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DPR 120/2017 sulle terre e rocce da scavo: linee guida regionali a confronto
di Linda Maestri
Categoria: Rifiuti
Dall’entrata in vigore del nuovo Regolamento recante la disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo (22 agosto 2017), contenuta nel DPR 13 giugno 2017, n. 120, alcune Regioni (Emilia Romagna, Friuli, Liguria, Piemonte, Toscana, Veneto, Provincia Autonoma di trento) hanno predisposto una serie di documenti informativi e operativi utili a fornire una guida ai produttori interessati dalla nuova normativa. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di una prima lettura in chiave pratica e dalla portata generale, tesa, sostanzialmente, ad inquadrare le procedure nei relativi termini e nei rispettivi campi di applicazione (limiti quantitativi dei cantieri e rispettive modalità di gestione).
Si sono distinte, per ora, le regioni Veneto e Piemonte, diffondendo, tramite l’Arpa, una serie dettagliata di FAQ, che arrivano a toccare specifiche questioni, dalla valenza sempre pratica. Anche la Toscana non ha mancato di diffondere una prima lettura applicativa, corredandola, però, di una serie di FAQ relative alle pratiche già in corso al 22 agosto 2017. Successivamente, anche il Friuli e la Provincia Autonoma di Trento si sono distinte per una serie di FAQ diffuse tramite le rispettive ARPA. Di seguito si riportano i tratti essenziali di queste linee guida.
Ambito oggettivo di applicazione
Tutte le Regioni sono concordi nell’affermare che la nuova disciplina sulle terre e rocce da scavo si applica a: – Terre e rocce da scavo derivanti da opere sottoposte a VIA o AIA con produzione maggiore di 6000m3 (cd. cantieri di grandi dimensioni): In questo caso è prevista una procedura simile a quella prevista dal DM 161/2012 (abrogato dal 22 agosto 2017), consistente nella presentazione, almeno 90 giorni prima dell’inizio dei lavori, di un Piano di utilizzo, che deve essere inviato per via telematica all’Autorità competente ed all’Arpa territorialmente competente, con la novità che il Piano non richiede più esplicita autorizzazione. Il Piano include la Dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà con la quale il proponente attesta la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 4, compresi gli aspetti legati alla normale pratica industriale di cui all’Allegato 3. Si tenga presente che per le opere sottoposte a VIA o AIA la trasmissione deve avvenire prima della chiusura del procedimento.
L’autorità competente può, comunque, richiedere integrazioni entro 30 giorni dalla presentazione del Piano, avvalendosi dell’Arpa, ma una volta decorsi 90 giorni dalla presentazione, o dall’eventuale integrazione, il proponente può avviare la gestione. Quest’ultimo può, in ogni caso, decidere autonomamente di richiedere l’intervento dell’Arpa in fase di predisposizione del Piano, affinché esegua verifiche istruttorie tecniche e amministrative finalizzate alla validazione preliminare del Piano di Utilizzo. In tal caso la tempistica di attesa per l’avvio dei lavori si riduce a 45 giorni. Inoltre, una volta presentato il Piano, il proponente può chiedere all’Arpa lo svolgimento di controlli di carattere preventivo.
– Terre e rocce da scavo derivanti da cantieri i cui progetti di opere prevedono quantità di materiale escavato inferiore a 6.000 m3, indipendentemente dal fatto che detti progetti siano o meno assoggettati a VIA o AIA (cd. cantieri di piccole dimensioni), e da cantieri di grandi dimensioni non sottoposti a VIA o AIA: La procedura è semplificata, simile a quella dell’ex art. 41-bis, e consiste nella presentazione di una Dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, che deve essere trasmessa al Comune del luogo di produzione e all’Arpa territorialmente competente almeno 15 giorni prima dell’inizio dei lavori di scavo.
Modulistica
Tutte le Regioni riportano quanto previsto dal nuovo Regolamento: In primo luogo, si segnala che il nuovo Regolamento prevede che sia il proponente/produttore ad attestare, mediante la Dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, il rispetto dei requisiti necessari, ai sensi dell’art. 4, affinché i materiali da scavo siano qualificati come sottoprodotti e non come rifiuti. Tale dichiarazione deve essere resa servendosi dell’apposito modello di cui all’Allegato 6 del DPR 120/2017. Quanto alle attività di scavo, e di riutilizzo, in quanto attività edilizie, il procedimento dovrà essere coordinato con l’iter edilizio.
Deve essere attestato, obbligatoriamente, anche l’avvenuto utilizzo, mediante l’apposita Dichiarazione di Avvenuto Utilizzo (DAU, di cui all’Allegato 8) all’autorità competente, all’Arpa competente per il sito di destinazione, al Comune del sito di produzione e a quello del sito di destinazione, entro il termine di validità della dichiarazione (Piano o Dichiarazione di Utilizzo, a seconda del caso). L’omessa dichiarazione entro il termine comporta la cessazione, con effetto immediato, della qualifica delle terre e rocce come sottoprodotto.
Anche per il trasporto fuori sito è prevista apposita documentazione, predisposta all’Allegato 7 del DPR. Tutto ciò che il produttore indica nella pertinente modulistica deve contenere i dati obbligatori richiesti dal nuovo Regolamento, pena l’invalidità della dichiarazione, a cui consegue l’applicazione della disciplina dei rifiuti. E’ fondamentale sapere che è il produttore che si assume la responsabilità anche penale di rispettare i limiti qualitativi previsti dalla norma, per cui è opportuno che disponga di valide informazioni tecniche a supporto dei dati inseriti nella dichiarazione, da esibire in caso di eventuali controlli (che, comunque, l’Arpa è tenuta ad effettuare, secondo le modalità previste dal Regolamento stesso).
Gestione delle terre e rocce da scavo qualificate come sottoprodotti ai sensi dell’art. 184-bis del D.L.vo n. 152/2006
Per essere qualificate come sottoprodotti, le terre e rocce da scavo devono rispondere ai criteri stabiliti dall’art. 4 del nuovo Regolamento: tali requisiti sono attestati e dimostrati previa esecuzione di caratterizzazione chimico-fisica con le modalità definite dall’Allegato 4, pertanto tramite analisi di laboratorio.
Gestione delle terre e rocce da scavo nei siti di bonifica
L’art. 12 del nuovo Regolamento (Titolo II) stabilisce che l’utilizzo come sottoprodotto delle terre e rocce da scavo generate in un sito oggetto di bonifica è permesso quando il sito rientri tra i cantieri di grandi dimensioni, e il cui progetto sia soggetto alle procedure di VIA. Fermi restando gli esiti della caratterizzazione del sito, effettuata ai sensi dell’art. 242 del D.Lvo n. 152/2006, l’utilizzo è consentito anche in un sito diverso solo previa validazione, ad opera dell’Arpa ed entro 60 giorni dalla richiesta, dei requisiti della loro qualità ambientale (di cui all’art. 4), che siano riferiti sia al sito di produzione sia a quello di destinazione.
Diversamente, gli artt. 25 e 26 (Titolo V) regolano la gestione delle terre e rocce generate dall’attività di scavo realizzata nei siti oggetto di bonifica già caratterizzati. In tal caso, il loro utilizzo è sempre consentito all’interno del sito di bonifica, a condizione che sia garantita la conformità delle CSC per la specifica destinazione d’uso o rispetto ai valori di fondo naturale. Tale fattispecie riguarda i siti di bonifica che non rientrano in quelli di cui al Titolo II, pertanto, le relative procedure si applicano ai siti di piccole dimensioni e a quelli di grandi dimensioni non soggetti alle procedure di VIA.
Utilizzo nel sito di produzione delle terre e rocce da scavo escluse dalla disciplina dei rifiuti
Il suolo non contaminato utilizzato nello stesso sito dal quale è stato escavato non rientra, ai sensi dell’art. 185, comma 1, lett. c) del D.L.vo n. 152/2006, nella disciplina dei rifiuti quando “sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato”.
A riguardo, il DPR 120/2017 prevede che, qualora la produzione di terre e rocce avvenga nell’ambito della realizzazione di opere sottoposte a VIA, la sussistenza di tali requisiti dovrà essere valutata in fase di stesura dello Studio di Impatto Ambientale, tramite la presentazione di un “Piano preliminare di utilizzo in sito delle terre e rocce da scavo escluse dalla disciplina dei rifiuti”.
Disciplina del deposito temporaneo delle terre e rocce da scavo qualificate come rifiuti
Il nuovo Regolamento, all’art. 23, modifica la disciplina del deposito temporaneo delle terre e rocce da scavo qualificate come rifiuti. Le modifiche riguardano le terre e rocce da scavo identificate con i codici CER 170504 o 170503*, ed introducono, appunto, condizioni di deposito diverse da quelle previste dall’art. 183, comma 1, lett. bb) del D. L.vo n. 152/2006, in particolare prevedendo maggiori volumi di rifiuti tenuti in deposito.
Il nuovo Regolamento stabilisce, infatti, che le operazioni di recupero o smaltimento devono avvenire, alternativamente:
a) Con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito
b) Quando il quantitativo raggiunge complessivamente i 4.000 metri cubi, di cui non oltre 800 metri cubi di rifiuti pericolosi.
In ogni caso il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno.
Verifica di non contaminazione
Nonostante nei documenti informativi diffusi dalle Regioni non sia presente un esplicito riferimento alla natura della verifica di non contaminazione, di cui all’art. 24 del DPR, risultano frequenti i riferimenti all’autocertificazione. Basti, a tal proposito, pensare alle risposte al quesito “La Dichiarazione richiede un’approvazione?”, in merito alle quali sia Arpa Veneto, sia Arpa Piemonte, statuiscono espressamente che la dichiarazione non costituisce una richiesta di autorizzazione, bensì una attestazione del rispetto delle condizioni previste dalla norma sotto la responsabilità del dichiarante, sicché non richiede alcuna approvazione.
L’Arpa Piemonte precisa, già nell’illustrare le generalità e le principali novità del DPR 120/2017, che “la nuova norma prevede che il proponente o il produttore attesti il rispetto dei requisiti di cui all’articolo 4 mediante una “autocertificazione” (Dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ai sensi del DPR 445/2000) da presentare all’Arpa territorialmente competente e al Comune del luogo di produzione (all’autorità competente nel caso di “cantieri di grandi dimensioni”) utilizzando il modello di cui all’Allegato 6”. In seguito, sempre nell’ambito delle FAQ pubblicate sul sito, precisa che non è necessaria l’approvazione esplicita del Piano di Utilizzo, in quanto l’Autorità competente può chiedere chiarimenti o integrazioni entro 30 giorni, eventualmente avvalendosi di Arpa: dopo 90 giorni dalla presentazione del P.U. o delle integrazioni, si può avviare la gestione delle terre e rocce da scavo.
Allo stesso modo, anche l’Arpa Toscana ha scritto, espressamente, che “il Piano di Utilizzo deve essere redatto in conformità alle specifiche dell’allegato 5 e viene trasmesso all’Autorità competente (che autorizza l’opera) e ad Arpa e contiene autocertificazione che attesta i requisiti di sottoprodotto”. Così anche il Friuli Venezia Giulia, che sintetizza quanto sopra rispondendo con un categorico “No” alla FAQ recante “La dichiarazione richiede un’approvazione?”, specificando che “non si tratta di una richiesta di autorizzazione, ma di un’attestazione del rispetto delle condizioni previste dalla norma sotto la responsabilità del dichiarante”.
Infine, Arpa Piemonte segnala che il produttore “si assume la responsabilità anche penale di rispettare i limiti qualitativi previsti dalla norma, per cui è opportuno che disponga di valide informazioni tecniche a supporto dei dati inseriti nella dichiarazione, da esibire in fase di eventuali controlli. Evidentemente una certificazione analitica che attesti la qualità del materiale è un valido supporto a quanto dichiarato.” Allo stesso modo, successivamente, in risposta al quesito “Cosa deve esibire all’Arpa il soggetto eventualmente controllato?” include nella documentazione anche quella che “supporti la veridicità di quanto dichiarato, tenendo presente che le dichiarazioni non veritiere sono suscettibili, ai sensi dell’art. 76 del DPR 445/2000, di sanzioni penali.” Di conseguenza, si può dedurre che il produttore, assumendosi la responsabilità di quanto inserito nel modulo predisposto per la Dichiarazione, produca una vera e propria autocertificazione.
FAQ
Quanto, invece, a questioni più prettamente tecniche ed operative, è utile il confronto tra i documenti FAQ pubblicati da Veneto, Piemonte, Friuli Venezia Giulia e dalla Provincia Autonoma di Trento, sia con riferimento alle risposte che le rispettive Arpa hanno dato ai medesimi quesiti, sia, e soprattutto, con riferimento ai temi che sono stati affrontati soltanto da una di esse.
Come si fa a dimostrare che non è contaminato il materiale scavato che deve essere interamente riutilizzato in cantiere? A chi deve essere comunicato che il materiale non è contaminato?
Veneto: L’art. 185 comma 1 lett. c) prevede appunto che sia escluso dal campo di applicazione della normativa sui rifiuti il terreno non contaminato riutilizzato allo stato naturale nello stesso sito di produzione, disposizione confermata dall’art. 24 del DPR 120/2017. La non contaminazione va verificata ai sensi dell’Allegato 4 del DPR 120/2017 mediante verifica del rispetto dei limiti di cui alla tabella 1 All. 5 Tit. V p. IV del TUA, e quindi con un prelievo ed analisi dei materiali. La dichiarazione di non contaminazione (autocertificazione) deve essere inviata al comune.
La Provincia di Trento, a sua volta, tratta del tema in via indiretta, rispondendo al seguente quesito:
É obbligatorio caratterizzare il materiale come da Allegato 4 per poterlo riutilizzare in sito (art. 24 )? Si. La norma prevede che la non contaminazione venga verificata ai sensi dell’allegato 4. Per quanto riguarda il set analitico minimo, si rimanda alla relativa FAQ. Nel caso di opere sottoposte a VIA o AIA la norma prevede la presentazione di un Piano preliminare di utilizzo in sito.
