Gli scarti tessili possono – in termini generali – essere alternativamente classificati come sottoprodotti, se sono rispettati i requisiti di cui all’art. 184-bis del D.L.vo 152/06, oppure come rifiuti che hanno successivamente cessato di essere tali ex art. 184-ter (end of waste).

 

La corretta qualifica richiede accertamenti di natura fattuale e l’onere della prova ricade su colui che invoca l’applicazione delle condizioni di liceità dell’utilizzo. Tuttavia, precisano i giudici nella sentenza Cass. Sez. III Pen. n. 3500 del 18 settembre 2024, “che l’indumento usato possa essere definito sottoprodotto è in ogni caso circostanza che mal si concilia con la necessità che il sottoprodotto derivi da un processo di produzione”. Sembra piuttosto trattarsi – nel caso di specie in cui rifiuti tessili venivano conferiti a scopo di recupero – di cose abbandonate dal detentore, e dunque rifiuti ex art. 183, c. 1, lett. a): tuttavia, la cessazione della qualifica di rifiuto dell’indumento usato (o comunque del rifiuto tessile non proveniente da un processo di produzione) è subordinata alle operazioni di recupero che necessitano di essere autorizzate.
 
Sottoprodotti gestione sicura


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