15/12/2020
Smaltimento scorie radioattive
L'opzione dei missili-penetratori
Rifiuti
Breve introduzione sul nucleare
Una centrale nucleare funziona sinteticamente così: viene prodotto calore nel nocciolo che viene raffreddato da pompe che emettono acqua refrigerante, l’acqua diventa vapore che attiva la turbina che genera elettricità. Nel mondo sono in funzione 450 reattori nucleari, di cui 150 solo nell’Europa occidentale. Il nucleare è l’unica tecnologia in grado di produrre elettricità su larga scala con emissioni di Co2 vicine allo zero, un contributo importante alla lotta al cambiamento climatico. L’energia prodotta in una centrale nucleare costa circa il 20% in meno rispetto a quella prodotta nelle centrali a gas. L’uranio, a differenza del gas e petrolio, è disponibile in Paesi con tranquillizzanti situazioni geo-politiche. Nei reattori si utilizza uranio a basso arricchimento. Si comincia con l’estrazione del nucleare di uranio dai giacimenti sotterranei per procedere poi ai processi di raffinazione ottenendo lo yellowcake per poi passare al processo di arricchimento che porterà ad una miscela con la percentuale di uranio più adatta per ottenere la fissione. La fissione avviene quando un neutrone si scontra con un nucleo di uranio: il nucleo si frammenta e libera neutroni e grande quantità di energia; il processo causa una reazione a catena che genera calore dentro gli elementi di combustibile. Attraverso le barre di controllo si supervisionano le attività dei neutroni. I rifiuti prodotti dalle centrali sono divisi in tre categorie, a seconda del tempo necessario al loro decadimento (livello di radioattività sotto le soglie della radioattività naturale). Quelli a bassa attività necessitano di 20/30 anni per il loro decadimento: sono circa il 90% dei rifiuti prodotti. Quelli a media attività necessitano di circa 300 anni, e sono quelli derivanti dallo smantellamento delle vecchie centrali. Lo smaltimento di tali tipologie avviene rivestendoli di cemento o materiali ad alta resistenza e immettendoli in appositi involucri di acciaio fino all’esaurimento del periodo di radioattività in apposite strutture superficiali. Quelli ad alta attività necessitano di migliaia di anni, e sono il combustibile esaurito e i residui dei cicli di riprocessamento (processi chimici che consentono la separazione del combustibile nucleare nelle sue principali componenti: uranio, plutonio ed attinidi minori con i prodotti di fissione; questo processo permette di recuperare nuovo combustibile fissile e quindi avere una resa energetica maggiore dalla stessa quantità di uranio naturale estratto originariamente dalla miniera. Essi vengono raggruppati in apposite piscine c/o le centrali di produzione per poi essere stoccati in depositi geologici fino al totale decadimento.
Il nucleare in Italia
Nel lontano 1987, attraverso un referendum abrogativo, l’Italia abbandonava l’utilizzo dell’energia nucleare dopo il disastro di Chernobyl del 1986. Rispetto al 1987 abbiamo 3 miliardi di nuovi consumatori di energia e abbiamo una consapevolezza non presente ai tempi del referendum: i rischi dell’effetto serra. Oggi utilizziamo centrali a gas e a combustibile fossile (destinato ad esaurirsi e a diventare molto costoso) come il carbone che producono notevoli quantità di Co2, devastanti per l’ambiente. Vale la pena ricordare che l’Italia ha solo formalmente rinunciato al nucleare perché ogni anno acquista dalla Francia energia equivalente alla produzione di otto centrali nucleari per soddisfare il fabbisogno italiano.
