Nella normativa vigente non si rinviene una definizione di “conferimento” di rifiuti; tuttavia tale attività viene richiamata in varie norme del D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152, ad esempio nell’art. 188, comma 3, che esclude la responsabilità del detentore dei rifiuti per il corretto recupero o smaltimento dei medesimi “in caso di conferimento … al servizio pubblico di raccolta”, nonché in varie definizioni contenute nell’art. 183, comma 1, quali quella di “centro di raccolta” (lett. mm) e di “circuito organizzato di raccolta” (lett. pp). Peraltro, la definizione delle attività di “gestione di rifiuti” di cui all’art. 183, comma 1, lett. n), D.L.vo n. 152/2006 include l’attività di trasporto ma non accenna in alcun modo al conferimento.

La Corte di Cassazione è recentemente intervenuta sulla nozione di “trasporto” di rifiuti, con particolare riguardo alle implicazioni con le attività di “conferimento” dei medesimi ai fini dell’applicabilità della relativa disciplina sanzionatoria.

Con la sentenza n. 21959 del 25 maggio 2016 i giudici togati hanno ritenuto fondato il ricorso proposto dal Procuratore Generale, rilevando innanzitutto “l’erroneità dell’affermazione di diritto contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale il “conferimento” di rifiuti non rientra nella fattispecie di gestione abusiva di rifiuti di cui all’art. 256, comma 1, lett. a, d.lgs. 152 del 2006; sia sufficiente osservare che il “conferimento” allude, con linguaggio “gergale” (sebbene recepito anche dalla legislazione settoriale, ad es. nell’art. 188, comma 3, T.U.A.), alla condotta di commercio di rifiuti, che ne presuppone, peraltro, logicamente il trasporto; è altresì evidente che la formulazione dell’imputazione è funzionale alla descrizione del fatto storico, la cui qualificazione giuridica è rimessa, nel solco dell’indicazione delle norme di legge violate, al giudice”. Se ne deduce che la condotta del “conferimento” rientra nell’area della tipicità della fattispecie di cui all’art. 256, comma 1, lett. a), D.L.vo n. 152/2006.