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Quali rifiuti prodotti dalle imprese potranno essere affidati al servizio pubblico di raccolta?
di Paolo Pipere
Categoria: Rifiuti
Il Ministero dell’Ambiente ha avviato un processo di consultazione per ridefinire i criteri per individuare quali rifiuti prodotti dalle imprese potranno essere conferiti al servizio pubblico di raccolta. Per raggiungere questo obiettivo è stata predisposto una bozza di decreto ministeriale.
La questione è di primaria importanza per le attività economiche perché il presupposto oggettivo della tassa rifiuti (TARI) è costituito dalla capacità di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, di “produrre rifiuti urbani” e, come meglio precisa il comma 645 della Legge 147 del 2013 che ha istituito la TARI, “assimilati”.
Oggi i criteri “qualitativi e quali-quantitativi” per individuare i “rifiuti speciali assimilabili agli urbani” (i rifiuti prodotti da un’impresa o da un ente che possono essere recuperati o smaltiti in impianti originariamente progettati per trattare rifiuti urbani perché di composizione analoga a quelli di origine domestica) sono ancora quelli individuati dalla deliberazione del Comitato interministeriale sui rifiuti del 27 luglio del 1984.
L’individuazione di tali criteri è una competenza dello Stato, così come disposto prima dall’art. 18, comma 2, del D.Lgs. 22/1997 e in seguito dall’art. 195, comma 2, lettera e) del D.Lgs. 152/2006.
Soltanto i rifiuti classificati come non pericolosi elencati, sia pur in modo alquanto generico, nella citata deliberazione del Comitato interministeriale sui rifiuti, oggi sono rifiuti speciali assimilabili agli urbani, pertanto solamente queste tipologie di rifiuti possono essere assimilate agli urbani e comportare l’obbligo di pagamento della TARI.
Infatti, ai Comuni compete, secondo l’art. 198, comma 1, lettera g) del D.Lgs. 152/2006: «l’assimilazione, per qualità e quantità, dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani, secondo i criteri di cui all’articolo 195, comma 2, lettera e)[…]».
I “rifiuti speciali assimilati agli urbani” sono quindi quelli che il Comune ha deciso, con proprio Regolamento e sulla base di criteri qualitativi definiti dallo Stato, di prendere in carico nel normale servizio di raccolta dei rifiuti urbani, trasformando quindi il rifiuto speciale in rifiuto urbano.
Lo schema di decreto
La bozza della norma chiarisce che: «sulla base dei criteri individuati nel presente decreto, i comuni disciplinano le modalità per l’assimilazione».
I rifiuti assimilabili sono individuati con un duplice criterio:
devono essere stati prodotti da una serie di attività economiche individuate dall’allegato 1 (che riproduce l’obsoleto elenco delle tipologie di utenze non domestiche contenuto nel D.P.R. 158/1999),
devono essere identificati con uno dei codici dell’elenco europeo dei rifiuti (List of Waste) elencati nell’allegato 2.
Lo schema di decreto, in conformità con quanto disposto dalla Legge istitutiva della TARI, precisa che nei Comuni in cui non è stata attivata la tariffazione puntuale, quindi nella maggior parte dei comuni, non sono assimilabili ai rifiuti urbani: «i rifiuti speciali non pericolosi provenienti da attività agricole e agro-industriali, da attività industriali e da attività artigianali che si formano nelle aree e nei locali ove si svolgono tali attività compresi i magazzini di materie prime, di merci e di prodotti finiti, salvo i rifiuti prodotti negli uffici, nelle mense, negli spacci, nei bar e nei locali al servizio dei lavoratori e nei locali aperti al pubblico, con superficie non superiore ai limiti Sd indicati nell’allegato 4.». Nell’allegato 4 si specifica che per le “attività industriali con capannoni di produzione” e per le “attività artigianali di produzione di beni specifici” i limiti dimensionali (Sd) (riferiti ad uffici, mense, spacci, ecc.) oltre i quali i rifiuti non sono più assimilabili sono pari a 500 metri quadrati.