Il disastro di Chernobyl
“Il Comitato centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica e il presidio del Soviet supremo ha deciso che giustizia sia fatta in nome del popolo”… così partiva il processo farsa celebrato a Chernobyl nel Palazzo della Cultura il 7 luglio 1987 contro sei imputati accusati di aver causato il disastro alla centrale atomica di Chernobyl. I principali imputati erano il direttore della centrale Viktor Brjuchanov, il vicecapo ingegnere responsabile delle operazioni Anatolij Djatlov e l’ingegnere capo Nikolaj Fomin, l’ingegnere elettrotecnico che aveva imparato la fisica nucleare mediante un corso per corrispondenza. L’accusa sostenne che l’evento catastrofico era stato causato solo dalla negligenza e incapacità degli imputati evitando, per “salvare la faccia”, di menzionare i notevoli difetti e scadenti standard di progettazione e costruzione dei reattori RBMK (raffreddati ad acqua e moderati a grafite con un coefficiente di vuoto positivo senza strutture di contenimento e con combustibile non arricchito nel nocciolo), e il suo equivalente ad acqua pressurizzata, il VVER, entrambi intrinsecamente pericolosi e sicuramente più arretrati rispetto agli allora moderni reattori raffreddati a sali fusi. Gli imputati, reduci da una carcerazione preventiva nelle celle del KGB e convinti di essere destinati ad anni di lavori forzati o ancora peggio alla fucilazione, preferirono non rivelare gli handicap degli impianti e assecondare l’accusa. L’unico che si dimostrò combattivo intervenendo con domande e correzioni, evidenziando le continue deroghe da parte del Ministro dell’Energia agli standard di sicurezza, fu Djatlov, che possedeva una profonda padronanza degli aspetti tecnici. Stilò una lista di domande da porre ai tecnici portati dall’accusa: non furono ammesse, senza neanche una motivazione. L’Unione Sovietica non poteva far conoscere al mondo la propria inferiorità industriale. Pochi giorni dopo, il 29 luglio, arrivarono le condanne per tutti gli imputati.
Il Deposito Nazionale delle scorie nucleare
La Direttiva 2011/70/EURATOM prevede che la sistemazione definitiva dei rifiuti radioattivi avvenga nello Stato membro in cui sono stati generati. La maggior parte dei Paesi europei si è dotata o si sta dotando di depositi per mettere in sicurezza i propri rifiuti a bassa e media attività. Il quadro normativo nazionale che descrive puntualmente l’iter di localizzazione del Deposito Nazionale e Parco Tecnologico è il Decreto Legislativo n. 31 del 2010. Nel 2014 l’ISPRA ha emanato la Guida Tecnica n. 29 “Criteri per la localizzazione di un impianto di smaltimento superficiale di rifiuti radioattivi di bassa e media attività”. Il 2 gennaio 2015 Sogin ha consegnato a ISPRA la proposta di Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee – CNAPI. Il Deposito Nazionale un’infrastruttura ambientale di superficie dove mettere in sicurezza i rifiuti radioattivi. La sua realizzazione consentirà di completare il decommissioning degli impianti nucleari italiani e di gestire tutti i rifiuti radioattivi, compresi quelli provenienti dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca. La struttura è progettata sulla base delle migliori esperienze internazionali e secondo i più recenti standard AIEA (Agenzia Internazionale Energia Atomica) con barriere ingegneristiche e barriere naturali, e consentirà la sistemazione definitiva di circa 78 mila metri cubi di rifiuti di bassa e media attività e lo stoccaggio temporaneo di circa 17 mila metri cubi di rifiuti ad alta attività. Il processo di stoccaggio prevede tre livelli di contenimento. La prima barriera prevede che i rifiuti radioattivi, condizionati con matrice cementizia in contenitori metallici (manufatti), vengano trasferiti al Deposito Nazionale. La seconda barriera prevede che i manufatti vengono inseriti e cementati in moduli di calcestruzzo speciale (3 m x 2 m x 1,7 m), progettati per resistere 350 anni. La terza barriera prevede che i moduli vengono inseriti in celle di cemento armato (27 m x 15,5 m x 10 m), anche esse progettate per resistere 350 anni. Una volta riempite, le celle vengono sigillate e ricoperte con più strati di materiale per prevenire le infiltrazioni d’acqua. Attraverso un sistema di linee di drenaggio sotto ciascuna cella, inoltre, si assicura la raccolta ed il controllo di eventuali infiltrazioni d’acqua o possibili condense durante tutte le fasi di vita del Deposito. Il Deposito servirà per lo smaltimento a titolo definitivo dei rifiuti radioattivi a bassa e media attività e per lo stoccaggio temporaneo, a titolo provvisorio di lunga durata, dei rifiuti radioattivi ad alta attività. Insieme al Deposito Nazionale sorgerà un Parco Tecnologico, nel quale saranno avviate attività di ricerca specializzata. Il 60% dei rifiuti deriverà dalle operazioni di smantellamento degli impianti nucleari, mentre il restante 40% dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca, che continueranno a generare rifiuti anche in futuro, il tutto per un totale di circa 95 mila metri cubi di rifiuti radioattivi. La localizzazione del Deposito Nazionale prevede varie fasi di indagini territoriali:
- su scala nazionale, per escludere i territori non adatti, come risulteranno dall’applicazione dei criteri ISPRA di esclusione;
- su scala regionale e locale, per applicare i criteri ISPRA di approfondimento.
