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Stefano Maglia

Rifiuti: dalla tassa alla tariffa

di Massimo Medugno

Categoria: Rifiuti

 

Non era certo un precursore del diritto tributario e della scienza delle finanze lo sceriffo Omar che, nel VIII secolo, dopo aver conquistato l`Iraq, consigliava ai suoi di mantenere la proprietà delle terre alla popolazione vinta, piuttosto che chiederne la spartizione. Infatti, in questo modo – egli sosteneva – si sarebbe potuta esigere periodicamente un`imposta fondiaria e di capitalizzazione, utile, ad esempio, per la difesa delle nuove province.

Dal VIII secolo ad oggi, ovviamente, molte cose sono cambiate.

E così, ad esempio, la Costituzione contiene dei principi in materia tributaria, anche se non particolarmente numerosi.

Oltre al principio di legalità (art. 23), va ricordato quello della capacità contributiva e della progressività del sistema tributario (art. 53), colto nel suo nesso con i principi di democrazia e solidarietà sociale.

La materia della tassa (ora tariffa) in materia di rifiuti, almeno nei manuali di diritto tributario più diffusi, non è stato mai trattato in maniera organica.

In genere non si andava oltre l`evidenziare un obbligo dei comuni di svolgere i servizi di smaltimento dei rifiuti solidi urbani interni, e di istituire apposita tassa, il cui gettito globale deve essere predeterminato in misura tale da non superare il costo del servizio e da realizzare il pareggio con il costo.

Ciò non evidenziava a sufficienza il rilievo di questo prelievo fiscale che, invece, da alcuni anni a questa parte, con l`evoluzione della normativa ambientale e il maggior ruolo degli Enti locali (e dei tributi locali, dei quali la tassa ne rappresentava una “fetta” consistente Nel 1994 si calcolava che la tassa sui rifiuti (TARSU) avesse un gettito complessivo di 6.500 miliardi, di cui 2.500 sulle imprese e il resto sulle famiglie. Si veda La riforma fiscale, Sole 24 Ore 1994, p. 62) ha assunto una sempre maggiore importanza.

Un approccio di maggior attenzione sotto il profilo legislativo, deve essere ravvisato a partire dall`art. 2 della legge n. 498/92 (“Interventi urgenti in materie di finanza pubblica”), che delegava il Governo ad adottare una serie di decreti legislativi in una serie di materie di materie, tra cui anche quella della disciplina delle tariffe per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, in modo che vi fosse correlazione tra la tariffa, qualità e quantità dei rifiuti e relativi costi. In particolare, questa nuova disciplina oltre a correlare tra entità della tariffa, quantità e qualità dei rifiuti e dei relativi costi di smaltimento, avrebbe dovuto tener conto dei servizi dell`organizzazione della raccolta differenziata, in modo che fosse assicurata, gradualmente la copertura integrale dei costi di investimento e di servizio.

Come noto detta delega è stata esercitata con il D.L.vo n. 507/93, di cui si scriverà più avanti.

<%-2>Nel 1994 il Libro Bianco presentato dall`allora Ministro delle finanze, Giulio Tremonti, arriverà ad ipotizzare, in un`ottica di trasferimento della potestà impositiva dallo Stato ai Comuni, un Tributo Locale Immobiliare (TLI) che avrebbe assorbito la quasi totalità dei vecchi tributi sui vecchi tributo immobiliari sulle proprietà (ICI, ICIAP ed anche la tassa sui rifiuti solidi) e sui passaggi di proprietà (Registro, Successioni ecc.), in una logica di un processo di unificazione (“e pluribus unum”), che avrebbe comportato un unico regime, un`unica dichiarazione, un unico sportello …

Nelle “Proposte per la realizzazione del federalismo fiscale” del marzo 1996, si faceva riferimento al testo unificato delle proposte di iniziativa parlamentare di una legge quadro in materia di rifiuti (atto camera n. 3055 legislatura XII), approvato dalla competente commissione della camera dei deputati poco prima dello scioglimento del parlamento, che – all`art. 41 – disponeva che la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani era soppressa e che i costi per i servizi relativi allo smaltimento sono coperti dai comuni mediante l`istituzione di una tariffa.

Secondo lo stesso studio “la sostituzione della tassa con una tariffa è una richiesta non recente dell`ANCI”. Inoltre, pur ribadendosi la scelta di una ampio potere regolamentare dei Comuni in quest`ambito, si ribadiva che “il prelievo imposto per il finanziamento dl servizio, comunque lo si chiami, partecipa dunque dei caratteri che la dottrina ha sempre attribuito alla tassa: ciò non impedisce di dargli un altro nome: si tratta di stabilire in qual modo si ritiene di regolare il finanziamento del servizio”.

Si evidenziava, quindi, che la sostituzione della tassa con una tariffa (quindi con un prezzo pubblico di un servizio) non avrebbe introdotto maggiore elasticità: infatti, “un prezzo pubblico è più vincolato alla prestazione di cui costituisce il corrispettivo (benché tendenzialmente inferiore al costo), di quanto lo sia la tassa, che per definizione copre parzialmente il costo di un servizio reso sì ad un singolo, ma nell`interesse pubblico”.