Quali sono i materiali da scavo interessati dal nuovo regolamento?
Le risposte coincidono: L’art. 2, comma 1, lettera c) riporta la seguente definizione: c) «terre e rocce da scavo»: il suolo escavato derivante da attività finalizzate alla realizzazione di un’opera, tra le quali: scavi in genere (sbancamento, fondazioni, trincee); perforazione, trivellazione, palificazione, consolidamento; opere infrastrutturali (gallerie, strade); rimozione e livellamento di opere in terra. Le terre e rocce da scavo possono contenere anche i seguenti materiali: calcestruzzo, bentonite, polivinilcloruro (PVC), vetroresina, miscele cementizie e additivi per scavo meccanizzato, purché le terre e rocce contenenti tali materiali non presentino concentrazioni di inquinanti superiori ai limiti di cui alle colonne A e B, Tabella 1, Allegato 5, al Titolo V, della Parte IV, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, per la specifica destinazione d’uso.
Cosa si intende per normali pratiche industriali?
Veneto: citazione dell’allegato 3 del DPR 120/2017, “in particolare:
la selezione granulometrica delle terre e rocce da scavo, con l’eventuale eliminazione degli elementi/materiali antropici;
la riduzione volumetrica mediante macinazione;
la stesa al suolo per consentire l’asciugatura e la maturazione delle terre e rocce da scavo al fine di conferire alle stesse migliori caratteristiche di movimentazione, l’umidità ottimale e favorire l’eventuale biodegradazione naturale degli additivi utilizzati per consentire le operazioni di scavo”.
Piemonte: Rimanda, innanzitutto, alle pratiche definite al “punto o) del comma 1 dell’art. 2 del DPR come “finalizzate al miglioramento delle caratteristiche merceologiche per renderne l’utilizzo maggiormente produttivo ed efficace.” Mentre, con riferimento alle operazioni più comunemente effettuate, di cui all’Allegato 3 del DPR, aggiunge che “l’elenco non pare esaustivo, e quindi potrebbe lasciare spazio a valutazioni di proposte diverse nell’ambito di singoli cantieri”.
Non è, tuttavia, specificato se tale lacunosità sia riferibile all’esclusione del trattamento a calce, scelta, stando alla documentazione predisposta da Arpa Toscana, conseguente ai quesiti mossi dalla CommissioneEuropea nell’ambito della procedura Pilot n. 5554/13 avviata nei confronti dell’Italia, sull’assunto per cui si tratterebbe di un’operazione di trattamento dei rifiuti estranea alla normale pratica industriale.
Le attività di scavo e di utilizzo per cui si presenta la dichiarazione devono già essere autorizzate?
Le risposte coincidono: Sì; il comma 1 dell’art. 21 del DPR 120/2017 prevede che la dichiarazione obbligatoria da inviare ad Arpa deve contenere gli estremi delle autorizzazioni per la realizzazione delle opere.
Arpa Friuli aggiunge: nel caso in cui la realizzazione dell’opera ricada in procedure che non prevedono un’espressione dell’autorità competente di cui alla L.R. 19/2009 e s.m.i. è necessario comunque inserire i riferimenti relativi all’autorità e all’abilitazione o alla comunicazione rilevanti ai fini dell’esecuzione dell’opera. Già con la normativa previgente ARPA ha rilevato che nell’ambito di alcuni procedimenti abilitativi i Comuni chiedevano di presentare la dichiarazione per le terre e rocce da scavo in fase autorizzativa. Ai sensi dell’art. 21 del D.P.R. 120/2017 la dichiarazione va inviata solo successivamente all’autorizzazione dell’opera, o nel caso delle procedure che non prevedono un’espressione dell’autorità competente di cui alla L.R. 19/2009 e s.m.i. inserendo i riferimenti relativi all’autorità e all’abilitazione o alla comunicazione rilevanti ai fini dell’esecuzione dell’opera.
Cosa fare in caso di superamento dei limiti attribuibile a fondo naturale?
Veneto: In adempimento a quanto previsto dall’art. 11 del DPR 120/2017, i valori che superano i limiti tabellari ma sono più bassi dei valori di fondo naturale definiti da ARPAV per i suoli del Veneto e pubblicati nel volume “Metalli e metalloidi nei suoli del Veneto” scaricabile anche dal sito internet di ARPAV, possono essere considerati non contaminati purché siano riutilizzati nella stessa unità deposizionale/fisiografica così come definita nel volume sopraccitato, o in un’altra unità con valori di fondo maggiori o uguali, o, in alternativa, potranno essere riutilizzati in aree ad uso commerciale e industriale qualora i valori riscontrati siano inferiori alle CSC di colonna B. È escluso un riutilizzo in aree diverse.
Piemonte: Premesso che la procedura di cui al predetto art. 11 è analoga sia per i grandi che per i piccoli cantieri, il proponente deve segnalare il superamento ai sensi dell’art. 242 del D.L.vo n. 152/2006, e presentare all’Arpa un piano di indagine, che egli dovrà poi eseguire. Tale piano può fare riferimento anche ai dati pubblicati e validati dall’Arpa relativi all’area oggetto di indagine. Sulla base delle risultanze del piano, nonché di altri dati disponibili, è l’Arpa stessa a definire i valori di fondo, sulla base dei quali il proponente presenta il Piano di utilizzo o l’autodichiarazione. Il riutilizzo deve avvenire nell’ambito del sito di produzione o di un sito avente comunque caratteristiche analoghe in termini di concentrazione di tutti i parametri oggetto di superamento dei limiti.
Ha risposto in maniera analoga ad Arpa Piemonte anche Arpa Toscana, nella prima lettura applicativa pubblicata sul sito.
Nel caso tra i materiali di scavo si sia riscontrata la presenza di materiali di riporto quali accertamenti è necessario fare ai fini del loro riutilizzo?
Veneto e Trento: Secondo quanto prevede l’art. 4 comma 3 del DPR 120/2017 “Nei casi in cui le terre e rocce da scavo contengano materiali di riporto, la componente di materiali di origine antropica frammisti ai materiali di origine naturale non può superare la quantità massima del 20% in peso, da quantificarsi secondo la metodologia di cui all’allegato 10. Oltre al rispetto dei requisiti di qualità ambientale di cui al comma 2, lettera d), le matrici materiali di riporto sono sottoposte al test di cessione, effettuato secondo le metodiche di cui al DM 5 febbraio 1998, per i parametri pertinenti, ad esclusione del parametro amianto, al fine di accertare il rispetto delle concentrazioni soglia di contaminazione delle acque sotterranee, di cui alla Tabella 2, Allegato 5, al Titolo 5, della Parte IV, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, o, comunque, dei valori di fondo naturale stabiliti per il sito e approvati dagli enti di controllo”. Trento aggiunge, infine, che se la presenza di materiali di origine antropica supera il 20%, il materiale non può essere gestito come sottoprodotto.
Piemonte: Tratta solo dell’obbligo di effettuare il test di cessione anche nel caso di utilizzo in altro sito: Il test di cessione introdotto dall’art. 41, comma 3, del dl 69/2013, così come convertito nella legge 98/2013, è previsto in applicazione dell’art. 185, comma 1, lettere b) e c), del D.L.vo n. 152/2006. In generale, quando le terre e rocce da scavo sono gestite come sottoprodotti, come nel caso dell’art. 20 del DPR, il test di cessione è necessario. Anche in assenza di materiali di riporto, una delle condizioni imposte dall’art. 20, comma 1, del DPR per il possibile utilizzo come sottoprodotti dei materiali da scavo è che gli stessi non costituiscano fonte di contaminazione diretta o indiretta per le acque sotterranee; in questo caso il test di cessione rappresenta un possibile strumento di verifica diretta.
Se il materiale scavato viene riutilizzato completamente all’interno dello stesso cantiere nel quale è stato scavato è necessario compilare ed inviare la dichiarazione?
Veneto: Qualora il progetto preveda il riutilizzo integrale del terreno scavato allo stato naturale all’interno dello stesso cantiere di produzione si applica la clausola di esclusione di cui all’art. 185 del D. L.vo n. 152/2006, purché il materiale sia non contaminato e riutilizzato allo stato naturale. In questo caso è prevista la compilazione dell’Autocertificazione predisposta dalla Regione Veneto (Circolare n. 127310 del 25/3/2014) e l’invio solamente al comune in cui si trova il sito di produzione.
Piemonte: Normalmente il riutilizzo nello stesso sito rientra tra le esclusioni dall’ambito di applicazione della normativa sui rifiuti, ai sensi dell’art. 185, comma 1, lettera c) del D. L.vo n. 152/2006 e, in questi casi, non si deve presentare all’Arpa la dichiarazione.
Risulta però importante tenere presenti, ai fini dell’applicazione di questo articolo, le modifiche introdotte dall’art. 41, comma 3, del DL 69/2013, all’art. 3 del DL 2/2012. Tali modifiche riguardano, in particolare, il comportamento da tenere in presenza di materiali di riporto, con obbligo di effettuare il test di cessione di cui al DM 5/2/1998.
È comunque facoltà del produttore applicare il DPR anche nel caso del riutilizzo nello stesso sito: l’art. 4, comma 2, del DPR prevede, infatti, che l’utilizzo possa avvenire “nel corso dell’esecuzione della stessa opera nella quale è stato generato o di un’opera diversa”. Si tratta, quindi, di una scelta a totale carico del produttore, fatta spesso in funzione dei quantitativi in gioco e della possibilità di gestire all’interno del cantiere grosse volumetrie di materiali.
Friuli: Seppur non sia in tal caso previsto, dall’art. 24 del D.P.R., l’invio della dichiarazione, ARPA FVG ritiene comunque opportuno l’invio della dichiarazione se le terre e rocce da scavo, pur utilizzate nello stesso sito, vengono allocate temporaneamente in un deposito intermedio fuori dai confini del sito.
Sono possibili delle modifiche rispetto a quanto dichiarato nella dichiarazione di utilizzo?
Le risposte sono le medesime: Sì, con l’aggiornamento della dichiarazione (per Arpa Veneto “sempre utilizzando l’applicativo web Terre e rocce da scavo raggiungibile dalla pagina Suolo/Terre e rocce da scavo del sito internet di ARPAV”). Ai sensi del comma 3 dell’art. 21 del DPR, infatti, la modifica sostanziale deve essere segnalata al Comune del luogo di produzione e all’Arpa competente. Decorsi 15 giorni dalla trasmissione della dichiarazione aggiornata, le terre e rocce possono essere gestite in conformità alla dichiarazione aggiornata.
Veneto e Friuli specificano, inoltre, che qualora la variazione riguardi il sito di destinazione o il diverso utilizzo delle terre e rocce da scavo, l’aggiornamento della dichiarazione può essere effettuato per un massimo di due volte, fatte salve eventuali circostanze sopravvenute, impreviste o imprevedibili.
Sul punto, Friuli e Trento precisano, altresì, che ai sensi del comma 4 dell’art. 21 del D.P.R. 120/2017 i tempi previsti per l’utilizzo utilizzo (dati inseriti nella riga “data presunta di ultimazione attività di utilizzo”), possono essere prorogati una sola volta e per la durata massima di sei mesi, inviandone specifica comunicazione motivata al comune del luogo di produzione e ad ARPA. Arpa Friuli ritiene, poi, che detta modifica vada inviata anche all’autorità competente qualora diversa dal comune del luogo di produzione. Aggiunge, infine, che costituiscono modifica sostanziale:
l’aumento del volume in banco in misura superiore al 20%;
il cambio di sito di destinazione o un utilizzo diverso da quello dichiarato;
il cambio di sito di deposito intermedio;
la modifica delle tecnologie di scavo.
Diversamente, come specificato dalla Provincia di Trento, per quanto riguarda le date di inizio e fine scavo, trattandosi di modifiche non sostanziali, queste possono essere effettuate anche più di due volte; quanto alla riduzione dei quantitativi scavati, invece, pur non costituendo modifica sostanziale, ed in assenza di una previsione all’interno del DPR in commento che ne prescriva la comunicazione, Trento ritiene opportuno comunque aggiornare il DU per mantenere la veridicità di quanto dichiarato.
L’ARPA può richiedere chiarimenti o integrazioni?
Le risposte coincidono: Sì, ai sensi dell’art. 71, comma 3, del DPR 445/2000, qualora la dichiarazione presenti delle irregolarità o delle omissioni rilevabili d’ufficio, non costituenti falsità, l’Autorità competente e Arpa ne danno notizia all’interessato (e al Comune competente) che deve regolarizzare o completare la dichiarazione. Arpa Friuli aggiunge, poi, che ARPA ne dà notizia all’Autorità competente.
L’ARPA deve effettuare controlli?
Dalla lettura combinata delle risposte fornite da Veneto, Piemonte e Friuli emerge che ai sensi dell’art. 71, comma 1, del DPR 445/2000, e sulla base di una programmazione annuale, secondo quanto previsto dal comma 6 dell’art. 21 del DPR 120/2017, ARPA deve effettuare controlli, anche a campione e in tutti i casi in cui sorgano dubbi sulla veridicità di quanto dichiarato. Arpa Friuli specifica che ad ARPA spetta il compito di controllo per l’accertamento del rispetto degli obblighi assunti nelle dichiarazioni attraverso l’esecuzione di ispezioni, controlli, prelievi e verifiche con oneri a carico del produttore. La veridicità delle dichiarazioni verrà dalla stessa verificata preventivamente alle attività di ispezione, controllo, prelievo e verifica. Incompletezze rilevabili d’ufficio nelle dichiarazioni verranno rese da ARPA all’autorità competente. Il soggetto eventualmente controllato sarà tenuto a fornire all’Arpa la documentazione che attesti la regolarità dell’opera da cui originano i materiali da scavo e di quella in cui vengono riutilizzati (cioè le autorizzazioni), e la documentazione tecnica che supporti la veridicità di quanto dichiarato, tenendo presente che le dichiarazioni non veritiere sono suscettibili, ai sensi dell’art. 76 del DPR 445/2000, di sanzioni penali.
