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"Mi occupo di diritto ambientale da oltre trent’anni TuttoAmbiente è la guida più autorevole per la formazione e la consulenza ambientale Conta su di noi" Stefano Maglia
La valutazione di impatto ambientale (VIA) dei progetti, così come la VAS, è concepita per assicurare che l’attività antropica sia compatibile con le condizioni per uno sviluppo sostenibile, da una parte mettendo al centro dell’attenzione l’uomo di cui va protetta la salute, contribuire alla e migliorata la qualità della vita attraverso miglioramenti ambientali e dall’altra proteggendo e mantenendo le specie e conservando la capacità di riproduzione degli ecosistemi in quanto essenziali per la vita.
2. Campo di applicazione
La valutazione di impatto ambientale riguarda i progetti definiti dall’art. 5 come “la realizzazione di lavori di costruzione o di altri impianti od opere e di altri interventi sull’ambiente naturale o sul paesaggio, compresi quelli destinati allo sfruttamento delle risorse del suolo”, quindi nella nozione di progetto rientrano la costruzione e la modifica degli impianti o delle opere interessate riportate negli allegati II, II-bis III e IV alla parte seconda del decreto, con le modalità esplicitate nei paragrafi successivi.
Sono previsti casi di esclusione dalla disciplina della VIA in presenza di progetti particolarmente strategici od indifferibili ed urgenti, quali:
progetti aventi quale unico obiettivo la difesa nazionale;
progetti previsti in concomitanza di emergenze che riguardano la protezione civile (si pensi ad infrastrutture indispensabili per garantire i servizi alle popolazioni interessate o solo per consentire gli interventi di soccorso).
L’esclusione deve essere disposta dopo un esame caso per caso dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del Mare (Ministero dell’ambiente) di concerto con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MBACT) finalizzato a verificare se l’applicazione delle norme sulla VIA possa pregiudicare gli obiettivi delle opere progettate. L’applicazione delle norme di cui al titolo III della parte seconda del D.L.vo n. 152/2006, per effetto della pubblicità della procedura, potrebbe, infatti, diffondere informazioni riservate e strategiche o, a causa di un’istruttoria che può raggiungere tempi significativi, rallentare il processo di approvazione di opere urgenti ed indispensabili.
A tali fattispecie il D.L.vo n. 104/2017, conformandosi alla direttiva 2014/52/UE, ha aggiunto una ulteriore possibilità di esclusione riguardante generici progetti o parte di essi per i quali l’applicazione delle disposizioni del titolo III della parte seconda del D.L.vo n. 152/2006 incida negativamente sulla finalità del progetto (vedasi comma 11 dell’art. 6 del D.L.vo n. 152/2006); è di tutta evidenza che l’esclusione di progetti non ben definiti lascia un margine di discrezionalità al Ministero dell’Ambiente.
Relativamente ai progetti soggetti alla valutazione di impatto ambientale, dal punto di vista operativo è opportuno tenere distinte la verifica di assoggettabilità alla VIA dalla VIA, in quanto nel titolo III della parte seconda del D.L.vo n. 152/2006 si rinvengono procedure specifiche per ciascuna di esse.
3. La verifica di assoggettabilità alla VIA
La verifica di assoggettabilità (cd. screening) è definita come la procedura che deve essere attivata per “valutare, ove previsto, se un progetto determina potenziali impatti ambientali significativi e negativi e deve quindi essere sottoposto al procedimento di VIA”. Quindi, rappresenta una fase propedeutica alla VIA, alla quale si deve necessariamente accedere se la verifica di assoggettabilità dimostra che possano generarsi impatti ambientali significativi negativi. Purtroppo, come già accennato in tema di VAS, il limite della procedura è rappresentato dal fatto che non sono definiti criteri oggettivi per definire sia la significatività sia la negatività degli impatti.
Secondo quanto stabilito dal comma 6 dell’art. 6 del D.L.vo n. 152/2006 la verifica di assoggettabilità alla VIA è prevista per:
i progetti elencati nell’allegato II alla parte seconda che servano esclusivamente o essenzialmente per lo sviluppo ed il collaudo di nuovi metodi o prodotti e non siano utilizzati per più di due anni;
le modifiche o le estensioni dei progetti riportati negli allegati II, II-bis, III e IV la cui realizzazione “potenzialmente possa produrre impatti ambientali significativi e negativi ad eccezione delle modifiche o estensioni che risultino conformi agli eventuali valori limite stabiliti nei medesimi allegati II e III”, ciò in quanto queste ultime modifiche sono direttamente soggette a VIA;
i progetti elencati nell’allegato II-bis in applicazione dei criteri e delle soglie previste dal DM 30 marzo 2015 n. 52;
i progetti elencati nell’allegato IV in applicazione dei criteri e delle soglie previste dal DM 30 marzo 2015 n. 52.
L’art. 7-bis del D.L.vo n. 152/2006 stabilisce che la competenza circa i progetti di cui all’allegato II-bis è del Ministero dell’ambiente, mentre i progetti di cui all’allegato IV sono di competenza delle autorità alle quali le leggi regionali o delle province autonome abbiano affidato compiti di tutela, protezione e valorizzazione ambientale (vedasi comma 5 dell’art. 7-bis), pertanto nel panorama nazionale vi sono situazioni differenti da Regione a Regione con competenze affidate anche ai Comuni. Con le modifiche apportate al D.L.vo n. 152/2006 dal D.L.vo n. 104/2017, il legislatore si è dimenticato di ribadire che i progetti di cui all’allegato II che servano esclusivamente o essenzialmente per lo sviluppo ed il collaudo di nuovi metodi o prodotti e non siano utilizzati per più di due anni sono di competenza statale (con l’art. 7-bis, introdotto dal D.L.vo n. 104/2017, sono state declinate le competenze tenendo distinte la verifica di assoggettabilità a VIA e la VIA, differentemente da quanto precedentemente stabilito dall’art. 7 del D.L.vo n. 152/2006 previgente).
Stante il richiamo al DM n. 52/2015 per gli allegati II-bis e IV, è doveroso ricordare che le soglie dimensionali stabilite originariamente per lo screening nel tempo sono stato oggetto di contenziosi e, soprattutto, di procedure di infrazioni comunitarie, in quanto non erano stati considerati tutti i criteri previsti dalle direttive europee, quindi la normativa nazionale si è dovuta adeguare con un processo conclusosi, seppur in ritardo, con il decreto n. 52, firmato il 30 marzo 2015 dal Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e pubblicato sulla G.U. del 11 aprile 2015.
Tale decreto riconosce che le soglie indicate per lo screening erano state fissate considerando solo alcuni criteri, quali le caratteristiche dei progetti, la loro localizzazione e le caratteristiche dell’impatto potenziale. Partendo dalle soglie già presenti nell’allegato IV alla parte seconda del D.L.vo n. 152/2006, il DM n. 52/2015 prevede una riduzione percentuale del 50% per taluni progetti in funzione dei criteri dell’allegato V precedentemente non considerati. I criteri aggiuntivi riguardano:
il cumulo con altri progetti;
il rischio di incidenti dei progetti (D.L.vo n. 334/1999 e smi);
la localizzazione dei progetti tenendo conto di ulteriori zone degne di tutela (zone umide, zone costiere, zone montuose o forestali, riserve e parchi naturali, ZPS e SIC, zone in cui sono superati gli standard di qualità ambientale – in particolare aria ambiente e zone vulnerabili da nitrati di origine agricola, zone a forte densità demografica e zone di importanza storica, culturale o archeologica).
