggiore (nonché atipico) grado di coinvolgimento e partecipazione nell’esecuzione dell’opera o servizio appaltato, ne assume anche le obbligazioni connesse, tra cui figura la corretta gestione dei rifiuti prodotti”.

 

[12] Cass. Pen., sez. III, n. 4957 del 21 gennaio 2000, Pres. La Cava, Rel. Novarese, Ric. Rigotti in Foro It., 2000, II, 700.

 

[13] La sentenza di cui alla nota precedente afferma che “secondo quanto esattamente notato nell’impugnata sentenza, si è in presenza di rifiuti propri di tutte e tre le imprese coinvolte, poiché “provenienti dalla demolizione di quella costruzione al posto della quale doveva essere edificato, in nome e nell’interesse della M. [legale rappresentante dell’impresa committente] e del T. [legale rappresentante dell’impresa proprietaria del terreno], un nuovo edificio commerciale”, la cui edificazione era stata affidata all’impresa edile R”.

 

[14] E, in particolare, le sentenze Cass. Pen., sez. III, n. 137 del 9 gennaio 2007, Pres. Lupo, Rel. Teresi con commento di S. MAGLIA, Qual è l’orientamento giurisprudenziale in merito alla individuazione del produttore? in www.tuttoambiente.it; Cass. Pen. sez. III, n. 6443 dell’11 febbraio 2008, Pres. Grassi Rel. Teresi; Cass. Pen., sez. III, n. 19332 dell’8 maggio 2009, Pres. Onorato, Rel. Teresi; Cass. Pen., sez. III, n. 22765 del 15 giugno 2010, Pres. Onorato, Rel. Teresi.

 

[15] Art. 188 D.Lvo n. 152/06 – (Oneri dei produttori e dei detentori).1. Gli oneri relativi alle attività di smaltimento sono a carico del detentore che consegna i rifiuti ad un raccoglitore autorizzato o ad un soggetto che effettua le operazioni di smaltimento, nonché dei precedenti detentori o del produttore dei rifiuti.
1-bis. Il produttore iniziale o altro detentore dei rifiuti di rame o di metalli ferrosi e non ferrosi che non provvede direttamente al loro trattamento deve consegnarli […].
Il produttore o detentore dei rifiuti speciali assolve i propri obblighi con le seguenti priorità:
a) autosmaltimento dei rifiuti;
b) conferimento dei rifiuti a terzi autorizzati ai sensi delle disposizioni vigenti;
c) conferimento dei rifiuti ai soggetti che gestiscono il servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani, con i quali sia stata stipulata apposita convenzione;
d) utilizzazione del trasporto ferroviario di rifiuti pericolosi per distanze superiori a trecentocinquanta chilometri e quantità eccedenti le venticinque tonnellate;
e) esportazione dei rifiuti con le modalità previste dall’articolo 194.
La responsabilità del detentore per il corretto recupero o smaltimento dei rifiuti è esclusa:
a) in caso di conferimento dei rifiuti al servizio pubblico di raccolta;
b) in caso di conferimento dei rifiuti a soggetti autorizzati alle attività di recupero o di smaltimento, a condizione che il detentore abbia ricevuto il formulario di cui all’articolo 193 […]”.

 

[16] In argomento P. FICCO, Produttore: il committente deve vigilare e verificare anche in caso di subappalto, in Rifiuti – Bollettino di informazione normativa, n. 2/2018; G. TAPETTO, Considerazioni sulla nuova definizione di produttore di rifiuti e sulle conseguenze applicative, 3 novembre 2015, in ambientediritto.it.

 

[17] Art. 230 D.Lvo n. 152/06 – (Rifiuti derivanti da attività di manutenzione delle infrastrutture).1. Il luogo di produzione dei rifiuti derivanti da attività di manutenzione alle infrastrutture, effettuata direttamente dal gestore dell’infrastruttura a rete e degli impianti per l’erogazione di forniture e servizi di interesse pubblico o tramite terzi, può coincidere con la sede del cantiere che gestisce l’attività manutentiva o con la sede locale del gestore della infrastruttura nelle cui competenze rientra il tratto di infrastruttura interessata dai lavori di manutenzione ovvero con il luogo di concentramento dove il materiale tolto d’opera viene trasportato per la successiva valutazione tecnica, finalizzata all’individuazione del materiale effettivamente, direttamente ed oggettivamente riutilizzabile, senza essere sottoposto ad alcun trattamento […].

 

[18] Art. 266 D.Lvo n. 152/06 – (Disposizioni finali). […] 4. I rifiuti provenienti da attività di manutenzione o assistenza sanitaria si considerano prodotti presso la sede o il domicilio del soggetto che svolge tali attività.

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