La prima fase consiste in una selezione di aree su scala nazionale effettuata tenendo conto di criteri connessi alle caratteristiche fisiche, chimiche, naturalistiche e antropiche del territorio che rendono compatibile un’area con la realizzazione di un deposito di smaltimento di rifiuti radioattivi a bassa e media attività. La seconda fase è finalizzata ad individuare, nelle aree potenzialmente idonee, i siti da sottoporre ad indagini di dettaglio. La selezione viene effettuata sulla base di valutazioni con dati a scala regionale, di eventuali verifiche in campo e tenendo conto di fattori socioeconomici. La terza fase è finalizzata alla caratterizzazione tecnica di dettaglio di uno o più siti, in particolare per quanto riguarda il relativo comportamento nel lungo termine, per pervenire alla scelta del sito ove realizzare il deposito.
Lo smaltimento delle scorie nucleari
Un problema dei nostri tempi è sicuramente lo smaltimento dei rifiuti e delle scorie radioattive. Un problema enorme e nel contempo un affare miliardario. Andrebbe valutato lo stoccaggio di scorie radioattive in ambiente naturale terrestre o marino, anziché pagare milioni di euro ogni mese per farli conservare in siti di stoccaggio nel resto d’Europa. Inserendo il materiale radioattivo in missili-penetratori è possibile inabissarli nei fondali marini utilizzando una boa per il controllo satellitare dei siluri. Esistono delle Convenzioni che ne vietano lo smaltimento in mare: la Convezione di Londra del 1972 e quella di Bamako del 1991. Essendo delle Convenzioni ci sono Paesi africani e dell’America Latina che non hanno aderito.
Lo scopo della Convenzione di Bamako è di:
- limitare l’importazione di radioattivi e pericolosi in Africa;
- controlla i movimenti transfrontalieri di materiali già nel continente;
- proibire lo scarico o l’incenerimento di qualsiasi forma di pericolo nel mare, nell’oceano o nelle acque interne;
- promuovere la produzione di emissioni di rifiuti più pulite e più sicure;
- stabilire misure precauzionali per lo smaltimento di rifiuti tossici;
Sviluppando un software di calcolo, un algoritmo, è possibile calcolare esattamente il tipo di spessore dell’acciaio necessario ad evitare che possibili fenomeni di corrosione avvengano prima del tempo di decadimento dell’energia del materiale ionizzato. Ogni scoria nucleare ha il suo periodo di vita: ad esempio il plutonio per perdere la metà della carica radioattiva necessita di 24mila anni e per estinguerla completamente sono necessari 3milioni e mezzo di anni. Sicuramente è difficile ipotizzare che il mare possa essere un luogo sicuro sia nel breve termine (potrebbe essere soggetto ad attacchi terroristici) sia nel lungo periodo. Lo spessore del contenitore di acciaio va calcolato in base anche alla quantità termica che questo materiale emette, affinché l’oggetto di protezione abbia una durata di vita superiore. Tale calcolo è fondamentale perché il materiale contenuto nel tempo rilascia energie e calore: il fattore determinante è il tempo. E’ certamente difficile sviluppare un contenitore (lungo, stretto, largo, pesante, non pesante) perché va conosciuto bene il fenomeno di caduta nell’acqua: tali missili vanno caricati su una nave per effettuare delle prove con una boa di rilevamento dati per raccogliere i dati di lancio dei penetratori inerti. Seguendo le leggi della fisica, dopo 1500/2000 metri di caduta libera la velocità tenderà a stabilizzarsi sui 140km/h per poi depositarsi nel fango marino, in zone sismicamente stabili e dove non sono previsti problemi, di carattere geologico e non, per alcune migliaia di anni.
Articolo di Adriano Pistilli
TuttoAmbiente consiglia:
Info e approfondimenti: 0523.315305 – formazione@tuttoambiente