Quanto poi alla questione se questa tariffa possa essere considerata una tassa e/o imposta ambientale, si deve ritenere che, anche alla luce degli orientamenti comunitari, essa possa qualificata tale in quanto si propone di ottenere un risultato nel settore dell`ambiente.

Questo, in sintesi, il quadro degli orientamenti antecedenti all`emanazione del D.L.vo n. 22/97, che ha sostituito la tassa sui rifiuti con la tariffa.

1. Le novità introdotte dal D.L.vo n. 22/97.

Con la “legge comunitaria 1993” (legge n. 146/94) venivano individuati i criteri di delega per il recepimento dalle direttive 91/156 in materie di rifiuti e della direttiva 91/689 riguardante i rifiuti pericolosi.

In particolare l`art. 36 enunciava i principi ed i criteri direttivi che sono riassumibili nell`esigenza della conservazione e del recupero delle condizioni ambientali attraverso misure dirette alla prevenzione e alla riparazione del danno ambientale, alla previsione di sistemi di controllo e di monitoraggio ambientale, a garantire l`informazione specifica per i cittadini.

Altri criteri erano quelli riferito all`esigenza di uniformare la normativa nazionale alle definizioni e alle classificazioni dei rifiuti contenute nelle direttive comunitarie, di prevedere procedure ad adempimenti semplificati per le attività di recupero, la definizione di criteri regionali in base ai quali le Province avrebbero provveduto all`individuazione delle aree non idonee alla realizzazione di impianti di smaltimento e recupero, la definizione a livello centrale dei criteri per la pianificazione in materie di gestione dei rifiuti ecc.

Come può essere verificato nell`allegato 1 (leggi di delega), la successiva legge n. 52/96 prolungava il termine per il recepimento delle due direttive comunitarie (nel frattempo scaduto), oltre che fissare i principi ed i criteri di delega direttivi (art. 43) per il recepimento della Direttiva 94/62 sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio a cui il Governo si sarebbe dovuto attenere.

Tra questi val la pena sottolineare ed evidenziare i seguenti:

-<>sistemi di incentivazione della raccolta degli imballaggi, mediante modifiche alle disposizioni in materia di tasse sullo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (lettera f dell`art. 43);

-<>adozione di ogni misura utile al fine di attuare il principio secondo il quale chi è responsabile dell`inquinamento deve assumersi gli oneri economici per la sua eliminazione (principio del “chi inquina paga”) (lett. g dell`art. 43).

Ecco dunque all`art. 43, lett. f) (legge n. 52/96) un riferimento a “modifiche alle disposizioni in materie di tasse sullo smaltimento dei rifiuti solidi urbani” sebbene correlato a “sistemi di incentivazione della raccolta degli imballaggi”.

In effetti, come si avrà modo di evidenziare più avanti, il D.L.vo n. 22/97 affronta in maniera radicale la materie della tassa sui rifiuti, disciplinandola in maniera radicale e profonda e non solo con riferimento al limitato aspetto dell`introduzione di “sistemi di incentivazione della raccolta degli imballaggi” (vedi sopra).

Qui si può solo fare solo un rapido cenno al problema dei limiti della delega (sollevato in sede di discussione del provvedimento in Commissione alla Camera dei Deputati il 23 ottobre 1996) rispetto al quale lo stesso Ministro dell`ambiente sottolineava che “il criterio fondamentale di delega che il parlamento aveva indicato al Governo consisteva nell`adeguamento della normativa vigente alla normativa comunitaria, apportando alla prima ogni necessaria modifica ed integrazione allo scopo di definire un quadro omogeneo ed organico delle discipline di settore, anche in riferimento alla portata di disciplina-quadro si rifiuti della direttiva 91/156/91”.

La rapida emanazione del D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22, secondo alcuni autori “la prima riforma organica della XIII legislatura varata durante il Governo Prodi”, è dovuta ad alcuni motivi fondamentali:

<+>a) la grave situazione determinatasi in seguito alle ripetute reiterazioni dei decreti legge in materia di residui riutilizzabili;

<+>b) l`elaborazione di un testo unificato approvato dalla Commissione Ambiente della Camera dei Deputati nel corso della XII legislatura;

<+>c) la determinazione del Ministro dell`ambiente, Sen. Edo Ronchi.

Sotto un profilo più generale va ricordato che secondo l`art. 4, commi 1 e 2 del D.L.vo n. 22/97 “le autorità competenti favoriscono la riduzione dello smaltimento finale dei rifiuti attraverso:

<+>a) reimpiego ed il riciclaggio;

<+>b le altre forme di recupero per ottenere materie prima dai rifiuti;

<+>c) l`adozione di misure economiche e la determinazione di condizioni di appalto che prevedano l`impiego dei materiali recuperati dai rifiuti al fine di favorire il mercato dei materiali medesimi;

<+>d) l`utilizzazione principale dei rifiuti come combustibili o come altro mezzo per produrre energia.

Il riutilizzo, il riciclaggio ed il recupero di materia debbono essere considerati preferibili rispetto alle altre forme di recupero”.

