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"Mi occupo di diritto ambientale da oltre trent’anni TuttoAmbiente è la guida più autorevole per la formazione e la consulenza ambientale Conta su di noi" Stefano Maglia
Rassegna giurisprudenziale in materia di qualificazione della pollina
di Rita Tonoli
Categoria: Rifiuti
Un frequente interrogativo al quale i giudici sono stati più volte chiamati a fornire una risposta negli ultimi anni riguarda la corretta qualificazione della pollina: si tratta di un rifiuto o di un sottoprodotto? Uno spunto di riflessione in materia è stato offerto recentemente dal Tribunale Amministrativo della Lombardia (sentenza n. 498 del 8 aprile 2015): nel caso di specie furono sollevate delle criticità in merito alla realizzazione di un impianto di produzione di energia alimentato mediante la combustione della pollina acquistata da terzi. La spinosa questione attiene al fatto che se la pollina fosse un rifiuto, la combustione della stessa sarebbe vietata, ai sensi dell’art. 293, comma 1, del D.L.vo n. 152/2006, il quale consente, agli impianti che producono emissioni in atmosfera, l’utilizzo, come combustibili, esclusivamente dei materiali elencati nell’Allegato X alla Parte Quinta del D.L.vo n. 152/2006, purché gli stessi non costituiscano rifiuti ai sensi della Parte Quarta del medesimo Decreto. La pollina non è espressamente elencata nel suddetto Allegato X, ma la disciplina della stessa, nel caso di specie, ricade indubbiamente, a parere dei giudici, nella generale regolamentazione dei sottoprodotti, contenuta nell’art. 184-bis del D.L.vo n. 152/2006, in base al quale è prevalente la qualifica di sottoprodotto rispetto a quella di rifiuto, quando vi sia la certezza che la sostanza sarà utilizzata nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi. La certezza dell’impiego da parte di terzi in un separato ciclo produttivo può derivare anche dal fatto che per la sostanza esista un mercato o una domanda, condizione che, in base all’art. 184-ter, comma 1, lett. b) del D.L.vo n. 152/2006 concorre a determinare la perdita della qualità di rifiuto. È evidente, infatti, che il produttore di pollina, quando vi sia un soggetto disposto ad acquistare o a ritirare questa sostanza come combustibile, non ha più l’esigenza di sbarazzarsene come rifiuto; inoltre per l’insieme delle materie fecali, a cui la pollina appartiene nel caso in esame, l’utilizzo come biomassa combustibile per la produzione di energia è uno dei presupposti della perdita della qualità di rifiuto in base all’art. 185 comma 1, lett. f) del D.L.vo n. 152/2006. A tale conclusione si è indubbiamente potuti giungere grazie all’importante contributo della Corte di Cassazione, la quale, con sentenza n. 1230 del 28 febbraio 2013, fu chiamata a fare chiarezza in merito alla possibilità di qualificare la pollina come biomassa combustibile e quindi come sottoprodotto e non rifiuto. La Suprema Corte affermò che la mancata espressa previsione della pollina nell’elenco dei biocombustibili di cui all’Allegato X alla Parte Quinta del D.L.vo n. 152/2006 non impedisce di qualificare tale sostanza come sottoprodotto in presenza di un’apposita norma che, intervenendo ab externo sull’Allegato stesso, dichiari espressamente di volerlo integrare con la previsione della “pollina”, a condizione che la stessa sia qualificabile in concreto come sottoprodotto. Sul punto, i giudici richiamarono l’art. 2-bis del D.L. 3 novembre 2008, n.171, così come modificato dall’art. 18 della L. n. 96/2010, che dispone: “Le vinacce vergini nonché le vinacce esauste ed i loro componenti, bucce, vinaccioli e raspi, derivanti dai processi di vinificazione e di distillazione, che subiscono esclusivamente trattamenti di tipo meccanico fisico, compreso il lavaggio con acqua o l’essiccazione, nonché, previa autorizzazione degli enti competenti per territorio, la pollina, destinati alla combustione nel medesimo ciclo produttivo sono da considerare sottoprodotti soggetti alla disciplina di cui alla Sezione 4 della Parte II dell’Allegato X alla Parte Quinta del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152”. L’avvenuta integrazione, ad opera del legislatore, dell’elenco dei biocombustibili con l’indicazione della pollina, non esime, ovviamente, l’amministrazione e l’interprete dal verificare la sussistenza dei requisiti generali previsti per la qualificazione di un scarto come “sottoprodotto” ai sensi dell’art. 184-bis del D.L.vo n. 152/2006. Altrettanto significativa in materia, è la sentenza della Cassazione Penale, n. 37548 del 13 settembre 2015, ove si pose l’attenzione sulla pollina non proveniente da attività agricola. Nel caso di specie fu, infatti, contestato il reato di discarica non autorizzata, dal momento che la pollina, qualificata come rifiuto, era stata accatastata su terreni coltivati. A fronte di quanto sostenuto dall’imputato, ossia che la pollina, destinata alla concimazione, è esclusa dal novero dei rifiuti in quanto materia fecale, ex art. 185, comma 1, lett. f), la Suprema Corte colse l’occasione per far chiarezza sul punto precisando che tale articolo “esclude dal novero dei rifiuti le materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b (relativo ai sottoprodotti di origine animale), oltre a paglia, sfalci e potature nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso, utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana.” La disposizione normativa pone, dunque, l’accento sulla provenienza da attività agricola delle materie fecali e sulla loro successiva utilizzazione, sempre con riguardo a detta attività, con la conseguenza che la pollina che non soddisfi tali condizioni, sarà da considerarsi senza dubbio un rifiuto.