Il DM n. 52/2015 prevede a sua volta l’emanazione di un ulteriore decreto per disposizioni modificative tra cui la possibilità di ridefinire le soglie qualora vi siano norme regionali che garantiscano nelle procedure di autorizzazione livelli di tutela ambientali maggiori di quelli che si conseguirebbero con la verifica di assoggettabilità a VIA e soprattutto la definizione di criteri o condizioni in base ai quali sarà possibile escludere la sussistenza di potenziali effetti significativi sull’ambiente e conseguentemente l’obbligo della procedura di screening. Tale disposizione potrebbe avere interessanti e positive ricadute sulle modifiche di progetti autorizzati, visto che la lett. h) dell’allegato II-bis riguarda “modifiche o estensioni di progetti di cui all’allegato II, o al presente allegato già autorizzati, realizzati o in fase di realizzazione, che possono avere notevoli impatti ambientali significativi e negativi (modifica o estensione non inclusa nell’allegato II)”[1] e la lett. t) del paragrafo 8 dell’allegato IV si riferisce a “modifiche o estensioni di progetti di cui all’Allegato III o all’Allegato IV già autorizzati, realizzati o in fase di realizzazione, che possono avere notevoli ripercussioni negative sull’ambiente (modifica o estensione non inclusa nell’Allegato III)”[2] . Come si può notare, le due categoria non sono propriamente speculari: ciò è dovuto al fatto che la lett. h) dell’allegato II-bis è stata indotta con l’art. 22 del D.L.vo n. 104/2017, mentre la lett. t) era già prevista nell’impianto normativo previgente e, purtroppo, non è stata aggiornata, di conseguenza anziché di “impatti ambientali significativi e negativi” si parla di “notevoli ripercussioni negative sull’ambiente”; dal punto di vista lessicale gli aggettivi significativi e notevoli non possono essere considerati propriamente sinonimi, tuttavia giova ricordare che il comma 6 dell’art. 6 del D.L.vo n. 152/2006 così come modificato dal D.L.vo n. 104/2017 prevede che per le modifiche o le estensioni dei progetti di cui agli allegati II, II-bis, III e IV si debba procedere allo screening qualora la loro realizzazione “possa produrre impatti ambientali significativi e negativi”. Dal momento che la finalità dello screening, per definizione, è quella di appurare se un progetto determina potenziali impatti ambientali significativi, negli anni la verifica di assoggettabilità è stata ampiamente applicata quale strumento di valutazione degli impatti delle modifiche, nonostante la direttiva 2011/92/UE, al considerando (9), riconosca che “I progetti appartenenti ad altre classi (ossia quelli non ricompresi nell’allegato I della direttiva, ndr) non hanno necessariamente ripercussioni di rilievo sull’ambiente in tutti i casi. Detti progetti dovrebbero essere sottoposti a una valutazione qualora gli Stati membri ritengano che possano influire in modo rilevante sull’ambiente”, lasciando intendere che la verifica di assoggettabilità non sia obbligatoria in senso assoluto.
Una indicazione utile, ma relativa solo a progetti rientranti nella disciplina dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA) di competenza statale, venne fornita prima del DL 91/2014 dal Ministero dell’ambiente con nota DVA-2011-0031502 del 19 dicembre 2011 e si riferiva a modifiche non sostanziali ai sensi del titolo III-bis della parte seconda del D.L.vo n. 152/2006: al paragrafo 2.3 era previsto che “se l’intervento prevede una modifica al progetto dell’impianto (ad esempio la costruzione di un nuovo edificio) esso potrebbe dover essere preventivamente oggetto di un procedimento di verifica di assoggettabilità VIA. In tal caso il gestore dovrebbe allegare o il provvedimento che attesta la non assoggettabilità VIA, o le valutazioni da lui condotte per escludere la pertinenza del procedimento di verifica di assoggettabilità VIA”. Il Ministero dell’ambiente, quindi, per gli interventi relativi ad impianti di propria competenza, accettava che l’esclusione dallo screening potesse essere dimostrato dal gestore stesso attestando l’assenza di ripercussioni negative sull’ambiente.
Ad oggi, resta comunque la previsione del legislatore con il DM n. 52/2015 riguardante l’emanazione definizione di criteri o condizioni in base per escludere la sussistenza di potenziali effetti significativi sull’ambiente e conseguentemente l’obbligo della procedura di screening e soprattutto, con la modifica dell’art. 6 è stata prevista una procedura preliminare (cd. pre-screening) che il proponente può attivare per le modifiche o le estensioni di progetti non direttamente soggette a VIA in ragione della presunta assenza di impatti ambientali significativi e negativi al fine di definire l’eventuale procedura da attivare. All’esito di tale procedura, della durata di 30 giorni, l’autorità competente si esprimerà sulle modifiche definendo se le stesse debbano essere sottoposte a verifica di assoggettabilità a VIA, alla VIA stessa ovvero non necessitino di tali procedimenti.
Una volta compreso se lo screening deve essere svolto, il proponente, in base a quanto previsto dall’art. 19 del D.L.vo n. 152/2006, deve trasmettere all’autorità competente, in formato esclusivamente elettronico, lo studio preliminare ambientate redatto conformemente a quanto stabilito dall’allegato IV-bis alla parte seconda del D.L.vo n. 152/2006 e copia del pagamento degli oneri istruttori.
A questo punto, l’autorità competente deve pubblicare sul proprio sito web lo studio preliminare ambientale con modalità che, ove necessario, ne garantiscano la riservatezza industriale o commerciale e comunicare alle amministrazioni ed agli enti territoriali potenzialmente interessati l’avvenuta pubblicazione, in modo che, entro 45 giorni da tale comunicazione, chiunque, compreso i cittadini, possa prendere visione della documentazione e presentare osservazioni. Il procedimento, di norma, deve concludersi entro 90 giorni dalla suddetta comunicazione, tuttavia i tempi possono lievitare in caso di richiesta di integrazioni. Per verificare se il progetto “ha possibili impatti ambientali significativi” l’autorità competente deve tenere conto delle osservazioni pervenute e valutare i criteri di cui all’allegato V, ossia delle caratteristiche del progetto, della sua localizzazione e della tipologia e delle caratteristiche dell’impatto potenziale
Il procedimento può concludersi in tre differenti modi:
con la decisione di non sottoporre l’intervento a VIA, fattispecie che deve essere giustificata in base ai criteri riportati nell’allegato V;
con la sottoposizione alla VIA;
con l’indicazione delle condizioni ambientali necessarie per evitare o prevenire gli impatti che potrebbero risultare significativi e negativi. Va osservato che tale soluzione è percorribile solo “ove richiesto dal proponente” per effetto delle modifiche introdotte dal D.L.vo n. 104/2017. Le disposizioni previgenti il D.L.vo n. 104/2017 prevedevano che l’autorità competente potesse impartire le necessitare prescrizioni in caso di esclusione dalla VIA, oggi, invece, le prescrizioni per contenere gli impatti sembrano prerogativa del proponente, nel senso che devono essere richieste da tale soggetto, il che implica che, a priori, il proponente sia consapevole che è necessario disporre interventi per evitare impatti negativi e significative e che, in mancanza della richiesta delle necessarie condizioni ambientali, l’intervento sarà inevitabilmente assoggettato a VIA.
Così come è prevista la pubblicazione dello studio preliminare ambientale, anche la conclusione del procedimento prevede specifiche misure di pubblicità, tramite la pubblicazione sul sito web dell’autorità competente del provvedimento di verifica di assoggettabilità e di tutta la documentazione inerente il procedimento.