Questi principi riguardano sia la pubblica amministrazione sia gli operatori economici.

Secondo l`art. 7, comma 1 D.L.vo cit. i rifiuti sono classificati in urbani e speciali, con riferimento alla loro origine e in pericolosi e non pericolosi a seconda delle loro caratteristiche.

Secondo il successivo comma 2 sono rifiuti urbani:

<+>a) i rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione;

<+>b) i rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quelli di cui alla lettera a), assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità, ai sensi dell`art. 21, comma 2 lett. g);

<+>c) i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade;

<+>d) i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d`acqua;

<+>e) i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali i giardini, i parchi e le aree cimiteriali;

<+>f) i rifiuti provenienti da esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri rifiuti provenienti da attività cimiteriali diversi da quelli di cui alle lettere b), c) ed e).

L`art. 21 del D.L.vo n. 22 riguarda le competenze dei Comuni. Questi, secondo il comma 1, “effettuano la gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento in regime di privativa nelle forme di cui alla L. 8 giugno 1990, n. 42 e dell`art. 23”.

I Comuni disciplinano la gestione dei rifiuti con appositi regolamenti nel rispetto dei principi di efficienza, efficacia ed economicità. Nei regolamenti comunali si regolamenteranno le modalità della gestione dei rifiuti, tra cui “l`assimilazione per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani ai fini della raccolta e dello smaltimento sulla base dei criteri fissati ai sensi dell`art. 18, comma 2 lett. d)”.

Sono, invece, competenza dello Stato la “determinazione dei criteri qualitativi e quantitativi per l`assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani” (art. 18, comma 2 lett. d).

Peraltro, la privativa di cui al comma 1 non si applica alle attività di recupero che rientrino nell`accordo di programma di cui all`articolo 22, comma 11, ed alle attività di recupero dei rifiuti assimilati (art. 21, comma 6).

Vengono introdotti degli obiettivi di raccolta differenziata pari a percentuali minime di rifiuti prodotti. Gli obiettivi sono 15% entro due anni (marzo 1997 circa) dalla data di entrata in vigore dello schema di recepimento, 25% entro quattro anni e 35% a partire dal sesto annuo consecutivo (art. 24, comma 1, D.L.vo cit.).

Del raggiungimento o meno di questi obiettivi si dovrà conto quando si andrà a determinare anche il coefficiente di correzione di cui all`art. 3, comma 29, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (art. 24, comma 2, D.L.vo cit.).

Il concetto di “raccolta differenziata” è chiarito all`art. 6, comma 1 lett. f), secondo cui è “la raccolta idonea a raggruppare i rifiuti urbani in frazioni merceologiche omogenee, compresa la frazione organica umida, destinata al riutilizzo, al riciclaggio e al recupero di materia prima”.

L`art. 39 (“Raccolta differenziata ed obblighi della Pubblica Amministrazione) è posto all`interno del Titolo II riguardante la gestione degli imballaggi.

Detto art. 39 prevede, con riferimento alla raccolta differenziata, quanto segue:

-<>la pubblica amministrazione deve organizzare sistemi adeguati di raccolta differenziata in modo da permettere al consumatore di conferire al servizio pubblico rifiuti di imballaggio selezionati da rifiuti domestici e da altri rifiuti o di imballaggi in particolare (comma 1);

-<>deve essere garantita la copertura omogenea di ciascun territorio, tenuto conto del contesto geografico (comma 2 lett. a);

-<>la gestione della raccolta differenziata deve essere effettuata secondo criteri che privilegiano l`efficacia, l`efficienza e l`economicità del servizio, nonché il coordinamento con la gestione di altri rifiuti (comma 2, lett. b).

Il comma 1 dell`art. 49 del D.L.vo n. 22 cit. dispone la soppressione dal 1<198> gennaio 2000 della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, la cui disciplina di gestione è contenuta nel citato D.L.vo n. 507/93 e il successivo comma 2 contestuale prevede l`istituzione di una tariffa per la copertura dei costi del servizio. In particolare “i costi per i servizi relativi alla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade e aree pubbliche e soggette ad uso pubblico, sono coperti dai Comuni mediante l`istituzione di una tariffa” (comma 2, art. 49).

In merito al termine del 1<198> gennaio 2000 va ricordato che esso era, precedentemente, fissato al 1<198> gennaio 1999 (così nel testo originario del D.L.vo n. 22 cit.).

Val la pena rammentare che la legge n. 426/98 (“Nuovi interventi in campo ambientale”) aveva definitivamente fissato che il termine dell`1 gennaio 1999 per la soppressione della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e la sua sostituzione con la tariffa – introdotto dall`art. 49, comma 1 del decreto o legislativo n. 22/97, c.d. “decreto Ronchi” – era sostituito con quello del 1<198> gennaio 2000 (art. 1, comma 28).

<%-2>Per non lasciare dubbio alcuno il comma 7 dell`art. 31 della legge n. 448/98 (collegato alla Finanziaria 1999) ha stabilito che “per l`anno 1999 continuano ad essere applicabili i criteri per la commisurazione della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani adottati per le tariffe vigenti per l`anno 1998. I comuni possono adottare sperimentalmente il pagamento del servizio con la tariffa. I relativi regolamenti non sono soggetti al controllo del ministro delle finanze”.

