In materia ambientale, si parla di scarico per individuare l’immissione tramite un sistema stabile di collettamento che collega il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore, che siano acque superficiali, suolo, sottosuolo e rete fognaria. Questa, a grandi linee, la definizione che dà l’art. 74 del D.L.vo 152/2006.

fattronata

Precisamente, il discrimine tra uno scarico, sottoposto alla disciplina in materia di acque, e un rifiuto liquido, è dato dal fatto che lo scarico avvenga tramite condotta, tubazioni, o altro sistema stabile di collettamento, ossia uno strumento che operi quale nesso funzionale e diretto delle acque reflue con il corpo recettore (qui un approfondimento: “Sversamento di reflui: quando uno scarico si classifica rifiuto liquido?”).

Per condotta si intende, poi, non per forza tubazioni o altre specifiche attrezzature: quello che è necessario è un sistema di deflusso, oggettivo e duraturo, che comunque canalizza, senza soluzione di continuità, in modo artificiale o meno, i reflui fino al corpo ricettore.

Il concetto è stato ribadito, ancora una volta, dalla Cassazione Penale, nella sentenza n. 6998 del 14 febbraio 2018.

Nel caso specifico, la raccolta di liquami in vasche di raccolta interrompeva per certo, secondo la Corte, la necessaria continuità tra il luogo in cui i reflui venivano prodotti ed il recapito finale, considerando anche che alla stessa collocazione nelle vasche seguiva il “re-indirizzo” in un piazzale di cemento e, da lì, in un vallone e, poi, in un fiume.

Questa è una delle tante tematiche che affronteremo durante il Corso “Rifiuti, Scarichi, Emissioni. Disciplina e casi pratici, che si svolgerà a Milano, nella sua quinta edizione, dal 13 al 15 marzo 2018. (LM)


Condividi: