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Terre e rocce da scavo nello stesso sito: ora verifica di non contaminazione obbligatoria?
di Sabrina Suardi
Categoria: Rifiuti
Il tanto atteso D.P.R. 120/2017, che si propone di razionalizzare e semplificare le modalità di utilizzo delle terre e rocce da scavo, è finalmente entrato in vigore il 22 agosto 2017. Diverse sono le novità che hanno destato l’attenzione degli operatori del settore e degli organi di controllo, non senza qualche criticità, la cui risoluzione è ancor più delicata se si pensa che il nuovo D.P.R., in quanto norma speciale di rango primario, prevale sul D.L.vo 152/2006 (TUA).
In via preliminare, è utile ricordare che l’inquadramento giuridico delle terre e rocce da scavo continua a rispondere alla regola generale di cui all’art. 184, comma 3, lett b)[1], D.L.vo 152/2006 potendo le stesse configurarsi come sottoprodotti, rifiuti o non rifiuti (End of Waste – EOW).
L’utilizzo delle terre e rocce da scavo come sottoprodotto è oggi condizionato dalla sussistenza dei criteri stabiliti dall’art. 4 del D.P.R., ma dipende, altresì, dalla verifica di non contaminazione richiesta dall’art.24 a fronte del disposto di cui alla lett. c) dell’art. 185, comma 1, D.L.vo 152/2006 che esclude dall’applicazione della disciplina sui rifiuti (Parte IV, del D.L.vo 152/2016) “il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato”.
Rileva, quindi, sia la nozione di “suolo” inteso come terre e rocce da scavo ma di cui fanno parte anche le matrici materiali di riporto[2] di cui all’art. 3, comma 1, D.L. 02/2012, sia la definizione di “non contaminato” che ha fatto sorgere non poche perplessità.
Chi deve effettuare il controllo? Con quali strumenti? Si deve procedere con il campionamento per tutti i tipi di cantieri? Sono previste sanzioni?
Fino all’entrata in vigore del D.P.R., una risposta era stata fornita dalla giurisprudenza. In particolare, la Corte di Cassazione Penale, Sezione III, con sentenza del 1 ottobre 2008 n. 37280[3], in tema di gestione di rifiuti aveva chiarito che l’esclusione dall’applicazione della relativa disciplina alle terre e rocce da scavo (art. 186 D.L.vo 152/2006) dipendeva dalla capacità di dimostrazione del riutilizzo ambientalmente compatibile da parte dell’imputato, mentre spettava al pubblico ministero fornire la prova circa l’esclusione della deroga, ovvero dell’esistenza di una concentrazione di inquinanti superiore ai massimi consentiti.
In un’ottica di forte semplificazione, quindi, sul privato avrebbe gravato esclusivamente l’onere della responsabilità e non quello della prova.
Oggi, l’art. 24 del nuovo D.P.R. fornisce interpretazione autentica del disposto innanzi richiamato e ai fini dell’esclusione dall’ambito di applicazione della normativa sui rifiuti, dispone che si debba procedere a verificare la non contaminazione delle terre e rocce escavate, conducendo il campionamento sulla base di quanto indicato dall’Allegato 4.
L’analisi va condotta sul sito considerato nel suo complesso, con un’unica deroga relativa alle sostanze da ricercare nel caso in cui in sede progettuale sia prevista una produzione di materiale da scavo compresa tra i 6.000 e i 150.000 metri cubi. In tal caso la caratterizzazione potrà avvenire selezionando solo parte delle sostanze da verificare purché esse consentano di definire in modo esaustivo le concentrazioni presenti nel suolo. I risultati delle analisi devono essere conformi alle Concentrazioni Soglia di Contaminazione di cui alle colonne A e B, Tabella 1, Allegato 5, al Titolo V, della Parte IV, del D.L.vo 152/2016 con riferimento alla specifica destinazione d’uso urbanistica, o ai valori di fondo naturali.
