Top

Preveniamo rischi Risolviamo problemi Formiamo competenze

"Mi occupo di diritto ambientale da oltre trent’anni
TuttoAmbiente è la guida più autorevole per la formazione e la consulenza ambientale
Conta su di noi"
Stefano Maglia

Rifiuti da costruzione e demolizione “fai da te”: le indicazioni del Ministero e le norme applicabili

di Paolo Pipere

Categoria: Rifiuti

Il Ministero dell’ambiente ritiene che questi rifiuti siano da gestire come rifiuti urbani, ma le argomentazioni utilizzate non sembrano compatibili con le nuove disposizioni sulla classificazione

 

Consulenze ambientali per aziende, enti e professionisti
 
 

Con una nota del 2 febbraio 2021 la Direzione generale per l’economia circolare del Ministero entra nel vivo di una delle tante conseguenze, del tutto sottovalutate in fase di predisposizione della norma, della nuova classificazione dei rifiuti entrata in vigore il 1° gennaio di quest’anno.

Il D.Lgs. 116/2020, modificando la parte quarta del Codice dell’Ambiente, ha eliminato le nozioni di rifiuti speciali assimilabili agli urbani e di rifiuti speciali assimilati agli urbani e introdotto due elenchi: il primo [Allegato L-quater] individua le tipologie di rifiuti prodotte dalle attività economiche classificate come rifiuti urbani, il secondo [Allegato L-quinquies] le attività economiche ritenute suscettibili di produrli.

Al riguardo, è necessario ricordare che, in precedenza, i rifiuti generati dalle attività economiche erano tutti classificati, per origine, come rifiuti speciali. Solo a determinate condizioni i Comuni potevano assimilare ai rifiuti urbani i rifiuti individuati dallo Stato come assimilabili (cioè di composizione merceologica simile a quella dei rifiuti domestici), sulla base di criteri qualitativi e quantitativi, facendoli divenire a tutti gli effetti rifiuti urbani.

La nota ministeriale premette che la nuova definizione di rifiuto urbano è stata introdotta “al fine di definire l’ambito di applicazione degli obiettivi di preparazione per il riutilizzo e riciclaggio nonché le relative norme di calcolo”. Secondo il dicastero dell’ambiente:

«Tale nuova definizione deve essere pertanto applicata nell’ottica generale di raggiungimento degli obiettivi imposti dalla direttiva e non con il fine di stravolgere una gestione dei rifiuti già strutturata ed efficace, tanto da non voler incidere con la ripartizione delle competenze tra pubblico e privato nell’ambito della gestione medesima».

Mere dichiarazioni di principio, se si considera che – come è stato giustamente osservato – la nuova norma non contiene due definizioni di rifiuto urbano, una funzionale alle esigenze di rendicontazione degli obiettivi di preparazione per il riutilizzo e di riciclaggio e un’altra per tutti gli altri scopi, ma una sola definizione che produce effetti estremamente rilevanti sia sull’applicazione della tassa rifiuti sia sull’organizzazione dei servizi pubblici di raccolta e, più precisamente, proprio sulla “ripartizione delle competenze fra pubblico e privato nell’ambito della gestione” dei rifiuti. Un esempio fra tutti: le imprese che producono i nuovi rifiuti urbani che non possono essere avviati al recupero devono necessariamente conferirli al servizio pubblico di raccolta in considerazione del mantenimento della privativa comunale. L’articolo 198, comma 1, del D.Lgs. 152/2006, infatti, dispone che:

«Sino all’inizio delle attività del soggetto aggiudicatario della gara ad evidenza pubblica indetta dall’Autorità d’ambito ai sensi dell’articolo 202, i comuni continuano la gestione dei rifiuti urbani avviati allo smaltimento in regime di privativa nelle forme di cui all’articolo 113, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267».
 

