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Terre e rocce da scavo: quale modulistica per i progetti non ancora approvati?
di Sabrina Suardi
Categoria: Rifiuti
L’art. 27 del recente D.P.R. 120/2017 – recante la nuova disciplina della gestione delle terre e rocce da scavo – è dedicato alle disposizioni intertemporali transitorie e finali e, in pochi mesi dalla sua entrata in vigore il 22 agosto 2017, la sua applicazione ha già posto rilevanti problemi operativi.
Ma andiamo per gradi.
Come anticipato, dal 22 agosto 2017 è entrato in vigore il D.P.R. 120/2017, ovvero il “Regolamento recante la disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo, ai sensi dell’articolo 8 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164”, che ha profondamente cambiato la disciplina delle terre e rocce da scavo, abrogando (art. 31) l’intera disciplina precedente contenuta nel D.M. 161/2012 oltre all’art. 184-bis, comma 2-bis, del D.L.vo 152/2006 e agli artt. 41, comma 2 e 41-bis del D.L. 69/2013, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98.
Con il fine di assicurare gli obiettivi di razionalizzazione e semplificazione delle modalità di utilizzo delle terre e rocce da scavo, il nuovo Regolamento rappresenta oggi l’unico strumento normativo applicabile per consentire l’utilizzo delle stesse come sottoprodotti, provenienti sia da grandi che da piccoli cantieri, compresi quelli finalizzati alla costituzione o alla manutenzione di reti e infrastrutture.
L’obiettivo principale è quello di agevolare e incrementare il ricorso alla gestione delle terre e rocce da scavo come sottoprodotti, semplificando le procedure e riducendo gli oneri documentali.
Non sempre, tuttavia, il legislatore è riuscito a centrare tutti gli obiettivi prefissati[1]. Abbiamo già avuto modo di trattare il tema relativo alla verifica della non contaminazione di cui all’art. 24 del Regolamento (qui un approfondimento: “Terre e rocce da scavo nello stesso sito: ora verifica di non contaminazione obbligatoria?“), e di sottolinearne le criticità proprio dal punto di vista della semplificazione[2].
Un ulteriore disposizione ha fatto parlare di sé in questi primi mesi di vigenza; il richiamo va all’art. 27 che, rubricato “disposizioni intertemporali transitorie e finali”, costruisce il regime transitorio su tre fattispecie diverse:
I piani e i progetti di utilizzo già approvati al momento dell’entrata in vigore del nuovo Regolamento (22 agosto 2017) restano disciplinati dalla normativa previgente, anche qualora intervenissero modifiche o aggiornamenti successivi (art. 27, c. 1, D.P.R. 120/2017);
i materiali riconducibili alla definizione di “terre e rocce da scavo”, utilizzati e gestiti in conformità ai progetti o ai piani di utilizzo approvati ai sensi della disciplina previgente (art. 186 del D.L.vo 152/2006 e D.M. 161/2012) sono considerati a tutti gli effetti sottoprodotti e legittimamente allocati nei siti di destinazione (art. 27, c. 1, D.P.R. 120/2017);
i progetti per i quali alla data di entrata in vigore del nuovo Regolamento è in corso una procedura ai sensi della normativa previgente restano disciplinati dalle relative disposizioni, ma è fatta salva la facoltà di assoggettarli alla nuova disciplina presentando il Piano di utilizzo o la Dichiarazione di utilizzo entro 180 giorni dall’entrata in vigore del nuovo Regolamento[3] (art. 27, c. 2, D.P.R. 120/2017).
Benché quest’ultima scelta sia stata particolarmente apprezzata per le fattispecie riguardanti i cantieri di piccole dimensioni e quelli di grandi dimensioni non sottoposti a VIA o AIA per i quali la nuova disciplina ha riservato differenti semplificazioni, come anticipato, essa ha creato non pochi problemi di tipo operativo/gestionale.
