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Sottoprodotti ed esclusioni dal campo dei rifiuti: paglia, sfalci, potature e ramaglie … cosa sono?
di Miriam Viviana Balossi
Categoria: Rifiuti
Partendo da una recente analisi statistica dei sottoprodotti registrati sulla piattaforma messa a disposizione dalle Camere di Commercio ai sensi dell’art. 10 del D.M. 264/16, il presente contributo si propone di fare chiarezza sulla corretta classificazione giuridica di alcune categorie merceologiche.
Come rilevato anche dall’analisi territoriale condotta da Ecocerved nel 2022, le tipologie di sottoprodotti più frequentemente registrate sono i residui vegetali derivanti da attività agricola e manutenzione del verde, la biomassa legnosa da manutenzione del verde e lavorazione del legno, nonché tutto quell’insieme costituito da paglia, sfalci, potature e ramaglie.
Esistono categorie prestabilite di sottoprodotti?
Si tratta di un dato che lascia quantomeno perplessi, per i motivi che di seguito si andranno ad illustrare.
In primo luogo si osserva che non esiste una nomenclatura standard per l’inserimento dei sottoprodotti sulla piattaforma (ovvero non ci sono delle categorie prestabilite) e, a che risulti, le CCIAA non conducono un controllo preventivo all’iscrizione. Pertanto, si registra un proliferare dei seguenti termini: – paglia; paglia di cereali; paglia imballata; – cippato di potature; cippato di legno vergine ad uso non industriale; cippato di legno vergine con corteccia; cippato di legno vergine senza corteccia; – piante e ramaglie; potature e ramaglie; sfalci, potature e rami; ramaglia da manutenzione alberature; – biomassa legnosa; materiale vegetale legnoso; materiale vegetale legnoso vergine prodotto da interventi di manutenzione del verde e potatura di aree verdi; … …
Poi si ricorda che il D.L.vo 116/20 ha sanato la precedente erronea formulazione dell’art. 185 del D.L.vo 152/06, disponendo l’eliminazione degli “sfalci e potature derivanti da verde pubblico” dal campo di esclusione della Parte IV del D.L.vo 152/06. Pertanto, la lettera f) dell’art. 185 – nella sua formulazione ad oggi vigente -stabilisce che non rientrino nel campo di applicazione della Parte quarta del D.L.vo 152/2006 “(…) la paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, gli sfalci e le potature effettuati nell’ambito delle buone pratiche culturali, utilizzati in agricoltura, nella silvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi, mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana, nonché la posidonia spiaggiata, laddove reimmessa nel medesimo ambiente marino o riutilizzata a fini agronomici o in sostituzione di materie prime all’interno di cicli produttivi, mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana”. In sostanza, sulla base di quanto stabilito dalla norma ad oggi vigente, appare chiaro che gli sfalci e le potature, per essere escluse dalla normativa sui rifiuti, debbano essere necessariamente soggette ad un vincolo di destinazione (utilizzo in campo agricolo, forestale o per la produzione di energia) e di origine (agricola o forestale). Oltre a ciò, evidentemente, gli sfalci e le potature non possono avere natura pericolosa e, ciò che infine rileva, sono le corrette modalità di gestione degli sfalci e delle potature in concreto attuate: tali modalità, difatti, non devono in alcun modo danneggiare l’ambiente o la salute umana. Ovviamente, sarà onere di chi invoca tale esclusione dall’ambito di applicazione dei rifiuti riuscire a dimostrare quanto richiesto dalla norma.
Il tema impone di rilevare un’altra modifica normativa inserita dal D.L.vo 116/20: l’art. 183, comma 1, lett. b-ter), punto 5, del D.L.vo 152/2006, nella sua formulazione vigente, prevede difatti che debbano considerarsi rifiuti urbani “i rifiuti della manutenzione del verde pubblico, come foglie, sfalci d’erba e potature di alberi, nonché i rifiuti risultanti dalla pulizia dei mercati”.