Limiti dimensionali per l’assimilazione
Come anticipato la limitazione dell’assimilabilità dei rifiuti in funzione della dimensione aziendale opererà per le attività industriali, artigianali e per talune attività commerciali nel caso di Comuni, e ad oggi si tratta della grande maggioranza, che non hanno istituito un sistema di misurazione puntuale dei rifiuti conferiti al servizio pubblico, sistema recentemente disciplinato con il D.M. 20 aprile 2017. Un’attività industriale, per esempio, dotata di uffici mense, spacci, ecc. di superficie superiore ai 500 metri quadri non sarà più produttiva di rifiuti assimilabili né nelle aree adibite a lavorazione, nei magazzini e nelle aree scoperte funzionali all’esercizio delle lavorazioni, né negli uffici, nelle mense, ecc. Infatti, i rifiuti assimilabili prodotti dalle attività che superano i limiti dimensionali dallo schema di decreto: «non sono assimilati agli urbani per l’intera quantità».
Si tratta di un’estensione del divieto di assimilazione che, con esclusivo riferimento alle grandi superfici di vendita, è stato presente nel D.Lgs. 152/2006 fino al 27 dicembre 2011.
La misurazione puntuale salva l’assimilazione “spinta”
I Comuni che attiveranno un sistema di misurazione dei rifiuti conferiti dalle utenze non domestiche conforme al recente decreto ministeriale potranno, invece, continuare ad assimilare i rifiuti fino al valore limite, espresso in kilogrammi per metro quadrato all’anno, definito per quasi tutte le tipologie di attività economiche individuate dall’allegato 1. Tali valori sembrano essere stati definiti assumendo come riferimento i contesti territoriali ove i Comuni assimilano quasi tutti i rifiuti non pericolosi prodotti dalle attività economiche, sottraendo – secondo l’indagine conoscitiva dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato – «al libero mercato la gestione di una parte dei rifiuti speciali (tipicamente sottratta alla privativa comunale)». In prospettiva, però, i limiti quantitativi oltre a non poter eccedere i valori limite dovranno essere “stabiliti in misura non superiore al valore medio di produzione conferito da ciascuna tipologia di attività nell’anno precedente”.
Le criticità nell’elenco dei rifiuti assimilabili
La bozza di decreto, come anticipato, prevede che possano essere ritenuti assimilabili solo i rifiuti, identificati dai rispettivi codici CER/EER, elencati nell’Allegato 2.
Tra i rifiuti inclusi nell’elenco figurano però tipologie di rifiuti non pericolosi che non sembra sensato qualificare come assimilabili. In particolare, si tratta di:
oli e grassi commestibili;
toner per stampa esauriti;
vernici, inchiostri, adesivi e resine;
detergenti
Il primo fattore di rischio è costituito dal fatto che, con l’eccezione degli oli e grassi commestibili, i rifiuti indicati sono tutti individuati da codici a specchio, pertanto è sempre indispensabile accertare, con adeguata documentazione o analiticamente, che la classificazione del rifiuto sia stata effettuata correttamente. In caso contrario il rifiuto speciale pericoloso sarebbe trasportato e gestito da imprese prive dei titoli abilitativi necessari e con modalità inadatte a tutelare la salute e a proteggere l’ambiente.
Il secondo fattore di rischio è legato alla assenza di tracciablità dei rifiuti in fase di raccolta. Il concessionario del servizio pubblico, che spesso si avvale di subappaltatori, non è tenuto a emettere il formulario di trasporto (FIR) per i rifiuti provenienti dalle imprese ma divenuti urbani (assimilati). Soprattutto nel caso di rifiuti dotati di valore commerciale (toner, oli), la completa assenza di documentazione di trasporto al momento del ritiro in azienda poterebbe costituire un grave problema. Inoltre, nel caso di conferimento di rifiuti in seguito rivelatisi pericolosi sarebbe impossibile individuare il soggetto responsabile dell’illecito.
Infine, per quanto riguarda i toner per stampanti, il legislatore in passato aveva previsto per un breve periodo la loro assimilabilità, con art. 39 della legge n. 146/1994, ma in seguito l’ha esclusa. Non si comprende perciò per quale motivo questa decisione debba essere modificata, anche alla luce dei rischi di perdita della tracciabilità dei flussi di questo genere di rifiuti e della conseguente difficoltà di assicurarne una corretta gestione in impianti specificamente autorizzati a garantirne il recupero.
