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"Mi occupo di diritto ambientale da oltre trent’anni TuttoAmbiente è la guida più autorevole per la formazione e la consulenza ambientale Conta su di noi" Stefano Maglia
Soluzioni di biorisanamento e tecnologie di bonifica applicate alle matrici ambientali
di Dario Landi
Categoria: Bonifiche
Le maggiori sfide in campo ambientale a livello globale, che la società contemporanea si trova a dover affrontare da ormai diversi anni e che determinano in maniera sempre più significativa l’orientamento strategico delle azioni politiche, tecniche ed economiche delle maggiori nazioni del mondo, trovano il loro fulcro nei tre temi principali e fondamentali della situazione mondiale attuale e dell’immediato futuro: il cambiamento climatico su scala globale, la produzione di energia sostenibile da fonti rinnovabili e la gestione eco-compatibile dei rifiuti e delle risorse naturali.
Nel campo ambientale lo sviluppo tecnologico e il progresso scientifico, unitamente all’evoluzione della normativa nazionale e comunitaria, hanno permesso di raggiungere importanti risultati orientanti alla sempre maggiore tutela dell’ambiente e della salute umana, realizzando obbiettivi ambiziosi attraverso strumenti innovativi e strategie comuni, ad un livello di cooperazione proattiva tale da risultare impensabile soltanto cinquant’anni fa.
Oltre al fondamentale e prioritario tema della prevenzione come principio cardine della corretta gestione ambientale, insieme a quello dello sviluppo sostenibile, laddove si sia già verificato un evento di grave contaminazione ambientale, risulta innegabile l’importanza dello sviluppo delle tecniche di bonifica, ripristino e riparazione di ecosistemi inquinati o deteriorati dall’azione antropica. In questo campo in Italia esistono molte eccellenze a livello locale di cui purtroppo si parla ben poco.
Basti pensare al progetto Minerv Biorecovery, realizzato in collaborazione con l’Istituto per l’Ambiente Marino Costiero del CNR di Messina: una nuova tecnologia basata sulla bioplastica degradabile al 100% per eliminare l’inquinamento di petrolio in mare, che apre scenari senza precedenti per le bonifiche ambientali e nel biorisanamento dell’inquinamento da idrocarburi.
Oppure all’ambiziosa ricerca sull’utilizzo del batterio Ideonella Sakaiensis 201-F6 che, grazie a due enzimi, è in grado di scomporre il PET, polimero impiegato soprattutto nella produzione delle bottiglie, per combattere l’inquinamento delle plastiche nei mari. Fino ad arrivare al progetto Nanobond, finanziato dalla Regione Toscana, con l’utilizzo di nanotecnologie in ambito ambientale per la disidratazione dei fanghi biologici di depurazione e dei sedimenti da dragaggio idraulico, grazie all’integrazione con l’azione decontaminante dei materiali nanostrutturati. Degno di nota inoltre è il progetto BioResnova per il recupero e la valorizzazione di suoli e sedimenti contaminati per mezzo di biotecnologie innovative, supportate da processi chimico-fisici, cofinanziato dal Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa e il progetto SLUDGE 4.0 per il trattamento e la trasformazione dei fanghi biologici in biofertilizzanti, ammesso al finanziamento regionale tramite il Fondo Europeo Sviluppo e Ricerca (Por Fesr).
Ma i progetti più innovativi ed avanzati in campo tecnico e scientifico per il monitoraggio ambientale globale sono stati ottenuti prevalentemente dalla cooperazione internazionale. Il 3 Aprile 2014 è stato lanciato il primo satellite Sentinel-1a dalla Guyana francese, che ha segnato il primo passo per lo sviluppo dell’attuale Programma Europeo di osservazione della Terra Copernicus: un insieme complesso di sistemi che raccoglie informazioni da molteplici fonti, ossia satelliti di osservazione del pianeta e sensori di terra, di mare ed aviotrasportati, sviluppato dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA) per il monitoraggio, lo studio ed il controllo di atmosfera, mari, oceani, clima, suolo, calamità naturali e zone di rischio. I risultati di questo studio hanno permesso, tra l’altro, la realizzazione della mappatura atmosferica per la determinazione dello stato di inquinamento dell’aria nella Pianura Padana, rilevando la più grande concentrazione di biossido di azoto in Europa. Secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) oggi l’inquinamento atmosferico provoca 461mila decessi prematuri l’anno solo in Europa, 20 volte di più delle vittime per incidenti stradali.
