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"Mi occupo di diritto ambientale da oltre trent’anni TuttoAmbiente è la guida più autorevole per la formazione e la consulenza ambientale Conta su di noi" Stefano Maglia
Rifiuti e appalti: la Cassazione fa un passo indietro?
di Anna Mezzanato
Categoria: Rifiuti
Con la sentenza n. 39952 del 30 settembre 2019, la Corte di Cassazione penale si è espressa in merito alla nozione di produttore di rifiuti e in materia di responsabilità nella gestione dei rifiuti nell’ambito di un contratto di appalto e di subappalto.
La sentenza ha dichiarato parzialmente inammissibili i ricorsi presentati dagli imputati, annullando senza rinvio la sentenza della Corte d’appello di Messina del 17 luglio 2017. Quest’ultima ha parzialmente riformato la sentenza emessa il 6 marzo 2015 dal GUP del Tribunale di Messina, all’esito del giudizio abbreviato, che aveva condannato gli odierni ricorrenti per diversi capi d’accusa di materia ambientale.
La vicenda giudiziaria ha ad oggetto l’attività di smaltimento di materiale abrasivo di scarto derivante dall’attività di sabbiatura delle carene delle navi, effettuata nel cantiere navale di Messina, quest’ultimo gestito in appalto da una ditta, la quale a sua volta ha affidato in subappalto a ditte esterne tale attività di smaltimento.
Il ricorrente era stato condannato, in particolare, per i reati di cui agli artt. 110 cod. pen. – concorso nel reato – e 260 del D.L.vo n. 152/2006[1] – traffico illecito di rifiuti – perché, in concorso con altri soggetti, al fine di conseguire un profitto consistito nel non dover sopportare i costi dovuti al corretto smaltimento dei rifiuti, aveva abusivamente gestito ed occultato ingenti quantitativi dei rifiuti, anche pericolosi. È stato inoltre accusato per i reati previsti agli artt. 81, secondo comma, 110 cod. pen., 6, lettere a) e b), del d.l. n. 172 del 2008[2] per avere, in concorso con altri soggetti e in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, depositato in tempi diversi il materiale di scarto predetto in siti non autorizzati. Da ultimo, il ricorrente è stato riconosciuto responsabile del reato di cui agli artt. 110 e 434 cod. pen. perché, sempre in concorso con altre persone e con le condotte descritte ai capi precedenti, aveva commesso fatti diretti a cagionare un disastro ambientale con pericolo per la pubblica incolumità, avendo immesso nell’ambiente i predetti rifiuti, in parte sotterrati in aree attigue a torrenti.
Avverso la suddetta sentenza di condanna, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, chiedendone l’annullamento. Fra i motivi di doglianza, si censuravano la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità dell’imputato per il reato di cui all’art. 206 del D.L.vo 152/06. Secondo il difensore del ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe erroneamente interpretato l’art. 188 del D.L.vo 152/06 sommando la responsabilità del produttore iniziale con quella del detentore, nonché degli altri soggetti indicati nella norma, così operando un’analogia in malam parte e violando il principio costituzionale dell’art. 27[3].
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato tale motivo di ricorso, ribadendo quanto argomentato dalla Corte d’appello, ossia che non si può dubitare del coinvolgimento del ricorrente nel traffico illecito di rifiuti organizzato dalla Società che gestisce il cantiere navale. A tale proposito, ha rilevato preliminarmente che l’art. 1 della legge n. 125 del 2015[4] – che ha esteso la nozione di “produttore di rifiuti” di cui all’art. 183, comma 1, lettera f)[5], del D.L.vo n. 152/2006 anche al produttore “giuridico” e non solo materiale del residuo da destinare allo smaltimento – non ha modificato il quadro delle responsabilità dei soggetti coinvolti nel traffico illecito di cui si discute. Ha specificato poi: “infatti, la nuova disposizione, letta in combinato disposto con l’art 188, comma 1, del D.L.vo n. 152/2006, pur avendo specificato la responsabilità del produttore giuridico di rifiuti – da doversi intendere quale committente dei lavori da cui deriva la produzione degli stessi – non ha certamente escluso la responsabilità del produttore materiale, ossia del soggetto che abbia, di fatto, prodotto le sostanze destinati allo smaltimento”. A supporto di tale affermazione, in questa sentenza la Cassazione richiama la giurisprudenza precedente, formatasi durante la vigenza del D.L.vo n. 22 del 1997[6], secondo la quale per produttore di rifiuti deve intendersi non soltanto il soggetto dalla cui attività materiale sia derivata la produzione dei rifiuti, ma anche il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione ed a carico del quale sia quindi configurabile, quale titolare di una posizione di garanzia, l’obbligo di provvedere allo smaltimento dei detti rifiuti nei modi prescritti (ex plurimis, Sez. 3, n. 24347 del 09/04/2003; Sez. 3, n. 4975 del 21/01/2000).
