Con la nota n. 1495 del 23 gennaio 2018, il Ministero dell’Ambiente ha diffuso una serie di chiarimenti relativamente agli obblighi del proprietario del terreno contaminato che non sia responsabile della contaminazione, fornendo anche ulteriori precisazioni riguardo all’onere probatorio e alle nozioni di inquinamento diffuso e storico.
 

La prima questione oggetto della recente nota è relativa agli obblighi del proprietario non responsabile della contaminazione.

Richiamando le disposizioni che il D.L.vo 152/2006 (cosiddetto Testo Unico Ambientale) contiene in materia di bonifica di siti, procedure amministrative ed obblighi di intervento da parte di soggetti non responsabili (precisamente, gli articoli 240, 242, 245 e 250), e facendo proprie le conclusioni tratte dalle pronunce del Consiglio di Stato, della Corte di Giustizia e della Cassazione Civile, il Ministero conclude che:
nella responsabilità civile o amministrativa, diversamente da quella penale, vige la regola probatoria del “più probabile che non”: ciò significa, in pratica, che prevalgono l’evidente ed il più probabile, riscontrabili anche in via presuntiva.

In campo ambientale, allora, l’Autorità pubblica potrà disporre di presunzioni, quali, ad esempio, la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato, e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati dall’operatore nell’esercizio della sua attività.

 
Resta sempre fermo l’obbligo, anche per il gestore non responsabile, di mettere in atto le necessarie misure di prevenzione: la messa in sicurezza del sito non presuppone, né richiede, l’accertamento della colpa o dell’intenzione (per ulteriori approfondimenti: “Sito contaminato: cosa può essere richiesto al proprietario o gestore non responsabile”).

 

Segue, poi, la precisazione del concetto di inquinamento diffuso, ossia la contaminazione o le alterazioni chimiche, fisiche o biologiche delle matrici ambientali determinate da fonti diffuse e non imputabili ad una singola origine (art. 240): un inquinamento, cioè, derivante da attività diffuse e non riconducibile ad una fonte distinguibile. In tal caso, è necessario accertare la causalità tra il danno e la condotta dell’operatore, affinché si possa parlare di responsabilità.

Il Ministero ha chiarito, però, che è escluso l’inquinamento diffuso ogni volta che sia possibile identificarne un responsabile, sulla base del criterio del “più probabile che non”.

 

Da qui, infine, viene la precisazione circa l’inquinamento storico. Premesso che da sempre ognuno è tenuto a reintegrare/ripristinare il danno che ha causato con il proprio comportamento, l’obbligo della messa in sicurezza del terreno contaminato, e la successiva bonifica, non sono che la conseguenza dell’aver causato l’inquinamento (qui un articolo approfondito in materia: In caso di contaminazioni pregresse è possibile imporre all’attuale proprietario la bonifica dell’area?).

Dal danno sorge l’obbligo di bonifica: il fatto che un danno sia scoperto a distanza di anni, o decenni, non fa venir meno questo semplice principio di responsabilità (il cosiddetto “chi inquina paga”).


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