Vediamo ora nel dettaglio le principali tecniche di bonifica ambientale in situ e le loro applicazioni pratiche.
Pump & Treat
Il Pump & Treat consiste nel pompaggio e trattamento in superficie delle acque di falda inquinate; si tratta quindi di una tecnica di bonifica delle acque.
Il processo prevede la creazione di uno sbarramento idraulico, dovuto al pompaggio di acqua dalla falda ed il successivo trattamento delle acque estratte. L’acqua, in uscita dal processo di trattamento, può essere riversata in fognatura o in un bacino idrico superficiale. La tecnica di Pump & Treat è un processo di bonifica in situ che avviene solitamente secondo le seguenti fasi:
Pompaggio dell’acqua inquinata dai pozzi di estrazione. Il numero di pozzi impiegati dipende dall’estensione dell’area da bonificare e dal tipo di sorgente contaminante.
Raccolta dell’acqua in serbatoi e invio all’impianto di trattamento.
Depurazione dell’acqua inquinata e reinserimento della stessa nella falda o eventuale scarico in fognatura.
Esempio – Sinistro stradale occorso ad un qualsiasi autoveicolo adibito al trasporto di idrocarburi.
Lo sversamento che ne consegue, oltre alla contaminazione della superficie interessata dall’iniziale spandimento, può interessare anche eventuali corsi d’acqua superficiali e falde sotterranee. Quest’ultima ipotesi è quasi certa nel caso in cui il terreno presente in sito sia di natura ghiaiosa e di conseguenza molto permeabile. In fase di messa in sicurezza d’emergenza, risulta di estrema importanza proteggere la falda, mediante l’installazione di pompe sommerse, creando depressioni tali da contenere le acque nel raggio d’azione dei sistemi di sollevamento, evitando così la formazione di plume di contaminazione.
Soil washing
Il Soil Washing è un trattamento per la bonifica di terreni contaminati, allo scopo di recuperare parte pregiata del mezzo attraverso un processo di separazione fisica dell’inquinante. La tecnica di Soil Washing può avvenire sia on-site sia off-site.
Il Soil Washing si basa sul principio che i contaminanti vengono veicolati attraverso le particelle più fini presenti nelle frazioni del suolo e consiste nell’effettuare un vero e proprio lavaggio con acqua, soluzioni acquose di tensioattivi, biosurfattanti, oppure con solventi organici.
I metodi su cui si basa la rimozione dei contaminanti sono due:
Dissoluzione completa dei contaminanti nella soluzione acquosa di estrazione;
Concentrazione ed eventuale dispersione dei contaminanti nella soluzione di estrazione, sotto forma di particelle sospese.
La tecnica di Soil Washing può essere utilizzata in combinazione con la tecnica ad estrazione con solvente, soprattutto nei terreni in cui si verifichi una contaminazione mista.
Soil vapor extraction
Il Soil Vapor Extraction (SVE)è un intervento per il trattamento di suoli che permette, tramite un flusso controllato di aria, la rimozione di contaminanti organici volatili presenti nella zona insatura del terreno. Attraverso un intervento di Soil Vapor Extraction vengono create nel sottosuolo sacche di vuoto che favoriscono la rimozione dei contaminanti mediante volatilizzazione; si crea quindi una depressione che estrae i componenti volatili dell’inquinante presenti nel terreno. L’aspirazione di un flusso controllato dal sottosuolo richiama nuova aria alla superficie favorendo così processi di degradazione biologica delle sostanze contaminanti. I gas aspirati vengono trattati prima della loro emissione in atmosfera. La quantità di contaminanti estratta nell’unità di tempo decresce rapidamente durante la ventilazione.