Nel caso di specie, i giudici di merito avevano ritenuto il ricorrente quale produttore materiale dei rifiuti, derivanti dall’attività di sabbiatura svolta nel cantiere navale, in quanto lo stesso si occupava del carenaggio delle navi e dunque produceva i rifiuti che venivano illecitamente smaltiti.
Il legale rappresentante della società era, secondo i giudici di merito, gravato ex art. 188, comma 1, del D.L.vo 152/2006 dell’obbligo di vigilare sul corretto smaltimento del grit esausto risultante dall’attività di sabbiatura. Perciò, a nulla rileva, secondo i giudici di merito e la Cassazione, il fatto che il ricorrente si fosse accordato con la società che gestiva il cantiere navale affinché l’effettiva gestione dei rifiuti fosse demandata al committente.
A tal proposito, la S.C., nella motivazione della sentenza in esame, dichiara: “a prescindere dagli accordi relativi agli oneri di smaltimento – che nella prassi spesso trasferiscono all’appaltatore mere attività operative e mantengono sull’appaltante, per ragioni di politica aziendale, gli oneri materiali ed economici dello smaltimento dei rifiuti – la responsabilità in ordine al complessivo iter di smaltimento, secondo quanto previsto dal combinato disposto di cui agli artt. 183, comma 1, lettera f), e 188, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, rimane congiuntamente in capo al produttore giuridico, al produttore materiale e al detentore dei rifiuti. In sintesi, il mancato trasferimento degli oneri di smaltimento nell’ambito del contratto di appalto non comporta il venir meno della responsabilità del produttore materiale dei rifiuti per le attività poste in essere dai soggetti deputati, a qualsiasi titolo, allo smaltimento medesimo”.
Con riferimento alla motivazione della sentenza in commento, si vuole richiamare il lettore non tanto sul merito della vicenda quanto sulle norme richiamate e sui riferimenti giurisprudenziali citati come base della motivazione.
In ordine alla nozione di produttore di rifiuti di cui all’art. 183 comma 1, lett. f), si fa presente che, sebbene, per effetto della novella introdotta dalla legge n. 125 del 2015, alla figura del produttore materiale si sia aggiunta anche la figura soggettiva alla quale detta produzione di rifiuti sia giuridicamente riferibile, i giudici di legittimità hanno continuato ad attribuire la qualifica di produttore dei rifiuti esclusivamente sulla base di un criterio materialistico, ossia con riguardo all’esercizio in concreto dell’attività da cui derivano i rifiuti, non considerando affatto il criterio della riferibilità giuridica, seppur espressamente previsto nel relativo testo di legge.
Nella sentenza in commento, i giudici di merito e di legittimità hanno di fatto ignorato il filone maggioritario formatosi in tempi più recenti dalla sezione della stessa Corte di Cassazione (ex multis, Cass. Pen. Sez. III n. 11029 del 16 marzo 2015, Cass. Pen. Sez. III n. 223 del 9 gennaio 2018, Cass. Pen. Sez. III n. 19152 del 4 maggio 2018, Cass. Pen. Sez. III, n. 1581 del 16 gennaio 2018), che al contrario considera produttore di rifiuti, con tutti gli obblighi e le responsabilità connessi, soltanto colui che esegue concretamente l’attività da cui essi provengono, ossia l’appaltatore o, nei casi di subappalto, il subappaltatore.