Piemonte aggiunge: L’Arpa può, inoltre, fare controlli su richiesta del proponente in fase di predisposizione del Piano, o dopo che esso è stato trasmesso. Su tutte le dichiarazioni l’Autorità competente effettua un controllo sulla sussistenza dei requisiti di cui all’art. 4 e sulla completezza dei dati obbligatori (presenza della fotocopia del documento di identità, anagrafiche, dati autorizzativi sui siti di produzione e riutilizzo, quantità previste, tempi, qualità dei materiali,…), condizione indispensabile per la validità della dichiarazione stessa; Arpa effettua i controlli necessari ad accertare il rispetto degli obblighi assunti nella dichiarazione. Ai sensi dell’art. 21, comma 6, del DPR 13 giugno 2017, le Agenzie “effettuano, secondo una programmazione annuale, le ispezioni, i controlli, i prelievi e le verifiche necessarie ad accertare il rispetto degli obblighi assunti nella dichiarazione. L’onere economico derivante dalle svolgimento delle attività di controllo è a carico del produttore. I controlli sono disposti anche con metodo a campione o in base a programmi settoriali, per categorie di attività o nelle situazioni di potenziale pericolo comunque segnalate o rilevate.”
11. Cosa succede se il controllo dimostra che i materiali da scavo non rispettano i requisiti della norma?
Piemonte e Friuli concordano: Decadono le condizioni per poter considerare gli stessi come dei sottoprodotti, per cui le terre e rocce rientrano nella normativa sui rifiuti, la cui violazione è soggetta alle relative sanzioni, sia di carattere amministrativo che penale. Inoltre, al dichiarante potrebbero essere imputate delle sanzioni penali nel caso in cui venga riconosciuto colpevole di dichiarazione non veritiera o di falsità negli atti ai sensi dell’art. 76 del DPR 445/2000.
12. A chi deve essere inviata la dichiarazione?
Veneto: Tutte le dichiarazioni relative al riutilizzo dei materiali di scavo al di fuori del cantiere di produzione (prima comunicazione, eventuali modifiche e dichiarazione di fine lavori) vanno inviate via Posta Elettronica Certificata ad ARPAV- Servizio Osservatorio Suolo e Bonifiche (indirizzo PEC: terrerocce@pec.arpav.it) e al comune in cui ricade il sito di produzione delle terre e, se diverso, al comune in cui ricade il sito di destinazione.
Friuli: L’ art. 21 comma 1, prevede che la dichiarazione venga inviata, anche solo in via telematica: al Comune del luogo di produzione e all’ARPA territorialmente competente. La dichiarazione va, inoltre, inviata all’autorità competente, così come definita all’art. 2 del D.P.R. 120/2017 (l’autorità che autorizza la realizzazione dell’opera nel cui ambito sono generate le terre e rocce da scavo) qualora diversa dal comune del luogo di produzione. ARPA FVG ritiene opportuno che copia della dichiarazione venga inviata anche al comune del sito del deposito intermedio e al comune del sito di destinazione.
13. Il Piano di Utilizzo contenente anche la Dichiarazione può essere inviato per PEC?
Piemonte e Friuli danno la medesima risposta: L’art. 9, comma 1 del D.P.R. prevede che il P.U. sia inviato “per via telematica”. Quindi la PEC è l’unico modo di trasmissione del Piano di Utilizzo, che deve contenere la Dichiarazione di cui all’art. 9, comma 2 del DPR. Il DPR 445/2000 prevede due modalità di presentazione della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, cioè che la dichiarazione possa:
– “essere sottoscritta dall’interessato in presenza del personale addetto,
– ovvero sottoscritta e presentata unitamente alla fotocopia non autenticata di un documento di identità valido del sottoscrittore”.
Risulta evidente che nel secondo caso il documento può essere inviato per PEC e che tale forma, in ossequio ai principi di smaterializzazione degli atti, sia preferibile rispetto alla prima. Poiché il P.U. deve essere inviato per via telematica, anche l’allegata dichiarazione sarà inviata con lo stesso mezzo. (Gli indirizzi di PEC dei dipartimenti Arpa Piemonte sono reperibili sul sito istituzionale all’indirizzo: http://www.arpa.piemonte.it/chisiamo/organizzazione/dipartimenti-provinciali). Analoga è la risposta al quesito specifico per l’invio PEC della Dichiarazione nel caso di cantieri di piccole dimensioni e di cantieri di grandi dimensioni non sottoposti a VIA o AIA.
Sul punto, Arpa Friuli aggiunge un ulteriore quesito:
“La dichiarazione deve essere integrata con documentazione tecnica?” No; i documenti tecnici verranno richiesti da ARPA, o da altro organo di vigilanza in fase di eventuale controllo.
14. I materiali da scavo devono essere sottoposti ad analisi?
Piemonte: Per quanto riguarda i “cantieri di grandi dimensioni” le analisi vengono fatte nell’ambito della caratterizzazione ambientale effettuata in conformità agli allegati 1 e 2. Viceversa, per i cantieri di piccole dimensioni e cantieri di grandi dimensioni non sottoposti a Via e AIAnon esiste un obbligo esplicito in tal senso, tuttavia il dichiarante si assume la responsabilità (anche penale) di rispettare i limiti qualitativi previsti dalla norma, per cui è opportuno che disponga di valide informazioni tecniche a supporto di quanto dichiarato, da esibire in fase di eventuali controlli. La dimostrazione del rispetto dei limiti può avvenire anche attraverso conoscenze pregresse certe e affidabili sul sito stesso, legate alla sua storia o a precedenti indagini ambientali sul sito o in prossimità di esso. Si ricorda, infatti, che, in base a quanto prescritto dal comma 1 dell’art. 20 del DPR, il produttore deve “dimostrare” il rispetto dei limiti tabellari ed è perciò opportuno che disponga di una certificazioneanalitica; in ogni caso, il dichiarante si assume la responsabilità (anche penale) del rispetto di tali limiti. Risulta, inoltre, importante porre attenzione anche ai possibili superamenti dovuti a valori di fondo naturale, sia sul sito di produzione che su quello di destinazione.
Friuli: Dal combinato disposto degli artt. 2, comma 1, lettera e), dell’art. 4 e dell’Allegato 4 appare evidente che la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 4, e specificatamente riferito al comma 2, lettera d) “soddisfano i requisiti di qualità ambientale espressamente previsti dal Capo II o dal Capo III del presente regolamento, per le modalità di utilizzo di cui alla lettera b)”, sono attestati/dimostrati previa esecuzione di caratterizzazione chimico-fisica e pertanto attraverso analisi di laboratorio. Si precisa che le analisi devono essere eseguite in fase preventiva alla presentazione della dichiarazione, fatti salvi i casi in cui sia comprovata l’impossibilità di eseguire un’indagine ambientale propedeutica alla realizzazione dell’opera da cui deriva la produzione di terre e rocce, come indicato all’Allegato 9. Atteso che le specifiche relative alle procedure di campionamento in fase di progettazione si riferiscono ai sensi dell’Allegato 2 all’art. 8, e, di conseguenza, ai piani di utilizzo previsti per le grandi opere sottoposte a VIA o AIA, ARPA FVG sta predisponendo degli appositi indirizzi operativi relativi alle procedure di campionamento ed analisi per l’accertamento dei requisiti di qualità ambientale cui all’art. 4 nel caso dei cantieri di piccole dimensioni (< 6000 mq).
15. Quali sono le modalità di campionamento e analisi?
Piemonte: Le modalità di campionamento ed analisi per definire le caratteristiche ambientali delle terre e rocce da scavo, e verificare il rispetto dei criteri definiti dall’art. 4 del DPR, sono quelli riportati nell’Allegato 4 del DPR stesso e valgono per tutte le tipologie di cantieri. Le procedura di campionamento e di caratterizzazione ambientale riportate negli Allegati 1, 2, 4 e 9 Parte A del DPR sono sostanzialmente analoghe alle procedure già previste nel D.M. 161/2012, ad eccezione di alcune precisazioni contenute in Allegato 4 in merito alla casistica che prevede l’utilizzo di additivi particolari contenenti sostanze non ancora ricomprese nella Tabella 1 della sezione bonifiche; in questi casi è prevista una richiesta di parere all’Istituto Superiore di Sanità e all’ISPRA. Cambia anche la formulazione in Allegato 4 relativa a due casi particolari:
Qualora si sospetti una contaminazione antropica anche del sopravaglio le determinazioni analitiche dovranno essere condotte sull’intero campione, compresa la frazione granulometrica superiore ai 2 cm, e la concentrazione dovrà essere riferita allo stesso.
In caso di terre e rocce provenienti da scavi di sbancamento in roccia massiva, ai fini della verifica del rispetto dei requisiti ambientali di cui all’articolo 4 del presente regolamento, la caratterizzazione ambientale è eseguita previa porfirizzazione dell’intero campione.
Quanto ai parametri da analizzare, Trento dichiara che, facendo riferimento a quanto previsto dall’allegato 4 del DPR, secondo l’APPA deve essere fatta una valutazione caso per caso in funzione della storia e dell’ubicazione del sito, includendo comunque come parametri minimi da analizzare i metalli e gli idrocarburi C>12. Con riferimento a quanti campioni debbano essere prelevati, poi, aggiunge che nel caso di opere non sottoposte a VIA o AIA la norma non dà indicazioni in merito, sicché dovrà essere valutato caso per caso il numero di campioni rappresentativo dei volumi scavati da sottoporre ad analisi chimica.
16. Con quale documento di trasporto viene accompagnato il trasporto delle terre e rocce da scavo qualificate come sottoprodotti fuori dal sito intermedio?
Piemonte, Friuli e Trento segnalano che l’art. 6 presenta il documento di trasporto indicato nell’Allegato 7, pensato per il trasporto dal sito di produzione al sito di destinazione o al sito di deposito intermedio. Non è previsto un analogo modulo per il trasporto dal sito di deposito intermedio al sito di destinazione. Essendo evidentemente necessario disporre di un documento di trasporto anche in uscita dal deposito intermedio verso il sito di destinazione, si ritiene possibile utilizzare il documento riportato in Allegato 7, modificando opportunamente la Sezione A. Più precisamente, Trento dichiara che, nel caso di trasporto da deposito provvisorio a sito di destinazione, nella “sezione A” dell’allegato 7 come sito di produzione si deve intendere il sito di deposito provvisorio. Il sito di origine del materiale rimane individuabile dalla data e numero di protocollo indicati nella casella: “Estremi del piano di utilizzo o delle dichiarazione di cui all’articolo 21”. Friuli e Trento, inoltre, ritengono che il modulo vada compilato per ogni trasporto dal sito di produzione al sito di destinazione o al sito di deposito intermedio.
Temi approfonditi da Arpa Veneto
Nella dichiarazione è possibile indicare l’indirizzo dell’area di riutilizzo con numero foglio e mappale (dati catastali) qualora si tratti di terreni agricoli?
Sì, può essere indicato nello spazio della via come foglio e mappale delle particelle interessate.
Nella dichiarazione cosa si deve indicare come “periodo di utilizzo”?
Va indicato il periodo necessario all’impiego del materiale sul suolo cioè la durata dei lavori.
Come deve essere inviata la dichiarazione obbligatoria per il riutilizzo fuori cantiere dei materiali di scavo prevista dall’art. 21 del DPR 120/2017?
Nell’ambito della richiesta del permesso a costruire il comune mi chiede di consegnare anche la dichiarazione di utilizzo per la gestione delle terre e rocce da scavo. Come faccio ad indicare nella dichiarazione 1 gli estremi del titolo autorizzativo se ancora non ho ottenuto il permesso?
Spesso si riscontra l’obbligo imposto da alcuni comuni (ad es. nell’ambito dei procedimenti SUAP) di presentare la dichiarazione obbligatoria per le terre e rocce da scavo insieme con la documentazione di richiesta del permesso a costruire. In realtà la dichiarazione deve essere inviata una volta ottenuto il permesso, secondo quanto previsto dall’art. 21 del DPR 120/2017. Nell’impossibilità di procedere in questo modo si potrà compilare la dichiarazione di utilizzo indicando nell’autorizzazione “in attesa del rilascio dell’autorizzazione”; una volta ottenuta l’autorizzazione la dichiarazione deve essere modificata riportando gli estremi dell’atto di autorizzazione.
Attraverso la nuova procedura online, è sufficiente la compilazione / validazione / approvazione online della pratica, oppure è necessario comunque inviare anche una posta certificata con la dichiarazione firmata e scannerizzata in pdf?
E’ necessario comunque l’invio del modello firmato (scansione o file firmato digitalmente) all’indirizzo PEC terrerocce@arpa.veneto.it.
È richiesto il re-invio della dichiarazione di utilizzo solo qualora le variazioni apportate al progetto originale comportino variazioni nei volumi di scavo o anche per modifica di altri requisiti e condizioni?
La variazione della quantità in aumento rispetto alle previsioni ha conseguenze anche sull’utilizzo presso il sito di destinazione e, pertanto, rappresenta comunque una modifica che deve essere comunicata, così come variazioni della durata prevista, del sito di deposito intermedio, per modifica o aggiunta di siti di destinazione.
Se i lavori di scavo in un cantiere sono iniziati prima del 22 agosto 2017 ed è stata effettuata l’indagine ambientale, i campionamenti e la compilazione dei MOD 1 e 2 secondo quanto previsto dalla normativa all’epoca vigente; considerato che lo scavo è stato effettuato e si sta procedendo alla fine dei lavori, è necessario compilare ed inviare ad ARPAV la Dichiarazione di Avvenuto utilizzo ai sensi dell’art. 7 del DPR 120/2017 in luogo del MOD 2 previsto dalla precedente normativa?
L’art. 27 del DPR 120/2017 prevede che i piani e progetti approvati prima dell’entrata in vigore del DPR 120/2017 restano disciplinati dalla relativa normativa previgente.
