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Responsabilità 231: il reato ambientale deve rientrare tra quelli presupposto!
di Fabrizio Salmi, Alessandra Passafaro
Categoria: Ecoreati
Non sussiste la responsabilità dell’ente con riguardo ai reati ambientali se la fattispecie contestata non è tassativamente indicata tra i reati presupposto del D.lgs. n. 231/2001. Il principio di tassatività, vigente nel nostro ordinamento, impedisce l’estensione della responsabilità delle persone fisiche all’ente se il reato contestato è escluso dal catalogo dei reati presupposto.
Le contestazioni.
La vicenda processuale affrontata dalla Cassazione Penale nella sentenza n. 2234 del 20 gennaio 2022 ha ad oggetto un inquinamento del suolo e sottosuolo cagionato da reiterate perdite di idrocarburi provenienti da una raffineria industriale.
Venivano sottoposti a giudizio l’amministratore delegato della raffineria nonché responsabile della sicurezza sul lavoro, il responsabile degli impianti e i responsabili del turno operativo giornaliero dell’impianto da cui proveniva lo sversamento.
Agli stessi, venivano contestati i reati di:
inquinamento e omessa bonifica ai sensi degli artt. 110 c.p. e 257 c.1 e 2 del D.lgs. n. 152/2006[1] .
gestione non autorizzata di rifiuti ai sensi degli artt. 110 c.p. e 256 c.1 lett. b) e c.2 del D.lgs. n. 152/2006[2] poiché smaltivano e abbandonavano, mediante immissione del suolo e sottosuolo, ingenti quantitativi di rifiuti liquidi pericolosi costituiti da benzina.
Il procedimento penale coinvolgeva anche la stessa raffineria alla quale veniva contestato l’illecito di cui all’art. 25 undecies c.2 lett. b) n.2 e lett. c) n.2 del D.lgs. n. 231/2001[3] in relazione ai fatti contestati alle persone fisiche in materia di smaltimento e abbandono di rifiuti pericolosi.
Al fine di esaminare la tematica in oggetto occorre soffermarsi sulla responsabilità ascritta alla raffineria.
Nello specifico, la raffineria veniva dichiarata responsabile, in primo e secondo grado, per la sola condotta di smaltimento e abbandono di ingenti quantitativi di rifiuti liquidi pericolosi nel suolo e sottosuolo, posta in essere dai soggetti apicali. In altre parole, a carico dell’ente è stato individuato il reato presupposto di cui all’art. 25 undecies D.lgs. 231/2001 in relazione al reato di cui all’art. 256 c.1 lett. b) del D.lgs. 152/2006.
Il principio di tassatività
L’art. 25 della Costituzione enuncia il principio di legalità in virtù del quale un reato può considerarsi tale soltanto se espressamente e tassativamente previsto da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto[4]. Da ciò emerge il primato della legge a garanzia degli individui.
Da questo principio deriva il principio di tassatività riferito alle tecniche di formulazione legislativa della fattispecie penale.
Nello specifico, tale principio stabilisce che il legislatore deve esprimersi attraverso la formulazione di norme chiare e ben determinate; il giudice non può applicare le norme oltre i casi ed i limiti predisposti dal legislatore. In sostanza, il giudice non può far rientrare un fatto all’interno di una fattispecie di reato se questo non è espressamente previsto nel testo di legge.
Nel caso concreto, il capo di imputazione relativo alla responsabilità della raffineria richiama il contenuto del reato di smaltimento e abbandono abusivo di rifiuti pericolosi di cui all’art. 256 del D.lgs. 152/2006 contestato agli organi apicali.
Il reato di cui all’art. 256 del D.lgs. 152/2006, a sua volta, è richiamato da una disciplina emergenziale di cui all’art. 6 del D.L. 06.11.2008 n. 172 convertito nella Legge n. 210 del 30.12.2008 relativo a misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania, nonché misure urgenti di tutela ambientale[5].
Tale disposizione prevede una responsabilità penale – soltanto – per le persone fisiche che si rendono responsabili delle condotte di smaltimento e abbandono di rifiuti. Nessun cenno viene fatto con riguardo all’eventuale responsabilità degli enti.
La contestazione all’ente di tale ultima previsione legislativa, dunque, costituisce una violazione del principio di tassatività e, per questo, l’insussistenza di una responsabilità per l’ente.
