L’uccisione di animali che avvenga per crudeltà o senza necessità è prevista come reato dal nostro codice penale (art. 544-bis).

Sulla base di questo, la Cassazione penale ha definito “criminale” la gestione di un canile nel quale si sono verificati vari episodi di questo tipo.
Nel caso specifico, deciso con sentenza n. 4562 del 31 gennaio 2018, la Corte ha dedotto la “non necessità” delle uccisioni dall’indicazione, sui cartellini identificativi degli animali soppressi a seguito di “eutanasia ufficiale” (iniezione di farmaco), di cause non riconducibili alle legittime ipotesi di soppressione per ragioni veterinarie, così come dall’assenza di patologie fisiche negli animali soppressi, e dal mancato rispetto degli obblighi certificativi. In più, concorre a confermare tale ricostruzione l’esorbitante dose di farmaci letali rispetto alle esigenze del canile.

La stessa ingiustificata uccisione di animali, tale anche in quanto non determinata da visita o certificazione veterinaria, integra, inoltre, l’ulteriore reato dell’esercizio abusivo di una professione (art. 348 cod. pen.). La somministrazione di farmaci finalizzati all’eutanasia è, infatti, di competenza specifica ed esclusiva del veterinario.


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