Il Ministero ritiene che, per quanto concerne la definizione riportata all’articolo 183, comma 1, lettera b-sexies), a mente della quale: “I rifiuti urbani non includono i rifiuti della produzione, dell’agricoltura, della silvicoltura, della pesca, delle fosse settiche, delle reti fognarie e degli impianti di trattamento delle acque reflue, ivi compresi i fanghi di depurazione, i veicoli fuori uso o i rifiuti da costruzione e demolizione”, l’esclusione dal novero dei rifiuti urbani dei rifiuti da costruzione e demolizione si riferisca esclusivamente a quelli generati da “attività economiche finalizzate alla produzione di beni e servizi, quindi ad attività di impresa”.

L’interpretazione potrebbe sembrare fondata, se non fosse che nella nota, subito dopo, si cita l’undicesimo considerando della Direttiva 2018/851/UE:

«Il considerando di cui al punto 11 della direttiva esplicita che “Sebbene la definizione di ‘rifiuti da costruzione e demolizione’ si riferisca ai rifiuti risultanti da attività di costruzione e demolizione in senso generale, essa comprende anche i rifiuti derivanti da attività secondarie di costruzione e demolizione fai da te effettuate nell’ambito del nucleo familiare. I rifiuti da costruzione e demolizione dovrebbero essere intesi come corrispondenti ai tipi di rifiuti di cui al capitolo 17 dell’elenco di rifiuti stabilito dalla decisione 2014/955/UE nella versione in vigore il 4 luglio 2018»,

che, in modo del tutto evidente, smentisce con decisione l’interpretazione ministeriale.

Il dicastero dell’Ambiente, però, sostiene che:

«In tal modo, il legislatore europeo, pur identificando detti rifiuti prodotti da utenze domestiche nell’apposito capitolo 17, per un più coerente avvio alle operazioni di preparazione per il riutilizzo, ne ammette la gestione nell’ambito del servizio pubblico, se prodotto nell’ambito del nucleo familiare».

Non sembra che la Direttiva lo consenta, considerato che anche la lettera della norma nazionale di recepimento della Direttiva è chiarissima sul punto. L’articolo 184, comma 3, del D.Lgs. 152/2006 sancisce, apoditticamente, che:

«3. Sono rifiuti speciali:

[…] b) i rifiuti prodotti dalle attività di costruzione e demolizione, nonché i rifiuti che derivano dalle attività di scavo, fermo restando quanto disposto dall’articolo 184-bis».

Deve essere considerato, inoltre, che l’articolo 181, comma 4, fissando gli obiettivi di preparazione per il riutilizzo e di riciclaggio, si riferisce ai rifiuti da costruzione e demolizione come a una tipologia di rifiuti completamente diversa da quelli urbani:

«4. Al fine di rispettare le finalità del presente decreto e procedere verso un’economia circolare con un alto livello di efficienza delle risorse, le autorità competenti adottano le misure necessarie per conseguire i seguenti obiettivi:

  1. a) entro il 2020, la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio di rifiuti quali carta, metalli, plastica e vetro provenienti dai nuclei domestici, e possibilmente di altra origine, nella misura in cui tali flussi di rifiuti sono simili a quelli domestici, sarà aumentata complessivamente al-meno al 50 per cento in termini di peso;
  2. b) entro il 2020 la preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio e altri tipi di recupero di materiale, incluse operazioni di riempimento che utilizzano i rifiuti in sostituzione di altri materiali, di rifiuti da costruzione e demolizione non pericolosi, escluso il materiale allo stato naturale definito alla voce 17 05 04 dell’elenco dei rifiuti, sarà aumentata almeno al 70 per cento in termini di peso;
  3. c) entro il 2025, la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio dei rifiuti urbani saranno aumentati almeno al 55 per cento in peso;
  4. d) entro il 2030, la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio dei rifiuti urbani saranno aumentati almeno al 60 per cento in peso;
  5. e) entro il 2035, la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio dei rifiuti urbani saranno aumentati almeno al 65 per cento in peso».

 

La conclusione della nota sembra quindi essere priva di una solida base giuridica quando afferma che:

«I rifiuti prodotti in ambito domestico e, in piccole quantità, nelle attività “fai da te”, possono essere quindi gestiti alla stregua dei rifiuti urbani ai sensi dell’articolo 184, comma 1, del d.lgs. 152/2006, e, pertanto, potranno continuare ad essere conferiti presso i centri di raccolta comunali, in continuità con le disposizioni del Decreto Ministeriale 8 aprile 2008 e s.m.i, recante “Disciplina dei centri di raccolta dei rifiuti urbani raccolti in modo differenziato”».