Il filone giurisprudenziale citato chiarisce, inoltre, che il committente potrebbe assumere la qualifica di produttore solo qualora vi sia, da parte sua, una “ingerenza o controllo diretto sull’attività dell’appaltatore”, e soprattutto nel caso in cui tale ampio coinvolgimento nella gestione dei rifiuti risulti adeguatamente provato. Ciò significa che non sempre ed automaticamente, in caso di appalto, si avranno due produttori di rifiuti: potrebbe infatti darsi il caso che l’ingerenza del committente nella gestione dei rifiuti non si sia concretizzata, ovvero che della stessa non sia fornita evidenza. Risulta quindi chiaro che in tale ultimo caso sarà l’appaltatore (e lui solo) ad essere individuato quale produttore dei rifiuti[7].
Esemplare, a tal riguardo, è la sentenza Cass. Pen. n. 11029 del 16 marzo 2015 , ove i giudici di legittimità stabiliscono che “l’appaltatore, in ragione della natura del rapporto contrattuale, che lo vincola al compimento di un’ opera o alla prestazione di un servizio con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio è, di regola, il produttore del rifiuti; su di lui gravano i relativi oneri, pur potendosi verificare casi in cui, per la particolarità dell’obbligazione assunta o per la condotta del committente, concretatasi in ingerenza o controllo diretto sull’attività dell’appaltatore, detti oneri si estendono anche a tale ultimo soggetto”.
Portatrice del medesimo orientamento è la sentenza più recente della Cassazione penale, Sez. III n.223 del 9 gennaio 2018, con la quale la Corte dichiara “che è sempre l’appaltatore il titolare degli gli obblighi connessi al corretto smaltimento degli stessi, sicché sarà lui a rispondere dell’eventuale gestione non autorizzata di tali rifiuti, di cui all’art. 256 del D.L.vo 152/2006. Questo in quanto è l’appaltatore, che provvede al compimento dell’opera o alla prestazione del servizio, al quale è vincolato, organizzando i mezzi necessari e gestendo l’intera attività a proprio rischio, il produttore dei rifiuti derivanti dallo svolgimento della sua prestazione contrattuale. Tuttavia, nel caso in cui vi sia ingerenza, o controllo diretto dei lavori, da parte del committente, i relativi obblighi connessi alla gestione di tali rifiuti si estendono anche a suo carico”.
La Corte suprema, nella motivazione della sentenza in esame: “la responsabilità in ordine al complessivo iter di smaltimento, secondo quanto previsto dal combinato disposto di cui agli artt. 183, comma 1, lettera f), e 188, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, rimane congiuntamente in capo al produttore giuridico, al produttore materiale e al detentore dei rifiuti” sembra, invece, ingiustificatamente non condividere quanto affermato finora dalla stessa giurisprudenza di legittimità giacché opera anacronisticamente una distinzione tra produttore materiale e produttore giuridico.
Piacenza, 13 novembre 2019
[1] Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, Norme in materia ambientale. Pubblicato sulla GU n.88 del 14 aprile 2006 ed entrato in vigore il 29 aprile 2006.
[2] Decreto-legge 6 novembre 2008, n. 172, Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania, nonché’ misure urgenti di tutela ambientale.
Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 260 del 6 novembre 2008 ed entrato in vigore il 7 novembre 2008.
[3] Art. 27 della Costituzione italiana: “La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva […]”.
[4] Legge n. 125 del 6 agosto 2015, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Pubblicata sulla GU n.188 del 14 agosto 2015 ed entrata in vigore il 15 agosto 2015.
[5] Art. 183 del D.L.vo 152/2006: “f) produttoredi rifiuti: il soggetto la cui attività produce rifiuti e il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione (produttore iniziale) o chiunque effettui operazioni di pretrattamento, di miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti (nuovo produttore)”.
[6] Decreto Legislativo, n. 22 del 5 febbraio 1997, Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio.
Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 38 del 15 febbraio 1997.
