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Stefano Maglia

Questione fanghi in agricoltura dopo il D.L. Morandi: emergenza risolta?

di Stefano Maglia, Linda Maestri

Categoria: Rifiuti

Non c’è pace per i fanghi. Tenendo sempre come riferimento due contributi approfonditi sul tema (“Emergenza fanghi: dalle puntate precedenti alle prospettive future” e “Fanghi da depurazione in agricoltura: quale normativa si applica?”) è ora il caso di chiedersi quale sia la reale portata applicativa della “norma tampone” contenuta nel decreto legge 28 settembre 2018, n. 109 (cd. Decreto Ponte Morandi, o D.L. Emergenze), in vigore dal 29 settembre 2018.

 

Ci occupiamo, quindi, delle “disposizioni urgenti sulla gestione dei fanghi di depurazione” previste dall’art. 41:

Al fine di superare situazioni di criticità nella gestione dei fanghi di depurazione, nelle more di una revisione organica della normativa di settore, continuano a valere, ai fini dell’utilizzo in agricoltura dei fanghi di cui all’articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, i limiti dell’Allegato IB del predetto decreto, fatta eccezione per gli idrocarburi (C10-C40), per i quali il limite è: ≤ 1.000 (mg/kg tal quale). Ai fini della presente disposizione, per il parametro idrocarburi C10-C40, il limite di 1000 mg/kg tal quale si intende comunque rispettato se la ricerca dei marker di cancerogenicità fornisce valori inferiori a quelli definiti ai sensi della nota L, contenuta nell’allegato VI del regolamento (CE) n. 1272/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, richiamata nella decisione 955/2014/UE della Commissione del 16 dicembre 2008”.

 

Preliminare, per ragioni di chiarezza e semplificazione, è l’inquadramento del concetto di fanghi, di cui al citato D.L.vo 99/1992[1]. Per fanghi devono, infatti, intendersi i residui derivanti dai processi di depurazione delle acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti civili, delle acque reflue provenienti da insediamenti civili e produttivi, e delle acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti produttivi (art. 2). E’ opportuno chiarire che relativamente al concetto di insediamenti civili il decreto 99/1992, richiamato dall’art. 41 del D.L. Morandi in commento, fa riferimento alla legge 670/1976[2], abrogata dal D.L.vo 152/1999[3], a sua volta abrogato dal D.L.vo 152/2006[4].

Sul concetto di insediamento civile il Comitato dei Ministri ha precisato, nella Circolare del 29 dicembre 1976[5], che il legislatore definisce come tale uno o più edifici o installazioni, collegati tra di loro in una area determinata dalla quale abbiano origine uno o più scarichi terminali. “La identificazione – si legge nella circolare – viene effettuata in riferimento al fine cui sono adibiti detti complessi e precisamente se ad abitazione o allo svolgimento di attività alberghiera, turistica, sportiva, ricreativa, scolastica, sanitaria. Inoltre, vengono qualificati come insediamenti civili tutti quelli adibiti allo svolgimento di attività non comprese tra le precedenti, che si riferiscono a prestazioni di servizi. Tali sono, ad esempio, quelli attinenti all’igiene ed all’estetica (laboratori di parrucchiere e barbiere, istituti di bellezza) alla lavoratura, tintura e stiratura, allo incenerimento e trasformazione biologica delle immondizie, eccetera. Vengono ancora configurati come insediamenti civili quelli in cui si esercita ogni altra attività, anche compresa tra quelle di cui alla lettera a), che abbia, in via esclusiva, scarichi terminali assimilabili (in riferimento all’attività svolta ed al carico inquinante) a quelli provenienti da insediamenti abitativi (panifici, biscottifici, impianti idroelettrici, attività commerciali, magazzini di custodia e deposito merci, eccetera) […] Qualora gli edifici destinati ad abitazione, ancorché compresi nel perimetro del complesso industriale, siano dotati di propri scarichi terminali, distinti da quelli industriali, gli stessi non rientrano tra gli insediamenti produttivi, ma tra quelli civili”.

Pur occupandosi, la Circolare, di una norma abrogata, la portata di quanto sopra ha, comunque, importante valore interpretativo.