Il termine tariffa, usato nell`accezione propria della scienza economica, rappresenta il prezzo pubblico di un servizio ovvero il corrispettivo del beneficio economico che l`utente trae da un pubblico servizio liberamente richiesto.

La tassa, invece, costituisce il contributo di un singolo alla spesa sostenuta da un ente del quale il soggetto è tenuto a valersi.

Va evidenziato che, comunque, la tassa si collega ad un pubblico servizio o ad una utilità resa all`obbligato.

La tariffa non è istituto più elastico della tassa in quanto un prezzo pubblico, quale è la tariffa, è più vincolato alla prestazione di cui costituisce il corrispettivo, di quanto lo sia la tassa stessa.

Ciò a fronte dell`obbligatorietà del servizio di raccolta dei rifiuti, tanto per il Comune che di regola deve istituirlo in regime di privativa, quanto per i cittadini che devono domandarlo. Ogni cittadino, peraltro, è interessato a che tutti i cittadini si avvalgano del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti, essendo a tutti comune l`interesse alla pulizia della città.

“Valgono a questo riguardo le precisazioni del Consiglio di Stato ha dedicato al canone per la raccolta e la depurazione delle acque (istituito con l`art. 16 della legge 10 maggio 1976, n. 319, e successivamente regolato dall`art. 3 del D.L. 28 febbraio 1981, n. 38, convertito con modificazioni nella legge 23 aprile 1981 n. 153 e dall`art. 32 della legge 5 gennaio 1994, n. 36): esso rientra nella categoria delle entrate tributarie, ancorché il pagamento sia collegato con una prestazione da parte di un soggetto pubblico, perché l`imposizione “è determinata autoritativamente ed obbligatoriamente dall`ente pubblico e il cittadino si trova, in concreto, nella impossibilità di poter rinunciare a domandare il servizio, in ordine al quale si configura una sostanziale obbligatorietà della domanda”.

Pertanto, vista l`obbligatorietà del servizio, tanto per il Comune quanto per i cittadini, il prelievo comunque imposto con l`istituzione di una tariffa per la copertura dei costi del servizio di smaltimento degli RSU viene usato nella sa accezione tecnica della scienza delle finanze, ma piuttosto per esprimere la volontà di attribuire ad ognuno un carico tributario proporzionale ai rifiuti conferiti (piuttosto che all`ampiezza dei locali occupati, conformemente a quanto previsto dalla precedente disciplina della TARSU, a tutt`oggi ancora vigente, con alcune lodevoli eccezioni).

Il prelievo imposto per il finanziamento di questo servizio, comunque lo si chiami, partecipa ai caratteri che la dottrina ha sempre attribuito alla tassa. “Ciò non impedisce di dargli un altro nome: si tratta di stabilire in qual modo si ritiene di regolare il finanziamento del servizio”.

Si tratta, quindi, sempre di una tassa nel senso tecnico del termine ed anzi ci potrebbe essere qualche buona ragione per non chiamarla tariffa.

Deve essere però una tassa dotata delle caratteristiche desiderate da chi vuol chiamarla tariffa: che copra il costo del servizio e che sia regolata dal Comune.

Secondo il comma 2 dell`art. 49 “i costi per i servizi relativi alla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico, sono coperti da i Comuni mediante l`istituzione della tariffa”.

Il successivo comma indica che “la tariffa deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale”.

I rifiuti urbani sono indicati dall`art. 7, comma 2 del D.L.vo n. 22 cit. (si veda il precedente paragrafo 1.3). A questi possono aggiungersi i rifiuti speciali non pericolosi assimilati per qualità e quantità ai rifiuti urbani con delibera del consiglio comunale, ai sensi dell`art. 21, comma 2, lettera f) del D.L.vo n. 22/97.

Ma il D.L.vo n. 22 cit. non ha fatto cessare la produzione normativa sulla materia della tariffa ex-TARSU. Il comma 28 della legge n. 448/98 (“collegato” alla Finanziaria ovvero “Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo”) prevede che “a decorrere dal 1<198> gennaio 1999 il corrispettivo dei servizi di depurazione e di fognatura costituisce quota di tariffa”.

La stessa legge (art. 31, comma 7) stabiliva che “per l`anno 1999 continuano ad essere applicabili i criteri di commisurazione della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani adottati per le tariffe vigenti nell`anno 1998. I comuni possono adottare sperimentalmente il pagamento del servizio con la tariffa (…)”.

A questa disposizione va collegato quanto previsto dall`art. 1, comma 28 della legge n. 426/98, che ha prorogato il termine per l`entrata in vigore della tariffa per il servizio di smaltimento dei rifiuti dal 1<198> gennaio 1999 al 1<198> gennaio 2000.

