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"Mi occupo di diritto ambientale da oltre trent’anni TuttoAmbiente è la guida più autorevole per la formazione e la consulenza ambientale Conta su di noi" Stefano Maglia
La Regione Campania, sul bollettino ufficiale n. 24 del 7 maggio 2013, ha pubblicato la Legge regionale n. 5 del 6 maggio 2013 recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2013 e pluriennale 2013 – 2015 della regione Campania (Legge finanziaria regionale 2013)”. Tale legge, all’art. 1 c. 104, ha riportato l’attenzione su una tematica fondamentale per il settore agroalimentare purtroppo mai definitivamente chiarita dal nostro ordinamento: il terriccio ottenuto dal lavaggio dei prodotti eduli è rifiuto o non rifiuto? L’art. 1 c. 104 detta, infatti: “Il terriccio ottenuto dal lavaggio dei pomodori che non deriva dal procedimento industriale di lavorazione del pomodoro e che non subisce alcun tipo di trattamento è classificato come rifiuto recuperabile con codice CER 02.03.01 e può essere utilizzato nelle operazioni di ricomposizione ambientale delle cave secondo le modalità stabilite con deliberazione della Giunta regionale e previa autorizzazione delle competenti strutture regionali che verificano l’idoneità degli impianti di lavaggio e degli adiacenti siti di essiccamento del terriccio.” I prodotti eduli conferiti alle aziende agroalimentari, infatti, giungono sporchi di terre e fogliame perciò la prima azione che l’azienda del settore compie, è proprio quella di lavare il prodotto. Il nostro ordinamento iniziò ad affrontare detto tema con il Decreto Ronchi, il D.Lgs 22/1997, che all’art. 8 c. 1 lett. c) stabiliva come le terre da coltivazione provenienti dalla pulizia dei prodotti vegetali eduli fossero escluse dalla disciplina sui rifiuti. Perciò, come la logica raccomanderebbe, se il lavaggio in questione trattava solo terre e fogliame non erano richiesti tutti gli adempimenti propri della gestione dei rifiuti: registro carico/scarico, formulario di trasporto, mud, ecc.. Nel 2006 però, con l’entrata in vigore del T.U.A., mutò la posizione del nostro Ordinamento. Il D. Lgs 152/2006, infatti, all’art. 185 c. 2, prevedeva che: i materiali litoidi o le terre da coltivazione, anche sotto forma di fanghi, provenienti dalla pulizia o dal lavaggio di prodotti agricoli, potessero rientrare tra i sottoprodotti solo se rispettavano le condizioni dettate dall’art. 183 c. 1, lett. p) dello stesso D.L.gs 152/2006. Da un regime, quindi, che escludeva in toto l’inclusione nella gestione dei rifiuti, si passò alla previsione, più restrittiva, di una possibilità che il terriccio ottenuto dal lavaggio dei prodotti eduli potesse rientrare nei sottoprodotti. Al silenzio del D.L. 171/2008 recante “Misure urgenti per il rilancio competitivo del settore agroalimentare” che nulla aggiunse a riguardo, si dovette aggiungere il D. Lvo 3 dicembre 2010 n. 205 che con gli artt. 10 e 13 sostituì, rispettivamente, gli artt. 183 e 185 del D. Lgs 152/2006 andando ad eliminare quanto di poco si dettava in tema dei materiali provenienti dalla pulizia di prodotti vegetali. Sempre il D. Lvo 205/2010 però, con l’art. 12, riscrisse le condizioni affinché una sostanza o oggetto venisse considerato sottoprodotto invece di rifiuto andando ad inserire il 184-bis nel D. Lgs 152/2006. Nel rispetto delle condizioni previste da questa norma, nulla impedirebbe ai materiali provenienti dalla pulizia dei vegetali di essere classificati come sottoprodotti. Eccezioni, però, potrebbero essere sollevate alla lettura del DM 5 febbraio 1998 dove, al punto 7.31 detta: “7.31. Tipologia: terre da coltivo, derivanti da pulizia di materiali vegetali eduli e dalla battitura della lana sucida [020199] [020401].