È fondamentale osservare che la procedura di verifica di assoggettabilità non conferisce alcun titolo abilitativo in materiale ambientale, pertanto, espletato lo screening, il proponente deve acquisire preliminarmente all’esecuzione dei lavori tutte le autorizzazioni eventualmente necessarie alla propria opera.
Infine, va osservato che il comma 4 dell’art. 10 del D.L.vo n. 152/2006 prevede che la verifica di assoggettabilità alla VIA possa essere condotta nell’ambito della VAS a condizione che nelle modalità di informazione al pubblico previste per la VAS ne sia data evidenza; tale previsione risulta applicabile a progetti per i quali sia necessaria l’approvazione di un piano o di una sua variante.
4. La valutazione di impatto ambientale (VIA)
In base a quanto stabilito dal comma 7 dell’art. 6 la VIA è obbligatoriamente prevista per:
i progetti di cui agli allegati II e III alla parte seconda del D.L.vo n. 152/2006;
i progetti di cui agli allegati II-bis e IV, relativi ad opere o interventi di nuova realizzazione, che ricadono, anche parzialmente, all’interno di aree naturali protette come definite dalla L. 394/1991 oppure all’interno di siti della rete Natura 2000;
i progetti riportati nell’allegato II che servono esclusivamente o essenzialmente per lo sviluppo e il collaudo di nuovi metodi o prodotti e non sono utilizzati per più di due anni qualora con lo screening l’autorità competente abbia giudicato che “possano produrre impatti ambientali significativi“[3];
Le modifiche o estensioni dei progetti elencati negli allegati II e III che comportano il superamento degli eventuali valori soglia riportati nei medesimi allegati;
i seguenti progetti qualora la procedura di verifica di assoggettabilità alla VIA abbia dimostrato che “possano produrre impatti significativi e negativi sull’ambiente”:
modifiche o estensioni dei progetti elencati negli allegati II, II-bis, III e IV;
progetti di cui agli allegati II-bis e IV tenuto conto di quanto stabilito dal DM n. 52/2015.
Rispetto allo screening, la VIA prevede un maggior livello di dettaglio delle informazioni che devono essere prodotte all’autorità competente, tant’è che è agli articoli 20 e 21 del D.L.vo n. 152/2006 vengono previste fasi facoltative per la definizione dei contenuti degli elaborati progettuali necessari alla VIA e dello studio di impatto ambientale (SIA).
Tali procedure non sono escludenti, nel senso che entrambe possono essere intraprese dal gestore oppure quest’ultimo può decidere di svolgerne una sola, anche se quella di cui all’art. 20 potrebbe essere propedeutica a quella prevista dall’articolo successivo, in quanto la definizione dei contenuti del SIA avviene sulla base degli elaborati progettuali oltre che dello studio preliminare ambientale. Tali fasi preliminari comportano un lavoro aggiuntivo per i soggetti coinvolti, tuttavia possono offrire vantaggi rappresentati dal fatto che una documentazione più completa od approfondita può prevenire eventuali richiesta di integrazioni che costituirebbero intoppi durante il processo di VIA.
Prima di attivarsi per la presentazione dell’istanza il proponente deve quindi elaborare lo studio di impatto ambientale (SIA) che rappresenta il documento principale riguardante gli aspetti ambientali e gli impatti del progetto. Il comma 3 dell’art. 22 del D.L.vo n. 152/2006 prevede un contenuto minimo per il SIA:
descrizione del progetto e delle sue caratteristiche, analizzando la zona in cui sarà localizzato;
descrizione dei probabili effetti significativi del progetto sull’ambiente in fase di realizzazione, di esercizio e di dismissione;
descrizione delle misure per evitare, prevenire o ridurre e compensare gli impatti ambientali significativi e negativi;
descrizione sommaria delle “ragionevoli alternative” prese in esame, compresa l’opzione zero, illustrando le motivazioni della scelta progettuale per quanto attiene l’impatto ambientale;
piano di monitoraggio degli impatti ambientali significativi e negativi che saranno prodotti; il D.L.vo n. 104/2017 ha previsto che il piano dovrà includere le responsabilità e le risorse necessarie per la sua attuazione;
qualsiasi elemento previsto dall’allegato VII relativo alle peculiarità del progetto ed alla tipicità dei fattori ambientali che possono essere interessati.
Indicazioni di maggior dettaglio per la redazione del SIA sono forniti, quindi, dall’allegato VII alla parte seconda del D.L.vo n. 152/2006, al quale il proponente deve, comunque, attenersi.
Tutte le informazioni devono essere riassunte in una sintesi non tecnica per l’informazione del pubblico meno esperto.
Una fondamentale novità introdotta dal D.L.vo n. 104/2017 è rappresentata dalla lett. c) del comma 5 dell’art. 22 laddove viene previsto che la documentazione sia elaborata da esperti competenti nelle materie affrontate e soprattutto che l’esattezza della stessa sia attestata da professionisti iscritti agli albi professionali. Pur non essendo esplicitate quali possano essere i professionisti abilitati, questa nuova disposizione rappresenta una rivoluzione copernicana in materia ambientale, sia per le assunzioni di responsabilità dei tecnici interessati, sia per le possibilità lavorative che si possono aprire per professionalità di nicchia, quali ingegneri ambientali, naturalisti, ecc.
L’istanza deve essere presentata in modalità elettronica all’autorità competente, che, per i progetti di cui agli allegati II, II-bis, è individuata nel Ministero dell’ambiente, mentre per quelli di cui agli allegati III e IV la competenza è individuata secondo le disposizioni delle leggi regionali. La domanda deve essere corredata da:
progetto di fattibilità come definito dai commi 5 e 6 dell’art. 23 del D.L.vo 18 aprile 2016 n. 50[4];
studio di impatto ambientale;
sintesi non tecnica;
Informazioni sugli eventuali impatti transfrontalieri ex art. 32, necessarie per l’eventuale attivazione delle procedure previste in tali casi;
avviso al pubblico che contiene le informazioni essenziali per inquadrare il progetto (vedasi comma 2 dell’art. 24);
copia della ricevuta di pagamento degli oneri istruttori;
esito della procedura di dibattito pubblica eventualmente effettuata in base al D.L.vo n. 50/2016 (ovviamente per le opere rientranti nel campo di applicazione di detto decreto);
Valutazione di impatto sanitario (VIS) per raffinerie di petrolio greggio (escluse le imprese che producono soltanto lubrificanti dal petrolio greggio) nonché impianti di gassificati one e di liquefazione di almeno 500 t/g di carbone o di scisti bituminosi, nonché terminali di rigassificazione di gas naturale liquefatto e per centrali termiche ed altri impianti di combustione aventi potenza termica superiore a 300 MW. La VIS andrà redatta sul base di specifiche linee guida adottata con apposito decreto del Ministero della salute, non ancora emanato.
La documentazione deve essere pubblicata sul sito web e resa accessibile con modalità che, ove necessario, ne garantiscano la riservatezza industriale o commerciale e l’autorità competente deve contestualmente comunicare l’avvenuta pubblicazione alle amministrazioni ed agli enti territoriali potenzialmente interessati e comunque competenti ad esprimersi sul progetto. La norma prevede, altresì, la possibilità del pubblico di intervenire tramite la presentazione di osservazioni o tramite una inchiesta pubblica ex art. 24-bis (fattispecie non prevista per i procedimenti di cui all’art. 27) con una procedura articolata che può prevedere, per effetto della presentazione di eventuale documentazione integrativa anche la ripubblicazione del progetto e l’inevitabile incremento dei tempi istruttori.
