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Stefano Maglia

Tariffe impianti minimi (mtr-2) secondo ARERA (ma non per il TAR Lombardia).

di Maurizio Sante Minichilli

Categoria: Rifiuti

Come noto l’ARERA (Autorità di Regolamentazione per Energia, Reti ed Ambiente), in guisa del disposto ex art. 1/comma 527 L. 27.12.2017 n. 205, nell’ambito del sistema di regolamentazione del ciclo dei rifiuti, anche differenziati, urbani ed assimilati, è stata investita delle medesime attribuzioni, finalità, controllo e poteri sanzionatori in materia di:

a) emanazione direttive per la separazione contabile ed amministrativa, della gestione e valutazione dei costi delle singole operazioni;
b) definizione dei livelli di qualità dei servizi, di concerto con regioni, gestori ed associazioni, nonché vigilanza sull’erogazione dei servizi;
c) diffusione della conoscenza e trasparenza condizione di svolgimento dei servizi a beneficio dell’utenza;
d) tutela dei diritti degli utenti;
e) definizione di schemi tipo dei contratti di servizio di cui all’art. 203 D.Lgs. 03.04.2006 n. 152;
f) predisposizione ed aggiornamento del metodo tariffario per la determinazione dei corrispettivi del servizio integrato dei rifiuti e dei singoli servizi che costituiscono attività di gestione, a copertura dei costi di servizio e di investimento, compresa la remunerazione dei capitali sulla base della valutazione dei costi efficienti e del principio “chi inquina paga”;
g) fissazione dei criteri per la definizione delle tariffe di accesso agli impianti di trattamento;
h) approvazione delle tariffe definite, ai sensi della legislazione vigente, dall’ente di governo dell’ambito territoriale ottimale per il servizio integrato e dai gestori degli impianti di trattamento;
i) verifica della corretta redazione dei piani di ambito esprimendo osservazioni e rilievi;
l) formulazione di proposte relative alle attività comprese nel sistema integrato di gestione dei rifiuti da assoggettare a regime di concessione od autorizzazione in relazione alle condizioni di concorrenza dei mercati;
m) formulazione di proposte di revisione della disciplina vigente;
n) predisposizione di una relazione annuale alle camere sull’attività svolta.

E’ di tutta evidenza come l’attribuzione di suddette competenze in capo all’ARERA ha comportato, per il legislatore, la necessità di dare pieno compimento (e superamento) al metodo normalizzato per la definizione della tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani di cui al D.P.R. 27.04.1999 n. 158 (all. 1 previsto dall’art. 1), come richiamato dall’art. 1/comma 651 della L. 27.12.2013 n. 147.

Un percorso complesso ed articolato per la finanza locale che ha portato, sin dall’istituzione della TARI, al perseguimento di un duplice obiettivo ovvero:

da un lato superare il passato regime tributario locale nel quale dette entrate erano del tutto svincolate dal costo del servizio, scaricando conseguentemente le inefficienze del servizio in capo al contribuente e, non di rado, costituendo uno strumento surrettizio di fiscalità locale addizionale;
introdurre con il sistema della tariffa puntuale, un meccanismo di maggiore controllo virtuoso sulla spesa (a beneficio del contribuente “elettore”) nel servizio di gestione dei rifiuti, innalzando gli standards ambientali (dalla raccolta differenziata al recupero imballaggi, fino ai costi di smaltimento/recupero presso gli impianti minimi ovvero essenziali per la chiusura del ciclo).

Attribuitegli dette funzioni l’ARERA ha assunto una prima deliberazione (n. 443/2019/R/RIF del 31.10.2019) con la quale ha introdotto un nuovo sistema tariffario in materia di ciclo dei rifiuti, anche differenziati, urbani adottando la “definizione dei criteri di riconoscimento dei costi efficienti di esercizio e di investimento del servizio integrato dei rifiuti per il periodo 2018-2021” con il cd. Metodo Tariffario Rifiuti (cd. MTR-1), il quale così viene a superare quello normalizzato di cui al D.P.R. 158/1999.

In seguito, con la deliberazione nr. 363/2021/R/rif del 3.08.2021 l’Autorità ha approvato il metodo tariffario rifiuti (MTR-2) per il secondo periodo regolatorio 2022-2025 contenente al titolo VI (non presente nel precedente MTR-1) “Tariffe di accesso agli impianti di trattamento”.

Tale innesto è stato motivato, a dire della stessa (documento di consultazione 196/2021/R/RIF), dalla necessità di “conformarsi ai principi derivanti dalla normativa comunitaria e nazionale ed in modo da mantenere un quadro generale di regole stabile e certo, che sia ritenuto efficace e credibile dai vari attori presenti nel comparto”.