Se ho del materiale di scavo in deposito temporaneo riferibile a specifici permessi di scavo e richiesta di deposito temporaneo sul quale sono state eseguite le analisi, posso avviarlo a riutilizzo ai sensi del DPR 120/2017?
Il materiale da scavo può essere riutilizzato come sottoprodotto ai sensi dell’art. 20 del DPR 120/2017 solamente nel rispetto dei 4 requisiti indicati all’art.4 del medesimo, il primo dei quali è “…il loro riutilizzo…si realizza…nel corso dell’esecuzione di opere…o in processi produttivi...”; pertanto se, come nel caso indicato, il materiale è già stato scavato e depositato senza che fosse preventivamente definita la destinazione, il requisito di cui sopra non è rispettato ed il materiale non può essere gestito come sottoprodotto ma solo come rifiuto.
Quando è necessario fare le analisi della terra da scavare?
Chi intende riutilizzare le terre da scavo per destinazione a recuperi, ripristini, rimodellamenti, riempimenti ambientali o altri utilizzi su/ suolo, deve dimostrare che non sono superati i valori delle concentrazioni soglia di contaminazione di cui alle colonne A e B della tabella 1 dell’allegato 5 alla parte IV del D. L.vo n. 152 del 2006, con riferimento alle caratteristiche delle matrici ambientali e alla destinazione d’uso urbanistica del sito di destinazione. Poiché tale dimostrazione è possibile solo avendo a disposizione i valori di concentrazione dei potenziali contaminanti nel terreno da scavare, l’analisi deve essere sempre fatta quando il terreno è destinato a riutilizzo in un sito diverso da quello di produzione.
Se non invio la dichiarazione all’ARPAV perché riutilizzo tutto il materiale nel cantiere di produzione devo inviare i risultati delle analisi?
Compilando il modello di autocertificazione per mezzo dell’applicativo web Terre e rocce da scavo raggiungibile dalla pagina http://www2.arpa.veneto.it/terrerocce/ vengono trasmessi i risultati analitici ad ARPAV.
Se non si conosce la destinazione finale del materiale di scavo si può indicare nella dichiarazione solo il sito di deposito intermedio?
No, non ha senso inviare la dichiarazione se non viene indicato il sito di riutilizzo o l’impianto di conferimento. Infatti, secondo l’art. 4 del DPR 120/2017, le terre e rocce da scavo possono essere considerate sottoprodotto se il loro utilizzo si realizza nel corso dell’esecuzione della stessa opera o di altre opere di reinterri, riempimenti, rimodellazioni, rilevati, miglioramenti fondiari o viari, recuperi ambientali o in processi produttivi in sostituzione di materiali di cava.
Se ho intenzione di avviare le terre da scavo a smaltimento come rifiuto devo inviare la dichiarazione ai sensi dell’art. 21 del DPR 120/2017?
No, la dichiarazione va inviata solo nel caso si intenda riutilizzare le terre come sottoprodotto; se le terre sono avviate a smaltimento le movimentazioni sono gestite con la documentazione prevista per i rifiuti.
Nel caso l’intervento di scavo sia previsto nell’ambito di un miglioramento fondiario è sufficiente presentare la dichiarazione per procedere con l’esecuzione dei lavori?
No, in questo caso è previsto un nulla osta da parte di ARPAV secondo le seguenti fasi: 1) Invio da parte del proponente ad ARPAV Servizio Osservatorio Suolo e Bonifiche (all’indirizzo terrerocce@pec.arpav.it) della modulistica e del database previsti dalla normativa in tema di gestione delle terre e rocce da scavo almeno 15 giorni prima dell’inizio lavori per il materiale scavato nel sito oggetto di miglioramento, unitamente a copia dell’analoga modulistica/database relativa ai materiali scavati in altri siti e destinati al riutilizzo nel sito oggetto di miglioramento fondiario. 2) Verifica da parte di ARPAV Servizio Osservatorio Suolo e Bonifiche della completezza dell’indagine ambientale eseguita presso i siti di produzione delle terre. Nel caso venissero riscontrate delle carenze informative o documentali potranno essere richieste integrazioni, con la sospensione dei tempi del procedimento, al richiedente.
3) Comunicazione al richiedente, entro 30 giorni dal ricevimento della documentazione, del nulla osta di ARPAV relativo alla completezza dell’indagine ambientale eseguita presso i siti di produzione delle terre”.
Tra le destinazioni a processo produttivo può essere compreso anche il conferimento ad impianto di vagliatura inerti?
L’impianto di vagliatura può essere una delle possibili destinazioni qualora il terreno contenga anche degli inerti da vagliare (ghiaia, pietrame o materiali di riporto o simili); se si tratta di terra fine (limi, argille) la destinazione non è plausibile. Secondo il DPR 120/2017 (Allegato 4) il riutilizzo in processo produttivo è possibile solo nel caso in cui il processo preveda la produzione di prodotti merceologicamente ben distinti dalle terre e rocce.
Una fornace può ritirare argilla proveniente da scavo, per la produzione di manufatti, con valori delle concentrazioni soglia di contaminazione compresi tra colonna A e B (in genere il parametro che supera i valori della colonna A è l’Arsenico)? Se sì deve avere qualche particolare autorizzazione?
Il DPR 120/2017 Allegato 4 prevede che: “Il riutilizzo in impianti industriali quale ciclo produttivo di destinazione delle terre e rocce da scavo in cui la concentrazione di inquinanti è compresa tra i limiti di cui alle colonne A e B, Tabella 1, Allegato 5, al Titolo V, della Parte IV, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, è possibile solo nel caso in cui il processo industriale di destinazione preveda la produzione di prodotti o manufatti merceologicamente ben distinti dalle terre e rocce da scavo e che comporti la sostanziale modifica delle loro caratteristiche chimico-fisiche iniziali.”
Un vivaio può ritirare terreno da scavo con valori CSC entro colonna A da utilizzare per la futura realizzazione di giardini presso i propri clienti (non ancora determinati)? In caso affermativo come deve essere compilata la dichiarazione di utilizzo? Il proponente deve indicare che il materiale verrà riutilizzato in un processo produttivo indicando i dati della sede del vivaio?
Per la gestione come terre e rocce da scavo ai sensi dell’art. 20 del DPR 120/2017 il riutilizzo nel modo indicato equivale a vivaio=deposito intermedio e cliente vivaio=sito di destinazione; se il sito di destinazione non è determinabile questa procedura di riutilizzo non è applicabile, il vivaio si deve adeguare reperendo la terra di volta in volta presso cantieri che ne hanno disponibilità. L’invio a processo produttivo vale solo per materiali assimilabili a prodotti di cava utilizzati per la produzione di inerti. Secondo il DPR 120/2017 Allegato 4 il riutilizzo in processo produttivo è possibile qualora preveda la produzione di prodotti o manufatti merceologicamente ben distinti dalle terre e rocce da scavo.
Può essere conferito terreno da scavo (valori entro colonna A) ad un privato che necessita di pochi metri cubi di materiale per la sistemazione del proprio giardino? In caso affermativo come deve essere compilata la dichiarazione non avendo questo tipo di intervento alcun titolo autorizzativo?
Basta indicare che si tratta di intervento di edilizia libera dopo aver verificato presso gli uffici comunali che l’intervento richiesto non prevede specifici adempimenti.
Nel caso di riutilizzo nello stesso sito di produzione dove nel raggio di 300 e 400 m ho la presenza di due analisi (da database ARPAV), posso utilizzarle per dimostrare la non contaminazione?
La più recente normativa prevede espressamente “l’accertamento del rispetto dei limiti col. A, tab. 1, All. 5, Titolo V, Parte IV del D. Lgs. 152/2006” nel caso di riutilizzo in altro sito, e quindi di comunicazione mediante dichiarazione di utilizzo. In questo caso è necessaria l’analisi di un campione prelevato dal materiale che si prevede di scavare.
Le analisi eseguite su terre e rocce da scavo per un piano di lottizzazione o PUA possono essere utilizzate successivamente anche per gli scavi di fondazione nei singoli lotti?
Sì, a condizione che il/i campione/i eseguito/i sia/siano prelevato/i in modo da essere il più possibile rappresentativo/i della massa di terreno oggetto di indagine e che le indagini risalgano a non più di due anni.
Temi approfonditi da Arpa Piemonte
Per il riutilizzo in impianti produttivi in sostituzione di materiali di cava, cosa prevede il DPR?
Se le terre e rocce rientrano nei limiti di cui alla Colonna A della Tabella 1 della normativa sulle bonifiche, possono essere utilizzate senza alcun vincolo particolare. Se invece sono comprese tra la Colonna A e la Colonna B, l’uso in impianti industriali è possibile solo nel caso in cui il processo industriale di destinazione preveda la produzione di prodotti o manufatti merceologicamente ben distinti dalle terre e rocce da scavo e che comporti la sostanziale modifica delle loro caratteristiche chimico-fisiche iniziali.
Chi si deve far carico degli oneri economici dei controlli effettuati dall’Arpa?
Gli oneri economici di tutti i controlli previsti ai sensi dei commi 7, 8 e 9 dell’art, 9 del DPR sono sempre a carico del proponente, come pure le attività previste per l’Arpa nel caso di fondo naturale o di siti oggetto di bonifica (Così specificato anche da Arpa Friuli nell’ambito del quesito n. 10 delle FAQ comuni alle varie Regioni “Arpa deve effettuare controlli?”, al quale, pertanto, si rimanda).
I controlli devono essere eseguiti solo dall’Arpa?
L’art. 13 del DPR prevede che, qualora l’Arpa non provveda nei termini stabiliti, su richiesta e con oneri a carico del proponente, le attività previste dagli articoli 10, 11, 12 e 20 possano essere eseguite anche da altri organi o enti pubblici adeguatamente qualificati, che dovranno essere individuati con Decreto Ministeriale entro 60 giorni dall’entrata in vigore del DPR
Arpa è l’unico soggetto che può effettuare controlli?
Per quanto riguarda i controlli ai sensi dell’art. 9 comma 7 e art. 21, comma 6, del DPR 13 giugno 2017, con costi a carico del produttore, sì, l’Arpa è l’unico soggetto indicato dalla norma. Per quanto riguarda in senso più generale i controlli su questa ed altre norme ambientali, ovviamente no, come ricordato dall’art. 28 del DPR 13 giugno 2017. Controlli sulla corretta applicazione della normativa, che si configura comunque come una normativa di favore nell’ambito della gestione dei rifiuti, possono essere effettuati da tutti i soggetti abilitati ai controlli ambientali (Carabinieri Forestali, Carabinieri, Finanza, Ispettori Provinciali, Polizia Municipale, e così via).
Temi approfonditi dalla Provincia Autonoma di Trento
Chi può redigere la Dichiarazione di utilizzo (DU)?
Solo ed esclusivamente il produttore, ovvero il soggetto la cui attività materiale produce le terre e rocce da scavo (rif. art. 21 c. 1).
Tempi di utilizzo: è’ ammissibile indicare nella dichiarazione di utilizzo (DU), in via cautelativa, come tempo per il riutilizzo del materiale un anno e poi presentare DAU a fine lavori anche molto tempo prima dell’anno senza alcuna presentazione di DU modificata?
Si.
Qual è il termine di validità della dichiarazione di utilizzo (DU) di cui all’art. 21?
Il termine di validità si ricava dalla data indicata nella sezione E nella riga “data presunta di ultimazione attività di utilizzo”. Nel caso di più siti di utilizzo deve essere inserita la data relativa al completamento dei lavori di utilizzo del sito che presenta la durata maggiore.
Nel caso di un lavoro che si sviluppa su più anni (es. bonifica agraria), come ci si deve comportare per la gestione come sottoprodotto?
I materiali scavati devono essere utilizzati entro un anno dalla data di produzione, salvo il caso in cui l’opera nella quale trovano impiego abbia un tempo di realizzazione superiore. Per esempio nel caso di utilizzo presso un impianto di lavorazione, la DU deve indicare la data di inizio degli scavi e di ultimazione degli scavi in funzione di quanto si prevede di portare entro l’anno presso l’impianto, reiterando la comunicazione ogni anno in relazione ai quantitativi che si prevede di gestire.
Se si hanno più siti di destino come si deve compilare la DU?
La sezione D deve essere compilata tante volte, quanti sono i siti di destino.
Come deve essere compilata la sezione E?
La sezione E va compilata una sola volta anche nel caso di più schede D. In particolare, la “Data di presunta ultimazione attività di utilizzo” deve essere riferita all’utilizzo che prevede i tempi più lunghi.
E’ possibile avere il protocollo di ogni DU o DAU trasmesso?
Si. La segreteria di regola trasmette la ricevuta di protocollazione per ogni modulo ricevuto, in analogia con quanto precedentemente fatto per i MOD1/MOD2.
Cosa deve essere indicato come tipologia di impianto e materiale prodotto (destinazione a sito produttivo)?
Non vi sono istruzioni specifiche nella norma, basta indicazione generica dell’impianto (impianto di lavorazione inerti, impianto presso attività estrattiva) e dei prodotti (sabbia, ghiaia, etc.).
Come va indicato il quantitativo di materiale destinato ad un impianto di lavorazione (sezione D punto 2), considerato che il modulo non prevede tale casella?
In attesa della modifica dell’Allegato 6 da parte del Ministero, l’APPA ha predisposto una pagina integrativa in cui inserire tali informazioni che costituiscono un errore materiale nel modulo originale. La pagina è posizionata in fondo all’ultima pagina dell’Allegato 6 scaricabile dal sito APPA.
Nella sezione D (dati del sito di destinazione) punto 1 è richiesta la “Destinazione urbanistica (da PRG) del sito di Produzione”, dove va indicata la destinazione del sito di utilizzo?
In attesa della modifica dell’allegato 6 da parte del Ministero, l’Appa ha predisposto una pagina integrativa in cui inserire tali informazioni che costituiscono un errore materiale nel modulo originale. La pagina è posizionata in fondo all’ultima pagina dell’Allegato 6 scaricabile dal sito APPA.