Piuttosto che addentrarsi nella “giungla” delle modalità, delle casistiche e delle tempistiche previste per la conclusione del processo di VIA, è meglio soffermarsi sulle peculiarità del provvedimento che conclude l’iter. Esso deve, ovviamente, contenere le motivazioni della decisione e le considerazioni effettuate per arrivare alla decisione, compreso l’esito del processo partecipativo pubblico e, soprattutto (comma 4 dell’art. 25 del D.L.vo n. 152/2006), deve indicare, ove necessario, prescrizioni relative alla realizzazione, all’esercizio (compresi i malfunzionamenti) ed alla dismissione del progetto, le condizioni per evitare, prevenire o mitigare gli impatti significativi e negativi e le misure di monitoraggio per detti impatti.
Il provvedimento di VIA, da pubblicarsi sul sito web dell’autorità competente, ha un’efficacia temporale non inferiore a cinque anni che deve essere esplicitata nel provvedimento e computata in funzione della tipologia dei lavori necessari alla realizzazione del progetto; decorso invano il periodo della sua efficacia, il procedimento deve essere ripetuto, fatta salva la possibilità di concedere una proroga che sembra ovvio ritenere vada richiesta prima della scadenza del termine fissato.
Di per sé, il mero provvedimento di VIA non costituisce un titolo abilitativo, tant’è che il legislatore ha previsto specifiche procedure per coordinare od integrare il provvedimento di VIA con i titoli eventualmente necessari; gli articoli 26, 27 e 27-bis del D.L.vo n. 152/2006 regolamentano le casistiche individuate.
L’art. 26 stabilisce che il provvedimento di VIA debba essere sempre integrato nell’autorizzazione (intesa come il provvedimento che abilita il proponente a realizzare il progetto; si noti bene che il legislatore non ha fatto menzione ai titoli necessari all’esercizio del progetto) ed in ogni altro titolo abilitativo alla realizzazione del progetto, nonché nell’AIA. A tal fine l’autorizzazione dovrà recepire le prescrizioni della VIA.
Gli articoli 27 e 27-bis prevedono due differenti provvedimenti unici, rispettivamente applicabili ai procedimenti di VIA statali o regionali.
Il “provvedimento unico in materia ambientale” riguarda i progetti di competenza statale; si tratta di una procedura facoltativa che il proponente può richiedere di attivare e la dizione stessa fa comprendere che non si tratta di una autorizzazione unica che consente di realizzare il progetto, bensì è un’autorizzazione unica esclusivamente per le materie ambientali, che comprende, quindi, i titoli di cui al comma 2 di tale articolo, ove necessari (AIA, autorizzazione agli scarichi, autorizzazione paesaggistica, ecc.). Pertanto, gli altri titoli per la realizzazione del progetto dovranno essere necessariamente acquisiti a parte, tramite apposita autorizzazione nella quale si integrerà il provvedimento di VIA secondo quanto stabilito dall’art. 26.
Per le procedure di competenza regionale l’art. 27-bis prevede un procedimento autorizzativo effettivamente unico, definito “provvedimento autorizzatorio unico regionale”; esso è obbligatorio, quindi, a livello regionale, per la realizzazione di un progetto soggetto a VIA rappresenta l’unica modalità procedurale (in virtù di quanto stabilito dal comma 7 dell’art. 7-bis del D.L.vo n. 152/2006). In ogni caso le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano devono garantire che le procedure siano svolte in conformità anche alle disposizioni di cui agli artt. da 20 a 26. Essendo un unico procedimento, comprenderà sia l’istanza di VIA redatta conformemente al comma 1 dell’art. 23, sia la documentazione e gli elaborati progettuali previsti dalle norme di settore riguardanti tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla osta o assensi comunque denominati necessari non solo alla realizzazione, ma anche all’esercizio del progetto. L’art. 27-bis regolamenta compiutamente le varie fasi del procedimento che si conclude con la determinazione motivata di conclusione della conferenza di servizi (prevista ai fini istruttori e svolta ai sensi dell’art. 14-ter della L. 241/1990) che costituisce il provvedimento autorizzatorio unico regionale comprende il provvedimento di VIA e tutti gli altri titoli eventualmente necessari, di cui deve essere data puntuale indicazione. Il provvedimento di VIA è comunque adottato conformemente a quanto stabilito dai commi 1, 3, 4, 5 e 6 dell’art. 25.
Il proponente è tenuto ad ottemperare alle condizioni fissate nel provvedimento di VIA; pertanto, l’art. 28 del D.L.vo n. 152/2006 riguarda le modalità di monitoraggio sia a carico del proponente sia di altri soggetti (ad esempio il Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente) e prevede che in caso di inottemperanza l’autorità competente debba emettere apposita diffida affinché il proponente adempia ai propri obblighi entro un determinato lasso di tempo, trascorso il quale, al permanere delle inottemperanza, saranno applicate le sanzioni di cui all’art. 29, introdotte nel D.L.vo n. 152/2006 dal D.L.vo n. 104/2017. Qualora la verifica faccia emergere la sussistenza di impatti ambientali negativi e significativi non previsti inizialmente, ovvero ulteriori o diversi, o di entità significativamente superiore a quelli già valutati, l’autorità competente potrà ordinare la sospensione dei lavori o delle attività autorizzate e disporre le necessarie azioni mitigative e qualora, invece, emerga l’esigenza di modificare il provvedimento di VIA, o di stabilire ulteriori condizioni ambientali, l’autorità competente dovrà disporre l’aggiornamento del SIA e la sua ripubblicazione al fine della riedizione del procedimento di VIA.
Tutti i risultati del monitoraggio e delle conseguenti azioni devono avere adeguata pubblicità tramite la pubblicazione sul sito web dell’autorità competente.
Piacenza, 17 ottobre 2017.
[1] Punto 18 dell’allegato II alla parte seconda del D.L.vo n. 152/2006: “Ogni modifica o estensione dei progetti elencati nel presente allegato, ove la modifica o l’estensione di per sé sono conformi agli eventuali limiti stabiliti nel presente allegato”.
[2] lett. ag) dell’allegato III alla parte seconda del D.L.vo n. 152/2006: “Ogni modifica o estensione dei progetti elencati nel presente allegato, ove la modifica o l’estensione di per sé sono conformi agli eventuali limiti stabiliti nel presente allegato”.
[3] Nella formulazione di tale fattispecie, riportata alla lettera c) del comma 7 dell’art. 6 del D.L.vo n. 152/2006 così come modificato dal D.L.vo 104/2017, il legislatore ha omesso l’aggettivo “negativo”, che rappresenta l’ulteriore requisito che, devono avere gli impatti per poter sottoporre a VIA gli interventi interessati. E’ parere di chi scrive che si possa trattare di un mero errore materiale, visto che un approccio basato sulla valutazione della mera significatività degli impatti ambientali (quindi non necessariamente negativi) contrasterebbe con la finalità dello screening desumibile dalla definizione di cui alla lett. m) del comma 1 dell’art. 5 del D.L.vo n. 152/2006 e dall’art. 19 del decreto stesso.