Il caso delle biomasse residuali
Sotto il profilo normativo bisogna far presente che l’Allegato I al D.M. 264/16 (Regolamento recante criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti) ha ad oggetto le biomasse residuali destinate all’impiego per la produzione di biogas e le biomasse residuali destinate all’impiego per la produzione di energia mediante combustione. Citando detto allegato espressamente “sottoprodotti provenienti da attività agricola, di allevamento, dalla gestione del verde e da attività forestale …” nonché “paglia, pula, stocchi … potature, ramaglie e residui della manutenzione del verde pubblico e privato” sembrerebbe dare per scontato che si tratti di sottoprodotti ex lege: ma così non è; tuttavia nel tempo ciò ha generato una certa confusione tra gli operatori del settore.
Le quattro condizioni per essere sottoprodotti
Per effetto della nota n. 51657 del 14 maggio 2021, il Ministero della Transizione Ecologica ha precisato che “laddove non ricorrano le condizioni previste per l’applicazione dell’esclusione di cui all’articolo 185, ad esempio in considerazione dell’impiego dei materiali indicati in processi diversi da quelli elencati, è possibile qualificare il residuo come sottoprodotto, dimostrando la sussistenza delle condizioni previste dall’articolo 184-bis del decreto legislativo n.152/2006, vale a dire che: a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto; b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.
Infine, quando i materiali non siano qualificabili come esclusi o come sottoprodotti ai sensi, rispettivamente, degli articoli 185 e 184-bis, citati o quando ricorrano, comunque, le condizioni previste dall’articolo 183, comma 1, lettera a) del D. Lgs. n.152 del 2006, i residui devono essere qualificati come rifiuti”.
Gli sfalci del verde possono essere destinati all’utilizzo agricolo?
Ad aggiungere confusione in argomento, ha contribuito la Regione Lombardia che, con una nota del 30 maggio 2022 indirizzata a tutti gli enti provinciali, ha fornito un’interpretazione sull’utilizzo in ambito agricolo degli sfalci del verde derivanti dall’attività del florovivaismo. In particolare, la regione Lombardia ha precisato che i residui di lavorazione del verde privato possono essere destinati ad un utilizzo agricolo, purché vi sia adeguata tracciabilità tra il punto di produzione (cioè il punto in cui si svolge il processo produttivo primario da cui si originano i residui della produzione) e il luogo di destinazione nel quale si realizzi un reale utilizzo agronomicamente corretto e riconducibile ad una buona pratica agricola, evitando la pratica degli abbruciamenti.
In particolare, la regione identifica i seguenti casi: 1) il soggetto che effettua la manutenzione è un agricoltore-florovivaista che raccoglie i residui di lavorazione (sfalci erba etc..) e li riutilizza presso la propria azienda nel ciclo agricolo o per la produzione di biogas. In questo caso, secondo le indicazioni della Regione, “non c’è produzione di rifiuto ma la gestione di materia nello stesso ciclo produttivo”; 2) il soggetto che effettua la manutenzione è un florovivaista non agricoltore che raccoglie i residui di lavorazione (sfalci, erba etc.) e li riutilizza presso la propria azienda solo come ammendanti. Anche in questo secondo caso non ci sarebbe produzione di rifiuto ma trattasi di “gestione di materia nello stesso ciclo produttivo”; 3) il soggetto che effettua la manutenzione porta i residui di lavorazione (sfalci d’erba etc..) ad un agricoltore terzo che li inserisce nel suo ciclo agronomico per la produzione di biogas o per la produzione di materia che usa nella sua attività agricola chiudendo il ciclo del sottoprodotto. In tale ultimo caso per la Regione “(…) non configurandosi in partenza come rifiuto, il materiale non soggiace alla gestione rifiuti (iscrizione al registro, uso del formulario) ma rientra nella gestione di un sottoprodotto ai sensi dell’art. 184 bis e il documento di trasporto è il DDS accompagnato dal contratto che identifichi il destinatario e indichi il corretto trattamento (compostaggio) e/o l’utilizzo agronomico”.
