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Stefano Maglia

Sfalci e potature: rifiuti o non rifiuti? Una discutibile sentenza della Cassazione

di Stefano Maglia

Categoria: Rifiuti

Con una recentissima e non condivisibile sentenza (n. 11886 del 12 marzo 2014) la Corte di Cassazione affronta il tema dell’esclusione, dall’ambito della disciplina sui rifiuti di cui alla Parte IV del D.L.vo n. 3 aprile 2006, n. 152[1], di taluni residui di origine vegetale.
Il caso in oggetto, inerente un’ipotesi di abbandono di residui di piantagioni, qualificato come abbandono di rifiuti organici, ha dato modo alla S.C. di pronunciarsi nuovamente sul disposto dell’art. 185, comma 1, lett. f) del D.L.vo n. 152/2006, che prevede – a partire dal dicembre 2010 – l’esclusione dal novero dei rifiuti, tra l’altro, di “paglia, sfalci e potature, nonché di altro materiale agricolo o forestale non pericoloso, a condizione che non presentino caratteristiche di pericolosità e che siano utilizzati in agricoltura, selvicoltura o per la produzione di energia mediante processi che non danneggino l’ambiente né mettano in pericolo la salute umana[2].
Nello specifico, i giudici hanno ritenuto che tali residui di piantagioni, che colmavano il cassone di un veicolo sequestrato, non rientrassero nella nozione individuata dal citato art. 185, comma 1, lett. f), in quanto tale lettera si limiterebbe ad “escludere dall’applicabilità della parte quarta del decreto legislativo le materie fecali, se non contemplate al comma 2, lettera b), paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana”: secondo la S.C., il materiale oggetto del caso di specie non poteva essere qualificato come materiale utilizzato per agricoltura, selvicoltura o produzione di energia, costituendo invece “residui di piantagione; il che non coincide con i tre specifici tipi di residui (paglia, sfalci e potature) indicate dalla norma, esprimendo un concetto chiaramente più ampio, e non comportando quindi la non qualificabilità come rifiuti”.
Tale orientamento non pare affatto condivisibile, in quanto si basa su di un presupposto errato, ossia che la paglia, gli sfalci e le potature siano gli unici rifiuti vegetali esclusi dalla disciplina dei rifiuti ai sensi dell’art. 185, comma 1, lett. f), D.L.vo n. 152/2006.
In realtà, tali materiali non costituiscono un elenco tassativo, bensì semplicemente esaustivo di quei materiali che hanno origine naturale (sia essa agricola o forestale), che non sono pericolosi e che sono destinati all’impiego in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia mediante processi o metodi che non danneggino l’ambiente né mettano in pericolo la salute umana. Pertanto, qualunque rifiuto naturale non pericoloso proveniente da attività agricole forestali, e destinato ad uno di tali tre tassativi utilizzi ben può essere ricompreso nell’art. 185, comma 1, lett. f). Tale principio risulta peraltro espresso in una ancor più recente sentenza della stessa Corte di Cassazione penale (sent. n. 16200 del 14 aprile 2014), la quale – relativamente alle materie fecali – ha affermato che la norma pone l’accento “sulla provenienza dei materiali elencati … dall’attività agricola e sulla loro successiva utilizzazione sempre con riguardo a detta attività”, e rilevato che “l’esclusione dalla disciplina dei rifiuti opera a condizione che le materie provengano da attività agricola e che siano riutilizzate nella stessa attività agricola”.
D’altra parte, tale interpretazione della norma contenuta nell’art. 185, comma 1, lett. f) del D.L.vo n. 152/2006 trova conforto nel fatto che la stessa Direttiva 98/2008/CE[3] non contempla, nell’articolo corrispondente, nemmeno gli sfalci e le potature in modo espresso. L’art. 2, par. 1, lett. f) richiama, infatti, esclusivamente “paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati …”. E’ stato il legislatore nazionale a inserire espressamente i termini “sfalci e potature” in tale elenco non esaustivo, creando in realtà non poca confusione con particolare riferimento a quanto prevede l’art. 184, comma 2, lett. e), D.L.vo n. 152/2006, che include fra i rifiuti urbani “i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali” (v. sul punto la nota 18 marzo 2011, n. 11338 del Ministero dell’Ambiente), ed utilizzando una formula che non può certo dirsi spiccare per chiarezza[4].
D’altra parte, nello stesso documento “Guidelines on the interpretation of key provisions of Directive 2008/98/EC on waste[5], la Commissione europea fornisce degli esempi di materiale agricolo o forestale che potrebbe essere considerato come non pericoloso (paglia proveniente dal grano o da altre colture, erba tagliata, legno naturale, sfridi e trucioli di legno, segatura, ecc., nonché altre biomasse in generale), a riprova del fatto che l’elenco incluso nell’art. 2 par. 1, lett. f) non è da ritenersi esaustivo. Le Linee Guida precisano, inoltre, che ai fini della corretta interpretazione dell’esclusione della paglia e del materiale naturale dalla disciplina dei rifiuti deve essere assunto, come “criterio decisivo”, quello della non pericolosità.
Pertanto, le condizioni con riferimento alle quali un materiale può rientrare nell’esclusione prevista dall’art. 185, comma 1, lett. f), sono:
– provenienza: agricola o forestale;
– origine: naturale;
– non pericolosità;
destinazione all’utilizzo in:
agricoltura;
selvicoltura; o
per la produzione di energia,
mediante processi o metodi che non danneggino l’ambiente né mettano in pericolo la salute umana.

A tale ultimo proposito, occorre richiamare l’attenzione sul fatto che la S.C., nella sentenza in esame, sembra automaticamente escludere, a priori, la destinazione all’utilizzo in agricoltura, selvicoltura o produzione di energia per il fatto che il materiale in questione è costituito da “residui” di piantagioni. In realtà, si tratta di una valutazione da condurre “a valle”, avendo riguardo al caso specifico, coerentemente con il disposto dell’art. 185 che indica le condizioni alle quali determinati materiali o sostanze, pur potendo astrattamente rientrare nel novero dei rifiuti, sono esclusi dalla relativa disciplina contenuta nella Parte IV del D.L.vo n. 152/2006.
Alla luce di quanto sopra esposto, appare auspicabile una revisione, da parte della S.C, della posizione contenuta nella propria sentenza n. 11886/2014, in un’ottica di maggiore coerenza con il dettato normativo nazionale ed europeo, nonché con l’orientamento giurisprudenziale già espresso dalla Corte stessa.



[1]Norme in materia ambientale, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 14 aprile 2006 – Suppl. Ordinario n. 96, ed in vigore dal 29 aprile 2006.

[2]Non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del presente decreto le materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b), paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana”.

[3]Direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea n. L 312/3 del 22 novembre 2008.

[4] MAGLIA S., MEDUGNO M., “Rifiuto, non rifiuto? Esclusioni, sottoprodotti, End of Waste”, Irnerio Editore, 2011, pagg. 14-15.

[5]Guidelines on the interpretation of key provisions of Directive 2008/98/EC on waste”, Commissione Europea, giugno 2012, pagg. 43-44. Si noti che, pur non costituendo un documento vincolante, le indicazioni in esso contenute possono certamente essere considerate autorevoli e rilevanti.

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