L’unica difficoltà nell’applicazione di questo intervento è data dalla complessità delle matrici sotterranee, che non permettono un controllo completo dell’ambiente in cui si opera con rischi di diffusioni indesiderate non rilevabili; per ridurre tale rischio si affiancano a tale intervento sistemi di controllo della migrazione dei contaminanti. Il tipo di trattamento dipende dal contaminante e dalla sua concentrazione.
Esempio – Estrazione di una vecchia cisterna interrata che conteneva gasolio ad uso riscaldamento civile o industriale.
Spesso accade che queste cisterne siano fessurate e, se non è stata prevista nessuna vasca di contenimento, come spesso accadeva negli anni passati, la contaminazione si è propagata in profondità fino al raggiungimento della falda. Scavare il terreno fino al raggiungimento della falda non è chiaramente possibile, ecco che risulta indispensabile l’installazione di un impianto per la messa in sicurezza sia della falda (impianto Pump & Treat), sia del terreno soprastante (impianto Soil Vapor Extraction – SVE).
Bioventing
Il Bioventing è una tecnologia di bioremediation che consente l’utilizzo di microrganismi autoctoni per la degradazione di composti organici adsorbiti dalle frazioni minerali e organiche del suolo e nella fascia insatura del terreno. Il processo di Bioventing si sviluppa attraverso l’immissione di aria negli strati di terreno interessati dalla presenza di contaminanti organici. L’ossigeno consente l’attivazione dei processi catabolici aerobici di quasi tutti i composti organici (ad es. idrocarburi) a catena aperta ed in presenza di bassi livelli di alogenazione. Al contrario delle tecnologie di SVE, dove la rimozione delle frazioni volatili avviene previa aspirazione dell’aria interstiziale, nel Bioventing si opera l’immissione forzata di aria attraverso una serie di pozzi in grado di canalizzare aria e eventuali agenti stimolatori, anche a notevoli profondità.
Una misura media di densità prevede l’installazione di 4-6 pozzi del diametro di 3-5 cm per mq di superficie e una profondità media di 3-5 m.
La misura indicativa del livello di popolamento microbico del terreno durante la fase di trattamento prevede una concentrazione di colonie microbiche pari a 1000-1500 UFC/g di terreno secco.
Sanificazione con ozono
L’Ozono è uno dei più potenti ossidanti in natura, è prodotto dall’ossigeno e, al termine del suo ciclo, si trasforma nuovamente in ossigeno col vantaggio di non lasciare alcun residuo tossico. Grazie alle sue comprovate proprietà antisettiche è efficace contro microrganismi quali batteri, virus, muffe e spore, quindi molto adatto per essere utilizzato ininterventi di sanificazione ambientale.
Grazie ai risultati positivi, derivati da una attenta ricerca e da numerose prove sul campo, oggi la tecnologia di sanificazione con ozonosi è perfezionata ed è diventata ormai una realtà operante che vanta già numerose installazioni e applicazioni.
Con la tecnologia di sanificazione con ozono è possibile intervenire su:
ARIA – Trattamento di ambienti e superfici.
Trattamento UTA e condotte idrauliche.
ACQUA – Potabilizzazione e sanificazione.
Trattamento acque reflue.
Trattamento cisterne di raccolta.
CELLE FRIGO – Impianti per la conservazione del freddo e ozono.
Impianti per la sanificazione delle celle di qualsiasi dimensione.
Biopila
La Biopila è una tecnica di risanamento biologico dei terreni che si basa sulla capacità dei microrganismi autoctoni del terreno di degradare alcuni tipi di contaminante in determinate condizioni ambientali. La Biopila viene generalmente utilizzata per la bonifica di terreni contaminati da prodotti del petrolio.
Il termine originario inglese, ormai utilizzato anche in italiano, indica la disposizione del terreno inquinato da bonificare mediante tecnica biologica in cumulo (pile, heap), all’interno del quale vengono introdotti, mediante apposite reti separate di tubazioni, aria, sostanze nutrienti (nitrati, fosfati) e acqua, in modo da ottimizzare le condizioni di sviluppo ed attività della flora batterica che attua la degradazione aerobica (in presenza di ossigeno) degli inquinanti.