L’ARERA ha ulteriormente esplicato i motivi per cui si è reso necessario indicare un quadro regolatorio tariffario sugli impianti cd. minimi o essenziali in ragione delle diverse scelte di programmazione regionale e di un differente livello di industrializzazione del settore, convivendo nell’ambito del panorama nazionale “Regioni virtuose dotate di un parco impiantistico sviluppato in grado di chiudere il ciclo dei rifiuti urbani all’interno del proprio territorio, ricorrendo alle migliori opzioni ambientali di trattamento, con Regioni il cui quadro impiantistico è molto carente o del tutto inadeguato rispetto al fabbisogno”.

E’ di tutta evidenza l’incipit con cui ARERA intende confrontarsi ovvero quello di assumere, all’interno del quadro regolatorio, dei meccanismi tesi ad uniformare i contesti virtuosi impiantistici rispetto a quelli meno efficienti, auspicando che il Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti (PNGR) da parte del M.A.S.E., di cui all’art. 198-bis del D.Lgs. 152/2006 come introdotto dal D.Lgs. 116/2020, possa rappresentare “un’utile occasione per ridefinire il fabbisogno impiantistico nazionale (che richiederebbe comunque un meccanismo di aggiornamento periodico, al fine di accrescere l’efficacia degli strumenti di programmazione regionale) tanto da essere individuato nel PNRR come riforma necessaria ad evitare procedure di infrazione sui rifiuti ed a consentire di colmare le lacune impiantistiche e gestionali” a fronte delle evidenze segnalate dalla Commissione Europea sull’assenza di una rete integrata di impianti di raccolta e trattamento rifiuti, attribuibile all’insufficiente capacità di pianificazione delle regioni e, in generale, alla debolezza della governance”.

Nello specifico (artt. 22 e segg. MTR-2 all. delibera 363/2021) l’ARERA assegna distinti criteri di tariffazione (di accesso) agli impianti di trattamento in ragione del grado di integrazione del soggetto incaricato della gestione dei rifiuti, distinguendo tra gestore integrato (è l’operatore incaricato del servizio di gestione dei rifiuti, ovvero come il gestore di uno o più servizi a valle, tenuto a stratificare i propri impianti di trattamento di chiusura del ciclo) e non integrato ovvero quello in cui assume evidenza l’impianto considerato per il trattamento (anche intermedio), recupero e/o smaltimento. Quest’ultimo, una volta discriminata la sua valenza competitiva (o meno), in virtù della presenza di flussi minimi garantiti in ingresso (grazie alla programmazione dei PRGR o degli affidamenti stessi) e della possibilità di incidere significativamente sulla formazione (al rialzo) dei prezzi, è classificato in:

a) impianto di chiusura del ciclo “minimo” ritenuto indispensabile in quanto operante in mercato con forte rigidità strutturale ovvero forte e stabile eccesso di domanda e limitato numero di operatori (grazie anche alle restrizioni di pianificazione regionale e/o rilascio titoli all’esercizio); inoltre avente una capacità impegnata di flussi garantiti da strumenti di programmazione o da altri atti amministrativi;
b) impianto di chiusura del ciclo “aggiuntivo” ovvero quello non individuato come “minimo” e non “integrato nella gestione.

Parrebbe (ma non è scritto chiaramente) che l’individuazione dei predetti debba avvenire nell’ambito dell’attività di programmazione settoriale previste dalla normativa vigente (e quindi dal P.R.G.R. della Regione o, in via sussidiaria, dai Piani d’Ambito o dagli strumenti concessori con i quali questi affidano la gestione del servizio integrato).

La disciplina regolatoria fissa i criteri tariffari distinguendo tra:

1) gli impianti di chiusura del ciclo “integrati”, con l’applicazione di una regolazione tariffaria tout court, dettagliata all’art. 7, al Titolo III (costi operativi) e Titolo IV (costi d’uso del capitale, maggiorati di una componente ambientale (Camb) positiva o negativa che il gestore dovrà ricevere o versare alla Cassa per i Servizi Energetici ed Ambientali (CSEA). In buona sostanza detta componente sarà premiale in caso di destino finale virtuoso dei rifiuti (compostaggio, recupero anche energetico) o penalizzante in caso di smaltimento a discarica;

2) gli impianti minimi riferiti ai gestori non integrati, il cui sistema tariffario praticato è costituito da:

a) costi totali dell’impianto, applicando le regole del computo di cui all’art. 7, al Titolo III (costi operativi) ed al Titolo IV (costi d’uso del capitale) e tenendo a mente eventuali oneri associati alla morosità, alla sostenibilità finanziaria;
b) valutazioni connesse alla prossimità dei flussi in ingresso (bacini utenze, e rifiuti, in prossimità rispetto all’impianto ovvero distanti).

