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Tutela delle acque e disciplina sanzionatoria

di Giannicola Galotto

Categoria: Acqua

L’apparato sanzionatorio del D.L.vo 152/06 si articola su un doppio binario, in quanto recepisce i due modelli di illecito tipici della materia ambientale: l’illecito amministrativo (artt. 133 – 136) e la contravvenzione (artt. 137 – 140). La sanzione penale è prevista in particolari ipotesi, ovvero laddove il comportamento illecito risulti maggiormente (o potenzialmente) lesivo del bene giuridico oggetto di protezione[1].

Oltre a questi sussistono altre tipologie di violazioni di diversa natura, che riguardano illeciti in campi non connessi con i due principi-base sopraccitati, i quali rappresentano la struttura portante del sistema sanzionatorio del decreto.

Il D.L.vo 152/06 di fatto non proibisce e punisce l’inquinamento, ma detta le procedure da rispettare. Se tali presupposti normativi vengono rispettati, l’evento di inquinamento in senso stretto è “legale” nel sistema giuridico. Dunque, “inquinare” nel contesto del D.L.vo 152/06 significa non rispettare le regole per lo sversamento inquinante; se, invece, tali regole vengono rispettate, detto sversamento sarà “formalmente” non inquinante.

Gli illeciti di “inquinamento” sono dunque non sostanziali, ma connessi al mancato rispetto dei livelli tabellari che costituiscono la vera regola da rispettare.

In tema di superamento dei valori limite merita un approfondimento ad hoc il disposto dell’art. 137 del D.L.vo 152/06[2].

L’originaria formulazione dell’art. 137, c. 5, cpv. 1 (in vigore dal 29 aprile 2006) prevedeva che “chiunque, nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superi i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell’allegato 5 alla parte terza del presente decreto, oppure superi i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall’autorità competente a norma dell’art. 107, comma 1, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell’allegato 5 alla parte terza del presente decreto, è punito con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da tremila euro a trentamila euro”. Alcune procure e alcune Arpa avevano interpretato restrittivamente la formulazione della norma, ritenendo che se la Regione aveva stabilito valori più rigorosi di quelli della tabella 3 e questi venivano superati, si incorreva nella sanzione penale, mentre il riferimento alle sostanze di cui alla tabella 5 era meramente sussidiario.

Tale interpretazione, in realtà, era estremamente penalizzante, perché alcune regioni avevano fissato valori limite molto restrittivi, sicché veniva meno la proporzionalità tra il reato e la sanzione.

La L. 25 febbraio 2010, n. 36 recante disciplina sanzionatoria dello scarico di acque reflue (in GU n. 59 del 12 marzo 2010 ed in vigore dal 27 marzo 2010) ha sostituito il primo periodo del c. 5 dell’art. 137 (“chiunque, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell’allegato 5 alla parte terza del presente decreto, nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superi i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell’allegato 5 alla parte terza del presente decreto, oppure i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall’autorità competente a norma dell’art. 107, comma 1, è punito con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da tremila euro a trentamila euro”), prevedendo così la sanzione penale solo nell’ipotesi in cui lo scarico di acque reflue industriali oltre i limiti tabellari (stabiliti nella tabella 3 o nella tabella 4) riguardi una delle diciotto[3] sostanze della tabella 5 all’allegato 5 alla Parte III del D.L.vo 152/06; mentre lo scarico di acque reflue industriali riguardanti altre sostanze è punito con la sola sanzione amministrativa ex art. 133 (non reato, ma mero illecito amministrativo).

L’originaria cattiva formulazione della norma è stata, in definitiva, modificata in una forma soddisfacente: e si fa notare che si tratta di uno dei pochi casi in cui il Legislatore è intervenuto anticipando l’autorevole presa di posizione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

 

Per ciò che concerne, invece, gli illeciti relativi alla violazione del sistema autorizzatorio, per il D.L.vo 152/06 appare più grave un insediamento industriale che non si segnala rispetto all’insediamento che, regolarmente conosciuto ed identificato dalla P.A. (e dunque controllabile) una volta superi i limiti tabellari e divenga quindi “inquinante” nell’ottica formale del medesimo decreto.