Nella sezione E, ultima riga “Estremi atto autorizzativo dell’opera” devo mettere l’atto relativo all’opera da cui originano le terre o all’opera in cui vengono impiegate?
In entrambi i casi è un dato doppio, in quanto già richiesto nelle precedenti sezioni del modulo. Nella sezione E si ritiene che sia più appropriato comunque indicare gli estremi dell’atto autorizzativo relativo al sito di destino, correlato alla “data presunta di ultimazione attività di utilizzo” inserita nella riga precedente.
Come deve essere calcolato il quantitativo da inserire nella voce “Quantità di materiale da scavo destinata all’utilizzo”?
Deve essere inserito il volume in metri cubi del materiale da scavo che si prevede di gestire come sottoprodotto, calcolato in base alle sezioni di progetto e tenendo conto dell’aumento volumetrico relativo alla natura del materiale scavato.
E’ possibile modificare l’allegato 7 per poter utilizzare un unico modulo per più viaggi eseguiti da un unico mezzo?
No, i moduli sono modificabili solo con decreto ministeriale.
Serve un altro documento per il trasporto dei materiali da scavo (DDT normale)?
No.
Come va compilata la dichiarazione di avvenuto utilizzo nel caso di più siti o impianti?
Nella dichiarazione è prevista la possibilità di inserire un solo sito o un solo impianto di lavorazione. Nel caso di più siti o impianti andranno compilati più volte i punti 1) o 2), a seconda del caso, relativi ai diversi siti di utilizzo, presenti nella parte dichiarativa del modulo.
Come si possono gestire i materiali derivanti da scavi nell’ambito di situazioni di emergenza?
Ferme restando le imprescindibili condizioni di urgenza e contingibilità, il sindaco può emettere ordinanza contingibile ed urgente ai sensi dell’art. 91 del TULP per consentire il “ricorso temporaneo a speciali forme di smaltimento dei rifiuti […] o, comunque a speciali interventi al fine di rimuovere le situazioni di pericolo per la salute pubblica o per l’ambiente”. Nell’ordinanza verrà demandato ad un tempo successivo la gestione dei materiali (come sottoprodotti o rifiuti secondo le norme vigenti) a partire dal sito di deposito provvisorio, indicando un arco temporale congruo entro cui valutare e decidere la destinazione del materiale.
I materiali scavati in alveo possono essere gestiti in base al nuovo DPR 120/2017?
No, a meno che non siano correlati alla realizzazione di un’opera (briglia, difesa spondale, etc.) perché il nuovo DPR si applica solo ai materiali scavati nell’ambito della realizzazione di un’opera.
I materiali scavati in alveo possono essere gestiti come sottoprodotti?
Si. I materiali derivanti da scavo in alveo possano essere gestiti come sottoprodotti, come già previsto in via transitoria dall’art. 39 comma 13 del d.lgs. 205/2010, il quale prevedeva che “Le norme di cui all’art. 184-bis (sottoprodotti) si applicano anche al materiale che viene rimosso, per esclusive ragioni di sicurezza idraulica, dagli alvei dei fiumi, laghi e torrenti”. Di conseguenza si ritiene che possa essere fatto riferimento al regolamento sui sottoprodotti del D.M. n. 264 del 13 ottobre 2016 e relativa circolare esplicativa del Ministero (ns. prot. n. 303880 del 31/05/2017).
L’art. 20 comma 2 stabilisce che dove per fenomeni di tipo naturale sono superate le CSC i valori di fondo naturale rappresentano le nuove CSC. Secondo il DPR 120/17 valori di fondo naturali vanno definiti come previsto nell’art. 11. Come ci si comporta per gli scavi all’interno della macroarea in cui non c’è un valore riconosciuto?
Vale la deliberazione 1666 del 2009 in base alla quale i valori riscontrati rappresentano le nuove CSC.
E’ obbligatorio il test di cessione?
Le terre e rocce da scavo non devono costituire fonte di contaminazione per le acque sotterranee (art.20) e quindi andrà valutato caso per caso, in base alla natura dei suoli presenti nel sito di origine e delle caratteristiche idrogeologiche del sito di destino, la necessità di eseguire tale test.
Per approfondire il tema, ti segnaliamo questo stralcio di video di Stefano Maglia, nel quale si analizza la situazione riguardante la gestione delle “terre e rocce da scavo” nel 2024. Il video integrale lo puoi trovare in esclusiva nella Membership TuttoAmbiente.
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DPR 120/2017 sulle terre e rocce da scavo: linee guida regionali a confronto
di Linda Maestri
Dall’entrata in vigore del nuovo Regolamento recante la disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo (22 agosto 2017), contenuta nel DPR 13 giugno 2017, n. 120, alcune Regioni (Emilia Romagna, Friuli, Liguria, Piemonte, Toscana, Veneto, Provincia Autonoma di trento) hanno predisposto una serie di documenti informativi e operativi utili a fornire una guida ai produttori interessati dalla nuova normativa.
Si tratta, nella maggior parte dei casi, di una prima lettura in chiave pratica e dalla portata generale, tesa, sostanzialmente, ad inquadrare le procedure nei relativi termini e nei rispettivi campi di applicazione (limiti quantitativi dei cantieri e rispettive modalità di gestione).
Si sono distinte, per ora, le regioni Veneto e Piemonte, diffondendo, tramite l’Arpa, una serie dettagliata di FAQ, che arrivano a toccare specifiche questioni, dalla valenza sempre pratica. Anche la Toscana non ha mancato di diffondere una prima lettura applicativa, corredandola, però, di una serie di FAQ relative alle pratiche già in corso al 22 agosto 2017. Successivamente, anche il Friuli e la Provincia Autonoma di Trento si sono distinte per una serie di FAQ diffuse tramite le rispettive ARPA.
Di seguito si riportano i tratti essenziali di queste linee guida.
Ambito oggettivo di applicazione
Tutte le Regioni sono concordi nell’affermare che la nuova disciplina sulle terre e rocce da scavo si applica a:
– Terre e rocce da scavo derivanti da opere sottoposte a VIA o AIA con produzione maggiore di 6000m3 (cd. cantieri di grandi dimensioni):
In questo caso è prevista una procedura simile a quella prevista dal DM 161/2012 (abrogato dal 22 agosto 2017), consistente nella presentazione, almeno 90 giorni prima dell’inizio dei lavori, di un Piano di utilizzo, che deve essere inviato per via telematica all’Autorità competente ed all’Arpa territorialmente competente, con la novità che il Piano non richiede più esplicita autorizzazione. Il Piano include la Dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà con la quale il proponente attesta la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 4, compresi gli aspetti legati alla normale pratica industriale di cui all’Allegato 3. Si tenga presente che per le opere sottoposte a VIA o AIA la trasmissione deve avvenire prima della chiusura del procedimento.
L’autorità competente può, comunque, richiedere integrazioni entro 30 giorni dalla presentazione del Piano, avvalendosi dell’Arpa, ma una volta decorsi 90 giorni dalla presentazione, o dall’eventuale integrazione, il proponente può avviare la gestione.
Quest’ultimo può, in ogni caso, decidere autonomamente di richiedere l’intervento dell’Arpa in fase di predisposizione del Piano, affinché esegua verifiche istruttorie tecniche e amministrative finalizzate alla validazione preliminare del Piano di Utilizzo. In tal caso la tempistica di attesa per l’avvio dei lavori si riduce a 45 giorni. Inoltre, una volta presentato il Piano, il proponente può chiedere all’Arpa lo svolgimento di controlli di carattere preventivo.
– Terre e rocce da scavo derivanti da cantieri i cui progetti di opere prevedono quantità di materiale escavato inferiore a 6.000 m3, indipendentemente dal fatto che detti progetti siano o meno assoggettati a VIA o AIA (cd. cantieri di piccole dimensioni), e da cantieri di grandi dimensioni non sottoposti a VIA o AIA:
La procedura è semplificata, simile a quella dell’ex art. 41-bis, e consiste nella presentazione di una Dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, che deve essere trasmessa al Comune del luogo di produzione e all’Arpa territorialmente competente almeno 15 giorni prima dell’inizio dei lavori di scavo.
Modulistica
Tutte le Regioni riportano quanto previsto dal nuovo Regolamento:
In primo luogo, si segnala che il nuovo Regolamento prevede che sia il proponente/produttore ad attestare, mediante la Dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, il rispetto dei requisiti necessari, ai sensi dell’art. 4, affinché i materiali da scavo siano qualificati come sottoprodotti e non come rifiuti. Tale dichiarazione deve essere resa servendosi dell’apposito modello di cui all’Allegato 6 del DPR 120/2017.
Quanto alle attività di scavo, e di riutilizzo, in quanto attività edilizie, il procedimento dovrà essere coordinato con l’iter edilizio.
Deve essere attestato, obbligatoriamente, anche l’avvenuto utilizzo, mediante l’apposita Dichiarazione di Avvenuto Utilizzo (DAU, di cui all’Allegato 8) all’autorità competente, all’Arpa competente per il sito di destinazione, al Comune del sito di produzione e a quello del sito di destinazione, entro il termine di validità della dichiarazione (Piano o Dichiarazione di Utilizzo, a seconda del caso). L’omessa dichiarazione entro il termine comporta la cessazione, con effetto immediato, della qualifica delle terre e rocce come sottoprodotto.
Anche per il trasporto fuori sito è prevista apposita documentazione, predisposta all’Allegato 7 del DPR.
Tutto ciò che il produttore indica nella pertinente modulistica deve contenere i dati obbligatori richiesti dal nuovo Regolamento, pena l’invalidità della dichiarazione, a cui consegue l’applicazione della disciplina dei rifiuti. E’ fondamentale sapere che è il produttore che si assume la responsabilità anche penale di rispettare i limiti qualitativi previsti dalla norma, per cui è opportuno che disponga di valide informazioni tecniche a supporto dei dati inseriti nella dichiarazione, da esibire in caso di eventuali controlli (che, comunque, l’Arpa è tenuta ad effettuare, secondo le modalità previste dal Regolamento stesso).
Gestione delle terre e rocce da scavo qualificate come sottoprodotti ai sensi dell’art. 184-bis del D.L.vo n. 152/2006
Per essere qualificate come sottoprodotti, le terre e rocce da scavo devono rispondere ai criteri stabiliti dall’art. 4 del nuovo Regolamento: tali requisiti sono attestati e dimostrati previa esecuzione di caratterizzazione chimico-fisica con le modalità definite dall’Allegato 4, pertanto tramite analisi di laboratorio.
Gestione delle terre e rocce da scavo nei siti di bonifica
L’art. 12 del nuovo Regolamento (Titolo II) stabilisce che l’utilizzo come sottoprodotto delle terre e rocce da scavo generate in un sito oggetto di bonifica è permesso quando il sito rientri tra i cantieri di grandi dimensioni, e il cui progetto sia soggetto alle procedure di VIA. Fermi restando gli esiti della caratterizzazione del sito, effettuata ai sensi dell’art. 242 del D.Lvo n. 152/2006, l’utilizzo è consentito anche in un sito diverso solo previa validazione, ad opera dell’Arpa ed entro 60 giorni dalla richiesta, dei requisiti della loro qualità ambientale (di cui all’art. 4), che siano riferiti sia al sito di produzione sia a quello di destinazione.
Diversamente, gli artt. 25 e 26 (Titolo V) regolano la gestione delle terre e rocce generate dall’attività di scavo realizzata nei siti oggetto di bonifica già caratterizzati. In tal caso, il loro utilizzo è sempre consentito all’interno del sito di bonifica, a condizione che sia garantita la conformità delle CSC per la specifica destinazione d’uso o rispetto ai valori di fondo naturale. Tale fattispecie riguarda i siti di bonifica che non rientrano in quelli di cui al Titolo II, pertanto, le relative procedure si applicano ai siti di piccole dimensioni e a quelli di grandi dimensioni non soggetti alle procedure di VIA.
Utilizzo nel sito di produzione delle terre e rocce da scavo escluse dalla disciplina dei rifiuti
Il suolo non contaminato utilizzato nello stesso sito dal quale è stato escavato non rientra, ai sensi dell’art. 185, comma 1, lett. c) del D.L.vo n. 152/2006, nella disciplina dei rifiuti quando “sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato”.
A riguardo, il DPR 120/2017 prevede che, qualora la produzione di terre e rocce avvenga nell’ambito della realizzazione di opere sottoposte a VIA, la sussistenza di tali requisiti dovrà essere valutata in fase di stesura dello Studio di Impatto Ambientale, tramite la presentazione di un “Piano preliminare di utilizzo in sito delle terre e rocce da scavo escluse dalla disciplina dei rifiuti”.
Disciplina del deposito temporaneo delle terre e rocce da scavo qualificate come rifiuti
Il nuovo Regolamento, all’art. 23, modifica la disciplina del deposito temporaneo delle terre e rocce da scavo qualificate come rifiuti. Le modifiche riguardano le terre e rocce da scavo identificate con i codici CER 170504 o 170503*, ed introducono, appunto, condizioni di deposito diverse da quelle previste dall’art. 183, comma 1, lett. bb) del D. L.vo n. 152/2006, in particolare prevedendo maggiori volumi di rifiuti tenuti in deposito.
Il nuovo Regolamento stabilisce, infatti, che le operazioni di recupero o smaltimento devono avvenire, alternativamente:
In ogni caso il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno.
Verifica di non contaminazione
Nonostante nei documenti informativi diffusi dalle Regioni non sia presente un esplicito riferimento alla natura della verifica di non contaminazione, di cui all’art. 24 del DPR, risultano frequenti i riferimenti all’autocertificazione.
Basti, a tal proposito, pensare alle risposte al quesito “La Dichiarazione richiede un’approvazione?”, in merito alle quali sia Arpa Veneto, sia Arpa Piemonte, statuiscono espressamente che la dichiarazione non costituisce una richiesta di autorizzazione, bensì una attestazione del rispetto delle condizioni previste dalla norma sotto la responsabilità del dichiarante, sicché non richiede alcuna approvazione.