7.31.1. Provenienza: industria agroalimentare in genere e industria laniera.
7.31.2. Caratteristiche del rifiuto: rifiuto costituito da terriccio con eventuali parti vegetali e sostanze organiche, parti di fibra di lana.
7.31.3. Attività di recupero:
a) industria della ceramica e dei laterizi [R5];
b) utilizzo per recuperi ambientali (il recupero è subordinato all’esecuzione del test di cessione sul rifiuto tal quale secondo il metodo in allegato 3 al presente decreto ad esclusione del parametro COD) [R10];
c) formazione di rilevati e sottofondi stradali (il recupero è subordinato all’esecuzione del test di cessione sul rifiuto tal quale secondo il metodo in allegato 3 al presente decreto ad esclusione del parametro COD) [R5].
7.31.4. Caratteristiche delle materie prime e/o dei prodotti ottenuti: prodotti ceramici e/o laterizi nelle forme usualmente commercializzate”. Il DM sopra riportato, contrariamente a quanto potrebbe apparire a una prima lettura, aiuta però a chiarire la posizione giuridica del terriccio ottenuto dal lavaggio dei prodotti eduli. Non è infatti inconciliabile la possibilità che le terre da coltivazione possano sia esser considerate sottoprodotti che rifiuti. Il decreto, infatti, nel dettare quanto sopra riportato fa strada a un’interpretazione che consente, guardando la finalità dell’operazione, di individuare lo status giuridico del terriccio. Tali terre, quindi, rispettando l’art. 184-bis del D. Lgs 152/2006 possono essere considerate sottoprodotti e riutilizzate nelle normali pratiche agricole e di conduzione dei fondi ma, qualora s’intendesse recuperarle indirizzandole ad attività di recupero nell’industria della ceramica o dei laterizi (come previsto dal punto 7.31.3 del DM 5 febbraio 1998) sono assoggettate alla disciplina di rifiuti non pericolosi destinati alle procedure semplificate di recupero. Ad avvalorare questa linea interpretativa vi è la Circolare 2/8/1999 della Regione Emila Romagna che, ripresa dalla sentenza n. 433 dell’1 agosto 2007 del TAR Emilia Romagna, Parma Sez. I, esclude che il terriccio e le calci che residuano dalla lavorazione delle barbabietole da zucchero costituiscano rifiuti da assoggettare alla disciplina del D. Lgs 22/1997 artt. 14 e 15 ma, come ribadisce anche la nota 28/12/2004 del Servizio Agricoltura, Alimentazione, Sviluppo Rurale, Montagna e Forestazione della Provincia di Parma, tali materiali costituiscono un’importante risorsa da non dissipare avendo le terre di restituzione la composizione di un terreno più fertile di quello di provenienza. Tornando alla legge regionale della Regione Campania n. 5 del 6 maggio 2013, e l’art. 1 comma 104 da essa dettato, che ha riportato la nostra attenzione su questo tema,è pertanto anch’essa coerente alla linea interpretativa qui sopra descritta. Tale legge, nel rispetto delle condizioni elencate all’art. 184-bis del D. Lgs 152/2006, stabilisce come sia rifiuto recuperabile con codice CER 02.03.01 il terriccio ottenuto dal lavaggio dei pomodori che non deriva da procedimento industriale di lavorazione del pomodoro e che non subisce alcun tipo di trattamento. Perciò, coerentemente a quanto sopra riportato, si ribadisce come il terriccio ottenuto dal lavaggio dei pomodori che deriva dal procedimento industriale di lavorazione del pomodoro non è rifiuto recuperabile, ma potrebbe essere gestito, se ricorrono le necessarie condizioni, quale sottoprodotto.