Il comma 13 (comma 12 in fase di elaborazione, cfr. AC 5858), art. 6 della legge n. 133 cit., quindi, prevede: “Le somme dovute per i servizi di fognatura e depurazione resi dai comuni fino al 31 dicembre 1998 e riscosse successivamente alla predetta data non costituiscono corrispettivi agli effetti dell`IVA. Non costituiscono, altresì, corrispettivi agli effetti dell`IVA le somme dovute ai comuni per il servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani reso entro la suddetta data e riscosse successivamente alla stessa, anche qualora detti enti abbiano adottato in via sperimentale il pagamento del servizio con la tariffa, ai sensi del`art. 31, comma 7, secondo periodo, della legge 23 dicembre 1998, n. 448”.

In sintesi, secondo le norme proposte, le somme dovute per i servizi di fognatura e depurazione, relative al 1998, ma riscosse successivamente (quindi in vigenza della nuova disciplina che prevede che i relativi corrispettivi, dall`1 gennaio 1999, costituiscono quota di tariffa) non sono assoggettate ad IVA; analogamente non sono da considerarsi corrispettivi assoggettabili ad IVA le somma dovute ai Comuni per il servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, anche quando detti enti abbiano adottato la tariffa in via sperimentale (anticipando, quindi, il termine dell`1 gennaio 2000 introdotto dalle legge n. 426 cit.).

Si risolve così un problema che era sorto nel 1998 e nei primi mesi del 1999.

Ma quale sarà il regime fiscale della futura tariffa per il servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani?

2. L`assimilabilità dei rifiuti industriali secondo la disciplina della Tarsu

Dal 2 marzo 1997, la materia dei rifiuti trova la propria disciplina del D.L.vo n. 22/97 (c.d. “decreto Ronchi”), che, all`art. 56, comma 1, lett b) abroga espressamente il D.P.R. n. 915/82. Il decreto legislativo cit., in quanto legge quadro necessita però di numerosi decreti attuativi per entrare pienamente a regime e, quindi, al fine di evitare vuoti normativi si prevede una fase transitoria, in cui convivono le norme di principio, immediatamente applicabili e quelle previgenti di dettaglio, che saranno sostituite dai decreti di contenuto tecnico.

In particolare, l`art. 57, comma 1, statuisce che “le norme regolamentari e tecniche che disciplinano la raccolta, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti restano in vigore sino all`adozione delle specifiche norme adottate in attuazione del presente decreto”.

L`art. 18, comma 2 lett. d) D.L.vo n. 22/97, rinvia alla determinazione da parte dello Stato dei criteri qualitativi e quantitativi e quali-quantitativi per l`assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani.

L`art. 21, comma 2 lett. g) D.L.vo n. 22 cit. attribuisce ai comuni la facoltà di disciplinare, con apposito regolamento, l`assimilazione per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi a quelli urbani.

In forza del richiamato art. 57, comma 1 la Delibera 27 luglio 84 risulta essere l`unica disciplina dell`assimilabilità oggi vigente, con l`ausilio del criterio interpretativo del D.P.R. 915/82.

La citata Delibera del 1984 al punto 1.1, comma 4 recita “Resta salva la facoltà dei comuni di disciplinare, nell`ambito del regolamento di cui all`art. 8, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 915/82, l`assimilabilità dei rifiuti derivanti da attività agricole, artigianali, commerciali e di servizi, nonché da ospedali, istituti di cura ed affini, sia pubblici che privati, ai fini dell`ordinario conferimento dei rifiuti medesimi al servizio pubblico e della connessa applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 268 e 298 del testo unico per la finanza locale, approvato con regio decreto 14 settembre 1931, n. 1175, e successive modifiche ed integrazioni”.

La seconda tipologia di assimilabilità (che include i rifiuti industriali) si legge, invece, nel punto 1 gennaio 1 della stessa Delibera, che fa menzione di tutte le tipologie di rifiuti speciali di cui ai punti 1, 2, 3, 4 e 5 del 4<198> comma del D.P.R. n. 915/82.

Nel primo caso si tratta di una forma “generale” di assimilabilità, il secondo riguarda, invece, le condizioni in base alle quali taluni rifiuti speciali – compresi i rifiuti industriali – possono essere smaltiti negli impianti di discarica di 1<198> categoria (assimilabilità tecnologica).

Con l`art. 39, commi 1 e 2 della legge n. 146/94 si è verificata un`assimilazione per legge di tutti i rifiuti speciali ai rifiuti urbani (compresi quelli di origine industriale individuati al n. 1, punto 1 gennaio 1 lettera a) della citata Delibera Ministeriale, con le seguenti conseguenze:

<+>1) a carico dei produttori di tali rifiuti (fin ad allora gestiti in regime di libero mercato) nasceva un obbligo di conferimento al pubblico servizio di raccolta, trasporto e smaltimento;

<+>2) i Comuni avevano il potere-dovere di provvedere alla raccolta, trasporto e smaltimento attraverso i propri servizi, in<%-2>dipendentemente dalla quantità e dalla provenienza dei medesimi (e, quindi, con diritto di privativa);

<+>3) le superfici dove si formavano i predetti rifiuti dovevano essere comunicate al Comune, rappresentando il presupposto per l`applicazione della Tarsu.