Nel nostro ordinamento, infatti, è fatto divieto ricorrere ad un procedimento analogico sfavorevole. Per questo, il reato ascritto alla persona fisica non può essere – automaticamente – esteso anche alla persona giuridica.
Se la fattispecie contestata agli organi apicali non è tra i reati presupposto del D.lgs. 231/2001, all’ente non può essere contestato alcunché.
Brevi cenni sulla responsabilità degli enti per reati ambientali
Il D.lgs. 231/2001 contiene un catalogo di reati presupposti che è costantemente arricchito e aggiornato dal legislatore.
Nel 2011, i reati ambientali sono stati inseriti tra i reati presupposto all’art. 25 undecies del D.lgs. 231/2001. Tale norma, poi, è stata rivista dalla L. n. 68/2015 che ha incluso una più ampia serie di reati posti a tutela dell’ambiente. Tra questi, non sono stati ricompresi quelli dell’art. 6 della Legge n. 210 del 30.12.2008, attinenti ad una normativa emergenziale.
In generale, la responsabilità dell’ente sussiste quando:
Il fatto è commesso da organi apicali dell’ente o da persone sottoposte alla loro direzione o vigilanza,
Sussiste l’interesse o il vantaggio per l’ente,
Non è stato adottato e/o efficacemente attuato un Modello di Organizzazione e Gestione con riguardo al reato presupposto verificatosi,
Il fatto è previsto come reato da una legge entrata in vigore prima della commissione dello stesso,
Il fatto è incluso nell’elenco – tassativo – dei reati presupposto.
Nel caso concreto, manca uno degli elementi sopra descritti: il reato contestato all’ente non è incluso tra i reati presupposto del D.lgs. 231/2001. L’art. 25 undecies, infatti, richiama unicamente il reato di cui all’art. 256 del D.lgs. 152/2006 ma non anche l’art. 6 della L. n. 210/2008.
L’ente, dunque, deve andare esente da responsabilità.
La Corte di Cassazione, infatti, afferma che il nostro ordinamento “non prevede una estensione della responsabilità da reato alle persone giuridiche di carattere generale, coincidente cioè con l’intero ambito delle incriminazioni vigenti per le persone fisiche, ma limita detta responsabilità soltanto alle fattispecie penali tassativamente indicate nel decreto stesso”[6].
E in Europa?
Come visto, l’ordinamento giuridico italiano prevede una netta separazione tra la responsabilità delle persone fisiche e dell’ente.
Al contrario, altri ordinamenti giuridici europei hanno seguito una disciplina diversa.
In Francia, la responsabilità della persona giuridica è concorrente con la responsabilità penale delle persone fisiche.
L’ente, dunque, risponde di un determinato fatto di reato a condizione che sussista una responsabilità penale degli organi apicali o suoi rappresentanti che abbiano realizzato il reato nel suo interesse.
È previsto un elenco tassativo di reati per i quali è prevista tale responsabilità, incluse fattispecie di natura colposa. A carico dell’ente, inoltre, possono essere comminate sanzioni pecuniarie ed interdittive.
Da ciò discende che, nel sistema francese, l’ente risponde di rimbalzo, di riflesso, per la responsabilità della persona fisica autrice del reato.
A differenza del nostro ordinamento, occorre precisare, peraltro, che non sono richiamati i modelli di organizzazione volti ad incidere su un’eventuale colpa di organizzazione.
In Germania, il legislatore prevede una responsabilità amministrativa della persona giuridica se un reato o un illecito amministrativo sia stato compiuto da un suo organo o da un suo componente e l’ente ne abbia tratto, o possa trarne, un vantaggio.
Si tratta di una responsabilità di natura non penale ma amministrativa. Questa deriva dalla realizzazione di un illecito, penale o amministrativo, da parte di soggetti qualificati.
Ciò che caratterizza tale responsabilità, dunque, è l’identificazione dell’ente con i suoi esponenti di vertice, giuridicamente legittimati ad agire in nome dell’impresa.
Allo stesso modo nel Regno Unito ove il reato commesso dagli organi di vertice viene imputato automaticamente all’ente. Tali soggetti, infatti, sono considerati essi stessi la persona giuridica e non soggetti che agiscono per conto dell’ente.