Inoltre l’impianto minimo andrà a fatturare al conferente le componenti perequative ambientali, diversificate in ragione della tipologia di trattamento e coerenti con la gerarchia dei rifiuti ovvero:

Crec quale incentivo a favore di chi conferisce per l’accesso ad impianti di compostaggio/digestione anaerobica;
Csmal quale maggiorazione dei corrispettivi dovuti per l’accesso in discarica o ad impianti di incenerimento senza recupero di energia.

In buona sostanza un sistema perequativo, da attivare presso CSEA, che assicuri la copertura dei costi efficienti per la gestione degli impianti con la componente ambientale riscossa dai gestori delle discariche e degli impianti di incenerimento senza recupero di energia, e versata in favore dei gestori di impianti di compostaggio/digestione anaerobica, od incenerimento con recupero di energia, a compensazione della differenza tra le entrate ed i costi ammessi a riconoscimento tariffario.

La disciplina contenuta nella delibera ARERA 363/2021 comporta, in buona sostanza, che gli impianti individuati come “minimi” vengano sottratto all’ambito concorrenziale del trattamento e smaltimento dei rifiuti, per essere di contro assoggettati alla pianificazione regionale dei flussi di rifiuti conferiti ed a una conseguente fissazione delle tariffe di accesso (cfr. segnalazione dell’A.G.CO.M. 22.12.2022).

L’obiettivo perseguito dall’Autorità con la fattispecie dell’impianto minimo (in precedenza non contemplato), dovrebbe essere quello di riequilibrare una situazione di deficit impiantistico attraverso il (sedicente) temporaneo utilizzo di impianti già esistenti sul territorio, adottando una regolazione dei flussi (e delle conseguenti tariffe) rigida e predeterminata in un contesto di mercato in cui a fronte di un eccesso di domanda è presente un limitato numero di operatori.

Una scelta in linea di principio a beneficio del sistema tariffario, e quindi degli utenti finali, alla cui base sconta tuttavia un impronta dirigistica ed avulsa dal contesto della variegata, multiforme e complessa realtà del panorama impiantistico nazionale, le cui strozzature di mercato e dei prezzi di conferimento (sopratutto per le regioni non virtuose), non possono risolversi d’imperio con l’applicazione tout court di un regime amministrato dei prezzi, bensì con un maggiore impulso alla realizzazione di nuovi impianti di prossimità creando le condizioni affinché l’abbassamento delle tariffe sia il prodotto di un mercato maggiormente competitivo e non per effetto di prezzi amministrati (questo forse avrebbe dovuto dire l’A.G.CO.M.).

Se ne è accordo il TAR Lombardia il quale con nr. 3 sentenze rispettivamente del 24.02.2023 n. 486, del 27.02.2023 n. 501 e 06.03.2023 n. 557 ha disposto l’annullamento parziale della MTR-2 nella parte relativa alla disciplina tariffaria degli impianti minimi, censurando l’illegittimità amministrativa della delibera assunta in violazione del disposto ex art. 1/comma 527 della L. 205/2017.

Per i Giudici Amministrativi Lombardi ARERA ha debordato l’alveo della norma rispetto al dato letterale di cui alle lett.re f) e g) del comma 527, visto che la sua funzione regolatoria avrebbe dovuto riguardare, unicamente l’ambito tariffario di:”predisposizione ed aggiornamento del metodo tariffario”, e “fissazione dei criteri per la definizione delle tariffe”. All’Autorità competerebbero le funzioni di proposta, ai sensi delle lett.re l) ed m), anche per la revisione della disciplina vigente ma, per l’appunto, si tratta di mera attività propositiva, non regolatoria.

Il TAR adito ha ritenuto che la disciplina dettata in tema di individuazione di “impianti minimi”, fuoriesca dal perimetro assegnatogli dalla norma ovvero quello di individuare il metodo tariffario applicabile e non discernere, in via sostanziale, coloro ai quali detto sistema debba essere applicato.

La deliberazione impugnata, non solo non ha il supporto normativo della disciplina di riferimento (art. 1/comma 527 L. 205/2017), ma contrasta con il riparto delle competenze tra Stato e Regioni in materia di rifiuti ed in generale di ambiente (cfr. artt. 195 e 196 D.Lgs. 152/2006) all’interno della cornice istituzionale.