[4] Comma 5 dell’art. 23 del D.L.vo n. 50/2016: “Il progetto di fattibilità tecnica ed economica individua, tra più soluzioni, quella che presenta il miglior rapporto tra costi e benefici per la collettività, in relazione alle specifiche esigenze da soddisfare e prestazioni da fornire. Ai soli fini delle attività di programmazione triennale dei lavori pubblici e dell’espletamento delle procedure di dibattito pubblico di cui all’articolo 22 nonché dei concorsi di progettazione e di idee di cui all’articolo 152, il progetto di fattibilità può essere articolato in due fasi successive di elaborazione. In tutti gli altri casi, il progetto di fattibilità è sempre redatto in un’unica fase di elaborazione. Nel caso di elaborazione in due fasi, nella prima fase il progettista, individua ed analizza le possibili soluzioni progettuali alternative, ove esistenti, sulla base dei principi di cui al comma 1, e redige il documento di fattibilità delle alternative progettuali secondo le modalità indicate dal decreto di cui al comma 3. Nella seconda fase di elaborazione, ovvero nell’unica fase, qualora non sia redatto in due fasi, il progettista incaricato sviluppa, nel rispetto dei contenuti del documento di indirizzo alla progettazione e secondo le modalità indicate dal decreto di cui al comma 3, tutte le indagini e gli studi necessari per la definizione degli aspetti di cui al comma 1, nonché elaborati grafici per l’individuazione delle caratteristiche dimensionali, volumetriche, tipologiche, funzionali e tecnologiche dei lavori da realizzare e le relative stime economiche, ivi compresa la scelta in merito alla possibile suddivisione in lotti funzionali. Il progetto di fattibilità deve consentire, ove necessario, l’avvio della procedura espropriativa”.
Comma 6 dell’art. 23 del D.L.vo n. 50/2016: “Il progetto di fattibilità è redatto sulla base dell’avvenuto svolgimento di indagini geologiche, idrogeologiche, idrologiche, idrauliche, geotecniche, sismiche, storiche, paesaggistiche ed urbanistiche, di verifiche preventive dell’interesse archeologico, di studi preliminari sull’impatto ambientale e evidenzia, con apposito adeguato elaborato cartografico, le aree impegnate, le relative eventuali fasce di rispetto e le occorrenti misure di salvaguardia; deve, altresì, ricomprendere le valutazioni ovvero le eventuali diagnosi energetiche dell’opera in progetto, con riferimento al contenimento dei consumi energetici e alle eventuali misure per la produzione e il recupero di energia anche con riferimento all’impatto sul piano economico-finanziario dell’opera; indica, inoltre, le caratteristiche prestazionali, le specifiche funzionali, le esigenze di compensazioni e di mitigazione dell’impatto ambientale, nonché i limiti di spesa, calcolati secondo le modalità indicate dal decreto di cui al comma 3, dell’infrastruttura da realizzare ad un livello tale da consentire, già in sede di approvazione del progetto medesimo, salvo circostanze imprevedibili, l’individuazione della localizzazione o del tracciato dell’infrastruttura nonché delle opere compensative o di mitigazione dell’impatto ambientale e sociale necessarie”.
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La V.I.A. dopo la Riforma
di Leonardo Benedusi
A cura di S. Maglia, P. Pipere, L.Prati e L. Benedusi
In tema si segnala il Corso di formazione “La nuova Valutazione di Impatto Ambientale: DL.vo 140/2017: la nuova disciplina della V.I.A.”, che si terrà a Piacenza, il 24 novembre 2017.
1. Finalità
La valutazione di impatto ambientale (VIA) dei progetti, così come la VAS, è concepita per assicurare che l’attività antropica sia compatibile con le condizioni per uno sviluppo sostenibile, da una parte mettendo al centro dell’attenzione l’uomo di cui va protetta la salute, contribuire alla e migliorata la qualità della vita attraverso miglioramenti ambientali e dall’altra proteggendo e mantenendo le specie e conservando la capacità di riproduzione degli ecosistemi in quanto essenziali per la vita.
2. Campo di applicazione
La valutazione di impatto ambientale riguarda i progetti definiti dall’art. 5 come “la realizzazione di lavori di costruzione o di altri impianti od opere e di altri interventi sull’ambiente naturale o sul paesaggio, compresi quelli destinati allo sfruttamento delle risorse del suolo”, quindi nella nozione di progetto rientrano la costruzione e la modifica degli impianti o delle opere interessate riportate negli allegati II, II-bis III e IV alla parte seconda del decreto, con le modalità esplicitate nei paragrafi successivi.
Sono previsti casi di esclusione dalla disciplina della VIA in presenza di progetti particolarmente strategici od indifferibili ed urgenti, quali:
L’esclusione deve essere disposta dopo un esame caso per caso dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del Mare (Ministero dell’ambiente) di concerto con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MBACT) finalizzato a verificare se l’applicazione delle norme sulla VIA possa pregiudicare gli obiettivi delle opere progettate. L’applicazione delle norme di cui al titolo III della parte seconda del D.L.vo n. 152/2006, per effetto della pubblicità della procedura, potrebbe, infatti, diffondere informazioni riservate e strategiche o, a causa di un’istruttoria che può raggiungere tempi significativi, rallentare il processo di approvazione di opere urgenti ed indispensabili.
A tali fattispecie il D.L.vo n. 104/2017, conformandosi alla direttiva 2014/52/UE, ha aggiunto una ulteriore possibilità di esclusione riguardante generici progetti o parte di essi per i quali l’applicazione delle disposizioni del titolo III della parte seconda del D.L.vo n. 152/2006 incida negativamente sulla finalità del progetto (vedasi comma 11 dell’art. 6 del D.L.vo n. 152/2006); è di tutta evidenza che l’esclusione di progetti non ben definiti lascia un margine di discrezionalità al Ministero dell’Ambiente.
Relativamente ai progetti soggetti alla valutazione di impatto ambientale, dal punto di vista operativo è opportuno tenere distinte la verifica di assoggettabilità alla VIA dalla VIA, in quanto nel titolo III della parte seconda del D.L.vo n. 152/2006 si rinvengono procedure specifiche per ciascuna di esse.
3. La verifica di assoggettabilità alla VIA
La verifica di assoggettabilità (cd. screening) è definita come la procedura che deve essere attivata per “valutare, ove previsto, se un progetto determina potenziali impatti ambientali significativi e negativi e deve quindi essere sottoposto al procedimento di VIA”. Quindi, rappresenta una fase propedeutica alla VIA, alla quale si deve necessariamente accedere se la verifica di assoggettabilità dimostra che possano generarsi impatti ambientali significativi negativi. Purtroppo, come già accennato in tema di VAS, il limite della procedura è rappresentato dal fatto che non sono definiti criteri oggettivi per definire sia la significatività sia la negatività degli impatti.
Secondo quanto stabilito dal comma 6 dell’art. 6 del D.L.vo n. 152/2006 la verifica di assoggettabilità alla VIA è prevista per:
L’art. 7-bis del D.L.vo n. 152/2006 stabilisce che la competenza circa i progetti di cui all’allegato II-bis è del Ministero dell’ambiente, mentre i progetti di cui all’allegato IV sono di competenza delle autorità alle quali le leggi regionali o delle province autonome abbiano affidato compiti di tutela, protezione e valorizzazione ambientale (vedasi comma 5 dell’art. 7-bis), pertanto nel panorama nazionale vi sono situazioni differenti da Regione a Regione con competenze affidate anche ai Comuni. Con le modifiche apportate al D.L.vo n. 152/2006 dal D.L.vo n. 104/2017, il legislatore si è dimenticato di ribadire che i progetti di cui all’allegato II che servano esclusivamente o essenzialmente per lo sviluppo ed il collaudo di nuovi metodi o prodotti e non siano utilizzati per più di due anni sono di competenza statale (con l’art. 7-bis, introdotto dal D.L.vo n. 104/2017, sono state declinate le competenze tenendo distinte la verifica di assoggettabilità a VIA e la VIA, differentemente da quanto precedentemente stabilito dall’art. 7 del D.L.vo n. 152/2006 previgente).