L’attuazione letterale della norma, infatti, per i progetti per i quali alla data del 22 agosto 2017 era in corso una procedura ai sensi della normativa previgente e i relativi proponenti non hanno usufruito della facoltà di assoggettarli alla nuova disciplina entro il termine previsto e sopra richiamato, richiede l’utilizzo della documentazione prevista dalla normativa previgente.
Sennonché, le Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente (ARPA) hanno aggiornato i rispettivi applicativi web per l’inserimento pratiche in ordine alla modulistica richiesta dal nuovo D.P.R. 120/2017, bloccando di fatto la possibilità di presentare qualsiasi altra documentazione.
Nel diritto positivo italiano, l’interpretazione della norma è regolata dall’art. 12 delle Preleggi al Codice Civile, il quale stabilisce che: “nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore“. A tal proposito, si parla di interpretazione letterale quando, alla lettura della norma, si attribuisce ad ogni parola il significato preciso che scaturisce dal suo contesto, giungendo quindi alla comprensione letterale di essa.
Ulteriore conferma è stata data dalla Corte di Cassazione con Sentenza n. 1111/2012 con la quale ha chiarito che “la norma giuridica deve essere interpretata, prima di ogni cosa, dal punto di vista letterale, non potendo attribuirsi altro senso se non quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse”.
Nel caso di specie, quindi, al fine di aggirare l’ostacolo operativo, non è possibile prescindere dal significato letterale di quanto disposto dall’art. 27, dovendo, pertanto, escludersi per il proponente, rientrante nella fattispecie di cui al c. 2 della medesima norma, la legittimità della sostituzione della modulistica previgente con quella di cui al D.P.R. 120/2017.
Proprio in virtù di tale principio, si segnala che l’ARPAV, l‘Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezionale ambientale del Veneto, attraverso la Segreteria Tecnica dell’8 febbraio2018, ha disposto l’aggiornamento del portale per la presentazione delle pratiche al fine di renderlo idoneo ad accogliere sia la modulistica di cui al nuovo Regolamento sia quella richiesta dalla normativa previgente.
Chiara è, pertanto, l’importanza della corretta applicazione di quanto disposto dal legislatore e, al fine di addivenire ad un’attuazione uniforme delle disposizione contenute nel D.P.R. 120/2017 su tutto il territorio nazionale, si auspica che gli altri enti territorialmente competenti seguano l’esempio del Veneto.
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Terre e rocce da scavo: quale modulistica per i progetti non ancora approvati?
di Sabrina Suardi
L’art. 27 del recente D.P.R. 120/2017 – recante la nuova disciplina della gestione delle terre e rocce da scavo – è dedicato alle disposizioni intertemporali transitorie e finali e, in pochi mesi dalla sua entrata in vigore il 22 agosto 2017, la sua applicazione ha già posto rilevanti problemi operativi.
Ma andiamo per gradi.
Come anticipato, dal 22 agosto 2017 è entrato in vigore il D.P.R. 120/2017, ovvero il “Regolamento recante la disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo, ai sensi dell’articolo 8 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164”, che ha profondamente cambiato la disciplina delle terre e rocce da scavo, abrogando (art. 31) l’intera disciplina precedente contenuta nel D.M. 161/2012 oltre all’art. 184-bis, comma 2-bis, del D.L.vo 152/2006 e agli artt. 41, comma 2 e 41-bis del D.L. 69/2013, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98.
Con il fine di assicurare gli obiettivi di razionalizzazione e semplificazione delle modalità di utilizzo delle terre e rocce da scavo, il nuovo Regolamento rappresenta oggi l’unico strumento normativo applicabile per consentire l’utilizzo delle stesse come sottoprodotti, provenienti sia da grandi che da piccoli cantieri, compresi quelli finalizzati alla costituzione o alla manutenzione di reti e infrastrutture.
L’obiettivo principale è quello di agevolare e incrementare il ricorso alla gestione delle terre e rocce da scavo come sottoprodotti, semplificando le procedure e riducendo gli oneri documentali.
