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Tassa Rifiuti. In attesa del nuovo decreto è possibile ottenere riduzioni per le attività economiche
di Paolo Pipere
Categoria: Rifiuti
Il contenzioso tra Comuni e imprese per l’applicazione della tassa rifiuti non accenna a diminuire. Il consistente ritardo nella definizione dei nuovi criteri qualitativi e quantitativi per l’assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani aggiunge problemi alle difficoltà esistenti, ma vi sono alcuni principi fondamentali che non possono essere dimenticati.
Le attività economiche, le cosiddette utenze non domestiche, sono tenute a pagare la tassa rifiuti (TARI) esclusivamente sulle superfici aziendali che possono produrre rifiuti speciali che siano stati assimilati agli urbani. In altri termini, solo alcune tipologie di rifiuti prodotti da imprese, enti e liberi professionisti (“rifiuti speciali”) se non sono classificati come pericolosi e se sono elencati in una delibera del Comitato interministeriale sui rifiuti che risale al 27 luglio 1984 (che individua i rifiuti speciali “assimilabili”) possono essere assimilati ai rifiuti urbani e quindi affidati al servizio pubblico di raccolta. Ogni singolo Comune ha il potere di scegliere, con proprio regolamento, quali rifiuti speciali assimilare e quale limite quantitativo applicare. La legge istitutiva della tassa (legge 147/2013), impropriamente, specifica che: «Il presupposto della TARI è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani». Come anticipato, però, le imprese non producono rifiuti urbani, ma semmai rifiuti assimilati agli urbani.
Le superfici tassabili
Nel caso delle attività industriali o artigianali è possibile richiedere al Comune la rideterminazione delle aree aziendali sottoposte a tassazione, escludendo non solo i locali nei quali si svolgono le lavorazioni ma anche i magazzini e una parte delle aree scoperte. Infatti, il comma 649 della legge citata dispone che: «Nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente». La norma non lascia dubbi in proposito, affermando con decisione che per queste aree vige il “divieto di assimilazione”.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con Risoluzione n. 2 del 2014, ha affermato alcuni principi molto importanti sia per individuare le superfici aziendali escluse dall’applicazione della tassa rifiuti, sia per determinare le riduzioni dell’imposta per le imprese che avviano autonomamente al recupero i rifiuti speciali assimilati agli urbani.
Il Ministero afferma che devono essere considerate: “intassabili le aree sulle quali si svolgono le lavorazioni industriali e artigianali”. Nella medesima risoluzione si precisa anche che: “I magazzini intermedi di produzione e quelli adibiti allo stoccaggio dei prodotti finiti devono essere considerati intassabili in quanto produttivi di rifiuti speciali, anche a prescindere dall’intervento regolamentare del comune […]” e che “Allo stesso modo, le aree scoperte – in quanto asservite al ciclo produttivo e che restano produttive, in via continuativa e prevalente di rifiuti speciali non assimilabili – devono essere parimenti escluse dall’ambito applicativo della TARI”.
Queste innovative interpretazioni mutano significativamente il quadro di riferimento entro il quale le imprese possono far valere i loro diritti all’esclusione dalla superficie imponibile di porzioni rilevanti degli insediamenti produttivi.
La riduzione della tassa per i rifiuti avviati al riciclo
Analogamente, come disposto dal comma 649 della legge istitutiva della TARI, è possibile ottenere la riduzione della tassa per i rifiuti assimilati agli urbani che le imprese scelgono di avviare autonomamente al riciclo (non allo smaltimento) servendosi degli operatori privati autorizzati. Più precisamente: “il comune disciplina con proprio regolamento riduzioni della quota variabile del tributo proporzionali alle quantità di rifiuti speciali assimilati che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati”.
Le nuove norme e i documenti interpretativi ministeriali consentono quindi di giungere, attraverso un confronto con i Comuni, a importanti risparmi per le imprese.
Purtroppo una giurisprudenza non uniformemente orientata e le interpretazioni della norma elaborate da alcuni Comuni ostacolano la corretta applicazione della tassa rifiuti alle attività economiche, con il rischio, richiamato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze nella risoluzione citata, di “dare origine ad una ingiustificata duplicazione dei costi, poiché i soggetti produttori di rifiuti speciali, oltre a far fronte al prelievo comunale, dovrebbero anche sostenere il costo per lo smaltimento in proprio degli stessi rifiuti”.
È indispensabile, quindi, che il percorso di definizione del decreto ministeriale sui criteri di assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani, ormai interrotto da alcuni mesi, si concluda in tempi brevi, assicurando alle imprese quell’applicazione della tassa equa e omogenea in ogni area del Paese che si attende da oltre vent’anni.
