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Stefano Maglia

Rumore industriale: diritto alla salute vs diritto al preuso

di Roger Neri

Categoria: Rumore

Siamo portati ad abituarci a rumori che con il tempo diventano familiari, il traffico urbano, lo sferragliare di un tram, la linea ferroviaria vicino casa diventano parte del paesaggio sonoro, mentre gli schiamazzi degli avventori del bar sotto il condominio o i rumori prodotti anche da piccole realtà industriali ci disturbano. Ma dal punto di vista sanitario quale delle situazioni descritte può recare maggiori effetti sulla salute? I 46 dB(A) del piccolo opificio o i 56 dB(A) del traffico veicolare e ferroviario.

Il legislatore nazionale norma l’inquinamento acustico nel 1930 (R.D. 19 ottobre 1930, n.1398), con l’approvazione del codice penale, che all’art. 659 prevede ancor oggi che “Chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a trecentonove euro. Si applica l’ammenda da centotre euro a cinquecentosedici euro a chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell’Autorità “. Nel 1942 (R.D. 16 marzo 1942, n.262) veniva approvato il codice civile, dove si sancisce all’art. 844, che “Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi.

Nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso”. Le norme dei codici penale e civile evidenziano la difficoltà nel coniugare il riposo degli uni con il lavoro degli altri. Le tensioni relative alle immissioni sonore si sono moltiplicate con lo sviluppo del tessuto urbano che ha inglobato nelle aree residenziali anche le industrie.

Le norme che regolano l’inquinamento acustico, nate a partire dal 1991, determinato i criteri cui riferirsi per la pianificazione acustica del territorio, con l’intento di salvaguardare entrambi i diritti le direttive regionali, non definiscono chiaramente quale prevale e non salvaguardano il “diritto al preuso”, quando è l’attività produttiva ad essere precedente. La pianificazione è affidata alle Amministrazioni Comunali, che devono attribuire le classi acustiche ed i conseguenti limiti. Il legislatore ha quindi attribuito la responsabilità di definire i limiti da rispettare, al soggetto che ha determinato con i suoi errori di pianificazione le situazioni di conflittualità. La lettura di molti piani di classificazione acustica consente di affermare che il criterio guida nella definizione dei limiti acustici è stato quello elettorale, che privilegia le attese dei residenti, anche quando le abitazioni sono successive alle attività produttive. Queste scelte consentono a chi ha goduto di minori costi nell’acquisto del terreno o dell’abitazione, a causa della presenza di un’industria, di rivendicare ora i limiti acustici delle zone residenziali, in cui non dovrebbero essere presenti le attività produttive e gli effetti di queste. Ma il rumore non si ferma al confine di stabilimento, si attenua naturalmente allontanandosi dalla sorgente, basterebbe quindi che le classi fossero definite tenendo conto di questo principio fisico per risolvere buona parte dei conflitti tra residenti e produttori.

Appare inevitabile che, in assenza di una corretta pianificazione urbanistica e acustica, la litigiosità finisca per interessare le aule dei tribunali.

I giudici sono chiamati a decidere quali diritti prevalgono: Cons. Stato, sez. IV, 21-09-2015, n. 4405 “… nel caso particolare di accostamenti critici, ovvero di una zonizzazione acustica comunale in cui sono presenti dei salti di classe, deve essere prevista una partecipazione attiva e congiunta di tutte le parti in causa, comune ed azienda, con una suddivisione di oneri e competenze che devono essere valutati in proporzione alle singole responsabilità, fermo restando che rimangono a totale carico dell’azienda gli oneri necessari per il rientro nei valori limite stabiliti nella propria classe.”.

TAR Umbria Sez. I n. 91 del 11 gennaio 2017, “….secondo costante giurisprudenza, gli interessi menzionati nella normativa di riferimento non possono non tener conto delle attività economiche precedentemente insediate sul territorio, le cui esigenze trovano tutela in virtù della loro risalente ubicazione come dispone lo stesso art. 4, co. 1, lett. a), L. n. 447/1995 circa l’onere di effettuare la zonizzazione acustica “tenendo conto delle preesistenti destinazioni d’uso del territorio”, proprio per non sacrificare oltremodo le consolidate aspettative di coloro che si sono legittimamente insediati …

in zone qualificate industriali e, quindi, funzionalmente deputare all’espletamento di attività produttive, che non debbono subire limitazioni, a causa della classificazione acustica, non adeguatamente giustificate (T.A.R. Veneto, sez. III, 24.1.2007, n. 187; T.R.G.A. Trento, sez. I 24 ottobre 2008 n. 271).”