Oltre alla disciplina esposta senz’altro esistono altri reati nel Codice Penale che concorrono con gli illeciti previsti dalla anzidetta normativa (definiti da autorevole dottrina “reati satellite”) che nella pratica corrispondono principalmente al reato di danneggiamento aggravato in acque pubbliche (art. 635, c. 2, n. 3, Cod. Pen.) e all’avvelenamento doloso e colposo di acque destinate all’alimentazione (artt. 439 e 452).

Un ultimo cenno in ordine alla competenza ed alla giurisdizione in materia di sanzioni amministrative.

L’art. 135, c. 1 dispone che “in materia di accertamento degli illeciti amministrativi, all’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie provvede, con ordinanza-ingiunzione ai sensi degli articoli 18 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689, la regione o la provincia autonoma nel cui territorio è stata commessa la violazione, ad eccezione delle sanzioni previste dall’articolo 133, comma 8, per le quali è competente il comune, fatte salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità”.

In via residuale rispetto alla Regione o alla provincia autonoma nel cui territorio è stata commessa la violazione, dunque, sussiste la competenza esclusiva del Comune per quanto riguarda la violazione dell’art. 133, c. 8: “chiunque violi le prescrizioni concernenti l’installazione e la manutenzione dei dispositivi per la misurazione delle portate e dei volumi, oppure l’obbligo di trasmissione dei risultati delle misurazioni di cui all’articolo 95, comma 3 …”.

Avverso le ordinanze-ingiunzione relative alle sanzioni amministrative è esperibile il giudizio di opposizione di cui all’art. 23 della L. 24 novembre 1981, n. 689 (di norma entro trenta giorni dalla notificazione del provvedimento); inoltre l’art. 135, c. 4 dispone che “alle sanzioni amministrative pecuniarie previste dalla parte terza del presente decreto non si applica il pagamento in misura ridotta di cui all’ art. 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689”, ovvero la cd. Oblazione (si fa sommessamente notare che, invece, negli altri settori ambientali, l’oblazione è applicabile a tutte le sanzioni amministrative).

 

 



[1] Cfr. anche M. CHILOSI – M. ZALIN, Disciplina degli scarichi: con la legge n. 36/2010 nuovi profili sanzionatori, in Ambiente & Sicurezza, n. 8 del 27 aprile 2010, p. 92 ss.

[2] Si segnala che la previgente norma di cui all’art. 59, c. 5, D.L.vo 152/99 (sostanzialmente corrispondente alla versione attuale dell’art. 137, c. 5, D.L.vo 152/06) era stata interpretata in maniera diversa dalla S.C., all’interno della quale prevaleva l’orientamento restrittivo. A seguito dell’entrata in vigore dell’art. 137, c. 5, D.L.vo 152/06, invece, la pronuncia Cass. III Pen. n. 37279 del 1 ottobre 2008 rappresenta uno dei rari casi di adozione dell’interpretazione estensiva (per ulteriori approfondimenti, si vedano M. TAINA, Scarichi industriali oltre i limiti tabellari: sempre sanzione penale (nota a Cass. Pen. n. 37279/2008), in Rivista Ambiente & Sviluppo, n. 2/2009 e V. PAONE, Acque reflue industriali: disciplina dei limiti tabellari, in Rivista Ambiente & Sviluppo, n. 1/2010).

[3] Le sostanze sono: arsenico, cadmio, cromo totale, cromo esavalente, mercurio, nichel, piombo, rame, selenio, zinco, fenoli, oli minerali e idrocarburi petroliferi persistenti, solventi organici aromatici o azotati, composti organici alogeni, pesticidi fosforiti, composti organici dello stagno, sostanze classificate come cancerogene ex D.L.vo 22/97.

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