L’attività aerobica dei microorganismi viene stimolata attraverso aerazione e aggiunta di nutrienti, minerali e acqua, degradando così i prodotti adsorbiti dal terreno. Questa tecnica di bonifica, dunque, è basata sulla stimolazione della crescita e della moltiplicazione dei batteri aerobici tramite l’uso di ossigeno, dove l’aria viene fatta circolare nel terreno attraverso tubature con tecniche di estrazione/iniezione.
Nella rimozione dei contaminanti petroliferi, i composti più leggeri tendono ad essere rimossi per volatilizzazione durante l’aerazione dei terreni, mentre gli altri componenti vengono rimossi per biodegradazione (nel caso la presenza di componenti volatili sia elevata potrebbe essere necessario predisporre di un impianto di trattamento delle emissioni gassose, come ad esempio un impianto SVE).
In Italia vi sono oltre 18.000 siti contaminati, che occupano circa il 3% del territorio nazionale. Di questi, più di 5.000 sono di interesse regionale e più di 50 di interesse nazionale. La contaminazione di suoli, acque di falda, sedimenti e fanghi è dovuta principalmente a idrocarburi alifatici e aromatici, prevalentemente di origine industriale e mediamente biodegradabili e solamente per il 20-26% è dovuta a metalli pesanti. La bonifica di tali siti in Italia viene condotta per lo più attraverso tecniche ex situ di tipo convenzionale: per i suoli prevale lo scavo e smaltimento in discarica, tecnica che considera il suolo come un rifiuto piuttosto che come una risorsa da risanare e riutilizzare. L’uso di tecnologie in situ rimane minoritario, anche per tecniche largamente utilizzate in altri paesi quali le barriere permeabili reattive, l’ossidazione chimica in situ e soprattutto il biorisanamento aerobico e anaerobico. Tra le tecniche biologiche in situ, prevalgono i trattamenti aerobici mediante bioventing o l’utilizzo di composti a lento rilascio di ossigeno, si riscontrano inoltre alcuni casi di applicazione di processi riduttivi (declorazione riduttiva dei solventi clorurati).
Per favorire l’estensione dell’applicazione dei metodi biologici di monitoraggio e bonifica dei siti contaminati, sarebbe importante lo sviluppo di strumenti biotecnologici molecolari in grado di integrare le conoscenze acquisibili in fase di caratterizzazione e di monitoraggio, ed eventualmente di consentire una più mirata progettazione dei trattamenti di bonifica.
Categorie
Soluzioni di biorisanamento e tecnologie di bonifica applicate alle matrici ambientali
di Dario Landi
Le maggiori sfide in campo ambientale a livello globale, che la società contemporanea si trova a dover affrontare da ormai diversi anni e che determinano in maniera sempre più significativa l’orientamento strategico delle azioni politiche, tecniche ed economiche delle maggiori nazioni del mondo, trovano il loro fulcro nei tre temi principali e fondamentali della situazione mondiale attuale e dell’immediato futuro: il cambiamento climatico su scala globale, la produzione di energia sostenibile da fonti rinnovabili e la gestione eco-compatibile dei rifiuti e delle risorse naturali.
Nel campo ambientale lo sviluppo tecnologico e il progresso scientifico, unitamente all’evoluzione della normativa nazionale e comunitaria, hanno permesso di raggiungere importanti risultati orientanti alla sempre maggiore tutela dell’ambiente e della salute umana, realizzando obbiettivi ambiziosi attraverso strumenti innovativi e strategie comuni, ad un livello di cooperazione proattiva tale da risultare impensabile soltanto cinquant’anni fa.
Oltre al fondamentale e prioritario tema della prevenzione come principio cardine della corretta gestione ambientale, insieme a quello dello sviluppo sostenibile, laddove si sia già verificato un evento di grave contaminazione ambientale, risulta innegabile l’importanza dello sviluppo delle tecniche di bonifica, ripristino e riparazione di ecosistemi inquinati o deteriorati dall’azione antropica. In questo campo in Italia esistono molte eccellenze a livello locale di cui purtroppo si parla ben poco.