TAR di Brescia N. 00059/2014 REG.RIC. “…poiché l’attività produttiva era preesistente, i soggetti che hanno deciso di avvicinarsi alla stessa per realizzare la propria abitazione hanno anche accettato di avvicinarsi a una determinata classe di rumorosità“.

Queste situazioni derivano principalmente dal fatto che, nell’applicazione da parte delle Autorità Comunali (AC) dei criteri definiti dalle Regioni per la predisposizione dei propri PCCA (Piano Comunale Classificazione Acustica), queste si trovano frequentemente a fare i conti con scarsità di risorse e di competenze, che le portano ad adottare piani redatti in maniera poco approfondita, se non lacunosa.

La redazione corretta di un PCCA, prevede due fasi distinte: la classificazione automatica del territorio, eseguita seguendo un metodo parametrico, puramente quantitativo e la verifica sul territorio e l’ottimizzazione dello schema ottenuto, eseguita mediante un approccio qualitativo. La suddivisione del territorio in aree omogenee cui vengono assegnate le classi acustiche è una fase delicata che richiede la conoscenza dei luoghi e l’esecuzione di misure. Purtroppo la scarsità di risorse e di competenze, portano spesso a convertire in zone acustiche le aree di destinazione urbanistica definite dal Piano Regolatore Generale Comunale, senza valutare il clima acustico presente e il naturale decadimento del rumore tra zone con destinazioni d’uso conflittuali.

Un caso esemplare riguarda le centrali idroelettriche.

Nei primi anni dello scorso secolo, grazie alla realizzazione di importanti attività di bonifica agricola, si sono realizzate opere infrastrutturali, quali rogge e canali irrigui. Il tracciato di questi ultimi è spesso caratterizzato da diversi dislivelli (salti, ndr) e si prestava, sin da inizio ‘900, all’installazione di “officine elettriche”, oggi più comunemente note come centrali (o centraline) idroelettriche.

Queste attività industriali sono sorte in corrispondenza dei salti idraulici in ambiti rurali, in alcuni casi all’esterno di periferie e frazioni, dove hanno influenzato anche la toponomastica (Via della Cascata, Via della Centrale, ecc…). In seguito, l’espansione urbana ha inglobato questi impianti che sono diventati parte del tessuto cittadino.

Le centrali idroelettriche non sono per dimensioni e rumorosità un’acciaieria, ma producono a ciclo continuo (24 ore su 24, ndr), con impianti che hanno un’emissione sonora paragonabile a quella di un trattore. Il rumore delle macchine è inoltre associato a quello dell’acqua che scorre lungo uno sfioro o un piano inclinato. La pianificazione acustica del territorio nella maggior parte dei casi non ha considerato la presenza delle centrali idroelettriche inserendole in classi acustiche non coerenti, tipicamente la III (Aree di tipo misto: rientrano in questa classe le aree urbane interessate da traffico veicolare locale o di attraversamento, con media densità di popolazione, con presenza di attività commerciali, uffici, con limitata presenza di attività artigianali e assenza di attività industriali; aree rurali interessate da attività che impiegano macchine operatrici), in II (Aree destinate ad uso prevalentemente residenziale: rientrano in questa classe le aree urbane interessate prevalentemente da traffico veicolare locale, con bassa densità di popolazione, con limitata presenza di attività commerciali e assenza di attività artigianali) o in classe I ( aree particolarmente protette: rientrano in questa classe le aree nelle quali la quiete rappresenta un elemento di base per la loro utilizzazione: aree ospedaliere, scolastiche, aree destinate al riposo ed allo svago, aree residenziali rurali, aree di particolare interesse urbanistico, parchi pubblici, ecc. ) quando la centrale si trova in montagna o in un parco naturale. Risulta quindi frequente l’erronea attribuzione di queste classi ad aree ove insistono degli impianti industriali precedenti alle abitazioni circostanti, all’istituzione dei parchi naturali e alla normativa sull’inquinamento acustico.

Questa condizione si origina spesso dall’errato assunto che le centrali idroelettriche non sono una attività industriale, ma un “servizio tecnologico”. Accade quindi che ci si limiti a redigere i PCCA, basandosi sulla destinazione urbanistica, senza tanti approfondimenti, semplicemente trasportando il PRGC in PCCA. Di norma, infatti, le centrali idroelettriche sono inserite nel PRGC nell’area servizi (S) in quanto associate al canale/corso d’acqua sul quale sorgono, portando conseguentemente l’automatica conversione della classe “Servizi” del PRGC in una classe III del PCCA, se inserita in un tessuto urbano, in una classe II se si trova in un’area rurale o in classe I se è in un’area montana o in parco naturale.