I predetti commi 1 e 2 dell`art. 39 sono stati abrogati dall`art. 17, comma 3 della legge n. 128/98, con la conseguenza che la potestà di assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani è tornata in capo ai Comuni i quali la esercitano “caso per caso”, secondo i criteri di cui alla Delibera del 27 luglio 1984, i cui contenuti sono fatti salvi dall`art. 57, comma 1 del D.L.vo n. 22/97 (1).

La stessa Circolare del Ministero delle finanze del 7 maggio 2998 n. 119/E osserva che il Comune può avvalersi immediatamente del potere di assimilazione, ripristinato con l`art. 21, comma 2 lett g) del decreto legislativo n. 22/97 ed ora, dopo l`abrogazione dell`art. 39 in questione, esercitabile sulla base delle norme regolamentari e tecniche vigenti (citata dal D. I. del 27 luglio 84 in attesa delle nuove disposizioni (artt. 18, comma 2, lett d) e 57, comma 1 del D.L.vo n. 22/97)”.

La Delibera del 1984 , più volte citata, lascia impregiudicata la possibilità per i Comuni di assimilare i rifiuti speciali (punto 1.1 comma 4, ad eccezione di quelli provenienti dalle lavorazioni industriali), mentre al successivo punto 1 gennaio 1 stabilisce che tutte le tipologie di rifiuti speciali “possono essere ammessi allo smaltimento in impianti di discarica aventi le caratteristiche fissate al punto 4 febbraio 2, se rispettano le seguenti condizioni (…)”.

La migliore dottrina e gran parte della giurisprudenza ritengono che la distinzione tra lavorazioni industriali e tutti gli altri trovi la propria ratio nel punto e virgola che, nell`art. 4, comma 2 separa i rifiuti provenienti dalle lavorazioni industriali dalle altre tipologie (da attività agricole, artigianali, commerciali e di servizi) e che, pertanto, ad essi non sia estendibile il potere comunale di assimilabilità quali/quantitativa ( a tutti gli effetti), mentre, unico criterio applicabile resta quello dell`assimilabilità tecnologica in discarica di 1<198> categoria, dettato dalla Delibera del 1984.

Ad avallare tale conclusione, sembra sufficiente richiamare alcune pronunce della 1<198> Sezione della Suprema Corte di cassazione. In particolare: “In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti speciali, l`art. 2, 4<198> comma, n. 1, D.P.R. 915/82 distingue i residui delle lavorazioni industriali da quelli derivanti da attività agricole, artigianali, commerciali e di servizi, assoggettando questi ultimi allo stesso trattamento dei primi solo se non dichiarati assimilabili ai rifiuti urbani” (sentenza n. 7582/1994 del 30 agosto 1994).

Ed ancora, la Cassazione ha affermato: “I Comuni hanno la facoltà di dichiarare assimilabili ai rifiuti urbani i residui derivanti da attività commerciali (oltreché da attività artigianali e di servizio, con esclusione di quelli derivanti da lavorazioni industriali) e possono esercitare tale facoltà, con conseguente esercizio del potere impositivo previsto per il costo di sgombero dei rifiuti urbani, attraverso il regolamento comunale” (sentenza n. 6389/1994 del 7 luglio 1994).

Qualificare i rifiuti industriali, quali rifiuti speciali esclusi dalla privativa comunale, ha ulteriori conseguenze sotto il profilo della tassazione delle aree su cui gli stessi si formano.

Si consideri che i Comuni sono obbligati ad istituire una tassa annuale per il servizio relativo allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e degli speciali assimilati, svolti in regime di privativa (art. 1 D.L.vo n. 507/93).

Ne consegue, alla luce della dimostrata qualifica giuridica dei predetti rifiuti, l`intassabilità delle relative aree di produzione.

In secondo luogo, va evidenziato che l`art. 62, al 3<198> comma del D.L.vo n. 507 cit.., prevede: “Nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano di regola, rifiuti speciali… allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori in base alle norme vigenti”.

Ferma restando detta intassabilità, l`art. 68 comma 1 lett. a) del D.L.vo n. 507/93 conferisce ai Comuni la possibilità di prevedere, nell`apposito regolamento, l`articolazione di locali ed aree in più sottocategorie, in base ad eventuali diverse attività che risultino in esse presenti, con conseguente applicazione di tariffe diverse. Viceversa, non pare che la norma lasci alcuna possibilità di articolazione di ciascuna attività economica, peraltro riconoscibile da un proprio codice di attività sia ISTAT che IVA, in relative sottocategorie. Ciascuna attività, infatti, ha una propria “omogenea potenzialità di rifiuti”, mentre all`interno di un medesimo locale od area sono possibili esercizi di attività tra loro diverse, ognuna con una sua tipica “potenzialità” rilevante al riguardo.

In ordine all`inciso “di regola”, è noto che esso rinvia al concetto di prevalenza, di talché, in presenza di un`area in cui si svolga un`attività industriale, che, sotto un profilo oggettivo, possa considerarsi prevalente rispetto ad altri usi (ad esempio uffici, mense ecc.), non risultano tassabili altre superfici, pur facenti parti della medesima impresa, in cui si formano rifiuti urbani o assimilati agli urbani

Sul punto il TAR Toscana ha affermato che “… il criterio della esenzione della tassa sullo smaltimento dei rifiuti solidi urbani è applicabile tutte le volte in cui le specifiche caratteristiche strutturale e la destinazione delle aree danno luogo di norma – secondo un giudizio di prevalenza – a rifiuti speciali” (sez. I, 5 maggio 1998 n. 192/92).