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Pulizia di prodotti eduli: rifiuto o non rifiuto?
di Stefano Maglia, Alessandro Fummi
La Regione Campania, sul bollettino ufficiale n. 24 del 7 maggio 2013, ha pubblicato la Legge regionale n. 5 del 6 maggio 2013 recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2013 e pluriennale 2013 – 2015 della regione Campania (Legge finanziaria regionale 2013)”. Tale legge, all’art. 1 c. 104, ha riportato l’attenzione su una tematica fondamentale per il settore agroalimentare purtroppo mai definitivamente chiarita dal nostro ordinamento: il terriccio ottenuto dal lavaggio dei prodotti eduli è rifiuto o non rifiuto?
L’art. 1 c. 104 detta, infatti: “Il terriccio ottenuto dal lavaggio dei pomodori che non deriva dal procedimento industriale di lavorazione del pomodoro e che non subisce alcun tipo di trattamento è classificato come rifiuto recuperabile con codice CER 02.03.01 e può essere utilizzato nelle operazioni di ricomposizione ambientale delle cave secondo le modalità stabilite con deliberazione della Giunta regionale e previa autorizzazione delle competenti strutture regionali che verificano l’idoneità degli impianti di lavaggio e degli adiacenti siti di essiccamento del terriccio.”
I prodotti eduli conferiti alle aziende agroalimentari, infatti, giungono sporchi di terre e fogliame perciò la prima azione che l’azienda del settore compie, è proprio quella di lavare il prodotto.
Il nostro ordinamento iniziò ad affrontare detto tema con il Decreto Ronchi, il D.Lgs 22/1997, che all’art. 8 c. 1 lett. c) stabiliva come le terre da coltivazione provenienti dalla pulizia dei prodotti vegetali eduli fossero escluse dalla disciplina sui rifiuti.
Perciò, come la logica raccomanderebbe, se il lavaggio in questione trattava solo terre e fogliame non erano richiesti tutti gli adempimenti propri della gestione dei rifiuti: registro carico/scarico, formulario di trasporto, mud, ecc..
Nel 2006 però, con l’entrata in vigore del T.U.A., mutò la posizione del nostro Ordinamento. Il D. Lgs 152/2006, infatti, all’art. 185 c. 2, prevedeva che: i materiali litoidi o le terre da coltivazione, anche sotto forma di fanghi, provenienti dalla pulizia o dal lavaggio di prodotti agricoli, potessero rientrare tra i sottoprodotti solo se rispettavano le condizioni dettate dall’art. 183 c. 1, lett. p) dello stesso D.L.gs 152/2006.
Da un regime, quindi, che escludeva in toto l’inclusione nella gestione dei rifiuti, si passò alla previsione, più restrittiva, di una possibilità che il terriccio ottenuto dal lavaggio dei prodotti eduli potesse rientrare nei sottoprodotti.
Al silenzio del D.L. 171/2008 recante “Misure urgenti per il rilancio competitivo del settore agroalimentare” che nulla aggiunse a riguardo, si dovette aggiungere il D. Lvo 3 dicembre 2010 n. 205 che con gli artt. 10 e 13 sostituì, rispettivamente, gli artt. 183 e 185 del D. Lgs 152/2006 andando ad eliminare quanto di poco si dettava in tema dei materiali provenienti dalla pulizia di prodotti vegetali.
Sempre il D. Lvo 205/2010 però, con l’art. 12, riscrisse le condizioni affinché una sostanza o oggetto venisse considerato sottoprodotto invece di rifiuto andando ad inserire il 184-bis nel D. Lgs 152/2006. Nel rispetto delle condizioni previste da questa norma, nulla impedirebbe ai materiali provenienti dalla pulizia dei vegetali di essere classificati come sottoprodotti.