L’Arpa Piemonte precisa, già nell’illustrare le generalità e le principali novità del DPR 120/2017, che “la nuova norma prevede che il proponente o il produttore attesti il rispetto dei requisiti di cui all’articolo 4 mediante una “autocertificazione” (Dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ai sensi del DPR 445/2000) da presentare all’Arpa territorialmente competente e al Comune del luogo di produzione (all’autorità competente nel caso di “cantieri di grandi dimensioni”) utilizzando il modello di cui all’Allegato 6”. In seguito, sempre nell’ambito delle FAQ pubblicate sul sito, precisa che non è necessaria l’approvazione esplicita del Piano di Utilizzo, in quanto l’Autorità competente può chiedere chiarimenti o integrazioni entro 30 giorni, eventualmente avvalendosi di Arpa: dopo 90 giorni dalla presentazione del P.U. o delle integrazioni, si può avviare la gestione delle terre e rocce da scavo.
Allo stesso modo, anche l’Arpa Toscana ha scritto, espressamente, che “il Piano di Utilizzo deve essere redatto in conformità alle specifiche dell’allegato 5 e viene trasmesso all’Autorità competente (che autorizza l’opera) e ad Arpa e contiene autocertificazione che attesta i requisiti di sottoprodotto”.
Così anche il Friuli Venezia Giulia, che sintetizza quanto sopra rispondendo con un categorico “No” alla FAQ recante “La dichiarazione richiede un’approvazione?”, specificando che “non si tratta di una richiesta di autorizzazione, ma di un’attestazione del rispetto delle condizioni previste dalla norma sotto la responsabilità del dichiarante”.
Infine, Arpa Piemonte segnala che il produttore “si assume la responsabilità anche penale di rispettare i limiti qualitativi previsti dalla norma, per cui è opportuno che disponga di valide informazioni tecniche a supporto dei dati inseriti nella dichiarazione, da esibire in fase di eventuali controlli. Evidentemente una certificazione analitica che attesti la qualità del materiale è un valido supporto a quanto dichiarato.” Allo stesso modo, successivamente, in risposta al quesito “Cosa deve esibire all’Arpa il soggetto eventualmente controllato?” include nella documentazione anche quella che “supporti la veridicità di quanto dichiarato, tenendo presente che le dichiarazioni non veritiere sono suscettibili, ai sensi dell’art. 76 del DPR 445/2000, di sanzioni penali.” Di conseguenza, si può dedurre che il produttore, assumendosi la responsabilità di quanto inserito nel modulo predisposto per la Dichiarazione, produca una vera e propria autocertificazione.
FAQ
Quanto, invece, a questioni più prettamente tecniche ed operative, è utile il confronto tra i documenti FAQ pubblicati da Veneto, Piemonte, Friuli Venezia Giulia e dalla Provincia Autonoma di Trento, sia con riferimento alle risposte che le rispettive Arpa hanno dato ai medesimi quesiti, sia, e soprattutto, con riferimento ai temi che sono stati affrontati soltanto da una di esse.
Veneto: L’art. 185 comma 1 lett. c) prevede appunto che sia escluso dal campo di applicazione della normativa sui rifiuti il terreno non contaminato riutilizzato allo stato naturale nello stesso sito di produzione, disposizione confermata dall’art. 24 del DPR 120/2017. La non contaminazione va verificata ai sensi dell’Allegato 4 del DPR 120/2017 mediante verifica del rispetto dei limiti di cui alla tabella 1 All. 5 Tit. V p. IV del TUA, e quindi con un prelievo ed analisi dei materiali. La dichiarazione di non contaminazione (autocertificazione) deve essere inviata al comune.
La Provincia di Trento, a sua volta, tratta del tema in via indiretta, rispondendo al seguente quesito:
É obbligatorio caratterizzare il materiale come da Allegato 4 per poterlo riutilizzare in sito (art. 24 )? Si. La norma prevede che la non contaminazione venga verificata ai sensi dell’allegato 4. Per quanto riguarda il set analitico minimo, si rimanda alla relativa FAQ. Nel caso di opere sottoposte a VIA o AIA la norma prevede la presentazione di un Piano preliminare di utilizzo in sito.
Le risposte coincidono: L’art. 2, comma 1, lettera c) riporta la seguente definizione:
c) «terre e rocce da scavo»: il suolo escavato derivante da attività finalizzate alla realizzazione di un’opera, tra le quali: scavi in genere (sbancamento, fondazioni, trincee); perforazione, trivellazione, palificazione, consolidamento; opere infrastrutturali (gallerie, strade); rimozione e livellamento di opere in terra. Le terre e rocce da scavo possono contenere anche i seguenti materiali: calcestruzzo, bentonite, polivinilcloruro (PVC), vetroresina, miscele cementizie e additivi per scavo meccanizzato, purché le terre e rocce contenenti tali materiali non presentino concentrazioni di inquinanti superiori ai limiti di cui alle colonne A e B, Tabella 1, Allegato 5, al Titolo V, della Parte IV, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, per la specifica destinazione d’uso.
Veneto: citazione dell’allegato 3 del DPR 120/2017, “in particolare:
Piemonte: Rimanda, innanzitutto, alle pratiche definite al “punto o) del comma 1 dell’art. 2 del DPR come “finalizzate al miglioramento delle caratteristiche merceologiche per renderne l’utilizzo maggiormente produttivo ed efficace.” Mentre, con riferimento alle operazioni più comunemente effettuate, di cui all’Allegato 3 del DPR, aggiunge che “l’elenco non pare esaustivo, e quindi potrebbe lasciare spazio a valutazioni di proposte diverse nell’ambito di singoli cantieri”.
Non è, tuttavia, specificato se tale lacunosità sia riferibile all’esclusione del trattamento a calce, scelta, stando alla documentazione predisposta da Arpa Toscana, conseguente ai quesiti mossi dalla Commissione Europea nell’ambito della procedura Pilot n. 5554/13 avviata nei confronti dell’Italia, sull’assunto per cui si tratterebbe di un’operazione di trattamento dei rifiuti estranea alla normale pratica industriale.
Le risposte coincidono: Sì; il comma 1 dell’art. 21 del DPR 120/2017 prevede che la dichiarazione obbligatoria da inviare ad Arpa deve contenere gli estremi delle autorizzazioni per la realizzazione delle opere.
Arpa Friuli aggiunge: nel caso in cui la realizzazione dell’opera ricada in procedure che non prevedono un’espressione dell’autorità competente di cui alla L.R. 19/2009 e s.m.i. è necessario comunque inserire i riferimenti relativi all’autorità e all’abilitazione o alla comunicazione rilevanti ai fini dell’esecuzione dell’opera. Già con la normativa previgente ARPA ha rilevato che nell’ambito di alcuni procedimenti abilitativi i Comuni chiedevano di presentare la dichiarazione per le terre e rocce da scavo in fase autorizzativa. Ai sensi dell’art. 21 del D.P.R. 120/2017 la dichiarazione va inviata solo successivamente all’autorizzazione dell’opera, o nel caso delle procedure che non prevedono un’espressione dell’autorità competente di cui alla L.R. 19/2009 e s.m.i. inserendo i riferimenti relativi all’autorità e all’abilitazione o alla comunicazione rilevanti ai fini dell’esecuzione dell’opera.
Veneto: In adempimento a quanto previsto dall’art. 11 del DPR 120/2017, i valori che superano i limiti tabellari ma sono più bassi dei valori di fondo naturale definiti da ARPAV per i suoli del Veneto e pubblicati nel volume “Metalli e metalloidi nei suoli del Veneto” scaricabile anche dal sito internet di ARPAV, possono essere considerati non contaminati purché siano riutilizzati nella stessa unità deposizionale/fisiografica così come definita nel volume sopraccitato, o in un’altra unità con valori di fondo maggiori o uguali, o, in alternativa, potranno essere riutilizzati in aree ad uso commerciale e industriale qualora i valori riscontrati siano inferiori alle CSC di colonna B. È escluso un riutilizzo in aree diverse.
Piemonte: Premesso che la procedura di cui al predetto art. 11 è analoga sia per i grandi che per i piccoli cantieri, il proponente deve segnalare il superamento ai sensi dell’art. 242 del D.L.vo n. 152/2006, e presentare all’Arpa un piano di indagine, che egli dovrà poi eseguire. Tale piano può fare riferimento anche ai dati pubblicati e validati dall’Arpa relativi all’area oggetto di indagine. Sulla base delle risultanze del piano, nonché di altri dati disponibili, è l’Arpa stessa a definire i valori di fondo, sulla base dei quali il proponente presenta il Piano di utilizzo o l’autodichiarazione. Il riutilizzo deve avvenire nell’ambito del sito di produzione o di un sito avente comunque caratteristiche analoghe in termini di concentrazione di tutti i parametri oggetto di superamento dei limiti.
Ha risposto in maniera analoga ad Arpa Piemonte anche Arpa Toscana, nella prima lettura applicativa pubblicata sul sito.
Veneto e Trento: Secondo quanto prevede l’art. 4 comma 3 del DPR 120/2017 “Nei casi in cui le terre e rocce da scavo contengano materiali di riporto, la componente di materiali di origine antropica frammisti ai materiali di origine naturale non può superare la quantità massima del 20% in peso, da quantificarsi secondo la metodologia di cui all’allegato 10. Oltre al rispetto dei requisiti di qualità ambientale di cui al comma 2, lettera d), le matrici materiali di riporto sono sottoposte al test di cessione, effettuato secondo le metodiche di cui al DM 5 febbraio 1998, per i parametri pertinenti, ad esclusione del parametro amianto, al fine di accertare il rispetto delle concentrazioni soglia di contaminazione delle acque sotterranee, di cui alla Tabella 2, Allegato 5, al Titolo 5, della Parte IV, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, o, comunque, dei valori di fondo naturale stabiliti per il sito e approvati dagli enti di controllo”. Trento aggiunge, infine, che se la presenza di materiali di origine antropica supera il 20%, il materiale non può essere gestito come sottoprodotto.
Piemonte: Tratta solo dell’obbligo di effettuare il test di cessione anche nel caso di utilizzo in altro sito: Il test di cessione introdotto dall’art. 41, comma 3, del dl 69/2013, così come convertito nella legge 98/2013, è previsto in applicazione dell’art. 185, comma 1, lettere b) e c), del D.L.vo n. 152/2006. In generale, quando le terre e rocce da scavo sono gestite come sottoprodotti, come nel caso dell’art. 20 del DPR, il test di cessione è necessario. Anche in assenza di materiali di riporto, una delle condizioni imposte dall’art. 20, comma 1, del DPR per il possibile utilizzo come sottoprodotti dei materiali da scavo è che gli stessi non costituiscano fonte di contaminazione diretta o indiretta per le acque sotterranee; in questo caso il test di cessione rappresenta un possibile strumento di verifica diretta.
Veneto: Qualora il progetto preveda il riutilizzo integrale del terreno scavato allo stato naturale all’interno dello stesso cantiere di produzione si applica la clausola di esclusione di cui all’art. 185 del D. L.vo n. 152/2006, purché il materiale sia non contaminato e riutilizzato allo stato naturale. In questo caso è prevista la compilazione dell’Autocertificazione predisposta dalla Regione Veneto (Circolare n. 127310 del 25/3/2014) e l’invio solamente al comune in cui si trova il sito di produzione.
Piemonte: Normalmente il riutilizzo nello stesso sito rientra tra le esclusioni dall’ambito di applicazione della normativa sui rifiuti, ai sensi dell’art. 185, comma 1, lettera c) del D. L.vo n. 152/2006 e, in questi casi, non si deve presentare all’Arpa la dichiarazione.
Risulta però importante tenere presenti, ai fini dell’applicazione di questo articolo, le modifiche introdotte dall’art. 41, comma 3, del DL 69/2013, all’art. 3 del DL 2/2012. Tali modifiche riguardano, in particolare, il comportamento da tenere in presenza di materiali di riporto, con obbligo di effettuare il test di cessione di cui al DM 5/2/1998.
È comunque facoltà del produttore applicare il DPR anche nel caso del riutilizzo nello stesso sito: l’art. 4, comma 2, del DPR prevede, infatti, che l’utilizzo possa avvenire “nel corso dell’esecuzione della stessa opera nella quale è stato generato o di un’opera diversa”. Si tratta, quindi, di una scelta a totale carico del produttore, fatta spesso in funzione dei quantitativi in gioco e della possibilità di gestire all’interno del cantiere grosse volumetrie di materiali.
Friuli: Seppur non sia in tal caso previsto, dall’art. 24 del D.P.R., l’invio della dichiarazione, ARPA FVG ritiene comunque opportuno l’invio della dichiarazione se le terre e rocce da scavo, pur utilizzate nello stesso sito, vengono allocate temporaneamente in un deposito intermedio fuori dai confini del sito.
Le risposte sono le medesime: Sì, con l’aggiornamento della dichiarazione (per Arpa Veneto “sempre utilizzando l’applicativo web Terre e rocce da scavo raggiungibile dalla pagina Suolo/Terre e rocce da scavo del sito internet di ARPAV”). Ai sensi del comma 3 dell’art. 21 del DPR, infatti, la modifica sostanziale deve essere segnalata al Comune del luogo di produzione e all’Arpa competente. Decorsi 15 giorni dalla trasmissione della dichiarazione aggiornata, le terre e rocce possono essere gestite in conformità alla dichiarazione aggiornata.
Veneto e Friuli specificano, inoltre, che qualora la variazione riguardi il sito di destinazione o il diverso utilizzo delle terre e rocce da scavo, l’aggiornamento della dichiarazione può essere effettuato per un massimo di due volte, fatte salve eventuali circostanze sopravvenute, impreviste o imprevedibili.