Basti pensare al progetto Minerv Biorecovery, realizzato in collaborazione con l’Istituto per l’Ambiente Marino Costiero del CNR di Messina: una nuova tecnologia basata sulla bioplastica degradabile al 100% per eliminare l’inquinamento di petrolio in mare, che apre scenari senza precedenti per le bonifiche ambientali e nel biorisanamento dell’inquinamento da idrocarburi.
Oppure all’ambiziosa ricerca sull’utilizzo del batterio Ideonella Sakaiensis 201-F6 che, grazie a due enzimi, è in grado di scomporre il PET, polimero impiegato soprattutto nella produzione delle bottiglie, per combattere l’inquinamento delle plastiche nei mari. Fino ad arrivare al progetto Nanobond, finanziato dalla Regione Toscana, con l’utilizzo di nanotecnologie in ambito ambientale per la disidratazione dei fanghi biologici di depurazione e dei sedimenti da dragaggio idraulico, grazie all’integrazione con l’azione decontaminante dei materiali nanostrutturati. Degno di nota inoltre è il progetto BioResnova per il recupero e la valorizzazione di suoli e sedimenti contaminati per mezzo di biotecnologie innovative, supportate da processi chimico-fisici, cofinanziato dal Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa e il progetto SLUDGE 4.0 per il trattamento e la trasformazione dei fanghi biologici in biofertilizzanti, ammesso al finanziamento regionale tramite il Fondo Europeo Sviluppo e Ricerca (Por Fesr).
Ma i progetti più innovativi ed avanzati in campo tecnico e scientifico per il monitoraggio ambientale globale sono stati ottenuti prevalentemente dalla cooperazione internazionale. Il 3 Aprile 2014 è stato lanciato il primo satellite Sentinel-1a dalla Guyana francese, che ha segnato il primo passo per lo sviluppo dell’attuale Programma Europeo di osservazione della Terra Copernicus: un insieme complesso di sistemi che raccoglie informazioni da molteplici fonti, ossia satelliti di osservazione del pianeta e sensori di terra, di mare ed aviotrasportati, sviluppato dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA) per il monitoraggio, lo studio ed il controllo di atmosfera, mari, oceani, clima, suolo, calamità naturali e zone di rischio. I risultati di questo studio hanno permesso, tra l’altro, la realizzazione della mappatura atmosferica per la determinazione dello stato di inquinamento dell’aria nella Pianura Padana, rilevando la più grande concentrazione di biossido di azoto in Europa. Secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) oggi l’inquinamento atmosferico provoca 461mila decessi prematuri l’anno solo in Europa, 20 volte di più delle vittime per incidenti stradali.
Vediamo ora nel dettaglio le principali tecniche di bonifica ambientale in situ e le loro applicazioni pratiche.
Pump & Treat
Il Pump & Treat consiste nel pompaggio e trattamento in superficie delle acque di falda inquinate; si tratta quindi di una tecnica di bonifica delle acque.
Il processo prevede la creazione di uno sbarramento idraulico, dovuto al pompaggio di acqua dalla falda ed il successivo trattamento delle acque estratte. L’acqua, in uscita dal processo di trattamento, può essere riversata in fognatura o in un bacino idrico superficiale. La tecnica di Pump & Treat è un processo di bonifica in situ che avviene solitamente secondo le seguenti fasi:
Esempio – Sinistro stradale occorso ad un qualsiasi autoveicolo adibito al trasporto di idrocarburi.
Lo sversamento che ne consegue, oltre alla contaminazione della superficie interessata dall’iniziale spandimento, può interessare anche eventuali corsi d’acqua superficiali e falde sotterranee. Quest’ultima ipotesi è quasi certa nel caso in cui il terreno presente in sito sia di natura ghiaiosa e di conseguenza molto permeabile. In fase di messa in sicurezza d’emergenza, risulta di estrema importanza proteggere la falda, mediante l’installazione di pompe sommerse, creando depressioni tali da contenere le acque nel raggio d’azione dei sistemi di sollevamento, evitando così la formazione di plume di contaminazione.