Ancora una volta, dunque, si ravvisa una responsabilità “per identificazione”.
Ciò nonostante, occorre precisare che, ultimamente, l’indirizzo è quello di conferire maggiore attenzione ai profili di personalizzazione ed autonomia della responsabilità dell’ente.
Conclusioni
Nel nostro ordinamento non è prevista un’estensione della responsabilità da reato delle persone fisiche alle persone giuridiche.
La responsabilità degli enti, infatti, è autonoma ed è improntata ai principi di legalità e tassatività.
Se una fattispecie di reato contestata alla persona fisica non trova corrispondenza nel catalogo dei reati presupposto del D.lgs. 231/2001, l’ente è esente da responsabilità da reato.
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque cagiona l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a un anno o con l’ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro, se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti. In caso di mancata effettuazione della comunicazione di cui all’articolo 242, il trasgressore è punito con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da 1.000 euro a 26.000 euro.
Si applica la pena dell’arresto da un anno a due anni e la pena dell’ammenda da 5.200 euro a 52.000 euro se l’inquinamento è provocato da sostanze pericolose.
[2]256. Attività di gestione di rifiuti non autorizzata
Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell’articolo 29-quattuordecies, comma 1, chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 è punito: b) con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro se si tratta di rifiuti pericolosi.
Le pene di cui al comma 1 si applicano ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all’articolo 192, commi 1 e 2.
In relazione alla commissione dei reati previsti dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si applicano all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
b) per i reati di cui all’articolo 256:
2) per la violazione dei commi 1, lettera b), 3, primo periodo, e 5, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
c) per i reati di cui all’articolo 257:
2) per la violazione del comma 2, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;”
[4] Anche il D.lgs. 231/2011 ha recepito tale principio all’art. 2 D.lgs 231/01. Principio di legalità
“1. L’ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto costituente reato se la sua responsabilità amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni non sono espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto.”
Nei territori in cui vige lo stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti dichiarato ai sensi della legge 24 febbraio 1992, n. 225:
a) chiunque in modo incontrollato o presso siti non autorizzati abbandona, scarica, deposita sul suolo o nel sottosuolo o immette nelle acque superficiali o sotterranee ovvero incendia rifiuti pericolosi, speciali ovvero rifiuti ingombranti domestici e non, di volume pari ad almeno 0,5 metri cubi e con almeno due delle dimensioni di altezza, lunghezza o larghezza superiori a cinquanta centimetri, e’ punito con la reclusione fino a tre anni e sei mesi; se l’abbandono, lo sversamento, il deposito o l’immissione nelle acque superficiali o sotterranee riguarda rifiuti diversi, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da cento euro a seicento euro;
d) chiunque effettua una attivita’ di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza dell’autorizzazione, iscrizione o comunicazione prescritte dalla normativa vigente e’ punito:
1) con la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni, nonche’ con la multa da diecimila euro a trentamila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi;
2) con la pena della reclusione da uno a sei anni e con la multa da quindicimila euro a cinquantamila euro se si tratta di rifiuti pericolosi;
[6] Cass. Pen. Sez. III, 20.01.2022, n. 2234 oggetto del presente contributo.
Cass. S.U. Gubert del 30.01.2014, n. 10561 ha enunciato lo stesso principio di diritto con riguardo a reati tributari non previsti nell’elenco dei reati presupposto del D.lgs. n. 231/2001.
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Responsabilità 231: il reato ambientale deve rientrare tra quelli presupposto!
di Fabrizio Salmi, Alessandra Passafaro
Non sussiste la responsabilità dell’ente con riguardo ai reati ambientali se la fattispecie contestata non è tassativamente indicata tra i reati presupposto del D.lgs. n. 231/2001.
Il principio di tassatività, vigente nel nostro ordinamento, impedisce l’estensione della responsabilità delle persone fisiche all’ente se il reato contestato è escluso dal catalogo dei reati presupposto.
La vicenda processuale affrontata dalla Cassazione Penale nella sentenza n. 2234 del 20 gennaio 2022 ha ad oggetto un inquinamento del suolo e sottosuolo cagionato da reiterate perdite di idrocarburi provenienti da una raffineria industriale.