MAGLIA-D.DE STEFANI, Produttore iniziale di rifiuti: il punto della situazione, articolo consultabile sul sito www.tuttoambiente.it;
Sul punto V. G.GUAGNINI, Appalto e individuazione del produttore di rifiuti: le ultime indicazioni della giurisprudenza, articolo consultabile sul sito: www.tuttoambiente.it;
MAGLIA, La gestione dei rifiuti dalla A alla Z 500 problemi, 500 soluzioni, Edizioni TuttoAmbiente, VI ed., 2019, p. 207
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Rifiuti e appalti: la Cassazione fa un passo indietro?
di Anna Mezzanato
Con la sentenza n. 39952 del 30 settembre 2019, la Corte di Cassazione penale si è espressa in merito alla nozione di produttore di rifiuti e in materia di responsabilità nella gestione dei rifiuti nell’ambito di un contratto di appalto e di subappalto.
La sentenza ha dichiarato parzialmente inammissibili i ricorsi presentati dagli imputati, annullando senza rinvio la sentenza della Corte d’appello di Messina del 17 luglio 2017. Quest’ultima ha parzialmente riformato la sentenza emessa il 6 marzo 2015 dal GUP del Tribunale di Messina, all’esito del giudizio abbreviato, che aveva condannato gli odierni ricorrenti per diversi capi d’accusa di materia ambientale.
La vicenda giudiziaria ha ad oggetto l’attività di smaltimento di materiale abrasivo di scarto derivante dall’attività di sabbiatura delle carene delle navi, effettuata nel cantiere navale di Messina, quest’ultimo gestito in appalto da una ditta, la quale a sua volta ha affidato in subappalto a ditte esterne tale attività di smaltimento.
Il ricorrente era stato condannato, in particolare, per i reati di cui agli artt. 110 cod. pen. – concorso nel reato – e 260 del D.L.vo n. 152/2006[1] – traffico illecito di rifiuti – perché, in concorso con altri soggetti, al fine di conseguire un profitto consistito nel non dover sopportare i costi dovuti al corretto smaltimento dei rifiuti, aveva abusivamente gestito ed occultato ingenti quantitativi dei rifiuti, anche pericolosi. È stato inoltre accusato per i reati previsti agli artt. 81, secondo comma, 110 cod. pen., 6, lettere a) e b), del d.l. n. 172 del 2008[2] per avere, in concorso con altri soggetti e in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, depositato in tempi diversi il materiale di scarto predetto in siti non autorizzati. Da ultimo, il ricorrente è stato riconosciuto responsabile del reato di cui agli artt. 110 e 434 cod. pen. perché, sempre in concorso con altre persone e con le condotte descritte ai capi precedenti, aveva commesso fatti diretti a cagionare un disastro ambientale con pericolo per la pubblica incolumità, avendo immesso nell’ambiente i predetti rifiuti, in parte sotterrati in aree attigue a torrenti.
Avverso la suddetta sentenza di condanna, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, chiedendone l’annullamento. Fra i motivi di doglianza, si censuravano la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità dell’imputato per il reato di cui all’art. 206 del D.L.vo 152/06. Secondo il difensore del ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe erroneamente interpretato l’art. 188 del D.L.vo 152/06 sommando la responsabilità del produttore iniziale con quella del detentore, nonché degli altri soggetti indicati nella norma, così operando un’analogia in malam parte e violando il principio costituzionale dell’art. 27[3].