I chiarimenti del MASE
Infine, non si può non segnalare che il Ministero – con nota n. 128413 del 3 agosto 2023 – ha risposto all’interpello avanzato dalla Regione Veneto, chiarendo – tra le altre cose – due aspetti di rilievo ai presenti fini: 1) i residui derivanti dalla manutenzione del verde pubblico sono esclusi dal regime di deroga previsto all’art. 185 del D.L.vo 152/06 e sono qualificabili come rifiuti, stante la loro inclusione all’interno della definizione di rifiuto urbano di cui all’articolo 183, c. 1, lettera b-ter), con la consequenziale applicazione della disciplina e delle tutele previste dalla parte quarta del d.lgs. 152/06; 2) per quanto riguarda invece le disposizioni inerenti la qualifica di un residuo di produzione come sottoprodotto e non come rifiuto, la disciplina comunitaria, consente tale possibilità, ponendo in carico al produttore l’onere di dimostrare la sussistenza ed il rispetto contemporaneo di tutte le condizioni previste dall’articolo 184-bis. Nell’ambito di tale dimostrazione, per il caso di specie, va osservata, la necessaria derivazione del residuo ottenuto da un’attività non direttamente collegata alla sua produzione. A tale fine pare opportuno chiarire il significato del concetto di produzione e valutare se tale concetto può essere ricondotto anche alla attività manutentiva delle aree verdi pubbliche o private. La circolare n. 7619 del 30 maggio 2017 ha chiarito che con riferimento alla nozione di processo di produzione, infine, ci si riferisce ad un processo che trasforma i fattori produttivi in risultati, i quali ben possono essere rappresentati da prodotti tangibili o intangibili, di talché anche la produzione può riguardare non solo i beni, ma anche i servizi. L’attività manutentiva, pure se compresa all’interno della definizione di processo produttivo, è da intendersi comunque riferita come attività di supporto del processo produttivo stesso ovvero finalizzata e funzionale al mantenimento in efficienza del processo produttivo. Dunque, mentre il residuo derivante dalla manutenzione effettuata nell’ambito delle attività agricole (ad esempio la coltivazione del fondo e/o l’allevamento) può essere facilmente considerato come parte integrante del processo di produzione perché funzionale ed anche necessario alla buona riuscita di una coltivazione/produzione, il residuo da manutenzione del verde ornamentale, ovvero quello derivante da giardini e parchi, indipendentemente se pubblici o privati, più difficilmente sembra poter essere configurabile come parte di un processo produttivo.
Conclusioni
Quindi, ed in conclusione, anche se la normativa consente l’iscrizione ad una piattaforma, ciò non significa automaticamente che i materiali iscritti siano sottoprodotti a tutti gli effetti e rispettino per ciò solo i requisiti di cui all’art. 184-bis del D.L.vo 152/06.
Categorie
Sottoprodotti ed esclusioni dal campo dei rifiuti: paglia, sfalci, potature e ramaglie … cosa sono?
di Miriam Viviana Balossi
Partendo da una recente analisi statistica dei sottoprodotti registrati sulla piattaforma messa a disposizione dalle Camere di Commercio ai sensi dell’art. 10 del D.M. 264/16, il presente contributo si propone di fare chiarezza sulla corretta classificazione giuridica di alcune categorie merceologiche.
Come rilevato anche dall’analisi territoriale condotta da Ecocerved nel 2022, le tipologie di sottoprodotti più frequentemente registrate sono i residui vegetali derivanti da attività agricola e manutenzione del verde, la biomassa legnosa da manutenzione del verde e lavorazione del legno, nonché tutto quell’insieme costituito da paglia, sfalci, potature e ramaglie.
Esistono categorie prestabilite di sottoprodotti?
Si tratta di un dato che lascia quantomeno perplessi, per i motivi che di seguito si andranno ad illustrare.
In primo luogo si osserva che non esiste una nomenclatura standard per l’inserimento dei sottoprodotti sulla piattaforma (ovvero non ci sono delle categorie prestabilite) e, a che risulti, le CCIAA non conducono un controllo preventivo all’iscrizione.
Pertanto, si registra un proliferare dei seguenti termini:
– paglia; paglia di cereali; paglia imballata;
– cippato di potature; cippato di legno vergine ad uso non industriale; cippato di legno vergine con corteccia; cippato di legno vergine senza corteccia;
– piante e ramaglie; potature e ramaglie; sfalci, potature e rami; ramaglia da manutenzione alberature;
– biomassa legnosa; materiale vegetale legnoso; materiale vegetale legnoso vergine prodotto da interventi di manutenzione del verde e potatura di aree verdi; … …
Poi si ricorda che il D.L.vo 116/20 ha sanato la precedente erronea formulazione dell’art. 185 del D.L.vo 152/06, disponendo l’eliminazione degli “sfalci e potature derivanti da verde pubblico” dal campo di esclusione della Parte IV del D.L.vo 152/06. Pertanto, la lettera f) dell’art. 185 – nella sua formulazione ad oggi vigente -stabilisce che non rientrino nel campo di applicazione della Parte quarta del D.L.vo 152/2006 “(…) la paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, gli sfalci e le potature effettuati nell’ambito delle buone pratiche culturali, utilizzati in agricoltura, nella silvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi, mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana, nonché la posidonia spiaggiata, laddove reimmessa nel medesimo ambiente marino o riutilizzata a fini agronomici o in sostituzione di materie prime all’interno di cicli produttivi, mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana”.