Appare chiaro che, nel caso di fanghi derivanti da agglomerati, e quindi contenenti sia acque reflue di natura domestica che industriale, che confluiscono ad un unico impianto di trattamento di acque reflue urbane (identificati come fanghi provenienti dalla depurazione di acque reflue urbane), è ipotizzabile l’utilizzo in agricoltura ai sensi del decreto 99/1992, che, peraltro, disciplina esclusivamente l’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura[6]. Precisamente, l’utilizzo in agricoltura è ammesso se i fanghi:

  1. sono stati sottoposti a trattamento (trattamento biologico, chimico o termico, a deposito a lungo termine ovvero ad altro opportuno procedimento, in modo da ridurre in maniera rilevante il loro potere fermentescibile e gli inconvenienti sanitari della loro utilizzazione, art. 2),
  2. sono idonei a produrre un effetto concimante e/o ammendante e correttivo del terreno,
  3. non contengono sostanze tossiche e nocive e/o persistenti, e/o biodegradabili in concentrazioni dannose per il terreno, per le colture, per gli animali, per l’uomo e per l’ambiente in generale,
  4. la concentrazione di uno o più metalli pesanti nel suolo non superi i valori limite fissati nell’Allegato IA,
  5. al momento del loro impiego in agricoltura, non superino i valori limite per le concentrazioni di metalli pesanti e di altri parametri stabiliti nell’Allegato IB.

 

 

Secondariamente, si osserva quanto segue relativamente al fatto che, ai sensi dell’art. 41 in commento, il limite di 1 g/kg per gli idrocarburi C10-C40 si intende rispettato se la ricerca dei marker di cancerogenicità fornisce valori definiti nei seguenti termini:

Nota L del Regolamento CLP[7]:

La classificazione come cancerogeno non è necessaria se si può dimostrare che la sostanza contiene meno del 3 % di estratto di Dmso secondo la misurazione IP 346 «Determinazione dei policiclici aromatici negli oli di base inutilizzati lubrificanti e nelle frazioni di petrolio senza asfaltene — estrazione di dimetile sulfosside», Institute of Petroleum, Londra. La presente nota si applica soltanto a talune sostanze composte derivate dal petrolio contenute nella parte 3”.

 

Si tenga presente, peraltro, che la citata Decisione 955/2014/UE[8] precisa che le Note si applicano se del caso:

se del caso, al momento di stabilire le caratteristiche di pericolo dei rifiuti si possono prendere in considerazione le seguenti note contenute nell’allegato VI del regolamento (CE) n. 1272/2008:

— 1.1.3.1. Note relative all’identificazione, alla classificazione e all’etichettatura delle sostanze: note B, D, F, J, L, M, P, Q, R, e U”.

 

La domanda è: sarebbe questo il caso?

 

Di fatto si tratta di un problema tecnico relativo al metodo di determinazione di non poco conto, che allo stato attuale risulta essere stato sottoposto al Ministero.

La pericolosità dei materiali è data dal contenuto di sostanze, cosiddetti markers, presenti all’interno del rifiuto e non dal contenuto totale degli idrocarburi.

Per quanto riguarda la caratteristica di pericolo HP7 (cancerogeno), i markers da ricercare sono quelli specificati nelle note J, L, M, P, Q del predetto regolamento CLP, che variano in funzione della tipologia di idrocarburo esaminato. In caso di idrocarburi di origine non nota è fortemente consigliato ricercare tutti i parametri indicati nelle suddette note.

La prassi analitica prevede la ricerca degli idrocarburi totali, solo se la concentrazione di tali parametri eccede il valore 1000 mg/Kg occorrerà andare a ricercare i markers per escludere la caratteristica di pericolo HP7.

 

In sostanza, per applicare il predetto metodo IP 346 (Determinazione dei policiclici aromatici negli oli di base inutilizzati lubrificanti e nelle frazioni di petrolio senza asfaltene – Estrazione di dimetile sulfosside) occorrerebbe avere almeno 254 g di olio: 250 g per caratterizzare l’olio dal punto di vista dei “punti di ebollizione” e decidere, quindi, come procedere oltre, e 4g per fare l’estratto in DMSO (ossia il solvente che si utilizza per estrarre direttamente idrocarburi) vero e proprio. Assumendo che in un fango vi siano 1000 mg/kg di idrocarburi, per avere 254 g di olio bisognerebbe estrarre 254 kg di fango; facendo anche solo la parte dell’estrazione in DMSO (prevista solo quando non più del 5% delle componenti dell’olio bollono sotto i 300°C) bisognerebbe comunque estrarre 4 kg di fango.

Queste quantità valgono assumendo che i 1000 mg/kg ottenuti in Gascromatografia (GC)[9] si ottengano anche con la gravimetria necessaria per isolare l’olio dal fango: risultato non così scontato.

Peraltro, non sono chiare le conseguenze che deriverebbero dall’applicazione diretta dell’estrazione in DMSO al fango.