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Quali rifiuti prodotti dalle imprese potranno essere affidati al servizio pubblico di raccolta?
di Paolo Pipere
Il Ministero dell’Ambiente ha avviato un processo di consultazione per ridefinire i criteri per individuare quali rifiuti prodotti dalle imprese potranno essere conferiti al servizio pubblico di raccolta. Per raggiungere questo obiettivo è stata predisposto una bozza di decreto ministeriale.
La questione è di primaria importanza per le attività economiche perché il presupposto oggettivo della tassa rifiuti (TARI) è costituito dalla capacità di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, di “produrre rifiuti urbani” e, come meglio precisa il comma 645 della Legge 147 del 2013 che ha istituito la TARI, “assimilati”.
Oggi i criteri “qualitativi e quali-quantitativi” per individuare i “rifiuti speciali assimilabili agli urbani” (i rifiuti prodotti da un’impresa o da un ente che possono essere recuperati o smaltiti in impianti originariamente progettati per trattare rifiuti urbani perché di composizione analoga a quelli di origine domestica) sono ancora quelli individuati dalla deliberazione del Comitato interministeriale sui rifiuti del 27 luglio del 1984.
L’individuazione di tali criteri è una competenza dello Stato, così come disposto prima dall’art. 18, comma 2, del D.Lgs. 22/1997 e in seguito dall’art. 195, comma 2, lettera e) del D.Lgs. 152/2006.
Soltanto i rifiuti classificati come non pericolosi elencati, sia pur in modo alquanto generico, nella citata deliberazione del Comitato interministeriale sui rifiuti, oggi sono rifiuti speciali assimilabili agli urbani, pertanto solamente queste tipologie di rifiuti possono essere assimilate agli urbani e comportare l’obbligo di pagamento della TARI.
Infatti, ai Comuni compete, secondo l’art. 198, comma 1, lettera g) del D.Lgs. 152/2006: «l’assimilazione, per qualità e quantità, dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani, secondo i criteri di cui all’articolo 195, comma 2, lettera e)[…]».
I “rifiuti speciali assimilati agli urbani” sono quindi quelli che il Comune ha deciso, con proprio Regolamento e sulla base di criteri qualitativi definiti dallo Stato, di prendere in carico nel normale servizio di raccolta dei rifiuti urbani, trasformando quindi il rifiuto speciale in rifiuto urbano.
Lo schema di decreto
La bozza della norma chiarisce che: «sulla base dei criteri individuati nel presente decreto, i comuni disciplinano le modalità per l’assimilazione».
I rifiuti assimilabili sono individuati con un duplice criterio:
Lo schema di decreto, in conformità con quanto disposto dalla Legge istitutiva della TARI, precisa che nei Comuni in cui non è stata attivata la tariffazione puntuale, quindi nella maggior parte dei comuni, non sono assimilabili ai rifiuti urbani: «i rifiuti speciali non pericolosi provenienti da attività agricole e agro-industriali, da attività industriali e da attività artigianali che si formano nelle aree e nei locali ove si svolgono tali attività compresi i magazzini di materie prime, di merci e di prodotti finiti, salvo i rifiuti prodotti negli uffici, nelle mense, negli spacci, nei bar e nei locali al servizio dei lavoratori e nei locali aperti al pubblico, con superficie non superiore ai limiti Sd indicati nell’allegato 4.». Nell’allegato 4 si specifica che per le “attività industriali con capannoni di produzione” e per le “attività artigianali di produzione di beni specifici” i limiti dimensionali (Sd) (riferiti ad uffici, mense, spacci, ecc.) oltre i quali i rifiuti non sono più assimilabili sono pari a 500 metri quadrati.