Venivano sottoposti a giudizio l’amministratore delegato della raffineria nonché responsabile della sicurezza sul lavoro, il responsabile degli impianti e i responsabili del turno operativo giornaliero dell’impianto da cui proveniva lo sversamento.
Agli stessi, venivano contestati i reati di:
Il procedimento penale coinvolgeva anche la stessa raffineria alla quale veniva contestato l’illecito di cui all’art. 25 undecies c.2 lett. b) n.2 e lett. c) n.2 del D.lgs. n. 231/2001[3] in relazione ai fatti contestati alle persone fisiche in materia di smaltimento e abbandono di rifiuti pericolosi.
Al fine di esaminare la tematica in oggetto occorre soffermarsi sulla responsabilità ascritta alla raffineria.
Nello specifico, la raffineria veniva dichiarata responsabile, in primo e secondo grado, per la sola condotta di smaltimento e abbandono di ingenti quantitativi di rifiuti liquidi pericolosi nel suolo e sottosuolo, posta in essere dai soggetti apicali. In altre parole, a carico dell’ente è stato individuato il reato presupposto di cui all’art. 25 undecies D.lgs. 231/2001 in relazione al reato di cui all’art. 256 c.1 lett. b) del D.lgs. 152/2006.
L’art. 25 della Costituzione enuncia il principio di legalità in virtù del quale un reato può considerarsi tale soltanto se espressamente e tassativamente previsto da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto[4]. Da ciò emerge il primato della legge a garanzia degli individui.
Da questo principio deriva il principio di tassatività riferito alle tecniche di formulazione legislativa della fattispecie penale.
Nello specifico, tale principio stabilisce che il legislatore deve esprimersi attraverso la formulazione di norme chiare e ben determinate; il giudice non può applicare le norme oltre i casi ed i limiti predisposti dal legislatore. In sostanza, il giudice non può far rientrare un fatto all’interno di una fattispecie di reato se questo non è espressamente previsto nel testo di legge.
Nel caso concreto, il capo di imputazione relativo alla responsabilità della raffineria richiama il contenuto del reato di smaltimento e abbandono abusivo di rifiuti pericolosi di cui all’art. 256 del D.lgs. 152/2006 contestato agli organi apicali.
Il reato di cui all’art. 256 del D.lgs. 152/2006, a sua volta, è richiamato da una disciplina emergenziale di cui all’art. 6 del D.L. 06.11.2008 n. 172 convertito nella Legge n. 210 del 30.12.2008 relativo a misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania, nonché misure urgenti di tutela ambientale[5].
Tale disposizione prevede una responsabilità penale – soltanto – per le persone fisiche che si rendono responsabili delle condotte di smaltimento e abbandono di rifiuti. Nessun cenno viene fatto con riguardo all’eventuale responsabilità degli enti.
La contestazione all’ente di tale ultima previsione legislativa, dunque, costituisce una violazione del principio di tassatività e, per questo, l’insussistenza di una responsabilità per l’ente.
Nel nostro ordinamento, infatti, è fatto divieto ricorrere ad un procedimento analogico sfavorevole. Per questo, il reato ascritto alla persona fisica non può essere – automaticamente – esteso anche alla persona giuridica.
Se la fattispecie contestata agli organi apicali non è tra i reati presupposto del D.lgs. 231/2001, all’ente non può essere contestato alcunché.
Il D.lgs. 231/2001 contiene un catalogo di reati presupposti che è costantemente arricchito e aggiornato dal legislatore.
Nel 2011, i reati ambientali sono stati inseriti tra i reati presupposto all’art. 25 undecies del D.lgs. 231/2001. Tale norma, poi, è stata rivista dalla L. n. 68/2015 che ha incluso una più ampia serie di reati posti a tutela dell’ambiente. Tra questi, non sono stati ricompresi quelli dell’art. 6 della Legge n. 210 del 30.12.2008, attinenti ad una normativa emergenziale.
In generale, la responsabilità dell’ente sussiste quando:
Nel caso concreto, manca uno degli elementi sopra descritti: il reato contestato all’ente non è incluso tra i reati presupposto del D.lgs. 231/2001. L’art. 25 undecies, infatti, richiama unicamente il reato di cui all’art. 256 del D.lgs. 152/2006 ma non anche l’art. 6 della L. n. 210/2008.