Sul punto, Friuli e Trento precisano, altresì, che ai sensi del comma 4 dell’art. 21 del D.P.R. 120/2017 i tempi previsti per l’utilizzo utilizzo (dati inseriti nella riga “data presunta di ultimazione attività di utilizzo”), possono essere prorogati una sola volta e per la durata massima di sei mesi, inviandone specifica comunicazione motivata al comune del luogo di produzione e ad ARPA. Arpa Friuli ritiene, poi, che detta modifica vada inviata anche all’autorità competente qualora diversa dal comune del luogo di produzione. Aggiunge, infine, che costituiscono modifica sostanziale:
Diversamente, come specificato dalla Provincia di Trento, per quanto riguarda le date di inizio e fine scavo, trattandosi di modifiche non sostanziali, queste possono essere effettuate anche più di due volte; quanto alla riduzione dei quantitativi scavati, invece, pur non costituendo modifica sostanziale, ed in assenza di una previsione all’interno del DPR in commento che ne prescriva la comunicazione, Trento ritiene opportuno comunque aggiornare il DU per mantenere la veridicità di quanto dichiarato.
Le risposte coincidono: Sì, ai sensi dell’art. 71, comma 3, del DPR 445/2000, qualora la dichiarazione presenti delle irregolarità o delle omissioni rilevabili d’ufficio, non costituenti falsità, l’Autorità competente e Arpa ne danno notizia all’interessato (e al Comune competente) che deve regolarizzare o completare la dichiarazione. Arpa Friuli aggiunge, poi, che ARPA ne dà notizia all’Autorità competente.
Dalla lettura combinata delle risposte fornite da Veneto, Piemonte e Friuli emerge che ai sensi dell’art. 71, comma 1, del DPR 445/2000, e sulla base di una programmazione annuale, secondo quanto previsto dal comma 6 dell’art. 21 del DPR 120/2017, ARPA deve effettuare controlli, anche a campione e in tutti i casi in cui sorgano dubbi sulla veridicità di quanto dichiarato. Arpa Friuli specifica che ad ARPA spetta il compito di controllo per l’accertamento del rispetto degli obblighi assunti nelle dichiarazioni attraverso l’esecuzione di ispezioni, controlli, prelievi e verifiche con oneri a carico del produttore. La veridicità delle dichiarazioni verrà dalla stessa verificata preventivamente alle attività di ispezione, controllo, prelievo e verifica. Incompletezze rilevabili d’ufficio nelle dichiarazioni verranno rese da ARPA all’autorità competente. Il soggetto eventualmente controllato sarà tenuto a fornire all’Arpa la documentazione che attesti la regolarità dell’opera da cui originano i materiali da scavo e di quella in cui vengono riutilizzati (cioè le autorizzazioni), e la documentazione tecnica che supporti la veridicità di quanto dichiarato, tenendo presente che le dichiarazioni non veritiere sono suscettibili, ai sensi dell’art. 76 del DPR 445/2000, di sanzioni penali.
Piemonte aggiunge: L’Arpa può, inoltre, fare controlli su richiesta del proponente in fase di predisposizione del Piano, o dopo che esso è stato trasmesso. Su tutte le dichiarazioni l’Autorità competente effettua un controllo sulla sussistenza dei requisiti di cui all’art. 4 e sulla completezza dei dati obbligatori (presenza della fotocopia del documento di identità, anagrafiche, dati autorizzativi sui siti di produzione e riutilizzo, quantità previste, tempi, qualità dei materiali,…), condizione indispensabile per la validità della dichiarazione stessa; Arpa effettua i controlli necessari ad accertare il rispetto degli obblighi assunti nella dichiarazione. Ai sensi dell’art. 21, comma 6, del DPR 13 giugno 2017, le Agenzie “effettuano, secondo una programmazione annuale, le ispezioni, i controlli, i prelievi e le verifiche necessarie ad accertare il rispetto degli obblighi assunti nella dichiarazione. L’onere economico derivante dalle svolgimento delle attività di controllo è a carico del produttore. I controlli sono disposti anche con metodo a campione o in base a programmi settoriali, per categorie di attività o nelle situazioni di potenziale pericolo comunque segnalate o rilevate.”
11. Cosa succede se il controllo dimostra che i materiali da scavo non rispettano i requisiti della norma?
Piemonte e Friuli concordano: Decadono le condizioni per poter considerare gli stessi come dei sottoprodotti, per cui le terre e rocce rientrano nella normativa sui rifiuti, la cui violazione è soggetta alle relative sanzioni, sia di carattere amministrativo che penale. Inoltre, al dichiarante potrebbero essere imputate delle sanzioni penali nel caso in cui venga riconosciuto colpevole di dichiarazione non veritiera o di falsità negli atti ai sensi dell’art. 76 del DPR 445/2000.
12. A chi deve essere inviata la dichiarazione?
Veneto: Tutte le dichiarazioni relative al riutilizzo dei materiali di scavo al di fuori del cantiere di produzione (prima comunicazione, eventuali modifiche e dichiarazione di fine lavori) vanno inviate via Posta Elettronica Certificata ad ARPAV- Servizio Osservatorio Suolo e Bonifiche (indirizzo PEC: terrerocce@pec.arpav.it) e al comune in cui ricade il sito di produzione delle terre e, se diverso, al comune in cui ricade il sito di destinazione.
Friuli: L’ art. 21 comma 1, prevede che la dichiarazione venga inviata, anche solo in via telematica: al Comune del luogo di produzione e all’ARPA territorialmente competente. La dichiarazione va, inoltre, inviata all’autorità competente, così come definita all’art. 2 del D.P.R. 120/2017 (l’autorità che autorizza la realizzazione dell’opera nel cui ambito sono generate le terre e rocce da scavo) qualora diversa dal comune del luogo di produzione. ARPA FVG ritiene opportuno che copia della dichiarazione venga inviata anche al comune del sito del deposito intermedio e al comune del sito di destinazione.
13. Il Piano di Utilizzo contenente anche la Dichiarazione può essere inviato per PEC?
Piemonte e Friuli danno la medesima risposta: L’art. 9, comma 1 del D.P.R. prevede che il P.U. sia inviato “per via telematica”. Quindi la PEC è l’unico modo di trasmissione del Piano di Utilizzo, che deve contenere la Dichiarazione di cui all’art. 9, comma 2 del DPR. Il DPR 445/2000 prevede due modalità di presentazione della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, cioè che la dichiarazione possa:
– “essere sottoscritta dall’interessato in presenza del personale addetto,
– ovvero sottoscritta e presentata unitamente alla fotocopia non autenticata di un documento di identità valido del sottoscrittore”.
Risulta evidente che nel secondo caso il documento può essere inviato per PEC e che tale forma, in ossequio ai principi di smaterializzazione degli atti, sia preferibile rispetto alla prima. Poiché il P.U. deve essere inviato per via telematica, anche l’allegata dichiarazione sarà inviata con lo stesso mezzo. (Gli indirizzi di PEC dei dipartimenti Arpa Piemonte sono reperibili sul sito istituzionale all’indirizzo: http://www.arpa.piemonte.it/chisiamo/organizzazione/dipartimenti-provinciali).
Analoga è la risposta al quesito specifico per l’invio PEC della Dichiarazione nel caso di cantieri di piccole dimensioni e di cantieri di grandi dimensioni non sottoposti a VIA o AIA.
Sul punto, Arpa Friuli aggiunge un ulteriore quesito:
“La dichiarazione deve essere integrata con documentazione tecnica?” No; i documenti tecnici verranno richiesti da ARPA, o da altro organo di vigilanza in fase di eventuale controllo.
14. I materiali da scavo devono essere sottoposti ad analisi?
Piemonte: Per quanto riguarda i “cantieri di grandi dimensioni” le analisi vengono fatte nell’ambito della caratterizzazione ambientale effettuata in conformità agli allegati 1 e 2. Viceversa, per i cantieri di piccole dimensioni e cantieri di grandi dimensioni non sottoposti a Via e AIA non esiste un obbligo esplicito in tal senso, tuttavia il dichiarante si assume la responsabilità (anche penale) di rispettare i limiti qualitativi previsti dalla norma, per cui è opportuno che disponga di valide informazioni tecniche a supporto di quanto dichiarato, da esibire in fase di eventuali controlli. La dimostrazione del rispetto dei limiti può avvenire anche attraverso conoscenze pregresse certe e affidabili sul sito stesso, legate alla sua storia o a precedenti indagini ambientali sul sito o in prossimità di esso. Si ricorda, infatti, che, in base a quanto prescritto dal comma 1 dell’art. 20 del DPR, il produttore deve “dimostrare” il rispetto dei limiti tabellari ed è perciò opportuno che disponga di una certificazione analitica; in ogni caso, il dichiarante si assume la responsabilità (anche penale) del rispetto di tali limiti. Risulta, inoltre, importante porre attenzione anche ai possibili superamenti dovuti a valori di fondo naturale, sia sul sito di produzione che su quello di destinazione.
Friuli: Dal combinato disposto degli artt. 2, comma 1, lettera e), dell’art. 4 e dell’Allegato 4 appare evidente che la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 4, e specificatamente riferito al comma 2, lettera d) “soddisfano i requisiti di qualità ambientale espressamente previsti dal Capo II o dal Capo III del presente regolamento, per le modalità di utilizzo di cui alla lettera b)”, sono attestati/dimostrati previa esecuzione di caratterizzazione chimico-fisica e pertanto attraverso analisi di laboratorio.
Si precisa che le analisi devono essere eseguite in fase preventiva alla presentazione della dichiarazione, fatti salvi i casi in cui sia comprovata l’impossibilità di eseguire un’indagine ambientale propedeutica alla realizzazione dell’opera da cui deriva la produzione di terre e rocce, come indicato all’Allegato 9. Atteso che le specifiche relative alle procedure di campionamento in fase di progettazione si riferiscono ai sensi dell’Allegato 2 all’art. 8, e, di conseguenza, ai piani di utilizzo previsti per le grandi opere sottoposte a VIA o AIA, ARPA FVG sta predisponendo degli appositi indirizzi operativi relativi alle procedure di campionamento ed analisi per l’accertamento dei requisiti di qualità ambientale cui all’art. 4 nel caso dei cantieri di piccole dimensioni (< 6000 mq).
15. Quali sono le modalità di campionamento e analisi?
Piemonte: Le modalità di campionamento ed analisi per definire le caratteristiche ambientali delle terre e rocce da scavo, e verificare il rispetto dei criteri definiti dall’art. 4 del DPR, sono quelli riportati nell’Allegato 4 del DPR stesso e valgono per tutte le tipologie di cantieri. Le procedura di campionamento e di caratterizzazione ambientale riportate negli Allegati 1, 2, 4 e 9 Parte A del DPR sono sostanzialmente analoghe alle procedure già previste nel D.M. 161/2012, ad eccezione di alcune precisazioni contenute in Allegato 4 in merito alla casistica che prevede l’utilizzo di additivi particolari contenenti sostanze non ancora ricomprese nella Tabella 1 della sezione bonifiche; in questi casi è prevista una richiesta di parere all’Istituto Superiore di Sanità e all’ISPRA. Cambia anche la formulazione in Allegato 4 relativa a due casi particolari:
Quanto ai parametri da analizzare, Trento dichiara che, facendo riferimento a quanto previsto dall’allegato 4 del DPR, secondo l’APPA deve essere fatta una valutazione caso per caso in funzione della storia e dell’ubicazione del sito, includendo comunque come parametri minimi da analizzare i metalli e gli idrocarburi C>12. Con riferimento a quanti campioni debbano essere prelevati, poi, aggiunge che nel caso di opere non sottoposte a VIA o AIA la norma non dà indicazioni in merito, sicché dovrà essere valutato caso per caso il numero di campioni rappresentativo dei volumi scavati da sottoporre ad analisi chimica.
16. Con quale documento di trasporto viene accompagnato il trasporto delle terre e rocce da scavo qualificate come sottoprodotti fuori dal sito intermedio?
Piemonte, Friuli e Trento segnalano che l’art. 6 presenta il documento di trasporto indicato nell’Allegato 7, pensato per il trasporto dal sito di produzione al sito di destinazione o al sito di deposito intermedio.
Non è previsto un analogo modulo per il trasporto dal sito di deposito intermedio al sito di destinazione. Essendo evidentemente necessario disporre di un documento di trasporto anche in uscita dal deposito intermedio verso il sito di destinazione, si ritiene possibile utilizzare il documento riportato in Allegato 7, modificando opportunamente la Sezione A. Più precisamente, Trento dichiara che, nel caso di trasporto da deposito provvisorio a sito di destinazione, nella “sezione A” dell’allegato 7 come sito di produzione si deve intendere il sito di deposito provvisorio. Il sito di origine del materiale rimane individuabile dalla data e numero di protocollo indicati nella casella: “Estremi del piano di utilizzo o delle dichiarazione di cui all’articolo 21”.
Friuli e Trento, inoltre, ritengono che il modulo vada compilato per ogni trasporto dal sito di produzione al sito di destinazione o al sito di deposito intermedio.
Temi approfonditi da Arpa Veneto
Sì, può essere indicato nello spazio della via come foglio e mappale delle particelle interessate.
Va indicato il periodo necessario all’impiego del materiale sul suolo cioè la durata dei lavori.
Le modalità di trasmissione ad ARPAV delle dichiarazioni e dei risultati delle verifiche analitiche sono indicate all’indirizzo http://www.arpa.veneto.it/temi-ambientali/suolo/terre-e-rocce-da-scavo.
Spesso si riscontra l’obbligo imposto da alcuni comuni (ad es. nell’ambito dei procedimenti SUAP) di presentare la dichiarazione obbligatoria per le terre e rocce da scavo insieme con la documentazione di richiesta del permesso a costruire. In realtà la dichiarazione deve essere inviata una volta ottenuto il permesso, secondo quanto previsto dall’art. 21 del DPR 120/2017. Nell’impossibilità di procedere in questo modo si potrà compilare la dichiarazione di utilizzo indicando nell’autorizzazione “in attesa del rilascio dell’autorizzazione”; una volta ottenuta l’autorizzazione la dichiarazione deve essere modificata riportando gli estremi dell’atto di autorizzazione.