Un’argomentazione più convincente, e adatta a perseguire il condivisibile obiettivo di consentire il conferimento ai centri di raccolta comunali di questi rifiuti prodotti dai nuclei domestici, sarebbe stata la seguente: la precisazione secondo la quale anche i rifiuti derivanti da attività secondarie di costruzione e demolizione fai da te effettuate nell’ambito del nucleo familiare sono da classificare come rifiuti [speciali] da costruzione e demolizione è contenuta in un considerando della Direttiva 2018/851/UE. L’indicazione non è però stata trasposta nell’articolato della norma, pertanto, pur esprimendo un orientamento funzionale alla omogeneizzazione dei criteri di calcolo del raggiungimento degli obiettivi di preparazione per il riutilizzo e di riciclaggio, non è vincolante per gli Stati membri dell’Unione Europea[1]. Del resto, anche le seguenti indicazioni contenute nei considerando della direttiva non sono state recepite nella norma nazionale:

«Occorre intendere i rifiuti urbani come corri­spondenti ai tipi di rifiuti figuranti nel capitolo 15 01 e nel capitolo 20, a eccezione dei codici 20 02 02, 20 03 04 e 20 03 06, dell’elenco dei rifiuti stabilito dalla decisione 2014/955/UE […]. I rifiuti che rientrano in altri capitoli di tale elenco non dovrebbero essere ritenuti rifiuti urbani [ma nell’Allegato L-quater sono stati inseriti i toner per stampanti classificati come non pericolosi con codice 08 03 18], tranne nei casi in cui i rifiuti urbani siano sottoposti a trattamento e siano contrassegnati con i codici di cui al capitolo 19 dell’elenco [questa indicazione non è stata considerata dal legislatore nazionale]».

 

Preoccupante, infine, anche l’indicazione secondo la quale:

«Riguardo le quantità da conferire al servizio pubblico, si richiama il regime semplificato per il trasporto di piccoli quantitativi di rifiuti derivanti da attività di manutenzione, consentendo in alternativa al formulario di trasporto, di utilizzare un Documento di Trasporto (DdT) che contenga tutte le informazioni necessarie alla tracciabilità del materiale, in caso di controllo nella fase di trasporto, di cui all’articolo 193 comma 7 del decreto legislativo 152/2006 come risultante dalle modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 116/2020».

 

La disposizione di favore citata, infatti, non si riferisce in alcun modo al conferimento di rifiuti urbani ai centri di raccolta ma, invece, alla possibilità, e non all’obbligo, delle imprese e degli enti che producono rifiuti speciali da costruzione e demolizione di esercitare il deposito degli stessi non nel luogo di materiale produzione ma in un’unità locale aziendale e, di conseguenza, al documento di trasporto che si può utilizzare in fase di trasferimento dei rifiuti alla sede aziendale. Al riguardo si ricorda che l’art. 1, comma 649, della Legge 147/2013 – istitutiva della tassa rifiuti – sancisce che:

«Al conferimento al servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani di rifiuti speciali non assimilati, in assenza di convenzione con il comune o con l’ente gestore del servizio, si applicano le sanzioni di cui all’articolo 256, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 [Attività di gestione di rifiuti non autorizzata]».

 

[1] La Guida pratica comune del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione per la redazione dei testi legislativi dell’Unione europea precisa che: «10.1 I «considerando» contengono la motivazione dell’atto e si inseriscono tra i «visto» e l’articolato. La motivazione inizia con le parole «considerando quanto segue:» e prosegue con punti numerati (cfr. orientamento 11) consistenti in una o più frasi complete. Essa è redatta con enunciati non precettivi ben distinti da quelli impiegati nell’articolato».
 

Piacenza, 8 febbraio 2021
 

formazione@tuttoambiente.it – 0523.315305
 

Torna all'elenco completo

© Riproduzione riservata