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato tale motivo di ricorso, ribadendo quanto argomentato dalla Corte d’appello, ossia che non si può dubitare del coinvolgimento del ricorrente nel traffico illecito di rifiuti organizzato dalla Società che gestisce il cantiere navale. A tale proposito, ha rilevato preliminarmente che l’art. 1 della legge n. 125 del 2015[4] – che ha esteso la nozione di “produttore di rifiuti” di cui all’art. 183, comma 1, lettera f)[5], del D.L.vo n. 152/2006 anche al produttore “giuridico” e non solo materiale del residuo da destinare allo smaltimento – non ha modificato il quadro delle responsabilità dei soggetti coinvolti nel traffico illecito di cui si discute. Ha specificato poi: “infatti, la nuova disposizione, letta in combinato disposto con l’art 188, comma 1, del D.L.vo n. 152/2006, pur avendo specificato la responsabilità del produttore giuridico di rifiuti – da doversi intendere quale committente dei lavori da cui deriva la produzione degli stessi – non ha certamente escluso la responsabilità del produttore materiale, ossia del soggetto che abbia, di fatto, prodotto le sostanze destinati allo smaltimento”. A supporto di tale affermazione, in questa sentenza la Cassazione richiama la giurisprudenza precedente, formatasi durante la vigenza del D.L.vo n. 22 del 1997[6], secondo la quale per produttore di rifiuti deve intendersi non soltanto il soggetto dalla cui attività materiale sia derivata la produzione dei rifiuti, ma anche il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione ed a carico del quale sia quindi configurabile, quale titolare di una posizione di garanzia, l’obbligo di provvedere allo smaltimento dei detti rifiuti nei modi prescritti (ex plurimis, Sez. 3, n. 24347 del 09/04/2003; Sez. 3, n. 4975 del 21/01/2000).
Nel caso di specie, i giudici di merito avevano ritenuto il ricorrente quale produttore materiale dei rifiuti, derivanti dall’attività di sabbiatura svolta nel cantiere navale, in quanto lo stesso si occupava del carenaggio delle navi e dunque produceva i rifiuti che venivano illecitamente smaltiti.
Il legale rappresentante della società era, secondo i giudici di merito, gravato ex art. 188, comma 1, del D.L.vo 152/2006 dell’obbligo di vigilare sul corretto smaltimento del grit esausto risultante dall’attività di sabbiatura. Perciò, a nulla rileva, secondo i giudici di merito e la Cassazione, il fatto che il ricorrente si fosse accordato con la società che gestiva il cantiere navale affinché l’effettiva gestione dei rifiuti fosse demandata al committente.
A tal proposito, la S.C., nella motivazione della sentenza in esame, dichiara: “a prescindere dagli accordi relativi agli oneri di smaltimento – che nella prassi spesso trasferiscono all’appaltatore mere attività operative e mantengono sull’appaltante, per ragioni di politica aziendale, gli oneri materiali ed economici dello smaltimento dei rifiuti – la responsabilità in ordine al complessivo iter di smaltimento, secondo quanto previsto dal combinato disposto di cui agli artt. 183, comma 1, lettera f), e 188, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, rimane congiuntamente in capo al produttore giuridico, al produttore materiale e al detentore dei rifiuti. In sintesi, il mancato trasferimento degli oneri di smaltimento nell’ambito del contratto di appalto non comporta il venir meno della responsabilità del produttore materiale dei rifiuti per le attività poste in essere dai soggetti deputati, a qualsiasi titolo, allo smaltimento medesimo”.
Con riferimento alla motivazione della sentenza in commento, si vuole richiamare il lettore non tanto sul merito della vicenda quanto sulle norme richiamate e sui riferimenti giurisprudenziali citati come base della motivazione.
In ordine alla nozione di produttore di rifiuti di cui all’art. 183 comma 1, lett. f), si fa presente che, sebbene, per effetto della novella introdotta dalla legge n. 125 del 2015, alla figura del produttore materiale si sia aggiunta anche la figura soggettiva alla quale detta produzione di rifiuti sia giuridicamente riferibile, i giudici di legittimità hanno continuato ad attribuire la qualifica di produttore dei rifiuti esclusivamente sulla base di un criterio materialistico, ossia con riguardo all’esercizio in concreto dell’attività da cui derivano i rifiuti, non considerando affatto il criterio della riferibilità giuridica, seppur espressamente previsto nel relativo testo di legge.
Nella sentenza in commento, i giudici di merito e di legittimità hanno di fatto ignorato il filone maggioritario formatosi in tempi più recenti dalla sezione della stessa Corte di Cassazione (ex multis, Cass. Pen. Sez. III n. 11029 del 16 marzo 2015, Cass. Pen. Sez. III n. 223 del 9 gennaio 2018, Cass. Pen. Sez. III n. 19152 del 4 maggio 2018, Cass. Pen. Sez. III, n. 1581 del 16 gennaio 2018), che al contrario considera produttore di rifiuti, con tutti gli obblighi e le responsabilità connessi, soltanto colui che esegue concretamente l’attività da cui essi provengono, ossia l’appaltatore o, nei casi di subappalto, il subappaltatore.