In sostanza, sulla base di quanto stabilito dalla norma ad oggi vigente, appare chiaro che gli sfalci e le potature, per essere escluse dalla normativa sui rifiuti, debbano essere necessariamente soggette ad un vincolo di destinazione (utilizzo in campo agricolo, forestale o per la produzione di energia) e di origine (agricola o forestale).
Oltre a ciò, evidentemente, gli sfalci e le potature non possono avere natura pericolosa e, ciò che infine rileva, sono le corrette modalità di gestione degli sfalci e delle potature in concreto attuate: tali modalità, difatti, non devono in alcun modo danneggiare l’ambiente o la salute umana.
Ovviamente, sarà onere di chi invoca tale esclusione dall’ambito di applicazione dei rifiuti riuscire a dimostrare quanto richiesto dalla norma.
Il tema impone di rilevare un’altra modifica normativa inserita dal D.L.vo 116/20: l’art. 183, comma 1, lett. b-ter), punto 5, del D.L.vo 152/2006, nella sua formulazione vigente, prevede difatti che debbano considerarsi rifiuti urbani “i rifiuti della manutenzione del verde pubblico, come foglie, sfalci d’erba e potature di alberi, nonché i rifiuti risultanti dalla pulizia dei mercati”.
Il caso delle biomasse residuali
Sotto il profilo normativo bisogna far presente che l’Allegato I al D.M. 264/16 (Regolamento recante criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti) ha ad oggetto le biomasse residuali destinate all’impiego per la produzione di biogas e le biomasse residuali destinate all’impiego per la produzione di energia mediante combustione.
Citando detto allegato espressamente “sottoprodotti provenienti da attività agricola, di allevamento, dalla gestione del verde e da attività forestale …” nonché “paglia, pula, stocchi … potature, ramaglie e residui della manutenzione del verde pubblico e privato” sembrerebbe dare per scontato che si tratti di sottoprodotti ex lege: ma così non è; tuttavia nel tempo ciò ha generato una certa confusione tra gli operatori del settore.
Le quattro condizioni per essere sottoprodotti
Per effetto della nota n. 51657 del 14 maggio 2021, il Ministero della Transizione Ecologica ha precisato che “laddove non ricorrano le condizioni previste per l’applicazione dell’esclusione di cui all’articolo 185, ad esempio in considerazione dell’impiego dei materiali indicati in processi diversi da quelli elencati, è possibile qualificare il residuo come sottoprodotto, dimostrando la sussistenza delle condizioni previste dall’articolo 184-bis del decreto legislativo n.152/2006, vale a dire che:
a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;
b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;
c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.
Infine, quando i materiali non siano qualificabili come esclusi o come sottoprodotti ai sensi, rispettivamente, degli articoli 185 e 184-bis, citati o quando ricorrano, comunque, le condizioni previste dall’articolo 183, comma 1, lettera a) del D. Lgs. n.152 del 2006, i residui devono essere qualificati come rifiuti”.
Gli sfalci del verde possono essere destinati all’utilizzo agricolo?
Ad aggiungere confusione in argomento, ha contribuito la Regione Lombardia che, con una nota del 30 maggio 2022 indirizzata a tutti gli enti provinciali, ha fornito un’interpretazione sull’utilizzo in ambito agricolo degli sfalci del verde derivanti dall’attività del florovivaismo.
In particolare, la regione Lombardia ha precisato che i residui di lavorazione del verde privato possono essere destinati ad un utilizzo agricolo, purché vi sia adeguata tracciabilità tra il punto di produzione (cioè il punto in cui si svolge il processo produttivo primario da cui si originano i residui della produzione) e il luogo di destinazione nel quale si realizzi un reale utilizzo agronomicamente corretto e riconducibile ad una buona pratica agricola, evitando la pratica degli abbruciamenti.