Ciò significa che l`impresa va considerata, in linea di principio, come complesso unitario, epperciò non scindibile (nel medesimo senso si è espressa la Risoluzione del Ministero delle finanze del 30 settembre 1998n. 149/E).

Sul punto si richiama la sentenza della Corte di Appello di Brescia (16 giugno 1989), secondo cui “le sostanze costituenti scarti di produzione, ritenute dall`imprenditore non più utili al ciclo produttivo svolto dall`impresa debbono essere classificate come rifiuti speciali, che l`impresa è tenuta a smaltire a sua cura e spese; pertanto, non è applicabile, in relazione ad essi, la tassa comunale sui rifiuti”.

Il medesimo orientamento è stato seguito dal TAR Lombardia (sez. Brescia 29 maggio 1985 n. 266/85) quando afferma che “ai sensi degli artt. 2, 4<198> comma D.P.R. 915/82, i residui derivanti da lavorazioni industriali sono sempre e soltanto rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori; pertanto, è illegittima la deliberazione del comune che assoggetta tale tipo di rifiuti alla tassa per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani”.

3. La trasformazione della Tarsu in imposta

La tassa sullo smaltimento dei rifiuti, tributo locale che garantisce cospicue entrate alle esauste casse dei Comuni, si collega (da ciò la natura di tassa) ad un servizio reso da questi ultimi ai cittadini (1).

Detta tassa non è frutto della recente attenzione all`ambiente, ma fu istituita nel 1931 e poi successivamente modificata dal D.P.R. n. 915/82, prima normativa di settore che intendeva disciplinare i rifiuti.

Tra le diverse specie di tributo, la tassa è quella più difficile da definire.

Su un punto soltanto concordano tutti: essa si collega ad un servizio pubblico reso in modo “divisibile” ad individui determinati (2).

Vi è una netta distinzione tra il prezzo, che costituisce corrispettivo di un contratto privatistico e la tassa che essendo un tributo (non mancano orientamenti che lo escludono …), si realizza in un rapporto di diritto pubblico, disciplinato nei suoi presupposti e nel suo contenuto dalla legge (3).

Da qualche anno a questa parte la tassa sui rifiuti è stata oggetto di interessanti pronunce giurisprudenziali (e anche di continui provvedimenti legislativi, come si preciserà in seguito).

In proposito è stata ritenuta l`illegittimità della tassa citata se il relativo servizio comunale non viene di fatto erogato (4), o la legittimità di tariffe differenziate a seconda delle categorie (5) o la illegittimità di un aumento tariffario uguale per tutti (6).

La sentenza del Tribunale di Napoli, sez. I, 18 novembre 1995 (in Ambiente, n. 3/1996, p. 241 e ss.) si inserisce in questo filone e, se non vi fosse stata qualche piccola carenza probatoria (7), avrebbe potuto dire certamente molto di più.

Afferma, infatti, la stessa:

“Ebbene, per quanto non si possa consentire che venga assoggettata indiscriminatamente a tributo qualsiasi area di proprietà del privato cittadino, ciò indurrebbe a denegare la possibilità di ottenere l`esenzione dall`obbligazione tributaria, trasformando così surrettiziamente la tassa in imposta (…), è comunque necessario che chi lamenti che l`imposizione tributaria abbia ingiustamente riguardato anche tali superfici ne dimostrano rigorosamente entità e ubicazione (…). La società attiche, lungi dall`adempiere a tale onere probatorio su di essa incombente, si è limitata a chiedere che fosse disposta CTU per verificare le dimensione dell`area destinata (…) alla produzione (…) e pertanto non soggetta alla predetta tassa”.

Queste ultime affermazioni abbisognano di due nozioni.

L`imposta differisce dalla tassa in quanto è la prestazione pecuniaria che un ente pubblico ha diritto di esigere in virtù della sua potestà di impero, originaria o derivata nei casi, nella misura e nei modi stabiliti dalla legge, allo scopo di conseguire un`entrata (8).

Per quanto riguarda la superficie tassabile “non si tiene conto di quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi, allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti” (art. 62, comma 3, D.L.vo n. 507/93) (9).

4. Differenziazione della tariffa e onere di adeguata motivazione

La sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 28 gennaio 1998 n. 108, da cui si prende spunto, scaturisce da un appello proposto dai ricorrenti contro una precedente decisione del TAR con la quale si dichiarava il primo ricorso inammissibile.

Infatti, la delibera del 1986 del Comune di Genova, recante l`adozione delle tariffe in materia di TARSU, aveva carattere meramente applicativo del regolamento approvato nel 1983, che – effettivamente preclusivo dell`interesse dei ricorrenti – non era stato impugnato ad avviso del TAR.