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Tassa Rifiuti. In attesa del nuovo decreto è possibile ottenere riduzioni per le attività economiche
di Paolo Pipere
Il contenzioso tra Comuni e imprese per l’applicazione della tassa rifiuti non accenna a diminuire. Il consistente ritardo nella definizione dei nuovi criteri qualitativi e quantitativi per l’assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani aggiunge problemi alle difficoltà esistenti, ma vi sono alcuni principi fondamentali che non possono essere dimenticati.
Le attività economiche, le cosiddette utenze non domestiche, sono tenute a pagare la tassa rifiuti (TARI) esclusivamente sulle superfici aziendali che possono produrre rifiuti speciali che siano stati assimilati agli urbani. In altri termini, solo alcune tipologie di rifiuti prodotti da imprese, enti e liberi professionisti (“rifiuti speciali”) se non sono classificati come pericolosi e se sono elencati in una delibera del Comitato interministeriale sui rifiuti che risale al 27 luglio 1984 (che individua i rifiuti speciali “assimilabili”) possono essere assimilati ai rifiuti urbani e quindi affidati al servizio pubblico di raccolta. Ogni singolo Comune ha il potere di scegliere, con proprio regolamento, quali rifiuti speciali assimilare e quale limite quantitativo applicare. La legge istitutiva della tassa (legge 147/2013), impropriamente, specifica che: «Il presupposto della TARI è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani». Come anticipato, però, le imprese non producono rifiuti urbani, ma semmai rifiuti assimilati agli urbani.
Le superfici tassabili
Nel caso delle attività industriali o artigianali è possibile richiedere al Comune la rideterminazione delle aree aziendali sottoposte a tassazione, escludendo non solo i locali nei quali si svolgono le lavorazioni ma anche i magazzini e una parte delle aree scoperte. Infatti, il comma 649 della legge citata dispone che: «Nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente». La norma non lascia dubbi in proposito, affermando con decisione che per queste aree vige il “divieto di assimilazione”.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con Risoluzione n. 2 del 2014, ha affermato alcuni principi molto importanti sia per individuare le superfici aziendali escluse dall’applicazione della tassa rifiuti, sia per determinare le riduzioni dell’imposta per le imprese che avviano autonomamente al recupero i rifiuti speciali assimilati agli urbani.
Il Ministero afferma che devono essere considerate: “intassabili le aree sulle quali si svolgono le lavorazioni industriali e artigianali”. Nella medesima risoluzione si precisa anche che: “I magazzini intermedi di produzione e quelli adibiti allo stoccaggio dei prodotti finiti devono essere considerati intassabili in quanto produttivi di rifiuti speciali, anche a prescindere dall’intervento regolamentare del comune […]” e che “Allo stesso modo, le aree scoperte – in quanto asservite al ciclo produttivo e che restano produttive, in via continuativa e prevalente di rifiuti speciali non assimilabili – devono essere parimenti escluse dall’ambito applicativo della TARI”.
Queste innovative interpretazioni mutano significativamente il quadro di riferimento entro il quale le imprese possono far valere i loro diritti all’esclusione dalla superficie imponibile di porzioni rilevanti degli insediamenti produttivi.
La riduzione della tassa per i rifiuti avviati al riciclo
Analogamente, come disposto dal comma 649 della legge istitutiva della TARI, è possibile ottenere la riduzione della tassa per i rifiuti assimilati agli urbani che le imprese scelgono di avviare autonomamente al riciclo (non allo smaltimento) servendosi degli operatori privati autorizzati. Più precisamente: “il comune disciplina con proprio regolamento riduzioni della quota variabile del tributo proporzionali alle quantità di rifiuti speciali assimilati che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati”.
Le nuove norme e i documenti interpretativi ministeriali consentono quindi di giungere, attraverso un confronto con i Comuni, a importanti risparmi per le imprese.
Purtroppo una giurisprudenza non uniformemente orientata e le interpretazioni della norma elaborate da alcuni Comuni ostacolano la corretta applicazione della tassa rifiuti alle attività economiche, con il rischio, richiamato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze nella risoluzione citata, di “dare origine ad una ingiustificata duplicazione dei costi, poiché i soggetti produttori di rifiuti speciali, oltre a far fronte al prelievo comunale, dovrebbero anche sostenere il costo per lo smaltimento in proprio degli stessi rifiuti”.
È indispensabile, quindi, che il percorso di definizione del decreto ministeriale sui criteri di assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani, ormai interrotto da alcuni mesi, si concluda in tempi brevi, assicurando alle imprese quell’applicazione della tassa equa e omogenea in ogni area del Paese che si attende da oltre vent’anni.
Piacenza, 30.07.2018
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