Limiti dimensionali per l’assimilazione
Come anticipato la limitazione dell’assimilabilità dei rifiuti in funzione della dimensione aziendale opererà per le attività industriali, artigianali e per talune attività commerciali nel caso di Comuni, e ad oggi si tratta della grande maggioranza, che non hanno istituito un sistema di misurazione puntuale dei rifiuti conferiti al servizio pubblico, sistema recentemente disciplinato con il D.M. 20 aprile 2017. Un’attività industriale, per esempio, dotata di uffici mense, spacci, ecc. di superficie superiore ai 500 metri quadri non sarà più produttiva di rifiuti assimilabili né nelle aree adibite a lavorazione, nei magazzini e nelle aree scoperte funzionali all’esercizio delle lavorazioni, né negli uffici, nelle mense, ecc. Infatti, i rifiuti assimilabili prodotti dalle attività che superano i limiti dimensionali dallo schema di decreto: «non sono assimilati agli urbani per l’intera quantità».
Si tratta di un’estensione del divieto di assimilazione che, con esclusivo riferimento alle grandi superfici di vendita, è stato presente nel D.Lgs. 152/2006 fino al 27 dicembre 2011.
La misurazione puntuale salva l’assimilazione “spinta”
I Comuni che attiveranno un sistema di misurazione dei rifiuti conferiti dalle utenze non domestiche conforme al recente decreto ministeriale potranno, invece, continuare ad assimilare i rifiuti fino al valore limite, espresso in kilogrammi per metro quadrato all’anno, definito per quasi tutte le tipologie di attività economiche individuate dall’allegato 1. Tali valori sembrano essere stati definiti assumendo come riferimento i contesti territoriali ove i Comuni assimilano quasi tutti i rifiuti non pericolosi prodotti dalle attività economiche, sottraendo – secondo l’indagine conoscitiva dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato – «al libero mercato la gestione di una parte dei rifiuti speciali (tipicamente sottratta alla privativa comunale)». In prospettiva, però, i limiti quantitativi oltre a non poter eccedere i valori limite dovranno essere “stabiliti in misura non superiore al valore medio di produzione conferito da ciascuna tipologia di attività nell’anno precedente”.
Le criticità nell’elenco dei rifiuti assimilabili
La bozza di decreto, come anticipato, prevede che possano essere ritenuti assimilabili solo i rifiuti, identificati dai rispettivi codici CER/EER, elencati nell’Allegato 2.
Tra i rifiuti inclusi nell’elenco figurano però tipologie di rifiuti non pericolosi che non sembra sensato qualificare come assimilabili. In particolare, si tratta di:
Il primo fattore di rischio è costituito dal fatto che, con l’eccezione degli oli e grassi commestibili, i rifiuti indicati sono tutti individuati da codici a specchio, pertanto è sempre indispensabile accertare, con adeguata documentazione o analiticamente, che la classificazione del rifiuto sia stata effettuata correttamente. In caso contrario il rifiuto speciale pericoloso sarebbe trasportato e gestito da imprese prive dei titoli abilitativi necessari e con modalità inadatte a tutelare la salute e a proteggere l’ambiente.
Il secondo fattore di rischio è legato alla assenza di tracciablità dei rifiuti in fase di raccolta. Il concessionario del servizio pubblico, che spesso si avvale di subappaltatori, non è tenuto a emettere il formulario di trasporto (FIR) per i rifiuti provenienti dalle imprese ma divenuti urbani (assimilati). Soprattutto nel caso di rifiuti dotati di valore commerciale (toner, oli), la completa assenza di documentazione di trasporto al momento del ritiro in azienda poterebbe costituire un grave problema. Inoltre, nel caso di conferimento di rifiuti in seguito rivelatisi pericolosi sarebbe impossibile individuare il soggetto responsabile dell’illecito.
Infine, per quanto riguarda i toner per stampanti, il legislatore in passato aveva previsto per un breve periodo la loro assimilabilità, con art. 39 della legge n. 146/1994, ma in seguito l’ha esclusa. Non si comprende perciò per quale motivo questa decisione debba essere modificata, anche alla luce dei rischi di perdita della tracciabilità dei flussi di questo genere di rifiuti e della conseguente difficoltà di assicurarne una corretta gestione in impianti specificamente autorizzati a garantirne il recupero.
Di questo (e di tanto altro!) si tratterà durante il Corso “Produttori di rifiuti: Opportunità, obblighi e responsabilità“, che si terrà a Milano il 12 dicembre 2017.
Per info e approfondimenti: formazione@tuttoambiente.it – 0523.315305
Piacenza, 28.11.2017
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