E’ necessario comunque l’invio del modello firmato (scansione o file firmato digitalmente) all’indirizzo PEC terrerocce@arpa.veneto.it.
La variazione della quantità in aumento rispetto alle previsioni ha conseguenze anche sull’utilizzo presso il sito di destinazione e, pertanto, rappresenta comunque una modifica che deve essere comunicata, così come variazioni della durata prevista, del sito di deposito intermedio, per modifica o aggiunta di siti di destinazione.
L’art. 27 del DPR 120/2017 prevede che i piani e progetti approvati prima dell’entrata in vigore del DPR 120/2017 restano disciplinati dalla relativa normativa previgente.
Il materiale da scavo può essere riutilizzato come sottoprodotto ai sensi dell’art. 20 del DPR 120/2017 solamente nel rispetto dei 4 requisiti indicati all’art.4 del medesimo, il primo dei quali è “…il loro riutilizzo…si realizza…nel corso dell’esecuzione di opere…o in processi produttivi...”; pertanto se, come nel caso indicato, il materiale è già stato scavato e depositato senza che fosse preventivamente definita la destinazione, il requisito di cui sopra non è rispettato ed il materiale non può essere gestito come sottoprodotto ma solo come rifiuto.
Chi intende riutilizzare le terre da scavo per destinazione a recuperi, ripristini, rimodellamenti, riempimenti ambientali o altri utilizzi su/ suolo, deve dimostrare che non sono superati i valori delle concentrazioni soglia di contaminazione di cui alle colonne A e B della tabella 1 dell’allegato 5 alla parte IV del D. L.vo n. 152 del 2006, con riferimento alle caratteristiche delle matrici ambientali e alla destinazione d’uso urbanistica del sito di destinazione. Poiché tale dimostrazione è possibile solo avendo a disposizione i valori di concentrazione dei potenziali contaminanti nel terreno da scavare, l’analisi deve essere sempre fatta quando il terreno è destinato a riutilizzo in un sito diverso da quello di produzione.
Compilando il modello di autocertificazione per mezzo dell’applicativo web Terre e rocce da scavo raggiungibile dalla pagina http://www2.arpa.veneto.it/terrerocce/ vengono trasmessi i risultati analitici ad ARPAV.
No, non ha senso inviare la dichiarazione se non viene indicato il sito di riutilizzo o l’impianto di conferimento. Infatti, secondo l’art. 4 del DPR 120/2017, le terre e rocce da scavo possono essere considerate sottoprodotto se il loro utilizzo si realizza nel corso dell’esecuzione della stessa opera o di altre opere di reinterri, riempimenti, rimodellazioni, rilevati, miglioramenti fondiari o viari, recuperi ambientali o in processi produttivi in sostituzione di materiali di cava.
No, la dichiarazione va inviata solo nel caso si intenda riutilizzare le terre come sottoprodotto; se le terre sono avviate a smaltimento le movimentazioni sono gestite con la documentazione prevista per i rifiuti.
No, in questo caso è previsto un nulla osta da parte di ARPAV secondo le seguenti fasi:
1) Invio da parte del proponente ad ARPAV Servizio Osservatorio Suolo e Bonifiche (all’indirizzo terrerocce@pec.arpav.it) della modulistica e del database previsti dalla normativa in tema di gestione delle terre e rocce da scavo almeno 15 giorni prima dell’inizio lavori per il materiale scavato nel sito oggetto di miglioramento, unitamente a copia dell’analoga modulistica/database relativa ai materiali scavati in altri siti e destinati al riutilizzo nel sito oggetto di miglioramento fondiario.
2) Verifica da parte di ARPAV Servizio Osservatorio Suolo e Bonifiche della completezza dell’indagine ambientale eseguita presso i siti di produzione delle terre. Nel caso venissero riscontrate delle carenze informative o documentali potranno essere richieste integrazioni, con la sospensione dei tempi del procedimento, al richiedente.
3) Comunicazione al richiedente, entro 30 giorni dal ricevimento della documentazione, del nulla osta di ARPAV relativo alla completezza dell’indagine ambientale eseguita presso i siti di produzione delle terre”.
L’impianto di vagliatura può essere una delle possibili destinazioni qualora il terreno contenga anche degli inerti da vagliare (ghiaia, pietrame o materiali di riporto o simili); se si tratta di terra fine (limi, argille) la destinazione non è plausibile. Secondo il DPR 120/2017 (Allegato 4) il riutilizzo in processo produttivo è possibile solo nel caso in cui il processo preveda la produzione di prodotti merceologicamente ben distinti dalle terre e rocce.
Il DPR 120/2017 Allegato 4 prevede che: “Il riutilizzo in impianti industriali quale ciclo produttivo di destinazione delle terre e rocce da scavo in cui la concentrazione di inquinanti è compresa tra i limiti di cui alle colonne A e B, Tabella 1, Allegato 5, al Titolo V, della Parte IV, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, è possibile solo nel caso in cui il processo industriale di destinazione preveda la produzione di prodotti o manufatti merceologicamente ben distinti dalle terre e rocce da scavo e che comporti la sostanziale modifica delle loro caratteristiche chimico-fisiche iniziali.”
Per la gestione come terre e rocce da scavo ai sensi dell’art. 20 del DPR 120/2017 il riutilizzo nel modo indicato equivale a vivaio=deposito intermedio e cliente vivaio=sito di destinazione; se il sito di destinazione non è determinabile questa procedura di riutilizzo non è applicabile, il vivaio si deve adeguare reperendo la terra di volta in volta presso cantieri che ne hanno disponibilità. L’invio a processo produttivo vale solo per materiali assimilabili a prodotti di cava utilizzati per la produzione di inerti. Secondo il DPR 120/2017 Allegato 4 il riutilizzo in processo produttivo è possibile qualora preveda la produzione di prodotti o manufatti merceologicamente ben distinti dalle terre e rocce da scavo.
Basta indicare che si tratta di intervento di edilizia libera dopo aver verificato presso gli uffici comunali che l’intervento richiesto non prevede specifici adempimenti.
La più recente normativa prevede espressamente “l’accertamento del rispetto dei limiti col. A, tab. 1, All. 5, Titolo V, Parte IV del D. Lgs. 152/2006” nel caso di riutilizzo in altro sito, e quindi di comunicazione mediante dichiarazione di utilizzo. In questo caso è necessaria l’analisi di un campione prelevato dal materiale che si prevede di scavare.
Sì, a condizione che il/i campione/i eseguito/i sia/siano prelevato/i in modo da essere il più possibile rappresentativo/i della massa di terreno oggetto di indagine e che le indagini risalgano a non più di due anni.
Temi approfonditi da Arpa Piemonte
Se le terre e rocce rientrano nei limiti di cui alla Colonna A della Tabella 1 della normativa sulle bonifiche, possono essere utilizzate senza alcun vincolo particolare.
Se invece sono comprese tra la Colonna A e la Colonna B, l’uso in impianti industriali è possibile solo nel caso in cui il processo industriale di destinazione preveda la produzione di prodotti o manufatti merceologicamente ben distinti dalle terre e rocce da scavo e che comporti la sostanziale modifica delle loro caratteristiche chimico-fisiche iniziali.
Gli oneri economici di tutti i controlli previsti ai sensi dei commi 7, 8 e 9 dell’art, 9 del DPR sono sempre a carico del proponente, come pure le attività previste per l’Arpa nel caso di fondo naturale o di siti oggetto di bonifica (Così specificato anche da Arpa Friuli nell’ambito del quesito n. 10 delle FAQ comuni alle varie Regioni “Arpa deve effettuare controlli?”, al quale, pertanto, si rimanda).
L’art. 13 del DPR prevede che, qualora l’Arpa non provveda nei termini stabiliti, su richiesta e con oneri a carico del proponente, le attività previste dagli articoli 10, 11, 12 e 20 possano essere eseguite anche da altri organi o enti pubblici adeguatamente qualificati, che dovranno essere individuati con Decreto Ministeriale entro 60 giorni dall’entrata in vigore del DPR
Per quanto riguarda i controlli ai sensi dell’art. 9 comma 7 e art. 21, comma 6, del DPR 13 giugno 2017, con costi a carico del produttore, sì, l’Arpa è l’unico soggetto indicato dalla norma. Per quanto riguarda in senso più generale i controlli su questa ed altre norme ambientali, ovviamente no, come ricordato dall’art. 28 del DPR 13 giugno 2017. Controlli sulla corretta applicazione della normativa, che si configura comunque come una normativa di favore nell’ambito della gestione dei rifiuti, possono essere effettuati da tutti i soggetti abilitati ai controlli ambientali (Carabinieri Forestali, Carabinieri, Finanza, Ispettori Provinciali, Polizia Municipale, e così via).
Temi approfonditi dalla Provincia Autonoma di Trento
Solo ed esclusivamente il produttore, ovvero il soggetto la cui attività materiale produce le terre e rocce da scavo (rif. art. 21 c. 1).
Si.
Il termine di validità si ricava dalla data indicata nella sezione E nella riga “data presunta di ultimazione attività di utilizzo”. Nel caso di più siti di utilizzo deve essere inserita la data relativa al completamento dei lavori di utilizzo del sito che presenta la durata maggiore.
I materiali scavati devono essere utilizzati entro un anno dalla data di produzione, salvo il caso in cui l’opera nella quale trovano impiego abbia un tempo di realizzazione superiore. Per esempio nel caso di utilizzo presso un impianto di lavorazione, la DU deve indicare la data di inizio degli scavi e di ultimazione degli scavi in funzione di quanto si prevede di portare entro l’anno presso l’impianto, reiterando la comunicazione ogni anno in relazione ai quantitativi che si prevede di gestire.
La sezione D deve essere compilata tante volte, quanti sono i siti di destino.
La sezione E va compilata una sola volta anche nel caso di più schede D. In particolare, la “Data di presunta ultimazione attività di utilizzo” deve essere riferita all’utilizzo che prevede i tempi più lunghi.
Si. La segreteria di regola trasmette la ricevuta di protocollazione per ogni modulo ricevuto, in analogia con quanto precedentemente fatto per i MOD1/MOD2.
Non vi sono istruzioni specifiche nella norma, basta indicazione generica dell’impianto (impianto di lavorazione inerti, impianto presso attività estrattiva) e dei prodotti (sabbia, ghiaia, etc.).
In attesa della modifica dell’Allegato 6 da parte del Ministero, l’APPA ha predisposto una pagina integrativa in cui inserire tali informazioni che costituiscono un errore materiale nel modulo originale. La pagina è posizionata in fondo all’ultima pagina dell’Allegato 6 scaricabile dal sito APPA.
In attesa della modifica dell’allegato 6 da parte del Ministero, l’Appa ha predisposto una pagina integrativa in cui inserire tali informazioni che costituiscono un errore materiale nel modulo originale. La pagina è posizionata in fondo all’ultima pagina dell’Allegato 6 scaricabile dal sito APPA.
In entrambi i casi è un dato doppio, in quanto già richiesto nelle precedenti sezioni del modulo. Nella sezione E si ritiene che sia più appropriato comunque indicare gli estremi dell’atto autorizzativo relativo al sito di destino, correlato alla “data presunta di ultimazione attività di utilizzo” inserita nella riga precedente.
Deve essere inserito il volume in metri cubi del materiale da scavo che si prevede di gestire come sottoprodotto, calcolato in base alle sezioni di progetto e tenendo conto dell’aumento volumetrico relativo alla natura del materiale scavato.
No, i moduli sono modificabili solo con decreto ministeriale.
No.
Nella dichiarazione è prevista la possibilità di inserire un solo sito o un solo impianto di lavorazione. Nel caso di più siti o impianti andranno compilati più volte i punti 1) o 2), a seconda del caso, relativi ai diversi siti di utilizzo, presenti nella parte dichiarativa del modulo.
Ferme restando le imprescindibili condizioni di urgenza e contingibilità, il sindaco può emettere ordinanza contingibile ed urgente ai sensi dell’art. 91 del TULP per consentire il “ricorso temporaneo a speciali forme di smaltimento dei rifiuti […] o, comunque a speciali interventi al fine di rimuovere le situazioni di pericolo per la salute pubblica o per l’ambiente”. Nell’ordinanza verrà demandato ad un tempo successivo la gestione dei materiali (come sottoprodotti o rifiuti secondo le norme vigenti) a partire dal sito di deposito provvisorio, indicando un arco temporale congruo entro cui valutare e decidere la destinazione del materiale.
No, a meno che non siano correlati alla realizzazione di un’opera (briglia, difesa spondale, etc.) perché il nuovo DPR si applica solo ai materiali scavati nell’ambito della realizzazione di un’opera.
Si. I materiali derivanti da scavo in alveo possano essere gestiti come sottoprodotti, come già previsto in via transitoria dall’art. 39 comma 13 del d.lgs. 205/2010, il quale prevedeva che “Le norme di cui all’art. 184-bis (sottoprodotti) si applicano anche al materiale che viene rimosso, per esclusive ragioni di sicurezza idraulica, dagli alvei dei fiumi, laghi e torrenti”. Di conseguenza si ritiene che possa essere fatto riferimento al regolamento sui sottoprodotti del D.M. n. 264 del 13 ottobre 2016 e relativa circolare esplicativa del Ministero (ns. prot. n. 303880 del 31/05/2017).
Vale la deliberazione 1666 del 2009 in base alla quale i valori riscontrati rappresentano le nuove CSC.
Le terre e rocce da scavo non devono costituire fonte di contaminazione per le acque sotterranee (art.20) e quindi andrà valutato caso per caso, in base alla natura dei suoli presenti nel sito di origine e delle caratteristiche idrogeologiche del sito di destino, la necessità di eseguire tale test.
Per approfondire il tema, ti segnaliamo questo stralcio di video di Stefano Maglia, nel quale si analizza la situazione riguardante la gestione delle “terre e rocce da scavo” nel 2024. Il video integrale lo puoi trovare in esclusiva nella Membership TuttoAmbiente.
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