Adottare un PCCA limitandosi a questo approccio, certamente non porta a tenere in considerazione “…le preesistenti destinazioni d’uso del territorio, in particolare, della preesistenza delle centrali idroelettriche in questione, rispetto alla pianificazione acustica medesima…”. (TAR di Trieste N. 00209/2017 REG.PROV.COLL.).

Le amministrazioni comunali in genere prediligono la tutela delle abitazioni e gli impianti industriali devono adeguarsi a limiti acustici ai ricettori inferiori al naturale decadimento del rumore, con l’esclusivo onere della “…..risoluzione delle problematiche acustiche venutesi a creare per effetto di scelte pianificatorie non lungimiranti da parte dell’Autorità comunale.” (cfr., C.d.S., Sez. IV^, sentenza n. 4405/2015).

Come possono tutelarsi le aziende?

A. Se siamo in un territorio comunale in cui il PCCA non è presente, si dispone ancora di diverse possibilità. In primo luogo bisogna attivare un’azione di monitoraggio per capire quando l’Amministrazione Comunale adotterà il Piano di Classificazione Acustica, poiché da quando questo atto viene reso pubblico (Albo Pretorio, BUR, ecc…) ci sono trenta giorni per presentare le proprie osservazioni, prima della sua approvazione. In questa fase il gestore/proprietario della centrale, se verifica l’incongruenza della classe acustica assegnata al proprio sito ed alle aree circostanti rispetto alla realtà, deve presentare le proprie osservazioni al piano. A supporto si possono richiamare le recenti sentenze del TAR di Trieste, N. 00209/2017 e N. 00212/2017 REG.PROV.COLL.) dove il giudice ha definito che “…dalla documentazione versata in atti emerge che si tratta di impianti costruiti e messi in funzione all’inizio del secolo scorso, e che l’attività ivi svolta (produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili) ha il codice ATECO 2007 35.11, corrispondente al codice ATECO 2002 40.11.”; “…il Consiglio comunale non ha tenuto conto della natura dell’attività economica svolta all’interno dei suddetti impianti, e, precisamente, che si tratta di un’attività di produzione, professionalmente organizzata di un bene (l’energia elettrica, in quanto suscettibile di essere scambiata contro un corrispettivo) e dunque di un’attività industriale, giusta quanto dispongono il combinato disposto degli articoli 2082 e 2195, I^ comma, lettera a), Cod. civ.. E che, per l’appunto, si tratti di attività di produzione di beni e, dunque, industriale, trova conferma nel codice ATECO 2002 attribuito alla stessa, ovverosia 40.11. Tale codice, infatti, come tutti quelli compresi tra 10 a 45 individuano attività produttive, secondo la deliberazione della Giunta regionale del Friuli Venezia Giulia n. 463 del 5.03.2009, contenente – in esecuzione dei disposti della L.R. n. 16/2007 – criteri e linee-guida per la redazione dei piani acustici comunali. Sennonché, la medesima deliberazione giuntale n. 463/2009 esclude che vi possano essere insediamenti industriali nelle aree classificate I^, II^, III^. Ne consegue che è illegittima l’attribuzione della II^ classe acustica a un’area nella quale insiste un preesistente impianto produttivo, in particolare un impianto di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.”.
In alcuni casi le osservazioni dell’azienda non sono accolte ed il PCCA è approvato senza modifiche. Non resta che il ricorso al TAR, ma sino a quando non si giunge a sentenza, il PCCA è in vigore e quindi vanno rispettati i limiti attribuiti alla centrale e in particolare ai ricettori circostanti. Sugli impianti sottoposti ad Autorizzazioni Ambientali, in particolare, incombe inoltre l’obbligo di fermare gli impianti in caso di reiterati superamenti dei limiti.
Si suggerisce quindi di verificare la propria classe di appartenenza nel PRGC e, se non coerente con la realtà, di provvedere a far istanza per l’assegnazione della corretta classe urbanistica; questo dovrebbe contribuire ad evitare la successiva assegnazione di una classe acustica penalizzante.

B. Se viceversa siamo in presenza di un PCCA già approvato e non c’è il rispetto dei limiti, l’unica via è un piano di risanamento acustico con totali oneri a carico del gestore/proprietario della centrale. E’ comunque perseguibile la contemporanea richiesta di revisione del PCCA, al fine di vedersi assegnata una classe acustica adeguata.
In campo ambientale in genere e per quanto concerne l’inquinamento acustico in particolare, l’attenzione al dettaglio può fare la differenza tra la continuazione dell’attività produttiva e la chiusura dello stabilimento. Seppur i recenti orientamenti paiono aver riaffermato il diritto al preuso, si ritiene necessario che l’azienda anticipi le scelte pianificatorie, interagendo con le autorità comunali.

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