 

Mentre la questione rimane aperta, in attesa delle dovute precisazioni, quel che è certo – almeno – è che la norma di riferimento relativamente ai limiti da applicare ai fini dell’utilizzo in agricoltura dei fanghi da depurazione è il D.L.vo 99/1992.

Da ultimo si segnala, oltre all’intervento del Ministro dell’Ambiente, che dopo l’approvazione da parte della Camera, il 1° novembre, e del Senato, il 15 novembre, è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 19 novembre 2018 la Legge di conversione del D.L. in commento. Si tratta della Legge 130/2018, in vigore dal 20 novembre 2018.

Resta fermo, innanzitutto, che ai fini dell’utilizzo dei fanghi in agricoltura si applica la normativa di cui al D.L.vo 99/1992, precisamente i limiti dell’Allegato IB. Seguono una serie di eccezioni (idrocarburi (C10-C40), idrocarburi policiclici aromatici (IPA), policlorodibenzodiossine, policlorodibenzofurani (PCDD/PCDF), policlorobifenili (PCB), Toluene, Selenio, Berillio, Arsenico, Cromo totale e Cromo VI) e la precisazione che “per il parametro idrocarburi C10-C40, il limite di 1000 mg/kg tal quale si intende comunque rispettato se la ricerca dei marker di cancerogenicità fornisce valori inferiori a quelli definiti ai sensi della nota L, contenuta nell’allegato VI del regolamento (CE) n. 1272/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, richiamata nella decisione 955/2014/UE della Commissione del 16 dicembre 2008, come specificato nel parere dell’Istituto superiore di sanità protocollo n. 36565 del 5 luglio 2006, e successive modificazioni e integrazioni“.

Mentre, quindi, la legge di conversione ribadisce la predominanza del D.L.vo 99/1992, aggiunge anche che per gli idrocarburi pesanti (C10-C40) la ricerca dei marker di cancerogenicità tiene anche conto di quanto “specificato nel parere dell’Istituto superiore di sanità protocollo n. 36565 del 5 luglio 2006“.

 

Faremo il punto della situazione durante il Corso di Formazione “Fanghi da depurazione in agricoltura – Produzione, utilizzo, disciplina e controlli“, che si terrà a Bologna, il 30 gennaio 2018.

Per info: formazione@tuttoambiente.it – 0523.315305

 

 

 

[1] Decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, Attuazione della direttiva 86/278/CEE concernente la protezione dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura, pubblicato sulla GU n.38 del 15 febbraio 1992 – Suppl. Ordinario n. 28, in vigore dal 1° marzo 1992.

 

[2] Legge 8 ottobre 1976, n. 690, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 10 agosto 1976, n. 544, concernente proroga dei termini di cui agli articoli 15, 17 e 18 della legge 10 maggio 1976, n. 319, recante norme per la tutela delle acque dall’inquinamento, pubblicata sulla GU 9 ottobre 1976, n. 270.

 

[3] Decreto Legislativo 11 maggio 1999, n. 152, Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole”, a seguito delle disposizioni correttive ed integrative di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 258, pubblicato sulla GU n. 246 del 20 ottobre 2000 – Supplemento Ordinario n. 172.

 

[4] Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, Norme in materia ambientale, pubblicato sul Supplemento ordinario alla GU n. 88 del 14 aprile 2006, in vigore dal 29 aprile 2006.

 

[5] Applicazione delle leggi 10 maggio 1976, n. 319 e 8 ottobre 1976, n. 690:

http://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaArticolo?art.progressivo=0&art.idArticolo=1&art.versione=1&art.codiceRedazionale=081A7308&art.dataPubblicazioneGazzetta=1981-12-29&art.idGruppo=0&art.idSottoArticolo1=10&art.idSottoArticolo=1&art.flagTipoArticolo=2 .

 

[6] V. La disciplina dei fanghi di depurazione tra norme statali e regionali, in ARPA Rivista N. 3 maggio-giugno 2009.

 

[7] Regolamento (CE) n. 1272/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, relativo alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio delle sostanze e delle miscele che modifica e abroga le direttive 67/548/CEE e 1999/45/CE e che reca modifica al regolamento (CE) n. 1907/2006, pubblicato sulla GU UE L 353 del 31 dicembre 2008.

 

[8] Decisione della Commissione, del 18 dicembre 2014, che modifica la decisione 2000/532/CE relativa all’elenco dei rifiuti ai sensi della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, pubblicata sulla GU UE L 370 del 30 dicembre 2014.

 

[9] Permette la separazione di sostanze gassose o gassificabili variando la temperatura.

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