In particolare, la regione identifica i seguenti casi:
1) il soggetto che effettua la manutenzione è un agricoltore-florovivaista che raccoglie i residui di lavorazione (sfalci erba etc..) e li riutilizza presso la propria azienda nel ciclo agricolo o per la produzione di biogas. In questo caso, secondo le indicazioni della Regione, “non c’è produzione di rifiuto ma la gestione di materia nello stesso ciclo produttivo”;
2) il soggetto che effettua la manutenzione è un florovivaista non agricoltore che raccoglie i residui di lavorazione (sfalci, erba etc.) e li riutilizza presso la propria azienda solo come ammendanti. Anche in questo secondo caso non ci sarebbe produzione di rifiuto ma trattasi di “gestione di materia nello stesso ciclo produttivo”;
3) il soggetto che effettua la manutenzione porta i residui di lavorazione (sfalci d’erba etc..) ad un agricoltore terzo che li inserisce nel suo ciclo agronomico per la produzione di biogas o per la produzione di materia che usa nella sua attività agricola chiudendo il ciclo del sottoprodotto. In tale ultimo caso per la Regione “(…) non configurandosi in partenza come rifiuto, il materiale non soggiace alla gestione rifiuti (iscrizione al registro, uso del formulario) ma rientra nella gestione di un sottoprodotto ai sensi dell’art. 184 bis e il documento di trasporto è il DDS accompagnato dal contratto che identifichi il destinatario e indichi il corretto trattamento (compostaggio) e/o l’utilizzo agronomico”.
I chiarimenti del MASE
Infine, non si può non segnalare che il Ministero – con nota n. 128413 del 3 agosto 2023 – ha risposto all’interpello avanzato dalla Regione Veneto, chiarendo – tra le altre cose – due aspetti di rilievo ai presenti fini:
1) i residui derivanti dalla manutenzione del verde pubblico sono esclusi dal regime di deroga previsto all’art. 185 del D.L.vo 152/06 e sono qualificabili come rifiuti, stante la loro inclusione all’interno della definizione di rifiuto urbano di cui all’articolo 183, c. 1, lettera b-ter), con la consequenziale applicazione della disciplina e delle tutele previste dalla parte quarta del d.lgs. 152/06;
2) per quanto riguarda invece le disposizioni inerenti la qualifica di un residuo di produzione come sottoprodotto e non come rifiuto, la disciplina comunitaria, consente tale possibilità, ponendo in carico al produttore l’onere di dimostrare la sussistenza ed il rispetto contemporaneo di tutte le condizioni previste dall’articolo 184-bis. Nell’ambito di tale dimostrazione, per il caso di specie, va osservata, la necessaria derivazione del residuo ottenuto da un’attività non direttamente collegata alla sua produzione. A tale fine pare opportuno chiarire il significato del concetto di produzione e valutare se tale concetto può essere ricondotto anche alla attività manutentiva delle aree verdi pubbliche o private.
La circolare n. 7619 del 30 maggio 2017 ha chiarito che con riferimento alla nozione di processo di produzione, infine, ci si riferisce ad un processo che trasforma i fattori produttivi in risultati, i quali ben possono essere rappresentati da prodotti tangibili o intangibili, di talché anche la produzione può riguardare non solo i beni, ma anche i servizi. L’attività manutentiva, pure se compresa all’interno della definizione di processo produttivo, è da intendersi comunque riferita come attività di supporto del processo produttivo stesso ovvero finalizzata e funzionale al mantenimento in efficienza del processo produttivo.
Dunque, mentre il residuo derivante dalla manutenzione effettuata nell’ambito delle attività agricole (ad esempio la coltivazione del fondo e/o l’allevamento) può essere facilmente considerato come parte integrante del processo di produzione perché funzionale ed anche necessario alla buona riuscita di una coltivazione/produzione, il residuo da manutenzione del verde ornamentale, ovvero quello derivante da giardini e parchi, indipendentemente se pubblici o privati, più difficilmente sembra poter essere configurabile come parte di un processo produttivo.
Conclusioni
Quindi, ed in conclusione, anche se la normativa consente l’iscrizione ad una piattaforma, ciò non significa automaticamente che i materiali iscritti siano sottoprodotti a tutti gli effetti e rispettino per ciò solo i requisiti di cui all’art. 184-bis del D.L.vo 152/06.
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