Tali nuove prescrizioni sembrano appesantire la prassi precedente, che concedeva una certa discrezionalità di procedura, richiedendo la verifica di non contaminazione su tutti i cantierieprescindendo dalla loro dimensione. Gli adempimenti richiesti, inoltre, restano confinati nella forma di una auto-dichiarazione e l’intervento preventivo dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e dell’ISPRA è richiesto solo qualora, per consentire le operazioni di scavo, sia previsto l’utilizzo di additivi che contengono sostanze inquinanti non comprese tra quelle direttamente prese in considerazione dalla norma.
Dubbi circa la natura della verifica, considerato che la disciplina precedente la identificava direttamente come “auto-certificazione”, sono riscontrabili nelle Frequently Asked Questions (FAQ) delle Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente (ARPA). Si veda, ad esempio, ARPA Veneto che tra i documenti da fornire alle Autorità Competenti cita espressamente la “dichiarazione di non contaminazione (autocertificazione)”. Sulla stessa scia, ARPA Piemonte specifica che la dichiarazione non costituisce una richiesta di autorizzazione, bensì una attestazione del rispetto delle condizioni previste dalla norma sotto la responsabilità del dichiarante.
È quindi lecito, a parere di chi scrive, mettere in discussione il carattere di “semplificazione” perseguito dal D.P.R. considerando peraltro che, a fronte della certezza dell’obbligatorietà della verifica di non contaminazione, non pare, invece, che il legislatore abbia previsto alcun profilo sanzionatorio in caso di sua violazione.
Per maggiore approfondimento si segnala l’importantissimo Corso:
che si terrà nelle seguenti edizioni: Roma il 5 ottobr/e 2017, Bologna il 17 ottobre 2017, Cagliari il 14 novembre 2017 e Mestre il 30 novembre 2017.
Piacenza, 21.09.2017
[1] Il quale dispone che “Sono rifiuti speciali: … b)i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti che derivano dalle attività di scavo, fermo restando quanto disposto dall’art. 184-bis”.
[2] Costituite da una miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito, e utilizzate per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di reinterri.
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Terre e rocce da scavo nello stesso sito: ora verifica di non contaminazione obbligatoria?
di Sabrina Suardi
Il tanto atteso D.P.R. 120/2017, che si propone di razionalizzare e semplificare le modalità di utilizzo delle terre e rocce da scavo, è finalmente entrato in vigore il 22 agosto 2017.
Diverse sono le novità che hanno destato l’attenzione degli operatori del settore e degli organi di controllo, non senza qualche criticità, la cui risoluzione è ancor più delicata se si pensa che il nuovo D.P.R., in quanto norma speciale di rango primario, prevale sul D.L.vo 152/2006 (TUA).
In via preliminare, è utile ricordare che l’inquadramento giuridico delle terre e rocce da scavo continua a rispondere alla regola generale di cui all’art. 184, comma 3, lett b)[1], D.L.vo 152/2006 potendo le stesse configurarsi come sottoprodotti, rifiuti o non rifiuti (End of Waste – EOW).
L’utilizzo delle terre e rocce da scavo come sottoprodotto è oggi condizionato dalla sussistenza dei criteri stabiliti dall’art. 4 del D.P.R., ma dipende, altresì, dalla verifica di non contaminazione richiesta dall’art.24 a fronte del disposto di cui alla lett. c) dell’art. 185, comma 1, D.L.vo 152/2006 che esclude dall’applicazione della disciplina sui rifiuti (Parte IV, del D.L.vo 152/2016) “il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato”.
Rileva, quindi, sia la nozione di “suolo” inteso come terre e rocce da scavo ma di cui fanno parte anche le matrici materiali di riporto[2] di cui all’art. 3, comma 1, D.L. 02/2012, sia la definizione di “non contaminato” che ha fatto sorgere non poche perplessità.
Chi deve effettuare il controllo? Con quali strumenti? Si deve procedere con il campionamento per tutti i tipi di cantieri? Sono previste sanzioni?
Fino all’entrata in vigore del D.P.R., una risposta era stata fornita dalla giurisprudenza.