Soil washing
Il Soil Washing è un trattamento per la bonifica di terreni contaminati, allo scopo di recuperare parte pregiata del mezzo attraverso un processo di separazione fisica dell’inquinante. La tecnica di Soil Washing può avvenire sia on-site sia off-site.
Il Soil Washing si basa sul principio che i contaminanti vengono veicolati attraverso le particelle più fini presenti nelle frazioni del suolo e consiste nell’effettuare un vero e proprio lavaggio con acqua, soluzioni acquose di tensioattivi, biosurfattanti, oppure con solventi organici.
I metodi su cui si basa la rimozione dei contaminanti sono due:
La tecnica di Soil Washing può essere utilizzata in combinazione con la tecnica ad estrazione con solvente, soprattutto nei terreni in cui si verifichi una contaminazione mista.
Soil vapor extraction
Il Soil Vapor Extraction (SVE) è un intervento per il trattamento di suoli che permette, tramite un flusso controllato di aria, la rimozione di contaminanti organici volatili presenti nella zona insatura del terreno. Attraverso un intervento di Soil Vapor Extraction vengono create nel sottosuolo sacche di vuoto che favoriscono la rimozione dei contaminanti mediante volatilizzazione; si crea quindi una depressione che estrae i componenti volatili dell’inquinante presenti nel terreno. L’aspirazione di un flusso controllato dal sottosuolo richiama nuova aria alla superficie favorendo così processi di degradazione biologica delle sostanze contaminanti. I gas aspirati vengono trattati prima della loro emissione in atmosfera. La quantità di contaminanti estratta nell’unità di tempo decresce rapidamente durante la ventilazione.
L’unica difficoltà nell’applicazione di questo intervento è data dalla complessità delle matrici sotterranee, che non permettono un controllo completo dell’ambiente in cui si opera con rischi di diffusioni indesiderate non rilevabili; per ridurre tale rischio si affiancano a tale intervento sistemi di controllo della migrazione dei contaminanti. Il tipo di trattamento dipende dal contaminante e dalla sua concentrazione.
Esempio – Estrazione di una vecchia cisterna interrata che conteneva gasolio ad uso riscaldamento civile o industriale.
Spesso accade che queste cisterne siano fessurate e, se non è stata prevista nessuna vasca di contenimento, come spesso accadeva negli anni passati, la contaminazione si è propagata in profondità fino al raggiungimento della falda. Scavare il terreno fino al raggiungimento della falda non è chiaramente possibile, ecco che risulta indispensabile l’installazione di un impianto per la messa in sicurezza sia della falda (impianto Pump & Treat), sia del terreno soprastante (impianto Soil Vapor Extraction – SVE).
Bioventing
Il Bioventing è una tecnologia di bioremediation che consente l’utilizzo di microrganismi autoctoni per la degradazione di composti organici adsorbiti dalle frazioni minerali e organiche del suolo e nella fascia insatura del terreno. Il processo di Bioventing si sviluppa attraverso l’immissione di aria negli strati di terreno interessati dalla presenza di contaminanti organici. L’ossigeno consente l’attivazione dei processi catabolici aerobici di quasi tutti i composti organici (ad es. idrocarburi) a catena aperta ed in presenza di bassi livelli di alogenazione. Al contrario delle tecnologie di SVE, dove la rimozione delle frazioni volatili avviene previa aspirazione dell’aria interstiziale, nel Bioventing si opera l’immissione forzata di aria attraverso una serie di pozzi in grado di canalizzare aria e eventuali agenti stimolatori, anche a notevoli profondità.
Una misura media di densità prevede l’installazione di 4-6 pozzi del diametro di 3-5 cm per mq di superficie e una profondità media di 3-5 m.
La misura indicativa del livello di popolamento microbico del terreno durante la fase di trattamento prevede una concentrazione di colonie microbiche pari a 1000-1500 UFC/g di terreno secco.
Sanificazione con ozono
L’Ozono è uno dei più potenti ossidanti in natura, è prodotto dall’ossigeno e, al termine del suo ciclo, si trasforma nuovamente in ossigeno col vantaggio di non lasciare alcun residuo tossico. Grazie alle sue comprovate proprietà antisettiche è efficace contro microrganismi quali batteri, virus, muffe e spore, quindi molto adatto per essere utilizzato in interventi di sanificazione ambientale.