Stante il richiamo al DM n. 52/2015 per gli allegati II-bis e IV, è doveroso ricordare che le soglie dimensionali stabilite originariamente per lo screening nel tempo sono stato oggetto di contenziosi e, soprattutto, di procedure di infrazioni comunitarie, in quanto non erano stati considerati tutti i criteri previsti dalle direttive europee, quindi la normativa nazionale si è dovuta adeguare con un processo conclusosi, seppur in ritardo, con il decreto n. 52, firmato il 30 marzo 2015 dal Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e pubblicato sulla G.U. del 11 aprile 2015.
Tale decreto riconosce che le soglie indicate per lo screening erano state fissate considerando solo alcuni criteri, quali le caratteristiche dei progetti, la loro localizzazione e le caratteristiche dell’impatto potenziale. Partendo dalle soglie già presenti nell’allegato IV alla parte seconda del D.L.vo n. 152/2006, il DM n. 52/2015 prevede una riduzione percentuale del 50% per taluni progetti in funzione dei criteri dell’allegato V precedentemente non considerati. I criteri aggiuntivi riguardano:
Il DM n. 52/2015 prevede a sua volta l’emanazione di un ulteriore decreto per disposizioni modificative tra cui la possibilità di ridefinire le soglie qualora vi siano norme regionali che garantiscano nelle procedure di autorizzazione livelli di tutela ambientali maggiori di quelli che si conseguirebbero con la verifica di assoggettabilità a VIA e soprattutto la definizione di criteri o condizioni in base ai quali sarà possibile escludere la sussistenza di potenziali effetti significativi sull’ambiente e conseguentemente l’obbligo della procedura di screening. Tale disposizione potrebbe avere interessanti e positive ricadute sulle modifiche di progetti autorizzati, visto che la lett. h) dell’allegato II-bis riguarda “modifiche o estensioni di progetti di cui all’allegato II, o al presente allegato già autorizzati, realizzati o in fase di realizzazione, che possono avere notevoli impatti ambientali significativi e negativi (modifica o estensione non inclusa nell’allegato II)” [1] e la lett. t) del paragrafo 8 dell’allegato IV si riferisce a “modifiche o estensioni di progetti di cui all’Allegato III o all’Allegato IV già autorizzati, realizzati o in fase di realizzazione, che possono avere notevoli ripercussioni negative sull’ambiente (modifica o estensione non inclusa nell’Allegato III)” [2] . Come si può notare, le due categoria non sono propriamente speculari: ciò è dovuto al fatto che la lett. h) dell’allegato II-bis è stata indotta con l’art. 22 del D.L.vo n. 104/2017, mentre la lett. t) era già prevista nell’impianto normativo previgente e, purtroppo, non è stata aggiornata, di conseguenza anziché di “impatti ambientali significativi e negativi” si parla di “notevoli ripercussioni negative sull’ambiente”; dal punto di vista lessicale gli aggettivi significativi e notevoli non possono essere considerati propriamente sinonimi, tuttavia giova ricordare che il comma 6 dell’art. 6 del D.L.vo n. 152/2006 così come modificato dal D.L.vo n. 104/2017 prevede che per le modifiche o le estensioni dei progetti di cui agli allegati II, II-bis, III e IV si debba procedere allo screening qualora la loro realizzazione “possa produrre impatti ambientali significativi e negativi”. Dal momento che la finalità dello screening, per definizione, è quella di appurare se un progetto determina potenziali impatti ambientali significativi, negli anni la verifica di assoggettabilità è stata ampiamente applicata quale strumento di valutazione degli impatti delle modifiche, nonostante la direttiva 2011/92/UE, al considerando (9), riconosca che “I progetti appartenenti ad altre classi (ossia quelli non ricompresi nell’allegato I della direttiva, ndr) non hanno necessariamente ripercussioni di rilievo sull’ambiente in tutti i casi. Detti progetti dovrebbero essere sottoposti a una valutazione qualora gli Stati membri ritengano che possano influire in modo rilevante sull’ambiente”, lasciando intendere che la verifica di assoggettabilità non sia obbligatoria in senso assoluto.
Una indicazione utile, ma relativa solo a progetti rientranti nella disciplina dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA) di competenza statale, venne fornita prima del DL 91/2014 dal Ministero dell’ambiente con nota DVA-2011-0031502 del 19 dicembre 2011 e si riferiva a modifiche non sostanziali ai sensi del titolo III-bis della parte seconda del D.L.vo n. 152/2006: al paragrafo 2.3 era previsto che “se l’intervento prevede una modifica al progetto dell’impianto (ad esempio la costruzione di un nuovo edificio) esso potrebbe dover essere preventivamente oggetto di un procedimento di verifica di assoggettabilità VIA. In tal caso il gestore dovrebbe allegare o il provvedimento che attesta la non assoggettabilità VIA, o le valutazioni da lui condotte per escludere la pertinenza del procedimento di verifica di assoggettabilità VIA”. Il Ministero dell’ambiente, quindi, per gli interventi relativi ad impianti di propria competenza, accettava che l’esclusione dallo screening potesse essere dimostrato dal gestore stesso attestando l’assenza di ripercussioni negative sull’ambiente.
Ad oggi, resta comunque la previsione del legislatore con il DM n. 52/2015 riguardante l’emanazione definizione di criteri o condizioni in base per escludere la sussistenza di potenziali effetti significativi sull’ambiente e conseguentemente l’obbligo della procedura di screening e soprattutto, con la modifica dell’art. 6 è stata prevista una procedura preliminare (cd. pre-screening) che il proponente può attivare per le modifiche o le estensioni di progetti non direttamente soggette a VIA in ragione della presunta assenza di impatti ambientali significativi e negativi al fine di definire l’eventuale procedura da attivare. All’esito di tale procedura, della durata di 30 giorni, l’autorità competente si esprimerà sulle modifiche definendo se le stesse debbano essere sottoposte a verifica di assoggettabilità a VIA, alla VIA stessa ovvero non necessitino di tali procedimenti.
Una volta compreso se lo screening deve essere svolto, il proponente, in base a quanto previsto dall’art. 19 del D.L.vo n. 152/2006, deve trasmettere all’autorità competente, in formato esclusivamente elettronico, lo studio preliminare ambientate redatto conformemente a quanto stabilito dall’allegato IV-bis alla parte seconda del D.L.vo n. 152/2006 e copia del pagamento degli oneri istruttori.
A questo punto, l’autorità competente deve pubblicare sul proprio sito web lo studio preliminare ambientale con modalità che, ove necessario, ne garantiscano la riservatezza industriale o commerciale e comunicare alle amministrazioni ed agli enti territoriali potenzialmente interessati l’avvenuta pubblicazione, in modo che, entro 45 giorni da tale comunicazione, chiunque, compreso i cittadini, possa prendere visione della documentazione e presentare osservazioni. Il procedimento, di norma, deve concludersi entro 90 giorni dalla suddetta comunicazione, tuttavia i tempi possono lievitare in caso di richiesta di integrazioni. Per verificare se il progetto “ha possibili impatti ambientali significativi” l’autorità competente deve tenere conto delle osservazioni pervenute e valutare i criteri di cui all’allegato V, ossia delle caratteristiche del progetto, della sua localizzazione e della tipologia e delle caratteristiche dell’impatto potenziale
Il procedimento può concludersi in tre differenti modi:
Così come è prevista la pubblicazione dello studio preliminare ambientale, anche la conclusione del procedimento prevede specifiche misure di pubblicità, tramite la pubblicazione sul sito web dell’autorità competente del provvedimento di verifica di assoggettabilità e di tutta la documentazione inerente il procedimento.