Il filone giurisprudenziale citato chiarisce, inoltre, che il committente potrebbe assumere la qualifica di produttore solo qualora vi sia, da parte sua, una “ingerenza o controllo diretto sull’attività dell’appaltatore”, e soprattutto nel caso in cui tale ampio coinvolgimento nella gestione dei rifiuti risulti adeguatamente provato. Ciò significa che non sempre ed automaticamente, in caso di appalto, si avranno due produttori di rifiuti: potrebbe infatti darsi il caso che l’ingerenza del committente nella gestione dei rifiuti non si sia concretizzata, ovvero che della stessa non sia fornita evidenza. Risulta quindi chiaro che in tale ultimo caso sarà l’appaltatore (e lui solo) ad essere individuato quale produttore dei rifiuti[7].
Esemplare, a tal riguardo, è la sentenza Cass. Pen. n. 11029 del 16 marzo 2015 , ove i giudici di legittimità stabiliscono che “l’appaltatore, in ragione della natura del rapporto contrattuale, che lo vincola al compimento di un’ opera o alla prestazione di un servizio con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio è, di regola, il produttore del rifiuti; su di lui gravano i relativi oneri, pur potendosi verificare casi in cui, per la particolarità dell’obbligazione assunta o per la condotta del committente, concretatasi in ingerenza o controllo diretto sull’attività dell’appaltatore, detti oneri si estendono anche a tale ultimo soggetto”.
Portatrice del medesimo orientamento è la sentenza più recente della Cassazione penale, Sez. III n. 223 del 9 gennaio 2018, con la quale la Corte dichiara “che è sempre l’appaltatore il titolare degli gli obblighi connessi al corretto smaltimento degli stessi, sicché sarà lui a rispondere dell’eventuale gestione non autorizzata di tali rifiuti, di cui all’art. 256 del D.L.vo 152/2006. Questo in quanto è l’appaltatore, che provvede al compimento dell’opera o alla prestazione del servizio, al quale è vincolato, organizzando i mezzi necessari e gestendo l’intera attività a proprio rischio, il produttore dei rifiuti derivanti dallo svolgimento della sua prestazione contrattuale. Tuttavia, nel caso in cui vi sia ingerenza, o controllo diretto dei lavori, da parte del committente, i relativi obblighi connessi alla gestione di tali rifiuti si estendono anche a suo carico”.
La Corte suprema, nella motivazione della sentenza in esame: “la responsabilità in ordine al complessivo iter di smaltimento, secondo quanto previsto dal combinato disposto di cui agli artt. 183, comma 1, lettera f), e 188, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, rimane congiuntamente in capo al produttore giuridico, al produttore materiale e al detentore dei rifiuti” sembra, invece, ingiustificatamente non condividere quanto affermato finora dalla stessa giurisprudenza di legittimità giacché opera anacronisticamente una distinzione tra produttore materiale e produttore giuridico.
Piacenza, 13 novembre 2019
[1] Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, Norme in materia ambientale. Pubblicato sulla GU n.88 del 14 aprile 2006 ed entrato in vigore il 29 aprile 2006.
[2] Decreto-legge 6 novembre 2008, n. 172, Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania, nonché’ misure urgenti di tutela ambientale.
Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 260 del 6 novembre 2008 ed entrato in vigore il 7 novembre 2008.
[3] Art. 27 della Costituzione italiana: “La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva […]”.
[4] Legge n. 125 del 6 agosto 2015, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Pubblicata sulla GU n.188 del 14 agosto 2015 ed entrata in vigore il 15 agosto 2015.
[5] Art. 183 del D.L.vo 152/2006: “f) produttore di rifiuti: il soggetto la cui attività produce rifiuti e il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione (produttore iniziale) o chiunque effettui operazioni di pretrattamento, di miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti (nuovo produttore)”.
[6] Decreto Legislativo, n. 22 del 5 febbraio 1997, Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio.
Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 38 del 15 febbraio 1997.
[7] Per approfondimenti V.:
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