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Stefano Maglia

Quali sono i trattamenti in base ai quali un rifiuto cessa di essere tale?

di Stefano Maglia

Categoria: Rifiuti

L’art. 184 ter, c. 1, TUA dispone che: “un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero (…), e soddisfi i criteri specifici”; al comma successivo chiarisce che “i criteri di cui al comma 1 sono adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero, in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare”, al riguardo si segnala che, ad oggi, l’unico provvedimento in tal senso adottato è il Regolamento (UE) n. 333/2011 (in vigore dal 9 ottobre 2011) che stabilisce i criteri in base ai quali i rottami metallici cessano di essere rifiuti.
Infine, dalla lettura del comma 3 si evince che “nelle more dell’adozione di uno o più decreti di cui al comma 2, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui ai decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio in data 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269 (…)”.
Quest’ultima previsione produce una notevole confusione: richiamando soltanto i decreti che descrivono i principi e le condizioni per l’ottenimento di autorizzazioni di recupero in forma semplificata, da una superficiale lettura si potrebbe erroneamente ritenere che, ad oggi, le uniche disposizioni che possono identificare i criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto sono quelle di cui ai decreti relativi a queste specifiche procedure, escludendo di fatto la possibilità che da un’operazione di recupero ordinaria possa derivare la cessazione della qualifica di rifiuto.
A che risulti, a tale conclusione – non conforme, né alla ratio, né al contenuto della corrispondente norma europea – sono giunte alcune Amministrazioni, rendendo di fatto inutilizzabili tutte le attuali autorizzazioni rilasciate in “ordinaria”.
In primo luogo, infatti, occorre evidenziare il ruolo sussidiario che la norma in commento assegna al Ministero dell’Ambiente nell’emanazione dei criteri in parola: questi infatti potrà intervenire solo in assenza di criteri di matrice comunitaria e per particolari tipologie di rifiuti.
Non va sottaciuto nemmeno il fatto che si sta nuovamente verificando quanto già accaduto per le materie prime secondarie, ed è appena il caso di sottolineare che le MPS sono state definite “un sistema ante litteram di end of waste”. Tale risultato, già allora aspramente criticato, è oggi tanto più inaccettabile ove si consideri che la nuova definizione di recupero, come detto, implica un rapporto più libero e collaborativo tra aziende e Pubbliche amministrazioni, con maggiori margini di libertà durante la fase delle trattative e della concessione delle autorizzazioni per le attività di recupero.
Pertanto, per evitare tale inammissibile conclusione la norma in esame dovrebbe leggersi come segue “nelle more dell’adozione di uno o più decreti di cui al comma 2, continuano ad applicarsi [anche] le disposizioni di cui ai decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio in data 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269 e l’art. 9 bis, lett. a) e b), del D.L. 6 novembre 2008, n. 172, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2008, n. 210”.

*Tratto da “La gestione dei rifiuti dalla A alla Z, III ed – 350 problemi, 350 soluzioni“, Stefano Maglia, 2012.

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