È fondamentale osservare che la procedura di verifica di assoggettabilità non conferisce alcun titolo abilitativo in materiale ambientale, pertanto, espletato lo screening, il proponente deve acquisire preliminarmente all’esecuzione dei lavori tutte le autorizzazioni eventualmente necessarie alla propria opera.
Infine, va osservato che il comma 4 dell’art. 10 del D.L.vo n. 152/2006 prevede che la verifica di assoggettabilità alla VIA possa essere condotta nell’ambito della VAS a condizione che nelle modalità di informazione al pubblico previste per la VAS ne sia data evidenza; tale previsione risulta applicabile a progetti per i quali sia necessaria l’approvazione di un piano o di una sua variante.
4. La valutazione di impatto ambientale (VIA)
In base a quanto stabilito dal comma 7 dell’art. 6 la VIA è obbligatoriamente prevista per:
Rispetto allo screening, la VIA prevede un maggior livello di dettaglio delle informazioni che devono essere prodotte all’autorità competente, tant’è che è agli articoli 20 e 21 del D.L.vo n. 152/2006 vengono previste fasi facoltative per la definizione dei contenuti degli elaborati progettuali necessari alla VIA e dello studio di impatto ambientale (SIA).
Tali procedure non sono escludenti, nel senso che entrambe possono essere intraprese dal gestore oppure quest’ultimo può decidere di svolgerne una sola, anche se quella di cui all’art. 20 potrebbe essere propedeutica a quella prevista dall’articolo successivo, in quanto la definizione dei contenuti del SIA avviene sulla base degli elaborati progettuali oltre che dello studio preliminare ambientale. Tali fasi preliminari comportano un lavoro aggiuntivo per i soggetti coinvolti, tuttavia possono offrire vantaggi rappresentati dal fatto che una documentazione più completa od approfondita può prevenire eventuali richiesta di integrazioni che costituirebbero intoppi durante il processo di VIA.
Prima di attivarsi per la presentazione dell’istanza il proponente deve quindi elaborare lo studio di impatto ambientale (SIA) che rappresenta il documento principale riguardante gli aspetti ambientali e gli impatti del progetto. Il comma 3 dell’art. 22 del D.L.vo n. 152/2006 prevede un contenuto minimo per il SIA:
Indicazioni di maggior dettaglio per la redazione del SIA sono forniti, quindi, dall’allegato VII alla parte seconda del D.L.vo n. 152/2006, al quale il proponente deve, comunque, attenersi.
Tutte le informazioni devono essere riassunte in una sintesi non tecnica per l’informazione del pubblico meno esperto.
Una fondamentale novità introdotta dal D.L.vo n. 104/2017 è rappresentata dalla lett. c) del comma 5 dell’art. 22 laddove viene previsto che la documentazione sia elaborata da esperti competenti nelle materie affrontate e soprattutto che l’esattezza della stessa sia attestata da professionisti iscritti agli albi professionali. Pur non essendo esplicitate quali possano essere i professionisti abilitati, questa nuova disposizione rappresenta una rivoluzione copernicana in materia ambientale, sia per le assunzioni di responsabilità dei tecnici interessati, sia per le possibilità lavorative che si possono aprire per professionalità di nicchia, quali ingegneri ambientali, naturalisti, ecc.
L’istanza deve essere presentata in modalità elettronica all’autorità competente, che, per i progetti di cui agli allegati II, II-bis, è individuata nel Ministero dell’ambiente, mentre per quelli di cui agli allegati III e IV la competenza è individuata secondo le disposizioni delle leggi regionali. La domanda deve essere corredata da:
La documentazione deve essere pubblicata sul sito web e resa accessibile con modalità che, ove necessario, ne garantiscano la riservatezza industriale o commerciale e l’autorità competente deve contestualmente comunicare l’avvenuta pubblicazione alle amministrazioni ed agli enti territoriali potenzialmente interessati e comunque competenti ad esprimersi sul progetto. La norma prevede, altresì, la possibilità del pubblico di intervenire tramite la presentazione di osservazioni o tramite una inchiesta pubblica ex art. 24-bis (fattispecie non prevista per i procedimenti di cui all’art. 27) con una procedura articolata che può prevedere, per effetto della presentazione di eventuale documentazione integrativa anche la ripubblicazione del progetto e l’inevitabile incremento dei tempi istruttori.
Piuttosto che addentrarsi nella “giungla” delle modalità, delle casistiche e delle tempistiche previste per la conclusione del processo di VIA, è meglio soffermarsi sulle peculiarità del provvedimento che conclude l’iter. Esso deve, ovviamente, contenere le motivazioni della decisione e le considerazioni effettuate per arrivare alla decisione, compreso l’esito del processo partecipativo pubblico e, soprattutto (comma 4 dell’art. 25 del D.L.vo n. 152/2006), deve indicare, ove necessario, prescrizioni relative alla realizzazione, all’esercizio (compresi i malfunzionamenti) ed alla dismissione del progetto, le condizioni per evitare, prevenire o mitigare gli impatti significativi e negativi e le misure di monitoraggio per detti impatti.
Il provvedimento di VIA, da pubblicarsi sul sito web dell’autorità competente, ha un’efficacia temporale non inferiore a cinque anni che deve essere esplicitata nel provvedimento e computata in funzione della tipologia dei lavori necessari alla realizzazione del progetto; decorso invano il periodo della sua efficacia, il procedimento deve essere ripetuto, fatta salva la possibilità di concedere una proroga che sembra ovvio ritenere vada richiesta prima della scadenza del termine fissato.
Di per sé, il mero provvedimento di VIA non costituisce un titolo abilitativo, tant’è che il legislatore ha previsto specifiche procedure per coordinare od integrare il provvedimento di VIA con i titoli eventualmente necessari; gli articoli 26, 27 e 27-bis del D.L.vo n. 152/2006 regolamentano le casistiche individuate.
L’art. 26 stabilisce che il provvedimento di VIA debba essere sempre integrato nell’autorizzazione (intesa come il provvedimento che abilita il proponente a realizzare il progetto; si noti bene che il legislatore non ha fatto menzione ai titoli necessari all’esercizio del progetto) ed in ogni altro titolo abilitativo alla realizzazione del progetto, nonché nell’AIA. A tal fine l’autorizzazione dovrà recepire le prescrizioni della VIA.
Gli articoli 27 e 27-bis prevedono due differenti provvedimenti unici, rispettivamente applicabili ai procedimenti di VIA statali o regionali.
Il “provvedimento unico in materia ambientale” riguarda i progetti di competenza statale; si tratta di una procedura facoltativa che il proponente può richiedere di attivare e la dizione stessa fa comprendere che non si tratta di una autorizzazione unica che consente di realizzare il progetto, bensì è un’autorizzazione unica esclusivamente per le materie ambientali, che comprende, quindi, i titoli di cui al comma 2 di tale articolo, ove necessari (AIA, autorizzazione agli scarichi, autorizzazione paesaggistica, ecc.). Pertanto, gli altri titoli per la realizzazione del progetto dovranno essere necessariamente acquisiti a parte, tramite apposita autorizzazione nella quale si integrerà il provvedimento di VIA secondo quanto stabilito dall’art. 26.