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Rassegna giurisprudenziale in materia di qualificazione della pollina
di Rita Tonoli
Un frequente interrogativo al quale i giudici sono stati più volte chiamati a fornire una risposta negli ultimi anni riguarda la corretta qualificazione della pollina: si tratta di un rifiuto o di un sottoprodotto?
Uno spunto di riflessione in materia è stato offerto recentemente dal Tribunale Amministrativo della Lombardia (sentenza n. 498 del 8 aprile 2015): nel caso di specie furono sollevate delle criticità in merito alla realizzazione di un impianto di produzione di energia alimentato mediante la combustione della pollina acquistata da terzi. La spinosa questione attiene al fatto che se la pollina fosse un rifiuto, la combustione della stessa sarebbe vietata, ai sensi dell’art. 293, comma 1, del D.L.vo n. 152/2006, il quale consente, agli impianti che producono emissioni in atmosfera, l’utilizzo, come combustibili, esclusivamente dei materiali elencati nell’Allegato X alla Parte Quinta del D.L.vo n. 152/2006, purché gli stessi non costituiscano rifiuti ai sensi della Parte Quarta del medesimo Decreto. La pollina non è espressamente elencata nel suddetto Allegato X, ma la disciplina della stessa, nel caso di specie, ricade indubbiamente, a parere dei giudici, nella generale regolamentazione dei sottoprodotti, contenuta nell’art. 184-bis del D.L.vo n. 152/2006, in base al quale è prevalente la qualifica di sottoprodotto rispetto a quella di rifiuto, quando vi sia la certezza che la sostanza sarà utilizzata nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi. La certezza dell’impiego da parte di terzi in un separato ciclo produttivo può derivare anche dal fatto che per la sostanza esista un mercato o una domanda, condizione che, in base all’art. 184-ter, comma 1, lett. b) del D.L.vo n. 152/2006 concorre a determinare la perdita della qualità di rifiuto. È evidente, infatti, che il produttore di pollina, quando vi sia un soggetto disposto ad acquistare o a ritirare questa sostanza come combustibile, non ha più l’esigenza di sbarazzarsene come rifiuto; inoltre per l’insieme delle materie fecali, a cui la pollina appartiene nel caso in esame, l’utilizzo come biomassa combustibile per la produzione di energia è uno dei presupposti della perdita della qualità di rifiuto in base all’art. 185 comma 1, lett. f) del D.L.vo n. 152/2006.
A tale conclusione si è indubbiamente potuti giungere grazie all’importante contributo della Corte di Cassazione, la quale, con sentenza n. 1230 del 28 febbraio 2013, fu chiamata a fare chiarezza in merito alla possibilità di qualificare la pollina come biomassa combustibile e quindi come sottoprodotto e non rifiuto. La Suprema Corte affermò che la mancata espressa previsione della pollina nell’elenco dei biocombustibili di cui all’Allegato X alla Parte Quinta del D.L.vo n. 152/2006 non impedisce di qualificare tale sostanza come sottoprodotto in presenza di un’apposita norma che, intervenendo ab externo sull’Allegato stesso, dichiari espressamente di volerlo integrare con la previsione della “pollina”, a condizione che la stessa sia qualificabile in concreto come sottoprodotto. Sul punto, i giudici richiamarono l’art. 2-bis del D.L. 3 novembre 2008, n.171, così come modificato dall’art. 18 della L. n. 96/2010, che dispone: “Le vinacce vergini nonché le vinacce esauste ed i loro componenti, bucce, vinaccioli e raspi, derivanti dai processi di vinificazione e di distillazione, che subiscono esclusivamente trattamenti di tipo meccanico fisico, compreso il lavaggio con acqua o l’essiccazione, nonché, previa autorizzazione degli enti competenti per territorio, la pollina, destinati alla combustione nel medesimo ciclo produttivo sono da considerare sottoprodotti soggetti alla disciplina di cui alla Sezione 4 della Parte II dell’Allegato X alla Parte Quinta del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152”.
L’avvenuta integrazione, ad opera del legislatore, dell’elenco dei biocombustibili con l’indicazione della pollina, non esime, ovviamente, l’amministrazione e l’interprete dal verificare la sussistenza dei requisiti generali previsti per la qualificazione di un scarto come “sottoprodotto” ai sensi dell’art. 184-bis del D.L.vo n. 152/2006.
Altrettanto significativa in materia, è la sentenza della Cassazione Penale, n. 37548 del 13 settembre 2015, ove si pose l’attenzione sulla pollina non proveniente da attività agricola. Nel caso di specie fu, infatti, contestato il reato di discarica non autorizzata, dal momento che la pollina, qualificata come rifiuto, era stata accatastata su terreni coltivati. A fronte di quanto sostenuto dall’imputato, ossia che la pollina, destinata alla concimazione, è esclusa dal novero dei rifiuti in quanto materia fecale, ex art. 185, comma 1, lett. f), la Suprema Corte colse l’occasione per far chiarezza sul punto precisando che tale articolo “esclude dal novero dei rifiuti le materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b (relativo ai sottoprodotti di origine animale), oltre a paglia, sfalci e potature nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso, utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana.” La disposizione normativa pone, dunque, l’accento sulla provenienza da attività agricola delle materie fecali e sulla loro successiva utilizzazione, sempre con riguardo a detta attività, con la conseguenza che la pollina che non soddisfi tali condizioni, sarà da considerarsi senza dubbio un rifiuto.
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