Eccezioni, però, potrebbero essere sollevate alla lettura del DM 5 febbraio 1998 dove, al punto 7.31 detta:
“7.31. Tipologia: terre da coltivo, derivanti da pulizia di materiali vegetali eduli e dalla battitura della lana sucida [020199] [020401].
7.31.1. Provenienza: industria agroalimentare in genere e industria laniera.
7.31.2. Caratteristiche del rifiuto: rifiuto costituito da terriccio con eventuali parti vegetali e sostanze organiche, parti di fibra di lana.
7.31.3. Attività di recupero:
a) industria della ceramica e dei laterizi [R5];
b) utilizzo per recuperi ambientali (il recupero è subordinato all’esecuzione del test di cessione sul rifiuto tal quale secondo il metodo in allegato 3 al presente decreto ad esclusione del parametro COD) [R10];
c) formazione di rilevati e sottofondi stradali (il recupero è subordinato all’esecuzione del test di cessione sul rifiuto tal quale secondo il metodo in allegato 3 al presente decreto ad esclusione del parametro COD) [R5].
7.31.4. Caratteristiche delle materie prime e/o dei prodotti ottenuti: prodotti ceramici e/o laterizi nelle forme usualmente commercializzate”.
Il DM sopra riportato, contrariamente a quanto potrebbe apparire a una prima lettura, aiuta però a chiarire la posizione giuridica del terriccio ottenuto dal lavaggio dei prodotti eduli.
Non è infatti inconciliabile la possibilità che le terre da coltivazione possano sia esser considerate sottoprodotti che rifiuti. Il decreto, infatti, nel dettare quanto sopra riportato fa strada a un’interpretazione che consente, guardando la finalità dell’operazione, di individuare lo status giuridico del terriccio. Tali terre, quindi, rispettando l’art. 184-bis del D. Lgs 152/2006 possono essere considerate sottoprodotti e riutilizzate nelle normali pratiche agricole e di conduzione dei fondi ma, qualora s’intendesse recuperarle indirizzandole ad attività di recupero nell’industria della ceramica o dei laterizi (come previsto dal punto 7.31.3 del DM 5 febbraio 1998) sono assoggettate alla disciplina di rifiuti non pericolosi destinati alle procedure semplificate di recupero.
Ad avvalorare questa linea interpretativa vi è la Circolare 2/8/1999 della Regione Emila Romagna che, ripresa dalla sentenza n. 433 dell’1 agosto 2007 del TAR Emilia Romagna, Parma Sez. I, esclude che il terriccio e le calci che residuano dalla lavorazione delle barbabietole da zucchero costituiscano rifiuti da assoggettare alla disciplina del D. Lgs 22/1997 artt. 14 e 15 ma, come ribadisce anche la nota 28/12/2004 del Servizio Agricoltura, Alimentazione, Sviluppo Rurale, Montagna e Forestazione della Provincia di Parma, tali materiali costituiscono un’importante risorsa da non dissipare avendo le terre di restituzione la composizione di un terreno più fertile di quello di provenienza.
Tornando alla legge regionale della Regione Campania n. 5 del 6 maggio 2013, e l’art. 1 comma 104 da essa dettato, che ha riportato la nostra attenzione su questo tema, è pertanto anch’essa coerente alla linea interpretativa qui sopra descritta.
Tale legge, nel rispetto delle condizioni elencate all’art. 184-bis del D. Lgs 152/2006, stabilisce come sia rifiuto recuperabile con codice CER 02.03.01 il terriccio ottenuto dal lavaggio dei pomodori che non deriva da procedimento industriale di lavorazione del pomodoro e che non subisce alcun tipo di trattamento. Perciò, coerentemente a quanto sopra riportato, si ribadisce come il terriccio ottenuto dal lavaggio dei pomodori che deriva dal procedimento industriale di lavorazione del pomodoro non è rifiuto recuperabile, ma potrebbe essere gestito, se ricorrono le necessarie condizioni, quale sottoprodotto.
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