Non sempre, tuttavia, il legislatore è riuscito a centrare tutti gli obiettivi prefissati[1]. Abbiamo già avuto modo di trattare il tema relativo alla verifica della non contaminazione di cui all’art. 24 del Regolamento (qui un approfondimento: “Terre e rocce da scavo nello stesso sito: ora verifica di non contaminazione obbligatoria?“), e di sottolinearne le criticità proprio dal punto di vista della semplificazione[2].
Un ulteriore disposizione ha fatto parlare di sé in questi primi mesi di vigenza; il richiamo va all’art. 27 che, rubricato “disposizioni intertemporali transitorie e finali”, costruisce il regime transitorio su tre fattispecie diverse:
Benché quest’ultima scelta sia stata particolarmente apprezzata per le fattispecie riguardanti i cantieri di piccole dimensioni e quelli di grandi dimensioni non sottoposti a VIA o AIA per i quali la nuova disciplina ha riservato differenti semplificazioni, come anticipato, essa ha creato non pochi problemi di tipo operativo/gestionale.
L’attuazione letterale della norma, infatti, per i progetti per i quali alla data del 22 agosto 2017 era in corso una procedura ai sensi della normativa previgente e i relativi proponenti non hanno usufruito della facoltà di assoggettarli alla nuova disciplina entro il termine previsto e sopra richiamato, richiede l’utilizzo della documentazione prevista dalla normativa previgente.
Sennonché, le Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente (ARPA) hanno aggiornato i rispettivi applicativi web per l’inserimento pratiche in ordine alla modulistica richiesta dal nuovo D.P.R. 120/2017, bloccando di fatto la possibilità di presentare qualsiasi altra documentazione.
Nel diritto positivo italiano, l’interpretazione della norma è regolata dall’art. 12 delle Preleggi al Codice Civile, il quale stabilisce che: “nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore“. A tal proposito, si parla di interpretazione letterale quando, alla lettura della norma, si attribuisce ad ogni parola il significato preciso che scaturisce dal suo contesto, giungendo quindi alla comprensione letterale di essa.
Ulteriore conferma è stata data dalla Corte di Cassazione con Sentenza n. 1111/2012 con la quale ha chiarito che “la norma giuridica deve essere interpretata, prima di ogni cosa, dal punto di vista letterale, non potendo attribuirsi altro senso se non quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse”.
Nel caso di specie, quindi, al fine di aggirare l’ostacolo operativo, non è possibile prescindere dal significato letterale di quanto disposto dall’art. 27, dovendo, pertanto, escludersi per il proponente, rientrante nella fattispecie di cui al c. 2 della medesima norma, la legittimità della sostituzione della modulistica previgente con quella di cui al D.P.R. 120/2017.
Proprio in virtù di tale principio, si segnala che l’ARPAV, l‘Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezionale ambientale del Veneto, attraverso la Segreteria Tecnica dell’8 febbraio 2018, ha disposto l’aggiornamento del portale per la presentazione delle pratiche al fine di renderlo idoneo ad accogliere sia la modulistica di cui al nuovo Regolamento sia quella richiesta dalla normativa previgente.
Chiara è, pertanto, l’importanza della corretta applicazione di quanto disposto dal legislatore e, al fine di addivenire ad un’attuazione uniforme delle disposizione contenute nel D.P.R. 120/2017 su tutto il territorio nazionale, si auspica che gli altri enti territorialmente competenti seguano l’esempio del Veneto.
Piacenza, 26.02.2018
[1] Per un maggior approfondimento si veda S. MAGLIA – L. COLLINA, Terre e rocce da scavo. La nuova disciplina (D.P.R. 120/2017), Edizioni TuttoAmbiente, 2018, pp. 31 e ss.
[2] S.SUARDI, Terre e rocce da scavo nello stesso sito: ora verifica di non contaminazione obbligatoria?, in www.tuttoambiente.it.
[3] Termine ormai esperito il 18 febbraio 2018.
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