Grazie ai risultati positivi, derivati da una attenta ricerca e da numerose prove sul campo, oggi la tecnologia di sanificazione con ozono si è perfezionata ed è diventata ormai una realtà operante che vanta già numerose installazioni e applicazioni.
Con la tecnologia di sanificazione con ozono è possibile intervenire su:
ARIA – Trattamento di ambienti e superfici.
Trattamento UTA e condotte idrauliche.
ACQUA – Potabilizzazione e sanificazione.
Trattamento acque reflue.
Trattamento cisterne di raccolta.
CELLE FRIGO – Impianti per la conservazione del freddo e ozono.
Impianti per la sanificazione delle celle di qualsiasi dimensione.
Biopila
La Biopila è una tecnica di risanamento biologico dei terreni che si basa sulla capacità dei microrganismi autoctoni del terreno di degradare alcuni tipi di contaminante in determinate condizioni ambientali. La Biopila viene generalmente utilizzata per la bonifica di terreni contaminati da prodotti del petrolio.
Il termine originario inglese, ormai utilizzato anche in italiano, indica la disposizione del terreno inquinato da bonificare mediante tecnica biologica in cumulo (pile, heap), all’interno del quale vengono introdotti, mediante apposite reti separate di tubazioni, aria, sostanze nutrienti (nitrati, fosfati) e acqua, in modo da ottimizzare le condizioni di sviluppo ed attività della flora batterica che attua la degradazione aerobica (in presenza di ossigeno) degli inquinanti.
L’attività aerobica dei microorganismi viene stimolata attraverso aerazione e aggiunta di nutrienti, minerali e acqua, degradando così i prodotti adsorbiti dal terreno. Questa tecnica di bonifica, dunque, è basata sulla stimolazione della crescita e della moltiplicazione dei batteri aerobici tramite l’uso di ossigeno, dove l’aria viene fatta circolare nel terreno attraverso tubature con tecniche di estrazione/iniezione.
Nella rimozione dei contaminanti petroliferi, i composti più leggeri tendono ad essere rimossi per volatilizzazione durante l’aerazione dei terreni, mentre gli altri componenti vengono rimossi per biodegradazione (nel caso la presenza di componenti volatili sia elevata potrebbe essere necessario predisporre di un impianto di trattamento delle emissioni gassose, come ad esempio un impianto SVE).
In Italia vi sono oltre 18.000 siti contaminati, che occupano circa il 3% del territorio nazionale. Di questi, più di 5.000 sono di interesse regionale e più di 50 di interesse nazionale. La contaminazione di suoli, acque di falda, sedimenti e fanghi è dovuta principalmente a idrocarburi alifatici e aromatici, prevalentemente di origine industriale e mediamente biodegradabili e solamente per il 20-26% è dovuta a metalli pesanti. La bonifica di tali siti in Italia viene condotta per lo più attraverso tecniche ex situ di tipo convenzionale: per i suoli prevale lo scavo e smaltimento in discarica, tecnica che considera il suolo come un rifiuto piuttosto che come una risorsa da risanare e riutilizzare. L’uso di tecnologie in situ rimane minoritario, anche per tecniche largamente utilizzate in altri paesi quali le barriere permeabili reattive, l’ossidazione chimica in situ e soprattutto il biorisanamento aerobico e anaerobico. Tra le tecniche biologiche in situ, prevalgono i trattamenti aerobici mediante bioventing o l’utilizzo di composti a lento rilascio di ossigeno, si riscontrano inoltre alcuni casi di applicazione di processi riduttivi (declorazione riduttiva dei solventi clorurati).
Per favorire l’estensione dell’applicazione dei metodi biologici di monitoraggio e bonifica dei siti contaminati, sarebbe importante lo sviluppo di strumenti biotecnologici molecolari in grado di integrare le conoscenze acquisibili in fase di caratterizzazione e di monitoraggio, ed eventualmente di consentire una più mirata progettazione dei trattamenti di bonifica.
Piacenza, 3.07.2018
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