Cari web-lettori,
“meglio morire di tumore che di fame”. Così sì è espressa una signora di Taranto che ogni giorno deve spazzare secchi di polvere nera dal balcone. Questa frase mi ha fatto venire i brividi e pensare tristemente a quanto siamo ancora indietro in un cammino virtuoso verso un futuro con un futuro. Qualche dato riferito solo agli ultimi 12 anni: 386 morti, 237 casi di tumore maligno, 247 eventi coronarici e 937 casi di ricovero ospedaliero per gravi problemi all’apparato respiratorio, tutti riconducibili alle polveri dell’ILVA.
Intanto c’è
gente che va a Rio de Janeiro a riempirsi la bocca di aria fritta straparlando di Green economy mentre quella inquinata rimane qui, stretta tra comprensibili ricatti occupazionali e altrettanto comprensibili esigenze di tutela della salute e dell’ambiente. Toh, guarda che novità, di Ilva si muore!
Non voglio entrare nel merito della questione attuale (facendo solo notare che anche tra autorevolissimi professori universitari si discute se la chiusura prospettata dal GIP possa addirittura in certi casi peggiorare le cose), ma solo riflettere assieme a voi di quanta strada ci sia ancora da fare.
Giganteschi poli dall’impatto devastante (Marghera, Priolo, Cengio, Casale Monferrato, ecc.) lasciate libere di inquinare e uccidere per decenni con la complicità delle PA ed enti di controllo locali (e non solo: si mettano una mano sulla coscienza anche associazioni industriali e sindacali!), mentre la burocrazia si “diletta” a strangolare nei tempi e nei modi più assurdi le imprese virtuose che chiedono, chessò, di aggiungere una tettoia per proteggere l’ambiente e gli operai o di investire in un “pulitissimo” digestore anaerobico dell’ultima generazione per migliorare prestazioni e l’ambiente, richiesta bloccata per 4 anni tra 10 conferenze di servizi, per vigliaccheria e timidità della PA terrorizzata da un comitato che temeva l’aumento delle zanzare! Risultato: l’azienda chiude e se na va.
Ma per tornare al rapporto “lavoro-ambiente” vorrei chiudere riflettendo, specialmente per i più giovani, su un concetto di cui si sta parlando sempre troppo poco: riconversione. Il lavoro non è “la” priorità, è “una” priorità, e l’alternativa tra morire di tumore o di fame è una sola: vivere.
Ricordo quando già negli anni ’80 si discuteva di riconversione delle industrie belliche, di quelle inquinanti, di quelle “assassine”, dicendo che non ogni prodotto, non ogni risultato, non ogni lavoro, è uguale ad un altro.
A cosa sono servite Seveso, Casale, Porto Marghera? A nulla…
Ritorniamo a parlare di “riconversione”, di aziende, di impianti, di progetti, di coscienze.
Vivere e non sopravvivere senza speranza. La green economy passa da qui. Specialmente da qui.
PS: per tutto il mese di agosto faremo una unica newsletter che invieremo ogni venerdì, per tornare alle tre settimanali dalla prima settimana di settembre. Ma per tutte le news c’è sempre facebook.

Alla prossima settimana
Stefano Maglia
s.maglia@tuttoambiente.it

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