In particolare, la Corte di Cassazione Penale, Sezione III, con sentenza del 1 ottobre 2008 n. 37280[3], in tema di gestione di rifiuti aveva chiarito che l’esclusione dall’applicazione della relativa disciplina alle terre e rocce da scavo (art. 186 D.L.vo 152/2006) dipendeva dalla capacità di dimostrazione del riutilizzo ambientalmente compatibile da parte dell’imputato, mentre spettava al pubblico ministero fornire la prova circa l’esclusione della deroga, ovvero dell’esistenza di una concentrazione di inquinanti superiore ai massimi consentiti.
In un’ottica di forte semplificazione, quindi, sul privato avrebbe gravato esclusivamente l’onere della responsabilità e non quello della prova.
Oggi, l’art. 24 del nuovo D.P.R. fornisce interpretazione autentica del disposto innanzi richiamato e ai fini dell’esclusione dall’ambito di applicazione della normativa sui rifiuti, dispone che si debba procedere a verificare la non contaminazione delle terre e rocce escavate, conducendo il campionamento sulla base di quanto indicato dall’Allegato 4.
L’analisi va condotta sul sito considerato nel suo complesso, con un’unica deroga relativa alle sostanze da ricercare nel caso in cui in sede progettuale sia prevista una produzione di materiale da scavo compresa tra i 6.000 e i 150.000 metri cubi. In tal caso la caratterizzazione potrà avvenire selezionando solo parte delle sostanze da verificare purché esse consentano di definire in modo esaustivo le concentrazioni presenti nel suolo. I risultati delle analisi devono essere conformi alle Concentrazioni Soglia di Contaminazione di cui alle colonne A e B, Tabella 1, Allegato 5, al Titolo V, della Parte IV, del D.L.vo 152/2016 con riferimento alla specifica destinazione d’uso urbanistica, o ai valori di fondo naturali.
Tali nuove prescrizioni sembrano appesantire la prassi precedente, che concedeva una certa discrezionalità di procedura, richiedendo la verifica di non contaminazione su tutti i cantieri e prescindendo dalla loro dimensione. Gli adempimenti richiesti, inoltre, restano confinati nella forma di una auto-dichiarazione e l’intervento preventivo dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e dell’ISPRA è richiesto solo qualora, per consentire le operazioni di scavo, sia previsto l’utilizzo di additivi che contengono sostanze inquinanti non comprese tra quelle direttamente prese in considerazione dalla norma.
Dubbi circa la natura della verifica, considerato che la disciplina precedente la identificava direttamente come “auto-certificazione”, sono riscontrabili nelle Frequently Asked Questions (FAQ) delle Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente (ARPA). Si veda, ad esempio, ARPA Veneto che tra i documenti da fornire alle Autorità Competenti cita espressamente la “dichiarazione di non contaminazione (autocertificazione)”. Sulla stessa scia, ARPA Piemonte specifica che la dichiarazione non costituisce una richiesta di autorizzazione, bensì una attestazione del rispetto delle condizioni previste dalla norma sotto la responsabilità del dichiarante.
È quindi lecito, a parere di chi scrive, mettere in discussione il carattere di “semplificazione” perseguito dal D.P.R. considerando peraltro che, a fronte della certezza dell’obbligatorietà della verifica di non contaminazione, non pare, invece, che il legislatore abbia previsto alcun profilo sanzionatorio in caso di sua violazione.
Per maggiore approfondimento si segnala l’importantissimo Corso:
Terre e rocce da scavo: La nuova disciplina (DPR 120/2017)
che si terrà nelle seguenti edizioni: Roma il 5 ottobr/e 2017, Bologna il 17 ottobre 2017, Cagliari il 14 novembre 2017 e Mestre il 30 novembre 2017.
Piacenza, 21.09.2017
[1] Il quale dispone che “Sono rifiuti speciali: … b)i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti che derivano dalle attività di scavo, fermo restando quanto disposto dall’art. 184-bis”.
[2] Costituite da una miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito, e utilizzate per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di reinterri.
[3] Si vedano altresì:
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