L’ente, dunque, deve andare esente da responsabilità.
La Corte di Cassazione, infatti, afferma che il nostro ordinamento “non prevede una estensione della responsabilità da reato alle persone giuridiche di carattere generale, coincidente cioè con l’intero ambito delle incriminazioni vigenti per le persone fisiche, ma limita detta responsabilità soltanto alle fattispecie penali tassativamente indicate nel decreto stesso”[6].
Come visto, l’ordinamento giuridico italiano prevede una netta separazione tra la responsabilità delle persone fisiche e dell’ente.
Al contrario, altri ordinamenti giuridici europei hanno seguito una disciplina diversa.
In Francia, la responsabilità della persona giuridica è concorrente con la responsabilità penale delle persone fisiche.
L’ente, dunque, risponde di un determinato fatto di reato a condizione che sussista una responsabilità penale degli organi apicali o suoi rappresentanti che abbiano realizzato il reato nel suo interesse.
È previsto un elenco tassativo di reati per i quali è prevista tale responsabilità, incluse fattispecie di natura colposa. A carico dell’ente, inoltre, possono essere comminate sanzioni pecuniarie ed interdittive.
Da ciò discende che, nel sistema francese, l’ente risponde di rimbalzo, di riflesso, per la responsabilità della persona fisica autrice del reato.
A differenza del nostro ordinamento, occorre precisare, peraltro, che non sono richiamati i modelli di organizzazione volti ad incidere su un’eventuale colpa di organizzazione.
In Germania, il legislatore prevede una responsabilità amministrativa della persona giuridica se un reato o un illecito amministrativo sia stato compiuto da un suo organo o da un suo componente e l’ente ne abbia tratto, o possa trarne, un vantaggio.
Si tratta di una responsabilità di natura non penale ma amministrativa. Questa deriva dalla realizzazione di un illecito, penale o amministrativo, da parte di soggetti qualificati.
Ciò che caratterizza tale responsabilità, dunque, è l’identificazione dell’ente con i suoi esponenti di vertice, giuridicamente legittimati ad agire in nome dell’impresa.
Allo stesso modo nel Regno Unito ove il reato commesso dagli organi di vertice viene imputato automaticamente all’ente. Tali soggetti, infatti, sono considerati essi stessi la persona giuridica e non soggetti che agiscono per conto dell’ente.
Ancora una volta, dunque, si ravvisa una responsabilità “per identificazione”.
Ciò nonostante, occorre precisare che, ultimamente, l’indirizzo è quello di conferire maggiore attenzione ai profili di personalizzazione ed autonomia della responsabilità dell’ente.
Nel nostro ordinamento non è prevista un’estensione della responsabilità da reato delle persone fisiche alle persone giuridiche.
La responsabilità degli enti, infatti, è autonoma ed è improntata ai principi di legalità e tassatività.
Se una fattispecie di reato contestata alla persona fisica non trova corrispondenza nel catalogo dei reati presupposto del D.lgs. 231/2001, l’ente è esente da responsabilità da reato.
Piacenza, 21 gennaio 2022
[1] Art. 257. Bonifica dei siti
[2] 256. Attività di gestione di rifiuti non autorizzata
b) con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro se si tratta di rifiuti pericolosi.
[3] Art. 25-undecies. Reati ambientali.
2) per la violazione dei commi 1, lettera b), 3, primo periodo, e 5, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
2) per la violazione del comma 2, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;”
[4] Anche il D.lgs. 231/2011 ha recepito tale principio all’art. 2 D.lgs 231/01. Principio di legalità
“1. L’ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto costituente reato se la sua responsabilità amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni non sono espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto.”
[5] Art. 6. disciplina sanzionatoria.
1) con la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni, nonche’ con la multa da diecimila euro a trentamila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi;
2) con la pena della reclusione da uno a sei anni e con la multa da quindicimila euro a cinquantamila euro se si tratta di rifiuti pericolosi;
[6] Cass. Pen. Sez. III, 20.01.2022, n. 2234 oggetto del presente contributo.
Cass. S.U. Gubert del 30.01.2014, n. 10561 ha enunciato lo stesso principio di diritto con riguardo a reati tributari non previsti nell’elenco dei reati presupposto del D.lgs. n. 231/2001.
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