I ricorrenti, con l`appello, censurano la decisione di quest`ultimo perché fondata su un errore di diritto (in quanto il regolamento del 1983 – l`atto presupposto – era stato ritualmente impugnato) e che l`atto impugnato era affetto da violazione di legge e da eccesso di potere.

Si ricorda che per atto presupposto si intende quell`atto che, pur essendo autonomo rispetto ad un atto successivo e al relativo suo procedimento, costituisce il fondamento per l`atto successivo.

Quest`ultimo non avrebbe potuto essere emanato o sarebbe stato emanato in modo diverso ove il primo fosse mancato o fosse stato diverso.

In considerazione di questa autonomia l`atto presupposto deve essere impugnato con quello successivo, sia pure in occasione dell`impugnativa di quest`ultimo.

Le eccezioni appaiono essere sostanzialmente due:

<+>1) l`omessa impugnazione di un atto presupposto da cui deriva la definitiva acquiescenza;

<+>2) il ricorrente, all`epoca dell`emanazione dell`atto presupposto, non poteva considerarsi titolare di un interesse legittimo.

Questa “incursione” nella particolare patologia dei vizi degli atti presupposti ci consente di avvicinarsi alla “questione centrale” trattata dalla sentenza in parola.

In particolare gli interessati lamentano che l`atto impugnato sarebbe affetto da violazione di legge ed eccesso di potere e avrebbe introdotto delle tariffe del tutto arbitrarie, assoggettando gli studi professionali a oneri più elevati rispetto ad altre categorie di immobili, in grado di produrre RSU in misura certamente non minore rispetto a quello di locali adibiti alla predetta destinazione.

Le tariffe, secondo gli stessi, avrebbero dovuto tener conto non delle capacità reddituali dei titolari di tali immobili, bensì dell`effettiva capacità di produrre rifiuti e dunque dall`uso concreto degli stessi.

Nel caso in esame – evidenzia la sentenza nell`accogliere il ricorso – i provvedimenti (cioè il regolamento e la delibera) non indicano i motivi per i quali si è tenuto di poter assoggettare a tariffe ampiamente differenziate le diverse categorie di produttori di rifiuti interni e, in particolare, quelle degli studi professionali e dei gabinetti medici e dentistici rispetto alle abitazioni o ad altre categorie che, in sé considerate, non appaiono necessariamente produttive di minori quantitativi di rifiuti, laddove gli oneri tariffari devono, tendenzialmente, essere ragguagliati agli effettivi oneri di smaltimento (10).

Questa sentenza appare conforme alla giurisprudenza del Consiglio di Stato che aveva già affermato che è “(…) legittima a differenziazione delle tariffe relative alla tassa sui rifiuti solidi urbani in base all`attività economica esercitata dai soggetti passivi e alla relativa incidenza del costo del servizio, ma in capo all`autorità comunale fra la natura dell`attività presa in considerazione e i costi sopportati dal Comune per assicurare il servizio (…)” (11).

D`altro canto lo stesso art. 68 del decreto legislativo n. 507/93 prevede che nell`applicazione della tassa in questione i Comuni debbono compiere previamente valutazioni ponderate di carattere comparativo ai fini della determinazione delle tariffe per unità di superficie relative alle singola categorie (12).

 

 

(1) M. MEDUGNO, Tributi all`ambiente, in Rifiuti, 1993, n. 3 pag. 58 ss. (sul punto pag. 60).

(2) F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, Torino, 1987, pag. 8.

(3) F. TESAURO, Op. cit., pag. 9.

(4) Trib. civ. Napoli, 8 maggio 1991, in Foro it., 1992, I, 2845.

(5) T.A.R. Toscana, 14 dicembre 1991, n. 1010, in Riv. giur. ambiente, 1991, pag. 507.

(6) T.A.R. Lombardia, 17 dicembre 1990, n. 688, in Riv. giur. ambiente 1991, pag. 703.

(7) È noto che la consulenza tecnica, essendo strumento di valutazione di fatti già dimostrati non può costituire un mezzo di prova o di ricerca. Essa, è tuttavia ammissibile anche quanto si riveli necessaria all`acquisizione della prova che la parte no possa in altro modo fornire.

(8) F. TESAURO, Op. cit., pag. 6.

(9) Il pendant a questa norma è nell`art. 3, comma 3 del D.P.R. n. 915/82 laddove si scrive “Allo smaltimento dei rifiuti speciali, anche tossici e nocivi, sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori dei rifiuti stessi (…)”.

(10) A questo riguardo vanno considerati alcuni esempi con riferimento alla misura tariffaria stabilita dal Comune di Roma rispetto agli uffici (L. 12.170 per unità di superficie), alle abitazioni (L. 3.125), alle caserme (L. 4.800), piuttosto che alle stazioni e assimilabili (L. 4.060).

(11) Cons. di Stato, sez. IV, 28 febbraio 1992, n. 216, in Giur. it. 1993, III, 513.

(12) Ancora ricco di spunti il D.L.vo n. 507 cit.. Il comma 3 dell`art. 61 nomina le “materie prime secondarie”, facendo riferimento alla precedente normativa sui rifiuti, ma che torna attuale con il D.M. 5 febbraio 1998 emanato in attuazione del D.L.vo n. 22/97.

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