Per le procedure di competenza regionale l’art. 27-bis prevede un procedimento autorizzativo effettivamente unico, definito “provvedimento autorizzatorio unico regionale”; esso è obbligatorio, quindi, a livello regionale, per la realizzazione di un progetto soggetto a VIA rappresenta l’unica modalità procedurale (in virtù di quanto stabilito dal comma 7 dell’art. 7-bis del D.L.vo n. 152/2006). In ogni caso le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano devono garantire che le procedure siano svolte in conformità anche alle disposizioni di cui agli artt. da 20 a 26. Essendo un unico procedimento, comprenderà sia l’istanza di VIA redatta conformemente al comma 1 dell’art. 23, sia la documentazione e gli elaborati progettuali previsti dalle norme di settore riguardanti tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla osta o assensi comunque denominati necessari non solo alla realizzazione, ma anche all’esercizio del progetto. L’art. 27-bis regolamenta compiutamente le varie fasi del procedimento che si conclude con la determinazione motivata di conclusione della conferenza di servizi (prevista ai fini istruttori e svolta ai sensi dell’art. 14-ter della L. 241/1990) che costituisce il provvedimento autorizzatorio unico regionale comprende il provvedimento di VIA e tutti gli altri titoli eventualmente necessari, di cui deve essere data puntuale indicazione. Il provvedimento di VIA è comunque adottato conformemente a quanto stabilito dai commi 1, 3, 4, 5 e 6 dell’art. 25.
Il proponente è tenuto ad ottemperare alle condizioni fissate nel provvedimento di VIA; pertanto, l’art. 28 del D.L.vo n. 152/2006 riguarda le modalità di monitoraggio sia a carico del proponente sia di altri soggetti (ad esempio il Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente) e prevede che in caso di inottemperanza l’autorità competente debba emettere apposita diffida affinché il proponente adempia ai propri obblighi entro un determinato lasso di tempo, trascorso il quale, al permanere delle inottemperanza, saranno applicate le sanzioni di cui all’art. 29, introdotte nel D.L.vo n. 152/2006 dal D.L.vo n. 104/2017. Qualora la verifica faccia emergere la sussistenza di impatti ambientali negativi e significativi non previsti inizialmente, ovvero ulteriori o diversi, o di entità significativamente superiore a quelli già valutati, l’autorità competente potrà ordinare la sospensione dei lavori o delle attività autorizzate e disporre le necessarie azioni mitigative e qualora, invece, emerga l’esigenza di modificare il provvedimento di VIA, o di stabilire ulteriori condizioni ambientali, l’autorità competente dovrà disporre l’aggiornamento del SIA e la sua ripubblicazione al fine della riedizione del procedimento di VIA.
Tutti i risultati del monitoraggio e delle conseguenti azioni devono avere adeguata pubblicità tramite la pubblicazione sul sito web dell’autorità competente.
Piacenza, 17 ottobre 2017.
[1] Punto 18 dell’allegato II alla parte seconda del D.L.vo n. 152/2006: “Ogni modifica o estensione dei progetti elencati nel presente allegato, ove la modifica o l’estensione di per sé sono conformi agli eventuali limiti stabiliti nel presente allegato”.
[2] lett. ag) dell’allegato III alla parte seconda del D.L.vo n. 152/2006: “Ogni modifica o estensione dei progetti elencati nel presente allegato, ove la modifica o l’estensione di per sé sono conformi agli eventuali limiti stabiliti nel presente allegato”.
[3] Nella formulazione di tale fattispecie, riportata alla lettera c) del comma 7 dell’art. 6 del D.L.vo n. 152/2006 così come modificato dal D.L.vo 104/2017, il legislatore ha omesso l’aggettivo “negativo”, che rappresenta l’ulteriore requisito che, devono avere gli impatti per poter sottoporre a VIA gli interventi interessati. E’ parere di chi scrive che si possa trattare di un mero errore materiale, visto che un approccio basato sulla valutazione della mera significatività degli impatti ambientali (quindi non necessariamente negativi) contrasterebbe con la finalità dello screening desumibile dalla definizione di cui alla lett. m) del comma 1 dell’art. 5 del D.L.vo n. 152/2006 e dall’art. 19 del decreto stesso.
[4] Comma 5 dell’art. 23 del D.L.vo n. 50/2016: “Il progetto di fattibilità tecnica ed economica individua, tra più soluzioni, quella che presenta il miglior rapporto tra costi e benefici per la collettività, in relazione alle specifiche esigenze da soddisfare e prestazioni da fornire. Ai soli fini delle attività di programmazione triennale dei lavori pubblici e dell’espletamento delle procedure di dibattito pubblico di cui all’articolo 22 nonché dei concorsi di progettazione e di idee di cui all’articolo 152, il progetto di fattibilità può essere articolato in due fasi successive di elaborazione. In tutti gli altri casi, il progetto di fattibilità è sempre redatto in un’unica fase di elaborazione. Nel caso di elaborazione in due fasi, nella prima fase il progettista, individua ed analizza le possibili soluzioni progettuali alternative, ove esistenti, sulla base dei principi di cui al comma 1, e redige il documento di fattibilità delle alternative progettuali secondo le modalità indicate dal decreto di cui al comma 3. Nella seconda fase di elaborazione, ovvero nell’unica fase, qualora non sia redatto in due fasi, il progettista incaricato sviluppa, nel rispetto dei contenuti del documento di indirizzo alla progettazione e secondo le modalità indicate dal decreto di cui al comma 3, tutte le indagini e gli studi necessari per la definizione degli aspetti di cui al comma 1, nonché elaborati grafici per l’individuazione delle caratteristiche dimensionali, volumetriche, tipologiche, funzionali e tecnologiche dei lavori da realizzare e le relative stime economiche, ivi compresa la scelta in merito alla possibile suddivisione in lotti funzionali. Il progetto di fattibilità deve consentire, ove necessario, l’avvio della procedura espropriativa”.
Comma 6 dell’art. 23 del D.L.vo n. 50/2016: “Il progetto di fattibilità è redatto sulla base dell’avvenuto svolgimento di indagini geologiche, idrogeologiche, idrologiche, idrauliche, geotecniche, sismiche, storiche, paesaggistiche ed urbanistiche, di verifiche preventive dell’interesse archeologico, di studi preliminari sull’impatto ambientale e evidenzia, con apposito adeguato elaborato cartografico, le aree impegnate, le relative eventuali fasce di rispetto e le occorrenti misure di salvaguardia; deve, altresì, ricomprendere le valutazioni ovvero le eventuali diagnosi energetiche dell’opera in progetto, con riferimento al contenimento dei consumi energetici e alle eventuali misure per la produzione e il recupero di energia anche con riferimento all’impatto sul piano economico-finanziario dell’opera; indica, inoltre, le caratteristiche prestazionali, le specifiche funzionali, le esigenze di compensazioni e di mitigazione dell’impatto ambientale, nonché i limiti di spesa, calcolati secondo le modalità indicate dal decreto di cui al comma 3, dell’infrastruttura da realizzare ad un livello tale da consentire, già in sede di approvazione del progetto medesimo, salvo circostanze imprevedibili, l’individuazione della localizzazione o del tracciato dell’infrastruttura nonché delle opere compensative o di mitigazione dell’impatto ambientale e sociale necessarie”.
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