Quali sono le plastiche oxodegradabili? Sono le plastiche alle quali vengono aggiunti, nel processo produttivo, additivi per accelerarne la frammentazione in frazioni minuscole per effetto della radiazione ultravioletta o del calore, per velocizzarne, cioè, la disintegrazione. La veloce frammentazione dovrebbe, infatti, accelerare anche la biodegradazione.
 
Dovrebbe, ma, stando alla relazione della Commissione Europea del 16 gennaio 2018, così non accade: non esiste alcuna prova definitiva che la plastica oxo-degradabile subisca, all’aria, in discarica o nell’ambiente marino, una biodegradazione completa in un arco di tempo ragionevole.
 
Non esiste, a detta della Commissione, “alcuna prova definitiva a sostegno degli effetti benefici della plastica oxo-degradabile sull’ambiente”.
 
Anzi, sembrerebbe addirittura che tali plastiche contribuiscano all’inquinamento da microplastica dell’ambiente marino, e che non siano da escludere potenziali effetti tossici.
 
Da qui, la guerra all’oxoplastica: la Commissione intende avviare, infatti, nell’ambito della strategia comunitaria sulla plastica, un processo volto a limitare l’uso dell’oxo-plastica nell’Unione (qui un approfondimento: “Rifiuti di plastica: una strategia europea per proteggere il pianeta e i cittadini“).
Guerra che, peraltro, l’Italia porta avanti da anni.


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