In primo luogo preme rammentare che, secondo quanto all’art. 117/II° comma lett. s) Cost., lo Stato ha competenza legislativa esclusiva in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. Nello specifico:” La disciplina dei rifiuti va ricondotta alla “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema…., materia naturalmente trasversale, idonea perciò ad incidere sulle competenze regionali (Corte Cost. sent. n. 227/2020, 289/2019, n. 215/2018, n. 151/2018, 54/2012, 380/2007 e 259/2004). Ed invero le Regioni possono esercitare competenze legislative proprie per la cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali, purché l’incidenza nella materia di competenza esclusiva statale sia solo in termini di maggiore e più rigorosa tutela dell’ambiente (cfr. Cort. Cost. Sent. n. 191/2022 e n. 189/2021).”

Le esigenze impiantistiche territoriali rientrano nell’ambito programmatorio del legislatore statale secondo la sua visione prospettica nazionale ed unitaria e con le finalità di riequilibrio socio-economico fra le varie aree del territorio.

In tal senso possiamo comprendere la riserva statuale di cui all’art. 195 D.Lgs. 152/2006 lett.ra a) – funzioni di indirizzo e coordinamento –, lett.ra d) – individuazione dei flussi omogenei di produzione -, e lett.ra f) – individuazione, nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle regioni, degli impianti di recupero e di smaltimento di preminente interesse nazionale.

Così come l’art. 196 TUA attribuisce alle Regioni, tra l’altro, la predisposizione, l’adozione e l’aggiornamento, sentiti le provincie, i comuni e le autorità d’ambito, dei P.G.R.G..

In ultimo, in senso rafforzativo alla prerogativa programmatoria statuale, è intervenuto l’art. 2/comma 1 D.Lgs. 116/2020 (in attuazione della Direttiva UE 2018/851) il quale ha introdotto l’art. 198-bis TUA prevedendo l’adozione del Programma Nazionale per la gestione dei Rifiuti (PNGR), che fissa i macro-obiettivi, definisce i criteri e le linee strategiche cui le Regioni e le Provincie autonome si attengono per l’elaborazione dei P.R.G.R. di cui all’art. 199, contenendo, tra l’altro:”

b) la ricognizione impiantistica nazionale per tipologia di impianti e per regione;
d) l’indicazione dei criteri generali per l’individuazione di macroaree che consentano la razionalizzazione degli impianti dal punto di vista localizzativo, ambientale ed economico, sulla base del principio di prossimità, anche relativamente agli impianti di recupero, in coordinamento con quanto previsto all’articolo 195/comma 1 lett.ra f)”.

In sintesi, secondo il TAR Lombardo, la delibera ARERA confligge con il quadro normativo di riferimento e non si concilia con le funzioni attribuitegli dall’art. 1/comma 527 L. 205/2017 poiché:

– ha occupato l’ambito di competenza che il legislatore statale ha assegnato al Ministero dell’Ambiente, individuato ex art. 198-bis D.Lgs. 152/2006 in relazione ai contenuti di cui al Programma Nazionale per la Gestione dei Rifiuti;

– ha assegnato, in via surrettizia, alle Regione poteri che il legislatore statale non ha delegato loro, trasferendo quanto dovrebbe essere stabilito in sede nazionale in ambito locale in piena violazione di quanto all’art. 195 TUA, rendendo ancor più problematica ed inattuabile un riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale (sopratutto per quelle regioni non autosufficienti);

– ha stravolto la logica tipica degli atti programmatori nei contesti multilivello, dove il Programma nazionale fissa macrobiettivi, definisce criteri e linee guida cui Regioni e Provincie si vanno ad attenersi nell’elaborazione dei loro P.R.G.R..

La Regione, con l’indicazione del Gestore Integrato, degli impianti minimi cd. essenziali e di quelli aggiuntivi, è diventato, grazie alla delibazione ARERA, il soggetto programmatorio di prima istanza.

Il tutto in evidente e palese contrasto con le competenze individuata nel P.N.G.R., la cui finalità ex art. 198-bis TUA si colloca all’interno del PNRR,il quale alla misura M2C1 Riforma 1.2, prevede:”l’adozione di un ampio programma nazionale per la gestione dei rifiuti volto a raggiungere livelli molto elevati di preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio ed il recupero dei rifiuti, che adatti la rete di impianti necessari per la gestione integrata dei rifiuti , riduca al minimo, come opzione ultima e residua, lo smaltimento finale, istituisca sistemi di monitoraggio, eviti l’avvio di nuove procedure di infrazione nei confronti dell’Italia, affronti lo scarso tasso di raccolta dei rifiuti, disincentivi il conferimento in discarica e garantisca la complementarità con i programmi regionali in materia di rifiuti, consentendo il conseguimento degli obiettivi della normativa UE e nazionale in materia di rifiuti e combattendo gli scarichi illegali di rifiuti e l’incenerimento all’aria aperta”.

Di contro ARERA ha invocato, a sua difesa, la teoria dei poteri impliciti al fine di giustificare il suo intervento nella disciplina. La fattispecie dei poteri impliciti, elaborata dalla giurisprudenza amministrativa, indica quei poteri che non sono espressamente contemplati dalla legge ma che si desumono, all’esito di un’interpretazione sistematica e strumentale della disciplina in materia, in quanto strumentale all’esercizio degli stessi poteri. Tipico esempio quello delle Autorità alle quali il legislatore ha attribuito dei compiti regolatori con valenza tecnica (e sanzionatori) che difficilmente sarebbero efficaci in assenza di un’esegesi applicativa della norma, tenendo conto delle dinamiche di mercato accellerate in vari settori, rispetto alla staticità del quadro normativo di riferimento (cfr. Cons. Stato sez. VI 14.12.2020 n. 7972).

Tuttavia, per i Giudici Amministrativi, il potere di stabilire quali siano gli impianti minimi essenziali e quelli aggiuntivi vs. i quali far valere il sistema tariffario di cui al MTR-2 , rimane (o dovrebbe rimanere) saldamente in capo allo Stato, attraverso lo strumento del PNGR, non valendo il principio dei poteri impliciti il quale, proprio in quanto strumento derogatorio al principio di legalità, va applicato in modo stringente e scrupolosamente ossequioso del dettato costituzionale.

ARERA, com’era prevedibile, ha promosso appello (deliberazione 7.03.2023 n. 91/2023/C/RIF) avverso dette sentenze TAR Lombardia, ragion per cui, sulla questione, attendiamo la delibazione finale (e le relative considerazioni) dei Giudici di Palazzo Spada.

Tuttavia non possiamo esimerci da formulare alcune sommesse considerazioni sul tema:

a) l’impronta regolatoria sul sistema tariffario non a valle (in capo al gestore integrato), ma risalendo a monte agli impianti minimi essenziali, financo a quelli intermedi, seppur con tutte le migliori intenzioni, costituisce un metodo dirigistico e calmierante, rispetto ad un contesto il quale dovrebbe operare secondo regole di concorrenza e mercato;
b) seppur vero che possono esservi contesti nei quali la domanda di conferimenti è superiore alla capacità di accettazione degli impianti, con conseguente lievitazione dei prezzi, la soluzione dovrebbe essere quella di aumentare la dotazione impiantistica territoriale e non di diminuire per legge le tariffe.

Tanto più in capo ad operatori privati i quali (rispetto ai gestori pubblici) scontano il gap di dover tradurre in tariffe gli ammortamenti da investimenti in c/ capitale, presidi ambientali e di sicurezza. A questo proposito sarebbe utile comprendere se le risorse nel PNRR per l’ammodernamento impiantistico in capo ai beneficiari sconteranno l’ammortamento oppure, in caso negativo, andranno a costituire l’ennesimo disvalore competitivo tra chi gli investimenti li ha eseguiti con proprie risorse e quindi con obiettivi di efficienza e redditività, rispetto a coloro che fruiranno delle provviste in c/capitale a fondo perduto;

c) la teoria dei poteri impliciti, alla quale si richiama ARERA presuppone un sottinteso non esplicitato chiaramente (che non mi sento di dissentire), ovvero di voler sopperire alla incompiutezza P.N.G.R. (come ho già scritto nel mio articolo del 16.05.2022), rispetto ai compiti assegnatigli dall’art. 198-bis TUA, e sopratutto all’inconcludenza di buona parte delle Regioni non virtuose le quali sono ben lungi dal mettere in campo strumenti di pianificazione impiantistica nel verso dell’autosufficienza e prossimità.

Attendiamo un dirimente pronunciamento del Consiglio di Stato ma, sopratutto, una necessaria rivisitazione dei meccanismi di concertazione tra Ministero e Regioni in tema di pianificazione impiantistica nazionale e regionale, l’unica in grado di consentire al mercato (e non al legislatore) di rendere efficienti e competitivi i costi di conferimento e de relato le tariffe locali.

 

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